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Autore: Krgul00    25/02/2022    1 recensioni
Charlie è una donna con dei segreti stufa che questi la tengano lontana da suo padre, l'unica persona che può chiamare famiglia. Tornata al suo paese natale per ricucire il loro rapporto, Charlie si troverà coinvolta con l'affascinate nuovo sceriffo.
Ma ancora una volta, il non detto rischia di mettere a repentaglio ciò che ha di più caro.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO DODICI
Charlie ricordava perfettamente la prima volta che aveva bevuto un Old Feshioned. Aveva avuto diciannove anni e Matthew Allen l’aveva portata a quello che sarebbe diventato il loro solito bar. Era stata alquanto sorpresa che l’uomo le offrisse da bere nonostante non avesse l’età e, per darsi un tono, aveva ordinato il primo cocktail che figurava sul menù.
Quindi, aveva scoperto che i superalcolici non le piacevano poi molto, preferiva di gran lunga un calice di vino rosso o un boccale di birra. In ogni caso, non aveva smesso di ordinarlo quando aveva a che fare con il lavoro. In quel modo, evitava di bere con troppo gusto e rimaneva focalizzata sul suo obbiettivo. Inoltre, contribuiva a fomentare la sua aura di donna sofisticata ma un po’ brilla, che tornava sempre utile.
Tuttavia, quel venerdì sera, non era affatto in vena di immedesimarsi in quel personaggio.
Seduta da sola – non aveva chiesto a Diddi di accompagnarla - ad uno dei tavoli del Gryson’s, rimescolava pigramente il liquido ambrato ruotando il bicchiere con una mano. Era come incantata da quel vortice che, sperava, potesse inghiottire tutti i suoi dubbi.
Quella sua aria pensierosa, a tratti malinconica, trasmetteva l’idea di una donna che aveva bisogno di dimenticare, in qualche modo, i suoi problemi. Perciò, Charlie – senza nemmeno rendersene conto – aveva richiamato molta più attenzione del solito; gli squali avevano iniziato ad avvicinarsi, attratti dall’odore del sangue, e lei era diventata la preda su cui ogni uomo desiderava mettere le mani.
Chissà, magari, d’improvviso, le sarebbe potuta venir voglia di compagnia…
Una notte con uno sconosciuto, però, non era certo la soluzione alle sue preoccupazioni.
Per tutto il giorno, Charlie non aveva fatto altro che rimuginare sulla conversazione telefonica con Matthew Allen. Lo aveva chiamato quella mattina, per il loro aggiornamento mensile; aveva dovuto dirgli di come avesse usato il telefono aziendale per inviare informazioni allo sceriffo di Twin Lake – informazioni che, peraltro, non riguardavano affatto l’obbiettivo che le era stato affidato – e delle sue intenzioni per Liam Ruiz.
Aveva avuto paura che quel suo agire sconsiderato l’avrebbe messa nei guai e che, quindi, la sua richiesta di trasferimento sarebbe stata bloccata o, addirittura, negata; invece, Matt l’aveva rassicurata, dicendole che l’iter burocratico avrebbe richiesto ancora tre mesi, come previsto.
Fin lì nessun problema, quindi.
Senonché, poco prima di riattaccare, con gran sgomento di Charlie, l’uomo aveva condiviso l’idea - totalmente assurda, a suo parere – che si era fatto su tutta la situazione. Infatti, sorpreso che, la donna più riservata e prudente che avesse mai conosciuto, si fosse esposta e che continuasse a tentennare sull’entrare in azione in prima persona, Matt aveva suggerito che si fosse innamorata. A quanto pareva, quella era l’unica spiegazione sensata perché l’inaccessibile Charlie Royce avesse rischiato di compromettersi.
Da allora, il suo stomaco si era ristretto in una morsa dolorosa che non era stata in grado di sciogliere e aveva giocato tutto il giorno con quel pensiero, facendolo oscillare tra speranza e negazione. Una parte di lei desiderava disperatamente che Matthew avesse ragione, mentre l’altra aveva paura di abbandonarsi a quella debolezza.
Era quello il motivo per cui si ritrovava al Gryson’s, quel venerdì sera. Per dimostrare – a Matt e, soprattutto, a sé stessa - un punto.
In realtà, la faccenda era ben più complessa.
