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Autore: Krgul00    18/02/2022    2 recensioni
Charlie è una donna con dei segreti stufa che questi la tengano lontana da suo padre, l'unica persona che può chiamare famiglia. Tornata al suo paese natale per ricucire il loro rapporto, Charlie si troverà coinvolta con l'affascinate nuovo sceriffo.
Ma ancora una volta, il non detto rischia di mettere a repentaglio ciò che ha di più caro.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO UNDICI
Di solito, la prima nevicata della stagione scombinava la quiete del piccolo paese di Sunlake. Gli spazzaneve dovevano esser messi in funzione, il sale doveva esser gettato sull’asfalto e i marciapiedi dovevano venir puliti. Pertanto, i piani di molte persone potevano venir stravolti da quel semplice fatto; già solo per lasciare il paese bisognava aspettare che tutte le strade fossero state sgombrate.
In ogni caso, non nevicò, perciò, non fu quello il motivo del trambusto che si venne a creare.
Infatti, due eventi, su tutti, furono il fulcro delle voci che scossero il cuore di tutte le donne – e di conseguenza, le orecchie dei loro mariti – in quei giorni, portando a risvolti inaspettati.
Tutto ebbe inizio con un semplice mazzo di fiori.
Al giorno d’oggi, si sa, regalarne uno ad una donna è assai semplice: basta prendere il computer, accedere ad un sito di consegne e pagare per il proprio ordine. A Sunlake, invece, non vi era niente del genere, le cose si facevano alla vecchia maniera, senza l’ausilio di internet.
L’unico fioraio di tutto il paese apparteneva alla moglie del sindaco Young che, proprio come il marito, viveva del pettegolezzo; fu lei, quindi, a consegnare lo splendido mazzo che le venne commissionato martedì mattina, e fu così che Charlie Royce si ritrovò tra le mani un magnifico bouquet, in un elegante vaso di vetro.
Charlie, che ricordava perfettamente tutte le volte che un uomo le aveva mandato dei fiori - non ci voleva molto, erano pari a zero – ne rimase oltremodo stupita e il suo cuore saltò un battito alla consapevolezza di chi li avesse inviati.
Di certo, però, le sorprese non finirono lì, e la signora Young estrasse il proverbiale coniglio dal cilindro, quando, elettrizzata, confidò: “Luke Thomson è venuto di persona ad ordinarli.”
Parole che la lasciarono completamente interdetta; tuttavia, non notando la sua confusione, l’altra continuò: “Ha insistito molto per questo colore, nonostante gli abbia detto più volte che è il rosso a simboleggiare la passione.” Sorrise, quasi dispiaciuta che il suo consiglio fosse rimasto inascoltato. “Non posso credere che finalmente una donna abbia conquistato il cuore di quel ragazzo. Nessuno ci sperava più. Sei molto fortunata, il vicesceriffo è un brav’uomo, oltre che bello.”
Charlie guardò con occhi nuovi il mazzo che aveva stretto tra le mani. A parte una rosa bianca nel centro, il colore dominante era il viola. Riconobbe la lavanda, le fresie e un altro fiore, di cui non conosceva il nome; lo aveva già visto, però, perché cresceva sempre verso febbraio, in quei boschi.
Vi immerse il naso e fu sopraffatta dal loro dolce profumo e, nel pieno dell’autunno, Charlie respirò l’odore della primavera.
“Cosa significa il viola?” Chiese piano, ancora persa ad ammirare il bouquet.
“Come, cara?”
Charlie alzò lo sguardo sulla signora Young. “Ha detto che il rosso è l’amore passionale – questo lo sapeva anche lei – cosa significa il viola?”
“Oh. Anche questo ha uno splendido significato.” La tranquillizzò, mal interpretando la domanda. “Simboleggia un amore nascosto, nobile. Il viola è il colore del mistero e della magia.”
Aveva detto che li aveva mandati Luke? Tornò con gli occhi ai fiori, sorridendo, ed accarezzò con un dito uno di quei tanti petali delicati.
Prese il biglietto, infilato nel mezzo, e lo aprì.
C’erano solo tre parole: era l’unico modo. E in basso a destra, come firma, solo una lettera: L.
Non era certo l’iniziale di Luke.
Charlie non notò la smorfia sul viso dell’altra donna, che iniziò a scusarsi. “Ho provato anche a fargli cambiare idea sul biglietto, ma ha voluto per forza fare di testa sua. Ha qualche significato, per te?” Chiese, la curiosità che grondava come grasso su una brace, e la signora Young stava sicuramente leccandosi i baffi, alla prospettiva di metter le mani su quel succoso dettaglio.
Lei, però, scosse la testa, e sorrise all’indirizzo del piccolo cartoncino che stringeva tra le dita.
Morivo dalla voglia di mandarti dei fiori, ho dovuto chiedere a Luke. Era l’unico modo.
Questo voleva dire quella nota, e improvvisamente per Charlie fu così spassoso che si ritrovò a ridere di gusto. Immaginò la discussione che dovevano aver avuto lo sceriffo e il suo vice, quella mattina. L’incredulità sul viso di Luke, a quella richiesta, e l’esasperazione di Logan alle inevitabili prese in giro dell’altro.
Non le importò del via vai di gente che entrò nella biblioteca, dopo. Insieme a Maddie – emozionata al pari di lei - risposero a tutte le domande ripetitive che le vennero fatte.
