Disclaimer: I personaggi non mi appartengono
Ma sono di proprietà dei rispettivi autori.
I Bled Myself Out
"Sei malinconico, Pads?"
Sirius solleva il capo, le narici dilatate a cogliere
l'odore dell'altro dal tunnel che porta alla Stamberga Strillante. La
luce del sole morente si fa strada tra le imposte, s'accascia sulle
assi del pavimento; un lieve fischio, a segnare il cammino del vento,
un respiro, un ansimare asmatico che sbuffa polvere e sputa muffa e
ragnatele.
“Come sapevi che ero qui?”
Lupin gli regala un sorriso, un ritaglio d'espressione
sul volto magro.
“La Mappa del Malandrino.”
L'altro non si alza, accucciato com'è sui talloni, ma
sposta semplicemente il peso dai piedi al bacino, sedendosi a terra e
guardando Remus così, dal basso verso l'alto, la testa inclinata con
fare più canino che umano.
“Pensavi fossi già andato via, Moony?”
“Lo speravo. Non è sicuro per te, stare qui.”
“Non è sicuro per me da nessuna parte.” replica
Sirius, con amarezza “Ma dovevo prendere alcune cose prima di
andarmene.”
“Quali cose?”
Sirius gli sorride ed è strano veder riaffiorare negli
occhi incavati, scavati, disillusi la stessa luce che li animava da
ragazzo -Quando erano giovani entrambi e sapevano ridere e non
avevano paura di niente, saldi nella loro sciocca
convinzione che niente e nessuno mai avrebbe mai potuto spegnere in
loro la speranza.
Anche quando le ombre della guerra s'era allungate a
ghermirli e la notte fissavano l'equilibrio farsi sempre più
oscillante e blando, anche allora bastava sentire i palmi premere
l'uno contro l'altro, le dita trovare l'incastro perfetto, il loro
sguardo cercarsi ed incrociarsi, in silenzio, sospeso sopra la luce
dei lampioni, per avere la certezza di come anche la più buia delle
mezzanotti avrebbe comunque visto sorgere l'alba.
Hai mai visto sorgere l'alba ad Azkaban,
Sirius?
Oppure giorni sempre uguali non hanno fatto altro che
succedersi, confondersi, liquefarsi, irrancidirsi nel tuo cuore e
nella tua mente, avvelenando il sangue, la mente ed il pensiero?
Potevi sentire il profumo salmastro del Lago Nero e
l'odore lontano dell'erba bagnata, di primo mattino, quando
sgattaiolavamo via dalla Sala Comune e a piedi nudi ci tuffavamo in
quel grande mare verde e tu ti trasformavi ed io ti inseguivo e
ruzzolavamo insieme nel prato, a ridere e uggiolare, con le mie mani
affondate nel pelo caldo del tuo ventre e la tua lingua ruvida a
rasparmi la guancia e la fronte?
Oppure l'effluvio marcio della spuma, della roccia nuda
e della pazzia erano troppi forti?
Potevi aggrapparti al ricordo delle tavolate in Sala
Grande e le zucche che si libravano in aria per Halloween e i petardi
che saltavano scoppiettando a Natale e i topolini che squittivano
fuggendo di qua e di là e che Peter tentava sempre di acchiappare e
James che il giorno di San Valentino inventava i piani più assurdi
per chiedere a Lily una Burrobirra a I Tre Manici di Scopa e tu
ridevi e un po' gli davi corda e po' lo canzonavi e mi guardavi di
sottecchi e io deglutivo e non ero in grado di sostenere il tuo
sguardo e il calore mi accendeva il collo e disegnava rigagnoli di
sudore dietro le orecchie e sul collo e ogni secondo si dilatava in
respiri lunghi ore e tutto si fermava, finanche il cuore mi gelava in
petto, e avevo la bocca secca e se anche avessi voluto risponderti
nella gola avevo incastrate parole che non sapevo di poter formulare
e che non trovavo il coraggio di pronunciare, potevi aggrapparti a
questo?
Oppure hai dovuto gettare ogni ricordo, immagine, odore,
suono perchè non ti venissero strappati via?