In ogni caso, poiché Logan e Luke, quel venerdì, erano stati richiamati fuori città, a causa delle indagini; Charlie non aveva visto lo sceriffo per tutto il giorno e i suoi pensieri erano andati alla deriva nel tumulto caotico che era diventato il suo cervello.
Se solo si fossero visti, sicuramente la donna si sarebbe resa conto di dove risiedesse la verità.
Invece, il mantra che continuava a risuonarle nella mente era uno: Non posso esser innamorata di lui.
Si rifiutava di lasciarsi andare a quel pensiero, terrorizzata di non poter riemergere dal baratro.
Il lavoro era stata l’unica costante per Charlie, in tutti quegli anni; la sua unica sicurezza: sapeva cosa aspettarsi e quali sarebbero stati i rischi.
Ma era sempre stata una brava bugiarda e pareva fosse in grado di mentire anche a sé stessa, nonostante l’evidenza. Aveva creduto che dare inizio alla fase operativa, avrebbe smontato le supposizioni di Matt; eppure, non riusciva a muoversi dalla sua sedia.
Avrebbe dovuto alzarsi dal suo tavolo già da un pezzo e avvicinarsi all’uomo al bancone, ma sembrava ci fosse qualcosa che la trattenesse. Una parte di lei la supplicava di lasciar stare, di andarsene via. Di chiamare Matthew e dirgli che aveva cambiato idea, che non poteva più fargli quel favore.
Non era mai stata il tipo da rimangiarsi la parola, però; c’erano un mucchio di persone che contavano sulle informazioni che poteva fornire e non aveva intenzione di abbandonarle.
Una voce maschile la richiamò, costringendola ad alzare gli occhi dal suo cocktail. “Posso farti compagnia?” Un ragazzetto, forse di appena vent’anni, un po’ fuori forma, con i capelli castani e uno sguardo simpatico, era in piedi accanto al suo tavolo.
Non riuscì nemmeno a mostrarsi dispiaciuta, quando scosse la testa. “Sto aspettando una persona.” Mentì.
Da quando si era seduta, aveva ricevuto una marea di inviti di quel tipo e sapeva per certo che l’uomo biondo al bar – l’unico che aveva una minima importanza in quel marasma di gente - l’aveva notata.
I loro occhi si erano incontrati una sola volta, quando si era accomodata, prima che l’attenzione di Charlie scivolasse oltre di lui, sul cameriere che doveva prendere la sua ordinazione. Non aveva nemmeno dovuto impegnarsi per fingersi distratta, visto che lo era sul serio.
In ogni caso, sapeva di avere il suo interesse, così come, dopo un’ora d’attesa, era ormai evidente che l’uomo non avrebbe fatto la prima mossa. Pareva proprio non volesse rischiare d’esser rifiutato anche lui, come gli altri; eppure, in un modo o nell’altro, avrebbe ottenuto ciò che voleva.
La storia era sempre la stessa: il calabrone, re incontrastato del giardino e di tutti gli altri insetti, volava con la sicurezza derivante solo dall’arroganza di ritenersi invulnerabile. Convinto che ogni cosa gli fosse dovuta, sceglieva il fiore più bello e profumato tra tutti; non sapendo, però, che spesso le apparenze ingannano. Petali morbidi e colorati erano invitanti per ogni preda, senza alcuna distinzione, ma, prima o poi, il calabrone si sarebbe posato un fiore mai visto e la trappola si sarebbe chiusa su di lui.
C’era gran movimento quella sera, la pista da ballo era piena di corpi che si strusciavano uno contro l’altro. Sarebbe stato facile per lei sparire in mezzo alla folla che riempiva il locale e andar via. Nessuno l’avrebbe fermata e lei non vedeva l’ora di tornarsene a casa. Ma prima, aveva una questione di cui occuparsi e, quella volta, non aveva intenzione di impersonare alcuna recita.
Perché era di questo che si trattava, uno spettacolo in cui lei era l’unica consapevole della farsa. E c’era un che di deprimente e sfiancante nel non poter mai esser sé stessi. Nonché, infinita solitudine.
In ogni caso, non era affatto dell’umore giusto.
D’accordo. Falla finita, Charlie. Si disse, costringendosi ad alzarsi. Stai solo perdendo tempo.
Prese il suo cocktail e si mescolò alla calca, con quella sua sfacciata indolenza.