Anche Sylvie venne a vedere con i suoi occhi quello splendido bouquet, e rimase stranamente in silenzio ad ammirarlo. Probabilmente, desiderando che fosse stato suo figlio a cadere sotto il dardo d’Amore.
Pure Hannah le fece le congratulazioni - proprio come se avesse ricevuto una proposta e non un semplice regalo – quando entrò nella stazione di polizia.
Ovviamente, perfettamente calata nella parte, Charlie si avviò verso l’ufficio del vicesceriffo.
“Ciao, Luke.” Lo salutò, sedendosi davanti la sua scrivania.
L’uomo, però, non parve troppo entusiasta di vederla; anzi, sembrava esser decisamente seccato e non ci volle molto a capire perché: allo squillare del telefono, alzò la cornetta, per poi schiaffarla nuovamente sulla base.
Charlie si ritrovò a mordersi il labbro inferiore, cercando di trattenere una risata. “Tutto bene?” Gli chiese, gentilmente, facendo finta che non avesse appena sbattuto il telefono in faccia a qualcuno.
L’uomo si sporse in avanti, i gomiti sulla scrivania e la testa tra le mani. “No.” Gemette ed alzò lo sguardo su di lei, in un’espressione sofferente. “Pare che a luglio ci sposeremo. Spero tu non abbia impegni.”
Lei si portò una mano alla bocca. “Sembri davvero elettrizzato all’idea.” Osservò.
L’uomo alzò gli occhi al cielo. “Di beccarmi una pallottola da Logan? Mi sento morire al solo pensiero.”
“Che melodrammatico.” Si intromise una voce alle sue spalle. E lì, in piedi sulla soglia, in un completo da ufficio blu, senza cravatta, c’era lo sceriffo. Entrò nella stanza e chiuse la porta dietro di sé, infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni. “Non ti sparerei mai, lo sai benissimo.” Continuò. “Troverei un modo migliore per sbarazzarmi di te. Anche se, sono sicuro che Charlie mi aiuterebbe ad occultare un cadavere.”
Lei si alzò e gli andò incontro; solo quando poggiò le mani sul suo petto rispose, il tono basso, confidenziale: “Ovviamente.” Si alzò sulle punte dei piedi e sfiorò le sue labbra.
L’altro, ancora seduto alla scrivania, sbuffò. “Ancora non siamo sposati che già mi tradisce e medita il mio omicidio.” Si lamentò.
Tuttavia, nessuno di loro due se ne curò.
“I fiori sono bellissimi.” Mormorò Charlie sulla sua bocca. “Grazie.”
“È un piacere.” Bisbigliò di rimando, circondandole la vita con le braccia e attirandola a sé.
“Si, non c’è di ché.” Si sorrisero l’un l’altro a quell’intrusione di Luke, gli occhi incapaci di distogliersi, e lì Charlie vi lesse il divertimento, niente affatto trattenuto, di vedere il suo vice sostituirlo in quella situazione esasperante. Ma non fu l’unica emozione a riempire le iridi scure di Logan, e Charlie non fu in grado di identificarla fino a quando lui non le sorrise obbliquo.
Si sentì improvvisamente accaldata e su di giri.
Inevitabilmente, le loro labbra si fusero insieme ancora una volta, incuranti di dove si trovassero. Furono interrotti solo dalle parole del loro ospite: “Quando ho accettato di fare questa cosa, non pensavo ve ne sareste stati a sbaciucchiarvi tutto il tempo. Nel mio ufficio, per giunta.”
“Ha brontolato così tutta la mattina?” Chiese lei.
Logan rise. “Tesoro, non ne hai idea.”
 
La notizia che Luke Thomson, indomabile sciupafemmine, si fosse innamorato – le voci tendevano sempre ad esagerare – andò inevitabilmente a sbiadire nel riscontro reale. Infatti, nessuno sorprese Charlie e il vicesceriffo in qualsiasi tipo d’effusione passionale, tipica di una coppia appena sbocciata.
Chiunque, guardando verso il loro tavolo al Red, avrebbe detto fossero semplicemente degli amici che pranzavano insieme.
Iniziarono a nascere, quindi, diverse speculazioni circa il messaggio – ormai di dominio pubblico - che l’uomo le aveva mandato insieme ai fiori. Che un litigio si fosse frapposto nella loro relazione, costringendo Luke a quelle strane parole di scuse?
In ogni caso, la risposta – per chiunque la stesse cercando – non era poi molto lontana: sbirciando sotto il tavolo, infatti, si sarebbe facilmente potuto notare il contatto continuo tra Charlie e Logan, seduto sempre di fianco a lei. Piedi che si toccavano, mani che carezzavano le gambe dell’altro; ogni scusa era buona per sfiorarsi, senza esser visti.
Nessuno, poi, sembrò notare l’improvvisa cura nel vestire dei due o i loro sguardi sempre ardenti. La reputazione di Charlie, unita a quella di Logan, erano un connubio perfetto per non destare sospetti.
Lei, considerata da tutti irraggiungibile, aveva sempre rifiutato il corteggiamento di tutti gli scapoli di Sunlake – almeno, quelli tanto audaci da provare a farsi avanti – e pareva stesse tenendo sulle spine anche il povero Luke.
Era risaputo, poi, che Logan non era interessato a nessuna donna. Erano cinque anni che la madre cercava di sistemarlo, e l’uomo non si era mai dimostrato un partecipante attivo e coinvolto di quel piano chiamato: matrimonio.