Hai preferito rinunciare a tutto, gettandoci e
gettandoti tra le fiamme, perchè gli artigli dei Dissennatori non
imputridissero, malariche, mortifere, quanto di buono valeva la pena
di essere ricordato -Di essere salvato.
A tanto è arrivato il tuo amore, per scegliere l'oblio
ed il suicidio piuttosto che vederlo smembrato, risucchiato,
maciullato dalle loro bocche guaste, nutrimento e polvere dei loro
stomaci vacui e osceni?
Ah, sciocco, sciocco Remus, che ti perdi in domande, e
aspetti risposte che mai verranno.
Forse non è la Bestia a renderti pazzo, Lunatico Moony,
forse è stato quel balzo repentino al petto quando hai letto della
fuga di Sirius da Azkaban, forse è stato quell'istante, quel
momento in cui il presente ha ceduto il passo alla memoria ed il tuo
campo visivo si è riempito della penombra dell'aula di Pozioni e
nelle orecchie c'era la voce dondolante di Lumacorno e nelle narici
l'intruglio verde-argento che ribolliva nei calderoni ed il chiarore
che saliva dalle labbra di peltro ed il crocchiolio del fuoco che
punteggiava le ciglia di Sirius e i torciglioni di fumo che gli si
inanellavano tra i capelli e il laccio nero che s'era allentato e le
ciocche che respiro dopo respiro andavano sciogliendosi sulla fronte.
Forse è stato riscoprire ogni dettaglio a renderti
pazzo, dalle linee della fronte corrugate alle labbra schiuse per la
concentrazione, al primo bottone della camicia non perfettamente
accomodato nell'asola, la cravatta annodata in fretta e furia che
scompariva oltre lo scollo del gilet, il colpo di luce dal coltello
alle nocche ed alla piega delle falangi ad ogni componente tagliato e
sminuzzato a dovere.
Forse sono stati i tuoi occhi a renderti pazzo, Lunatico
Moony, quegli occhi che si sono sollevati al di sopra del paiolo ed
entro cui la luce si è scomposta, liquefatta e frammentata, e Remus
s'è visto riflesso un attimo di troppo nelle pupille di Sirius e in
quell'attimo ha contato le unghiate di blu nell'iride azzurro chiaro,
ha notato la gobba appena accennata del naso e la curva delle
sopracciglia sul taglio nobile, appena obliquo, delle palpebre.
E' stato questo a renderti pazzo: l'incapacità di
cancellare l'immagine di Sirius come non sarebbe mai potuto essere,
non di nuovo, perché di quel Sirius non era rimasto più nulla e
quel Sirius era stato dato in pasto alle fiamme, era annegato trai
cavalloni che mugghiando s'infrangono contro gli scogli di Azkaban.
“A cosa pensi?”
La voce dell'amico lo richiama nel presente. Non ha un
tono accusatorio: al contrario, c'è sincera curiosità, sincero
interesse nella sua voce.
“A tante cose.”
Lupin abbandona il rifugio sicuro della soglia e gli si
avvicina, si china a sollevare l'asse contro cui Padfoot sta lottando
da un paio di minuti. Non gli chiede il motivo di quel suo accanirsi
contro il pavimento, lo aiuta e basta -E' automatico. La maggior
parte delle volte, tra i corridoi e le sale di Hogwarts, Remus si è
trovato al fianco di Sirius senza mai domandare quale improbabile
piano gli fosse balzato alla mente.
“Tante cose di che genere? Belle o brutte?”
“Ha importanza?”
“Certo che ne ha.” Sirius
latra una risata veloce “Io ho dovuto imparare di nuovo come si fa
a pensare alle cose belle, proprio come ho dovuto imparare come si fa
a smettere.”
“E quale delle due è più difficile.”