Il biondo, di fianco al bancone, con il braccio destro poggiato sul ripiano, guardò di nuovo al suo tavolo, ormai vuoto, e subito si raddrizzò sullo sgabello. Allungò il collo, cercando di individuarla sulla pista da ballo, senza successo, e l’irritazione fu piuttosto evidente, quando il muscolo della mascella vibrò per la forza con cui digrignò i denti.
La mano con il mignolo mancante, vicino al bicchiere di whisky che stava bevendo, si strinse in un pugno.
Sembrava un ragazzino viziato a cui avevano tolto il giocattolo.
Mentre lo soppesava, Charlie sentì l’adrenalina iniziare ad inondargli le vene e ogni altro pensiero, che non riguardasse quell’uomo, venne accantonato.
Gli arrivò alle spalle, e ad un passo da lui inciampò nel nulla; il suo Old Fashioned finì sulla camicia satinata, visibilmente costosa, dell’uomo che sussultò al contatto con il liquido gelido. Non si accorse, quindi, della mano di Charlie nella tasca sinistra della sua giacca elegante e a lei ci volle un attimo per constatare, con grande delusione, che fosse vuota.
“Che cazzo! Guarda dove vai, brutto str-” Si bloccò bruscamente, non appena si rese conto di chi gli avesse sbattuto contro. Tuttavia, Charlie non alzò lo sguardo dalla macchia scura che continuava ad allargarsi sul tessuto pregiato; invece, posò il bicchiere sul bancone e raccattò quanti più tovagliolini possibili, iniziando a tamponare il petto virile davanti a lei. “Mi dispiace tantissimo! Sono davvero mortificata! Lascia che ti aiuti, sono sicura che possiamo migliorare la situazione…” Iniziò a scusarsi, toccandolo e distraendolo; quindi, libera di controllare anche l’altra tasca della giacca: vuota.
Il disappunto la pervase. Dove diavolo ha messo quelle dannate chiavi?
Non si fece scoraggiare da quel piccolo intoppo e la sua mano sinistra raggiunse la destra sul suo petto, provando a farsi strada verso la tasca interna.
Lui, però, le afferrò bruscamente il polso, fermandola e costringendola ad alzare, per la prima volta, gli occhi.
Così, si ritrovò faccia a faccia con Peter Cox, alias Liam Ruiz.
Era un bell’uomo, si poteva dire fosse anche più bello di Logan: capelli chiari, sistemati ad arte in una pettinatura alla moda, naso dritto leggermente graffiante ed iridi verde brillante; tuttavia, non possedeva quel fascino intrinseco che contraddistingueva lo sceriffo.
Il suo sguardo era freddo e calcolatore, non caldo e magnetico, e non appena si posò su di lei, un brivido gelido le percorse la schiena. “So cosa stai cercando, bambolina.”
Quel nomignolo le attorcigliò lo stomaco e il fastidio iniziò a crescere. Sapeva perfettamente che uomini come quello non lo intendevano affatto come un tenero vezzeggiativo. Era proprio così che la vedevano. Una bella biondina, una stupida barbie, che aveva solo un’unica utilità nel grande schema delle cose.
Tutto ciò, però, non turbò affatto la placida superficie della sua impassibilità. Ogni emozione era stata opportunamente soffocata e schiacciata nell’angolino più buio e recondito di lei.
In ogni caso, dubitava fortemente che lui sapesse cosa stesse cercando e fu quel pensiero, quindi, la fonte del sorriso sfrontato che le curvò le labbra.
Quello sprezzante scetticismo fu scambiato per vivo coinvolgimento e anche se gli occhi di lei non si illuminarono di alcuna emozione, Liam Ruiz non se ne accorse.
Cercò di liberare il polso dalla sua presa, ma quelle dita si serrarono in una stretta ancor più ferrea. Charlie avrebbe potuto facilmente sbatterlo a testa in giù sul bancone, ma quello non era certo un buon modo di fare colpo su un uomo…
Doveva cercare di distrarlo, cosicché la lasciasse andare. Aveva ancora un compito da portare a termine, dopotutto.
Ruiz le avvolse la vita con un braccio, spingendola prepotentemente verso di sé e le posò un bacio dietro l’orecchio, come se ne avesse tutto il diritto – non conosceva nemmeno il suo nome, santo cielo.
Quell’uomo iniziava davvero a darle sui nervi, e dire che aveva sempre avuto una pazienza infinita. Forse, la sua sopportazione era semplicemente arrivata al punto di saturazione.