Pertanto, già questo rendeva tutti gli altri ciechi a quegli sguardi infuocati che si scambiavano. In più, adesso che – per quel che ne sapevano - Luke Thomson aveva manifestato il suo interesse per la donna, nessuno avrebbe potuto anche solo pensare che lo sceriffo pugnalasse alle spalle il suo vice.
In ogni caso, il secondo evento a fomentare le chiacchiere, si può dire fu innescato dalla stessa Sylvie Moore, alla festa della città della settimana prima.
In quell’occasione, infatti, la donna aveva organizzato un appuntamento galante per il figlio, con Eleanor Phillips e, nonostante Logan le avesse detto che non aveva alcuna intenzione d’uscire con lei, sembrava proprio che sua madre non avesse recepito appieno il messaggio. Giovedì mattina, quindi, Sylvie lo chiamò per ricordargli il suo impegno.
Tuttavia, con il passare degli anni, evidentemente, Logan si era dimenticato per quale motivo avesse iniziato a compiacerla; infatti, al diniego - assolutamente controtendenza - del figlio, Sylvie scoppiò a piangere.
E lo sceriffo odiava sentirla piangere.
La madre iniziò a parlare di quando lei sarebbe morta – odiava pure quei discorsi – e di come sarebbe stato solo e infelice quando Jake, inevitabilmente, avrebbe lasciato il nido.
Non servirono a nulla le sue rassicurazioni, quei singhiozzi non si fermarono finché Logan, divorato dai sensi di colpa, non si arrese e pronunciò la formula magica: “Va bene, incontrerò Eleanor.”
Assecondare sua madre non fu affatto semplice come le altre volte, però.
Sarebbe stato felice, se non fosse stato per Stephen Royce, di dirle che aveva una relazione con Charlie; non gli sarebbe nemmeno importato se ciò lo avrebbe costretto a sorbirsi il comportamento delirante che stava – con grande sacrificio - sopportando Luke.
Pertanto, quando attaccò, compose subito un altro numero.
Rispose al primo squillo.
“Già le manco, sceriffo?” La voce calda dall’altra parte della linea era la stessa che, da qualche notte, gli sussurrava parole sensuali all’orecchio, nel buio della sua camera.
“Sempre.” Rispose, un sorriso obliquo a curvargli la bocca.
Non seppe come, ma la donna sembrò percepire qualcosa dal suo tono, perché chiese: “Che succede? Si tratta di Jake?”
Con quella preoccupazione per suo figlio, gli rubò un altro pezzetto di sé. “No, niente del genere.”
“Sembri strano. Cosa c’è?”
Logan sospirò e iniziò a giocherellare con la penna sulla scrivania. “Abbiamo un problema.” Ammise.
“Del tipo?”
“Beh, del tipo femminile immagino. Ti ricordi Eleanor Phillips?” Ovviamente se ne ricordava, e si sarebbe aspettato di tutto: una risata, fastidio, persino urla di rabbia – anche se non erano da Charlie; invece, tutto quello che ottenne fu: “Dove la porti?”
Batté le palpebre sbigottito. Non pareva affatto ferita che lui avesse accettato un appuntamento con un’altra donna; anzi, sembrava stranamente curiosa. Fu per quello che, preso in contropiede, disse: “Al Red?” E gli uscì come una domanda.
Effettivamente, non avevano dato un nome a ciò che c’era tra loro, Logan era del parere che fossero abbastanza adulti per capirlo da soli. Sapeva perfettamente cosa significasse per lui, quella storia, e gli occhi blu di lei, ogni volta che lo guardavano, dicevano ciò che la donna non era in grado d’ammettere nemmeno a sé stessa.
Ma, lo sapeva, Charlie lo stupiva continuamente ed infatti il suo commento fu: “No, troppa gente curiosa. E poi, pranziamo lì ogni giorno. Mi andrebbe una pizza, che ne pensi?”
Doveva aspettarselo: sarebbe venuta anche lei.
Scosse la testa, divertito, non avendo idea di cosa avesse in mente; tuttavia, aveva tutta l’intenzione di lasciarsi trasportare dalla corrente. “La pizza va bene.” Mormorò.
La sua risata lo raggiunse, attraverso il ricevitore. “Fantastico. Prenoto io, per quattro, poi ti mando l’indirizzo del posto.” Disse, sbrigativamente. “A stasera, cowboy.”
Non gli diede il tempo di porre una domanda fondamentale: chi diavolo era il quarto?
Lo scoprì quella sera stessa, quando, seduto al loro tavolo insieme ad Eleanor, li vide entrare nel locale: Luke Thomson aveva un braccio intorno alle spalle di Charlie, più a suo agio di due giorni prima nel ruolo di futuro marito. A Logan non importò affatto, soprattutto alla vista del bagliore con cui brillarono le iridi della donna, nel momento in cui posò gli occhi su di lui.
Con un vestito di maglia a collo alto, rosso scuro, stretto in vita da una cinta nera e tacchi a spillo dello stesso colore, era stupenda. E Logan sapeva, senza il minimo dubbio, che non era certo per Luke quella cura per il suo abbigliamento.
Si alzò per salutarli, non lasciandosi scappare la scusa di poterla toccare.
“Sei bellissima, tesoro.” Le mormorò, baciandole una guancia. “Credevo venissi con tua moglie.” Osservò, poi, divertito.
Charlie ridacchiò. “Diddi aveva da fare.” Sussurrò, di rimando. Poi, si allungò per raggiungere il suo orecchio e in un tono basso e pieno di promesse, bisbigliò: “Ho una sorpresa per te, sotto questo vestito.”
Lui si scostò di scatto, puntando gli occhi sul suo abito, come se d’un tratto potesse vederci attraverso. Un baluginio, pieno di malizia mista a divertimento, le attraversò lo sguardo quando Logan mormorò: “Maledetto inferno.”
Ebbe davvero difficoltà a ritrovare un po’ di compostezza.
Per fortuna, Luke venne in suo soccorso, invitando tutti ad accomodarsi. Si alzò subito in piedi, però, costringendo – per modo di dire – Logan a fare cambio con il suo posto, vicino a Charlie. Brontolò scuse assurde e confuse, come la vista, l’aria condizionata – peraltro, spenta – o l’orientamento astrale.
Eleanor, che – come aveva detto Sylvie – era una ragazza gentile e simpatica, non si curò molto di quel ricollocamento. In ogni caso, mentre aspettavano, Logan era stato piuttosto chiaro con la donna: non era interessato. Non aveva intenzione di prender in giro nessuno, e l’altra era stata assolutamente comprensiva e affatto sorpresa.
Naturalmente, trovandosi difronte la donna che sembrava non poter far a meno di richiamare tutte le chiacchiere del paese, Eleanor fu parecchio curiosa; ed uno dei primi argomenti a venir affrontato fu quello del lavoro.
Tuttavia, alla domanda: “Di cosa ti occupi, Charlie?” La diretta interessata non sembrò affatto agitata, invece, finì tranquillamente di masticare la sua pizza e mentì con una nonchalance che lo sorprese. “Sono la contabile di uno studio legale.”
Si chiese cosa dovesse significare per una persona, dover mentire su cose tanto banali. Che razza di relazioni potevi mai stringere con gli altri, se non lascivi che ti conoscessero? E se quel muro che Charlie innalzava, non serviva solo a tener fuori il resto del mondo? Forse, avrebbe dovuto proteggerla, in qualche modo?
Da sotto il tavolo, Logan le accarezzò un ginocchio e, solo quel gesto, ebbe il potere di farla riemergere da dietro le sue barriere. Gli rivolse uno splendido sorriso, pieno di felicità e lui sentì il suo cuore riempirsi di gioia.
In ogni caso, l’ultimo pettegolezzo di cui tutti sembravano non riuscir a smetter di parlare, era troppo invitante perché Eleanor lasciasse perdere. “Non avevo idea fossi un tipo romantico, Luke.” Disse, il gomito sul tavolo e il mento sulla mano, guardando attentamente il vicesceriffo.
Lui le fece l’occhiolino e un sorrisetto impertinente, sporgendosi a sua volta verso di lei. “So essere molto romantico, piccola.”
La donna si ritrasse, battendo le palpebre perplessa, a quel goffo approccio. Guardò Charlie, in imbarazzo, ma fu rincuorata dalla palese indifferenza e dall’evidente tentativo di non ridere di lei. E pensò che, dopotutto, le voci, secondo cui non stessero affatto insieme, fossero vere.
Tornò alla carica, quindi: “Perché quel biglietto? Cosa significa era l’unico modo?”
Luke, però, non rispose, si limitò solo a scrollare le spalle.
Eleanor, allora, guardò Charlie in cerca di una risposta o anche del più piccolo segno rivelatore.
Buona fortuna. Pensò Logan, sorridendo ironico. Era completamente fuori strada, se credeva davvero di poter estorcerle informazioni che non aveva alcuna intenzione di rivelare.
Quello, però, portò la donna a rivolgersi a lui. “Secondo te, cosa significa?”
“Non saprei.” Rispose, prendendo un trancio dalla pizza sul tagliere al centro del tavolo.
L’altra non parve affatto soddisfatta della sua indifferenza e sbuffò. “Dovrai pur esserti fatto un’idea. Sei lo sceriffo! È praticamente il tuo lavoro.”
Anche Luke lo fissò, curioso di conoscere la spiegazione che non aveva dato nemmeno a lui.
Non era intenzionato ad esporsi; tuttavia, cambiò idea non appena si voltò verso Charlie. La testa inclinata su una spalla, le sopracciglia inarcate, era palesemente interessata ad una risposta.
Non distolse gli occhi dai suoi, quando parlò: “Immagino, Luke adori il sorriso di Charlie e ha pensato che, regalarle dei fiori, era l’unico modo per vederlo risplendere.” Osservò rapito quelle labbra rosse schiudersi e donargliene uno. “Perché tutto quello che desidera è vederla felice.” Concluse, il tono di voce più basso.
Se non fosse stato per Luke, che si schiarì rumorosamente la gola, avrebbero continuato a guardarsi e, sicuramente, Logan l’avrebbe baciata. Proprio lì, davanti a tutti.
Si ricompose e lanciò un’occhiata ad Eleanor, intenta a spostare lo sguardo tra loro.
A qualsiasi conclusione arrivò, comunque, non gli importò.
 
Più tardi, quella sera, Charlie si ritrovò nella camera di Logan, tra le sue braccia.
Era velocemente diventata una scena familiare, quella.
“Non ho pensato ad altro.” Le bisbigliò tra i capelli, con voce bassa e roca, facendo scorrere le sue mani verso il basso, accarezzandole la curva del sedere. “Sto morendo dalla curiosità. Non vedo l’ora di toglierti questo vestito di dosso, Charlie.”
“Cosa stai aspettando, allora?” Sussurrò lei, spingendosi in avanti, sempre più vicina. Si alzò sulle punte dei piedi e gli baciò la linea della mascella, fino all’orecchio. Accarezzò con la lingua il suo lobo, prima di scendere ad assaggiare la pelle morbida del collo.