“Queste curve sembrano proprio fatte per le mie mani.” Non le diede modo di rispondere, le posò una mano sul sedere, invece, avvolgendole l’intera natica. Con la punta di un dito si fermò proprio nel punto in cui la pelle morbida del gluteo lasciava il posto all’osso del bacino. Quasi in mezzo alle sue gambe.
Charlie non era una sprovveduta, però, e proprio per quel motivo aveva indossato i suoi pantaloni neri da sera, insieme alla camicia di seta lilla a maniche lunghe e le adorate Jimmy-Choo. Con un abito, altrimenti, si sarebbe ritrovata quella mano proprio sotto la gonna.
Era preparata a quell’evenienza, quindi; pertanto, non si spiegò il sussulto con cui accolse quella rudezza.
Anche l’uomo se ne accorse: “Cosa c’è? Fai la timida?” Il verde dei suoi occhi brillò di eccitazione a quell’idea, e il cuore di Charlie iniziò a battere impazzito alla consapevolezza del suo errore.
Mai mostrare debolezza. Bisognava sempre seguire la corrente, assecondare quegli uomini finché non avevi ottenuto tutto ciò che volevi. Come un salice che si piega all’impeto del vento, senza spezzarsi.
Eppure, in quei pochi secondi che sembrarono secoli, le parve di annaspare alla ricerca della sua sicurezza.
Quella sua reazione, che non le era mai appartenuta, la destabilizzò. Sentì il suo stomaco stringersi in una morsa dolorosa e un’improvvisa sensazione di nausea spingere contro l’esofago.
Un’emozione prevalse su tutte le altre: la paura.
Era abituata all’adrenalina, al nervosismo, ma non al panico; tuttavia; in quel suo marasma interno, si stagliò ben visibile un appiglio. Come la vetta d’una montagna che sorge tra le nuvole in tempesta, la fermezza di Charlie fu l’unico porto sicuro che trovò e vi ci si aggrappò con disperazione.
Il rifiuto di rendersi vulnerabile davanti a quell’uomo orribile le risalì la spina dorsale e ricacciò indietro ogni traccia di terrore.
L’uragano fu placato e, al suo posto, rimase solo una quiete sovrannaturale, quasi malsana.
Fu un attimo, quindi, e quel sussulto fu l’unico indizio di tutto il caos ormai passato.
Mura invisibili si stagliarono alte tra lei e Liam Ruiz, proteggendola dal colpo successivo: “Troverei comunque il modo di farti aprire quelle belle gambe per me, bambolina.”
Spinta dalla rabbia, per tutta risposta, Charlie gli afferrò il bavero della giacca e lo spinse a sé, sigillando quella bocca con la sua.
Fu lui a trasalire per la sorpresa, stavolta, e tanto basto affinché le lasciasse la mano.
Quel bacio fu solo quello: una cosa fisica, un semplice scambio di saliva, con l’unico obiettivo di sostituire la chiave della BMW nella tasca di Ruiz con quella di riserva – identica, ma al cui interno ora si nascondeva una cimice – che Charlie aveva rubato a George Edwards. Con il vantaggio che, nel mentre, l’uomo se ne sarebbe stato zitto.
Era sicuramente un gesto disperato, ma lei – per la prima volta in vita sua – aveva paura di perdere il controllo.
Al tempo stesso, quel bacio – alimentato unicamente dall’odio - significò molto di più. Sancì la morte di una parte di lei, quella che ancora s’aggrappava alla sua vita passata – l’unica che aveva conosciuto – e che l’aveva spinta lì, quella sera.
Solo quando il suo obbiettivo fu raggiunto e le chiavi furono scambiate, Charlie si staccò dalle labbra di Ruiz e, al sorriso sornione che iniziò a curvare la bocca di lui, pregò affinché non dicesse nulla; non era sicura sarebbe riuscita a trattenersi dal tirargli un pugno sul naso, ora che i giochi erano fatti.
Sembrò che qualcuno avesse sentito la sua supplica, perché un energumeno si interpose tra loro.
“C’è una chiamata per te.” Gli riferì in spagnolo.
Ruiz non fu certo contento di sentire quella notizia. “Non vedi che sono impegnato?” Ribatté nella stessa lingua. Pareva proprio non avessero considerato affatto l’ipotesi che Charlie li capisse.