Sentì la mano di lui farsi strada più giù, fino a sfiorare l’orlo dell’abito. Rimase per lunghi istanti a giocherellarci, finché lei non ansimò: “Fallo, ti prego.” Solo allora, le sue dita si tuffarono sotto la gonna, risalendo, in modo esasperatamente lento, lungo la sua coscia.
Si fermò non appena il tessuto setoso delle sue calze si interruppe bruscamente e le sue dita toccarono soffice pelle calda. Lo sentì inspirare bruscamente.
Non proseguì verso l’alto, ma si sposto di lato, lungo il bordo di pizzo, finché non trovò la cinghia del reggicalze. “Cristo santo.” Commentò e Charlie non poté fare a meno di ridacchiare, nell’incavo del suo collo. Non vedeva l’ora di godersi l’espressione sul suo viso, quando avrebbe visto quel completino di pizzo nero semitrasparente che indossava.
Alzò la testa ed incontrò il suo sguardo di fuoco, e le loro bocche si fusero insieme. Succhiò il suo labbro inferiore, ed assaggiò il dolce sapore di quelle labbra morbide; sapeva di birra e Logan. Semplicemente delizioso.
Si avvicinò ancora, spingendosi contro di lui, aggrappandosi alle sue spalle nel disperato tentativo di averne di più. Sapeva che, nell’arco di pochi minuti, si sarebbe ritrovata nuda sotto di lui e quella prospettiva la fece gemere piano.
E sarebbe accaduto, se non fossero stati interrotti. “Papà?” Chiamò la vocetta di Jake, dall’altro lato del corridoio. Si staccarono di scatto e, rapidamente, Logan le tolse la mano da sotto il vestito. “Papà?”
“Ci metto un attimo.” Le assicurò, baciandola brevemente, prima di allontanarsi e uscire dalla porta.
Charlie rimase per un momento così, il petto che si sollevava e abbassava rapidamente, in cerca del fiato che lui le aveva tolto.
Guardò la sveglia sul comodino, indicava mezzanotte e mezza. Erano tornati presto dalla cena, Logan voleva esser a casa per dare la buonanotte a Jake; ciò voleva dire che avrebbe dovuto esser addormentato già da un paio d’ore.
Uscì in corridoio, fino a fermarsi vicino la soglia della cameretta. Si appoggiò con la schiena alla parete e rimase in assoluto silenzio, in ascolto.
“Nonna te lo ha lasciato vedere?” Stava chiedendo Logan, il tono basso ma incredulo.
Non riuscì a sentire la risposta; tuttavia, l’uomo continuò: “D’accordo. Vuoi che controlli dappertutto?”
Riconobbe il suono dei passi che si muovevano lungo la stanza e il rumore delle ante dell’armadio che si aprivano e si richiudevano. Altri suoni confusi, finché, la voce di Logan decretò: “Tutto a posto. Non ci sono mostri, qui dentro.”
Non parve funzionare, però: “Ho ancora paura.”
Il rumore delle molle del materasso le disse che l’uomo si era seduto sul letto e le si gonfiò il cuore alle parole che seguirono: “Vuoi che dorma con te?”
Insomma, quanti uomini l’avrebbero fatto? Interrotti proprio sul più bello, quanti avrebbero gettato alle ortiche la serata per dormire con un bambino spaventato?
Le venne in mente il metodo che, all’epoca, utilizzò suo padre con lei per cacciar via ogni sua paura. Aveva funzionato alla perfezione, e ne aveva un ricordo tenero e nostalgico, dopo tutti quegli anni.
Perciò, si ritrovò appoggiata allo stipite, ad osservare padre e figlio che a malapena entravano in quel letto minuscolo. Da sopra la testa scura di Jake, che le dava le spalle, Logan la guardò interrogativo.
Ho un’idea. Gli disse con il labiale e solo quando lui annuì, Charlie entrò silenziosamente nella stanza.
Un armadio rosso, con tutte figurine incollate sopra, era posizionato difronte al letto. Dal soffitto pendeva una riproduzione del sistema solare e piccole stelle fosforescenti illuminavano fiocamente l’ambiente.
Una scrivania di legno era addossata alla parete, vicino la porta, proprio dal lato opposto della finestra. Sopra v’erano un mucchio di fogli e matite, in un marasma disordinato. Prese un pezzo di carta bianco e tre pastelli, prima di avvicinarsi.
Solo quando il materasso s’abbasso sotto il suo peso, Jake si voltò verso di lei.
Anche senza occhiali e nella semioscurità, la riconobbe e i suoi occhietti stanchi si spalancarono di stupore. “Charlie?”
“Ciao, ometto.” Sorrise e si sporse a passargli una mano tra i capelli, in una morbida carezza. “Lo sai che non devi aver paura, vero?”
Subito annuì. “Lo so. I mostri non esistono.” Ripeté, poco convinto, parole che gli erano state dette migliaia di volte dagli adulti della sua vita.
Charlie scosse la testa, con un sorriso comprensivo e pieno d’affetto. “Tieni. Disegna tutto quello che ti fa paura.” Gli tese l’occorrente. “Poi farò un incantesimo su questa casa e nessuno di quei mostri che avrai disegnato potrà mai più entrare.”
La bocca di Jake si spalancò di meraviglia. “Mai più?” Chiese, pieno di fiducia, prendendo ciò che gli stava porgendo. Lei annuì dolcemente.
Rimase a guardarlo disegnare per un po’ e sentì il suo cuore gonfiarsi d’amore per quel bambino, ogni secondo sempre di più.
Ripensò alle sue paure di pochi giorni prima, all’autonoleggio; le sembrarono incredibilmente sciocche e senza senso. Realizzò che, anche se le cose fossero andate male con Logan, non avrebbe mai lasciato quel ragazzino.
Avrebbe fatto qualsiasi cosa per quel visetto d’angelo. Qualsiasi.
Anche prendersi un proiettile. Cosa che avrebbe fatto anche per Logan, suo padre e Maddie.
Il senso di protezione per Jake, però, andava oltre.
Seppe che, semmai qualcuno avesse osato torcere anche un solo capello da quella deliziosa testolina, sarebbe morto per mano sua.
Era qualcosa che si era rifiutata di fare anche per il governo, uccidere; eppure, non avrebbe esitato un solo secondo. E quel pensiero tanto terribile, la spaventò.
Cercò gli occhi di Logan, sperando in una rassicurazione. Ma, guardandolo in viso, mentre osservava il disegno da sopra la spalla del figlio, era palese che anche per lui era lo stesso.
 
Si sparse la voce che Luke Thomson fosse uscito per un appuntamento con Charlie Royce, e già questo era sufficiente a fomentare i pettegoli. Tuttavia, la notizia davvero disarmante, almeno per quelli che ci vollero per forza vedere un significato, fu che Logan Moore avesse portato a cena una donna in un posto diverso dal Red, a differenza del solito.
Pertanto, i risvolti inaspettati vennero a bussare alla porta di Charlie, venerdì mattina.
Non avrebbe mai creduto, infatti, che Annabel King si sarebbe presentata a casa sua, per parlarle. Più precisamente, ciò che disse fu: “Devi aiutarmi, Charlotte.”
Fu così che, nella piccola cucina della sua casa d'infanzia, si ritrovarono in tre: Annabelle, su una sedia, Stephen Royce, anch’egli seduto a leggere il suo giornale, e Charlie, a sorseggiare il suo caffè, pigramente appoggiata con una mano al bancone.
“Ho saputo che ieri sera Logan è uscito con una donna.” Esordì la loro ospite, con gli occhi fissi su di lei. “Devi raccontarmi tutto, Charlotte. Fino all’ultimo dettaglio.”
Se c’era una cosa di cui Charlie si sarebbe dovuta stupire, sarebbe stato il fatto che quella donna volesse spettegolare con lei, e certamente non che continuasse a sbagliare il suo nome.
Tuttavia, Stephen notò eccome quell’errore. Il giornale, infatti, si abbassò e l’uomo guardò perplesso Annabelle – totalmente ignara d’avere la sua attenzione – che sorseggiava la tazza di caffè che Charlie le aveva preparato. Gli occhi azzurri del Maggiore Royce, quindi, incontrarono quelli di sua figlia e alzò le sopracciglia, interrogativo.
Lei si limitò a liquidare la questione con una scrollata di spalle, totalmente indifferente.
“Il locale era carino, il cibo delizioso.” Fu tutto quello che ebbe da dirle.
L’altra aspettò che continuasse, ma quando fu chiaro che non avrebbe aggiunto altro, si fece più dritta sulla sedia. “Non capisci, questa situazione mi preoccupa. Logan ha sempre seguito la stessa routine, invece, stavolta, con questa donna, è stato diverso. Devo sapere perché.” Il tono tradì una traccia di disperazione, ed evidentemente, non fu l’unica a pensare che sembrasse una psicopatica, perché l’espressione che comparve sul volto di suo padre tradì il suo stesso pensiero.
Charlie la guardò attentamente e qualcosa, nella sua postura o nel suo aspetto, le ricordò sé stessa. Sospirò e cercò d’esser più gentile quando suggerì: “Forse, aveva solo voglia di una pizza?”
Annabelle, però, non parve apprezzare affatto il suo tentativo conciliante. “Charlotte, devi dirmi-”
“Annabelle.” Il tono severo di suo padre, finora rimasto in silenzio, le fece voltare entrambe. “Io stesso portavo Charlie alle tue feste di compleanno, quando eravate bambine. E ancora ricordo quando, a dieci anni, ruppi uno dei miei vasi, giocando in giardino.” Il tono si fece più duro, quando continuò: “Quindi, sono sicuro, sai perfettamente che mia figlia non si chiama Charlotte.”
Annabelle si fece piccola sotto quel severo sguardo blu, ed anche Charlie non rimase affatto indifferente alle parole di suo padre e lo guardò con occhi spalancati.
La stava difendendo!
L’uomo si alzò in piedi, piegò il giornale e se lo mise sotto il braccio. Mentre faceva il giro del tavolo, continuò: “Se non vuoi che ti butti fuori da casa mia, vedi di piantarla.”
La donna impallidì leggermente. “S-si, signore.” Balbettò, e ci mancò poco che si mettesse sull’attenti.
In ogni caso, lo stupore di Charlie schizzò alle stelle quando suo padre le baciò una tempia, prima di iniziare ad uscire dalla cucina.
Probabilmente rimase con la bocca spalancata per diversi secondi, completamente sconvolta.
Solo quando l’altro ebbe quasi raggiunto l’uscita, sembrò ritrovar la voce. “Dove stai andando?” Chiese, il tono un po’ tremolante dall’emozione.