“La figa può aspettare, il capo vuole parlarti.” Disse, senza nemmeno guardarla. Era evidente che Sua Grazia non prendesse ordini da Ruiz, bensì da qualcuno più in alto di lui: Cole Rodriguez, magari.
Tutto quello che l’altro poté fare, quindi, fu alzarsi dal suo sgabello. “Aspettami qui, bambola. Torno subito.” Lo disse con la stessa sicurezza d’un padrone che dà ordini ad un cane ben addestrato e Charlie non si prese nemmeno la briga di rispondergli, guardandolo allontanarsi.
Non lasciò la presa dalla sua risolutezza, unica cosa che le impediva di vomitare proprio lì, in mezzo al locale.
Contò lentamente fino a sessanta e poi si alzò, dirigendosi verso i bagni. Le sembrò d’aver inserito il pilota automatico e, come un automa, aprì la porta dell’uscita sul retro.
Camminò verso la sua macchina, con una tranquillità che in realtà non le apparteneva, incurante del vento gelido che le sferzava la leggera camicetta che aveva addosso. Le parve di guardarsi dall’esterno: una donna, senza alcun problema al mondo, di ritorno da una bella serata; la sua disinvolta avanzata verso l’auto accompagnata unicamente dal rumore ritmico dei tacchi sull’asfalto.
Tuttavia, ad ogni suo passo, lasciava dietro di sé una scia di detriti e, pian piano, le fortificazioni che aveva innalzato si deteriorarono.
Il primo segno visibile di quel fenomeno fu la mano tremante che si allungò ad aprire la portiera.
Non si fermò mai lungo il viaggio di ritorno, decisa a mettere più distanza possibile tra sé e gli ultimi eventi.
Voleva solo rifugiarsi nel caldo del suo letto e fingere che, sotto le coperte, niente avrebbe potuto raggiungerla.
Avrebbe dovuto ritenersi soddisfatta: presto avrebbe avuto intercettazioni più accurate e le indagini avrebbero preso il volo; doveva solo convincersi che ne fosse valsa davvero la pena.
Quando parcheggiò davanti casa di suo padre, non entrò; invece, si ritrovò a camminare senza meta per le strade deserte di Sunlake, con solo il freddo e la luna a farle compagnia.
I suoi tacchi erano l’unico suono in quella città dormiente, ed anche quello splendido silenzio, unica cosa decente di quel giorno, fu rovinato.
Charlie accolse di buon grado il gelo della notte, rispecchiava proprio quello che aveva nel cuore.
Non seppe dire per quanto camminò ma solo che, alla fine, si fermò davanti una piccola villetta. Non c’era steccato o recinzione, solo un elegante sentiero che portava fino alle scale d’ingresso. Le finestre erano tutte buie, compresa quella dalla quale era solita sgattaiolare fuori quando albeggiava.
Ancora una volta, le venne in mente Matthew e le parole che le aveva rivolto, meno di ventiquattr’ore prima: te lo meriti, Charlie.
Poteva anche esser vero, si meritava l’amore di un uomo splendido come lui; ma lo sceriffo si meritava una donna come lei?
Ovviamente Logan le piaceva, ma addirittura parlare d’amore?
Non ci aveva creduto. Charlie aveva avuto il terrore che quel sentimento fosse alimentato unicamente dal suo bisogno di non esser sola. Che in realtà il suo desiderio d’affetto era così disperato da farle credere d’amare a sua volta Logan; era solo una reazione all’infinita fiducia che lo sceriffo le dimostrava.
Ma pur sempre una finzione.
Poi, Matt aveva osservato: per quale altro motivo staresti tergiversando, altrimenti?
E Charlie si era ritrovata al Gryson’s, quando l’unico posto dove voleva essere era proprio nella casa che aveva difronte.
Pensò a Liam Ruiz e alla reazione che aveva avuto al tocco delle sue mani. Di certo, non era stata la prima volta in cui un uomo le aveva messo le mani addosso in quel modo. In cui le avevano parlato come aveva fatto. Tuttavia, la sensazione che ci fosse qualcosa di completamente sbagliato era stata nuova, e con quella era sorta una solida certezza: per nulla al mondo lo avrebbe fatto di nuovo.
Davanti casa dello sceriffo, mentre iniziava a cadere la neve, la roccaforte di Charlie andò in mille pezzi.
La donna realizzò che erano davvero poche – quattro, forse – le persone di cui voleva la fiducia; ed ancora meno quelle a cui lei l’aveva concessa: a suo padre – per cui aveva deciso di tornare a Sunlake - non aveva mai promesso di non mentire, a Maddie non aveva mai raccontato cose davvero personali e nemmeno con il dolce Jake poteva essere davvero sé stessa, in tutto e per tutto.
Solo Logan.
Si era totalmente sbagliata: non amava Logan perché aveva bisogno di lui.
Ne aveva bisogno, perché lo amava.
Per la prima volta, aveva permesso ad un altro essere umano di farsi strada nella sua mente, di insinuarsi nella sua carne, fino alla vera essenza di sé. Lei, che non aveva mai avuto bisogno di nessuno.
E così, quel sentimento che avvolgeva il suo cuore cambiò completamente aspetto.
Era curioso come andassero le cose, a volte. Ad un certo punto della sua vita, Charlie si era ritrovata difronte ad un bivio, ed aveva scelto di tornare a Sunlake. Ovviamente, come sempre accade, si era aspettata che le cose andassero come voleva lei: avrebbe ricucito il rapporto con suo padre e si sarebbe sentita di nuovo felice.
Invece, il destino – o chi per voi – aveva preso due fili del proprio disegno e li aveva intrecciati tra loro.
E, incredibilmente, quella si era dimostrata, di gran lunga, una strada migliore. Una strada che Charlie non aveva nemmeno creduto di poter percorrere.
Sentì una lacrima scorrerle lungo la guancia.
Lo amava.
Ed era stata così cieca e stupida…
Magari non lo meritava, ma voleva l’amore di Logan e avrebbe fatto qualsiasi cosa per esserne degna.
Alla vibrazione del telefono, meccanicamente, Charlie lo estrasse dalla sua tasca posteriore e non appena vide il mittente del messaggio, lo aprì.
Dove sei?
Si portò le mani, con tutto il cellulare, al petto per evitare che il suo cuore le uscisse dalla cassa toracica.
Alle tre di notte, Logan era ancora sveglio ad aspettare sue notizie.
Nonostante non si fossero visti, si erano sentiti al telefono e l’umore di Charlie non era certo passato inosservato allo sceriffo; poteva nascondere il suo turbamento a chiunque, ma non a lui.
Non aveva fatto domande, quando lei gli aveva detto che non sarebbe andata al loro solito appuntamento notturno, a causa di un impegno che aveva rimandato troppo a lungo.
Dopo un sospiro rassegnato, con tono serio e venato di preoccupazione le aveva detto: “Stai attenta.”
E lei cosa aveva fatto? Aveva baciato un altro.
Le girò la testa a quella realizzazione e si ritrovò in ginocchio sull’asfalto, piegata in avanti con le mani ancora strette al petto. Calde lacrime rigarono le sue guance congelate e le sue spalle tremarono per i suoi singhiozzi silenziosi.
Avrebbe vomitato se solo avesse avuto qualcosa nello stomaco.
La cosa ancor peggiore fu la consapevolezza di non poter dir nulla a Logan di Liam Ruiz, e non aveva nemmeno intenzione di ridurre tutta quella storia alla mera questione: ho baciato un altro uomo. Perché non era affatto ciò che era successo, era stato un mezzo per raggiungere un fine. Niente di più.
Di certo, però, non poteva fornirgli il giusto contesto.
Inoltre, aveva il terrore che non l’avrebbe perdonata per una cosa del genere. Aveva visto cosa accadeva quando nascondevi determinate cose alle persone che ti volevano bene. A furia di tirare, qualsiasi corda si sarebbe spezzata.
Concentrata sul suo dolore, non alzò lo sguardo al rumore d’una porta che s’apriva e a quello di passi che le si avvicinavano velocemente. Solo quando le braccia calde e il profumo inconfondibile di Logan l’avvolsero, si rese conto di non essere più sola.
Logan Moore, ancora in pigiama e piedi nudi, si inginocchiò difronte a lei. “Cosa è successo?” L’angoscia nella sua voce fu palpabile. Le sue mani iniziarono a farsi strada sul suo corpo, come cercando qualcosa e, solo in un lampo di lucidità, Charlie si rese conto che voleva controllare se fosse ferita. La guardò con urgenza: “Charlie, parlami.”
“S-sto b-bene.” Fu tutto quello che riuscì a dire.
“Stai congelando.” Senza sforzo, la prese in braccio e lei si aggrappò alle sue solide spalle. Chiuse gli occhi e tuffò la faccia nell’incavo del suo collo.