“Esco, per la mia passeggiata.” Disse da sopra la spalla, e non ci volle molto prima che si infilasse il cappotto ed uscì. Come se fosse stato tutto perfettamente normale.
Annabelle, ora rossa per l’imbarazzo, dovette schiarirsi la gola più volte per richiamare la sua attenzione.
Ma in quei pochi attimi, il mondo di Charlie era completamente cambiato.
Ebbe bisogno di fare dei respiri profondi, per calmare la sua euforia; non sorprende quindi che, quando riportò l’attenzione sulla donna, il suo sorriso le arrivasse quasi alle orecchie.
Fu sopraffatta da un’ondata di determinazione e decise che, almeno per quel giorno, avrebbe provato ad aiutarla; se non altro per ripagarla dell’enorme favore che, inavvertitamente, le aveva fatto.
Si sedette anche lei al tavolo, e la guardò attentamente.
In città giravano voci su chiunque, e Charlie aveva sentito quelle che riguardavano Annabelle. Sapeva che aveva incontrato il suo ragazzo al college, un certo Asher Reed, e che lui le aveva chiesto di sposarlo, sei anni prima. Finché, con gran stupore generale, il fidanzamento era stato rotto e la donna – che era andata a convivere con lui – era tornata a casa.
Aveva sentito cosa ne pensasse la signora King, sua madre, di quell’evento. Secondo lei era stato il più grande disastro che sarebbe mai potuto capitare nella vita della figlia che, pareva, l’unica aspirazione che potesse e dovesse avere fosse il matrimonio, nient’altro.
Ora, Charlie non era certo un’esperta, ma credeva di capirne qualcosa di conflittualità con la figura genitoriale.
“Perché credi d’amare Logan?” Le chiese, a bruciapelo.
La donna si spostò sulla sedia, improvvisamente a disagio da tutta quell’attenzione. “Perché siamo fatti l’uno per l’altra.” Sottolineò, come se fosse ovvio.
Lei sbuffò a quella risposta insulsa. “Non credi che, il tuo bisogno di sposarti, derivi solo dal desiderio di non deludere tua madre?” Chiese, cercando di farla ragionare.
Tuttavia, si accorse del cambiamento che quelle parole provocarono e fu sicura che, in fin dei conti, non erano affatto diverse.
Quell’aurea di severità e intransigenza, nonché il suo desiderio di controllare tutto, erano molto lontane dalla ragazzina che ricordava lei. Diddi le aveva detto che era completamente cambiata dopo la rottura del suo fidanzamento, che prima d’allora non era mai stata così severa e accigliata.
Immancabilmente, si riconobbe nell’altra.
“Non sai di cosa parli.” Le rispose, grave.
Charlie si appoggiò indietro, sullo schienale. “Allora parliamo di Asher Reed.”
Annabelle si alzò di scatto. “Ho capito, me ne vado. Grazie tante, davvero.” Disse acidamente.
Quello era sicuramente un tasto dolente.
Tuttavia, le successive parole di Charlie la fermarono sulla porta.
“Una volta un uomo mi chiese di sposarlo.” Le confidò, e la cosa più assurda fu che quella era la verità.
Guardò fuori dalla finestra, ricordando quell’episodio che non aveva mai raccontato a nessuno.
In un altro momento, si sarebbe messa a ridere del fatto che, tra tutte le persone del mondo, avesse scelto proprio Annabelle King. “Mi ha vista seduta al bar e, in un secondo, ha capito che ero la metà della sua mela.” Sbuffò una risata sprezzante a quel ricordo ridicolo. “Ha detto proprio così: sei la metà della mia mela, bambolina.
Solo pronunciare quel nomignolo, riaccese tutta l’irritazione che aveva provato all’epoca. Purtroppo, non aveva potuto mandare subito al diavolo quel pallone gonfiato. Aveva avuto bisogno delle sue informazioni e quella infatuazione – se così poteva esser chiamata – per lei, avrebbe giocato a suo favore.
Non si rese nemmeno conto che Annabelle, forse richiamata dalla serietà del suo tono, si sedette di nuovo.
“Era un uomo davvero ricco, sai. Avrebbe potuto comprarsi tutto il locale con uno schiocco di dita.” Il rumore di quel gesto riempì la stanza. “Aveva il doppio dei miei anni, io ne avevo venti, e ne approfittai. Mi lasciai offrire da bere, tanto se lo poteva permettere.” Già, lo avrebbe voluto bello ubriaco, ma quel bastardo non aveva toccato nemmeno una goccia di alcool.
Riportò gli occhi su Annabelle, che la guardava con occhi sbarrati, visibilmente impaurita da come la storia sarebbe potuta finire. Charlie provò a sorriderle, ma tutto quello che ottenne fu una smorfia amara.
Non c’era nessun finale tragico. Quello, però, era stato uno dei suoi primi incarichi, era giovane ed ancora non aveva ben capito come girasse il mondo; quindi, quello che era successo l’aveva colpita nel profondo e non credeva affatto si sarebbe mai liberata di quel ricordo.
“Come puoi immaginare, non fu affatto felice quando gli dissi che non avevo intenzione di andar via con lui. Mi afferrò per un bracciò e mi disse…” Deglutì, prima di continuare. “Sei solo una piccola puttana.