Avrebbe voluto rimanere così per sempre, nascosta in quel rifugio sicuro. Senza dover, per una volta, affrontare le conseguenze.
Solo quando varcarono la soglia e il calore l’avvolse, si rese conto di quanto avesse freddo e di quanto tremasse.
“Jake?”
Logan la mise giù e prese la coperta abbandonata sul divano, avvolgendogliela attorno. “Dorme.” Sussurrò, iniziando a spingerla lungo il corridoio. “È meglio se fai un bagno caldo.”
Le mani di lei si aggrapparono al suo pigiama. “Non lasciarmi.” La supplica le uscì spontanea e non seppe nemmeno a cosa si riferisse: al bagno o alla loro relazione?
In ogni caso, l’uomo sembrò capire perfettamente. Le sue mani le scaldarono le guance quando le prese il viso, per guardarla negli occhi. “Mai.” Per un momento, la preoccupazione nelle sue iridi scure fu offuscata da una bruciante determinazione. “Non succederà mai, Charlie. Te lo giuro.”
Quella promessa fu sufficiente a fermare le sue lacrime, e il sollievo le fece tremare le gambe; sarebbe caduta se non fosse stato per lui.
Lasciò che le facesse il bagno, abbandonandosi senza alcuna remora.
Era stufa di dover esser sempre allerta, di dover diffidare di chiunque e d’essere sempre e soltanto una versione di sé stessa: quella forte e risoluta.
Aveva bisogno di lasciarsi andare e con quelle mani che le insaponavano la schiena, non le sembrò più una debolezza affidarsi a qualcun altro. Qualcuno disposto a raccoglierla da terra e ad avvolgerla in una coperta, quando le cose si facevano troppo difficili.
E così, Logan le mostrò quanto fosse bello smettere d’esser forti e lasciare che un altro lo fosse per te.
Il bagno caldo permise di nuovo al suo sangue di circolare correttamente nel suo corpo, raggiungendo tutte le estremità. Lavò via il gelo; non solo quello esterno ma anche quello che non l’aveva abbandonata da quando era uscita dal Gryson’s.
L’acqua bollente cancellò ogni più piccolo residuo di dubbio che le era rimasto e i suoi sentimenti divennero così chiari, che Charlie si chiese come diavolo avesse fatto a pensare di non amarlo davvero.
Amava tutto di quell’uomo. La sua correttezza e fibra morale, la sua disponibilità e dedizione verso i cittadini di Sunlake; le sue mani, con cui venerava il suo corpo ad ogni tocco, e quel sorriso che le scaldava l’anima. I suoi occhi, che parevano essere in grado di cogliere sempre e soltanto la parte migliore di lei. Anche se la nascondeva. Anche quando lei stessa faceva fatica a distinguerla.
Amava quel modo che aveva d’assecondare sua madre, pur di non ferirla, e la totale devozione per suo figlio. E in un mese, Charlie aveva assaggiato nuovamente il sapore della felicità.
Si ritrovò a letto, con un pigiama da uomo addosso, distesa su un fianco. Difronte a lei, Logan stava lottando con sé stesso, diviso tra il suo bisogno di sapere cosa fosse successo e il desiderio di aspettare che fosse lei a confidarsi.
Charlie lo tolse da quel limbo. Si avvicinò, sotto le coperte, finché non riuscì a sentirne il calore. Gli prese la mano e ne baciò ogni nocca. “Ci sono cose che ancora non posso dirti, Logan.” Con le labbra coprì teneramente ogni centimetro del suo palmo. “Ed altre che non potrò rivelarti mai.” Non esitò nemmeno a pronunciare quelle parole. “Però, ti giuro che tra tre mesi tutto sarà più chiaro.”
Tre mesi e, finalmente, il suo trasferimento sarebbe stato ufficializzato; consentendole d’infrangere il silenzio circa il perché di tutti quei segreti.
Nella fioca luce della stanza, illuminata da un’unica abat jour, incontrò il suo sguardo e l’uomo si allungò ad immergere le dita tra i suoi capelli, iniziando a districarne i nodi, in lente carezze.
“Me lo diresti se qualcuno ti avesse fatto del male, vero?” Gli occhi scuri di lui trovarono quelli blu di lei, in cerca di una rassicurazione.
“Si.” Promise. Anche lei, al suo posto, lo avrebbe chiesto. Ed era giusto così.
In ogni caso, per Charlie quella sera non era successo niente. Stava bene. Si era trattato di solita amministrazione.
Logan annuì. “D’accordo.” Si sporse per baciarla, ma Charlie si ritrasse. Aveva preso una decisione ed ora arrivava la parte più delicata.
Chiuse le palpebre, prima di mormorare. “Devo dirti una cosa, ma non so come.”
“Allora non farlo.”
Quelle parole le sembrarono appartenere ad un sogno e lei lo guardò come se si fosse appena svegliata, tentando di capire se fosse reale oppure solo frutto della sua immaginazione.
Lui ne approfittò per baciarla, in un tenero incontro tra labbra. “Non importa.” Sussurrò ancora, sulla sua bocca e quasi le sembrò sapesse di cosa stesse parlando. Ne fu rassicurata, come sempre le accadeva vicino a lui. Alzò il mento, offrendoglisi e Logan non se lo fece certo ripetere.
Assaggiò il suo labbro inferiore, mordicchiandolo e succhiandolo leggermente, e Charlie fece scivolare le sue mani al disotto del pigiama, percorrendo addominali definiti e salendo fino ai solidi pettorali.
Le loro lingue si incontrarono e iniziarono una danza pigra e deliziosa.
Si addormentò così, abbracciata a lui.
Il peggio è passato, fu il suo ultimo pensiero cosciente.
 
Adam Bailey osservò Liam Ruiz sbracciare furioso all’indirizzo della sua guardia del corpo, o quella che presumeva essere la sua guardia del corpo.
Non lo aveva perso di vista un momento, proprio come gli aveva detto lo sceriffo Clark; pertanto, aveva assistito all’incontro con quella donna.
Non sapeva cosa pensare della scena che gli si era presentata. Quei due sembravano non conoscersi affatto: lei gli era inciampata addosso e lui ci aveva provato; tuttavia, i conti non tornavano.
Lo aveva baciato con passione, addirittura con furia, forse. In ogni caso, non capiva quale fosse lo scopo di quella sceneggiata, depistarli forse?
Si erano scambiati qualche tipo d’informazione?
Sbuffò, infastidito. Non riusciva più a raccapezzarsi in tutta quella confusione.
In ogni caso, non capiva proprio a cosa servisse il teatrino che Ruiz stava mettendo in piedi. Quando era tornato al bancone e non aveva trovato la donna, aveva dato di matto. Avrebbe potuto brillare al buio per quanto era diventato rosso, e aveva iniziato ad inveire verso l’energumeno, in piedi vicino a lui.
Probabilmente gli aveva ordinato di cercarla, visto che quello era sparito per poi tornare poco dopo.
Nonostante non potesse sentire quel che si dicevano, era facile intuire il tono della conversazione.
Adam sbadigliò e guardò l’orologio. Erano appena le quattro e venti, ma probabilmente Ryan Clark avrebbe voluto sapere subito quello che era successo.
Uscì dal Gryson’s, diretto alla sua macchina. Ormai la notte era finita, dubitava ci sarebbe stato molto altro da vedere.
Solo quando fu per strada, fece partire la chiamata, e nell’abitacolo risuonò la voce dello sceriffo: “Hai novità, Adam?”
La voce di Clark, seppure assonnata, non era affatto scocciata; anzi, il tono era piuttosto interessato. Sapeva che non lo avrebbe chiamato nel cuore della notte, se non fosse stato importante.
Ripensò brevemente alla sensazione che aveva avuto quando Liam Ruiz aveva stretto a sé quella bionda mozzafiato. Per un momento gli era sembrata contrariata dall’atteggiamento dell’uomo; eppure, era stata proprio lei a baciarlo.
Scosse la testa, scrollandosi di dosso quel dubbio ridicolo. Probabilmente quell’impressione era dovuta all’aspetto di lei; senza dubbio sembrava un angelo, ed era strano che un essere, all’apparenza, tanto innocente fosse coinvolto con una persona losca come Liam Ruiz.
Disse semplicemente ciò per cui aveva chiamato: “Quella donna, Charlie Royce. Si è fatta rivedere al Gryson’s, proprio come sospettavi. E sembra essere in confidenza con Ruiz.”
Il sospiro dell’altro gli disse che non era affatto felice di sentire quella notizia. “Raccontami tutto.”
   
 
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