I giorni successivi a quell’episodio, ogni volta che aveva chiuso gli occhi, aveva potuto sentire la morsa delle sue dita intorno al polso e il suo alito ripugnante sulla faccia. Forse era stato il contrasto con la sua dichiarazione d’amore eterno a sconvolgerla, oppure il fatto che nessuno, prima di quel momento, le aveva mai detto una cosa del genere con tutta la cattiveria e l’intenzione di quell’uomo. Aveva creduto che una persona di quella estrazione sociale non avrebbe mai potuto esser tanto brutale.
Rimase in silenzio e pensò a tutte le volte che erano seguite, dopo; a come, pian piano, la patina d’innocenza che aveva avuto sugli occhi fosse scivolata via. Aveva imparato, era diventata forte e insensibile: un muro di gomma. Nonostante i colpi continui e ripetuti, tornava sempre a posto; eppure, quella superficie elastica veniva piegata e deformata ogni singola volta.
Fu l’espressione sul viso di Charlie, così lontana dalla donna forte e sicura di sé che Annabelle aveva tanto invidiato, a spingerla a parlare. D’improvviso le parve proprio come lei: una donna con un peso.
Ed anche lei si ritrovò a condividere qualcosa che non aveva mai detto a nessuno. Qualcosa di cui si era sempre rifiutata di parlare.
“Ci siamo conosciuti al college, eravamo nello stesso gruppo di studio.” Iniziò, debolmente. “Lui era così bello, che me ne sono innamorata subito. Mi piace pensare che, all’inizio, ci siamo amati sul serio.” Fece un sorriso amaro, gli occhi fissi sul tavolo immersi nei ricordi. “Ero così felice quando mi chiese di sposarlo, che non persi tempo e mi trasferii a casa sua. Fui io ad insistere per un fidanzamento lungo. Volevo provare a vedere come ce la saremmo cavata con la convivenza.” Una lacrima le scivolò lungo la guancia e la scacciò via, in un gesto rabbioso.
“La prima volta, successe una sera qualunque, ero già a letto quando lui entrò in camera. Gli dissi che avevo dimenticato di chiudere a chiave la porta e gli chiesi se potesse pensarci lui. Iniziò ad urlare, disse che ero inutile, incapace di fare una cosa così semplice. Ho pensato fosse una reazione esagerata, ma lo amavo. Quindi non ci diedi troppo peso, pensai avesse avuto una brutta giornata.” Scosse la testa, altre lacrime iniziarono a rigarle le sue guance; cercò di cancellar via anche quelle, ma subito di nuove le sostituirono.
Charlie le prese una mano, ed Annabelle le fece un debole sorriso riconoscente. “Non mi ha mai picchiato, se è quello che pensi. Lo giuro. Si limitava solo agli insulti ed io iniziai a darmi la colpa e a scusarlo. Dava di matto per le cose più assurde e iniziò a svilirmi sempre di più. Cercai anche ad anticipare qualsiasi bisogno potesse avere ma non era mai sufficiente. Cercavo di farmi perdonare in ogni modo possibile, facendomi bella per lui oppure facendo l’amore con tutta me stessa. Non serviva a niente, le mie gonne erano troppo corte oppure mi accusava di pensare ad altri mentre lo facevamo. Era sfiancante, soprattutto perché sapeva essere così romantico che io accantonavo subito tutto il resto.” Inspirò profondamente, prima di procedere. “I bei momenti era pochi, ma c’erano. Finché non arrivò la settimana bianca: dovevamo partire con dei suoi amici e io mi sentii male il giorno prima. Avevo la febbre a trentanove e ho dovuto imbottirmi di farmaci per farla scendere. Stavo da schifo e lui iniziò ad accusarmi di farlo apposta, che lo odiavo e altre idiozie simili che nemmeno ricordo, tanto ero stordita.” Deglutì. “Andò con i suoi amici, lasciandomi sola. Non mi chiamò mai, nemmeno un messaggio per sentire come stavo. Ero io che avevo sbagliato, perché, per una volta, tutto il mondo non girava attorno a lui. Fu una settimana terribile. Però, ebbi modo di pensare al matrimonio e ai voti che avremmo dovuto pronunciare: in salute e in malattia. Già, come no. Prima o poi mi avrebbe messo le mani addosso, ora lo so.” Gli occhi di Annabelle cercarono i suoi. “E l’unico modo in cui quel matrimonio sarebbe potuto finire era con me, morta ammazzata, in un cassonetto. Ho preso tutta la mia roba e me ne sono andata. Non l’ho più sentito. Nemmeno una parola.”
A quel punto, il pianto di Annabelle divenne incontrollabile e Charlie la consolò nell’unico modo che conosceva: l’abbracciò e le accarezzò la schiena, finché non si calmò.
Fece il tè e parlarono finché non rincasò suo padre. Non fu affatto strano come avrebbe potuto pensare; furono semplicemente due donne che, per quanto triste, si incontrarono su un terreno comune.
Ed Annabelle, gelosa di Charlie, poiché vedendola, tanto bella e determinata, aveva pensato a come la vita fosse stata più indulgente con lei, comprese quanto, in realtà, si fosse sbagliata.
Di come la sua insoddisfazione e la paura d’aver fallito in tutto, l’avessero spinta ad assumere quell’atteggiamento che, in Asher Reed, aveva odiato.
Ma Charlie sapeva come ci si sentisse a portar un segreto dentro di sé, cosa volesse dire vedere la delusione sul viso di un genitore e come questo potesse cambiare una persona. Non tutti reagivano allo stesso modo.
E non ci fu bisogno di dir nulla.
Fu questo, quindi, il risvolto completamente imprevisto: una riappacificazione e, forse, una nuova amicizia.
   
 
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