“La seconda.” risponde l'altro “Era impossibile,
all'inizio.” ammette “Sapevo che tutti i bei pensieri e ricordi
felici avrebbero finito con l'uccidermi, ma non riuscivo ad
impedirlo. È come un meccanismo di difesa: il tuo cervello capisce
che sta per spegnersi, che stai per varcare il limite tra ragione e
follia, e usa l'esca dei ricordi felici per afferrarti e salvarti la
pelle. Era una specie di incantesimo salvavita.” spiega e quando il
legno sotto di loro scricchiola e l'asse comincia a muoversi,
interrompe il lavoro per prendere tempo e trovare le parole “Tutte
le volte che mi allontanavo dalla presa dei Dissennatori e mi
concentravo sul desiderio di vendetta, sulla sete, sulla brama di
farla pagare a Peter per quello che aveva fatto a Lily, a James, a
Harry, a te--” stringe la mascella, chiude gli occhi, aspira l'aria
dai denti serrati, la rilascia in un unico respiro dalle narici
bianche, roventi “Tutte le volte che ero ad un passo
dall'estraniarmi da me stesso ecco che tornavo a ricordare. Mi veniva
in mente l'immagine di James, la prima volta che si è trasformato,
il palco di corna incoronato di foglie, di come gli avevo consigliato
di farsi vedere così da Lily, perchè sicuramente lo avrebbe trovato
molto più attraente. Ho pensato a quella volta in cui Peter è
andato da solo fino a Mielandia a sgraffignare dei dolci per
festeggiare la vittoria contro i Corvonero, ma a metà del percorso
se l'è fatta sotto dalla paura ed è tornato indietro ed abbiamo
passato la notte nelle cucine con alcuni ragazzi di Tassorosso.”
una lieve risata “Ho persino ricordato le vocette squillanti degli
Elfi Domestici, riesci a crederci? E poi...Ho pensato a te.” la
voce sfuma, abbassa gli occhi, passa la punta della lingua sulle
labbra “Ed è strano, perché i tuoi ricordi erano i più semplici,
i meno elaborati, ma erano anche quelli con cui il mio cervello
cercava di salvarmi la maggior parte delle volte: tu che studiavi in
Biblioteca, come tenevi la penna d'oca a lezione, il modo in cui
alzavi la mano, il verso strano che facevi col naso prima di iniziare
una reprimenda contro me e James...”
“Io non facevo alcun verso strano.”
“Oh, sì. E James sapeva farne un'imitazione
perfetta.”
Si guardano e ridono e quella risata echeggia festosa e
argentina nel cigolio costante della Stamberga. Ridono finchè non è
Sirius a smettere e quando lo fa inclina un poco la testa, lo sguardo
perso a cercare il percorso di chissà quale pensiero sul soffitto.
“E' stato tremendo.” sussurra “Perchè per
rimanere vivo lì dentro dovevo distruggere l'unica cosa capace di
farmi rimanere sano di mente, l'unico motivo per continuare ad
esistere.”
“Quale?”
La voce gli esce flebile, un mormorio, un bisbiglio
appena.
Sirius lo guarda, ma non gli dà risposta. Scuote la
testa, arriccia l'angolo della bocca, torna a lavorare, a fare
pressione, a tirare, fino a quando l'asse non si stacca dal pavimento
con uno schiocco secco.
“Mi sono persino chiesto se ne valesse la pena.”
ammette “Insomma, io avevo chiaro in testa questo pensiero
ossessivo, questo obiettivo fisso di uscire e uccidere Peter e
vendicare Lily e James e lo avevo qui.” punta l'indice contro
Lupin, glielo preme forte tra le sopracciglia “Continuavo a pensare
a quello, mi imponevo di pensare solo e soltanto a quello, e col
passare del tempo i momenti in cui la mia mente si concentrava su
altro erano sempre più brevi. Ma mi sono ritrovato a domandarmi a
che pro lo stessi facendo. C'erano volte in cui la prospettiva di
uscire era troppo lontana ed era folle anche solo ad averla
pianificata, quindi perché distruggermi così? Perché insistere nel
fare a pezzi le uniche pagine decenti della mia vita, perché
sacrificare ciò che di più caro avevo per una meta irraggiungibile?
Era quella, quella la vera pazzia.”
Remus si china, schiva lo sguardo di Sirius. Non ha il
coraggio di guardarlo negli occhi, gli manca la forza di leggere
parole inespresse. Immagina l'amico accartocciato in un angolo della
cella e già lo vede, già è abbastanza, schiacciato contro la
parete, coi polsi pressati sulle tempie e la bocca aperta a modulare
ad un grido che non può più urlare.
Perché hai scelto di dimenticare, Pads?
Potresti chiedergli questo, Remus, ma hai un vuoto nello
stomaco, un boato di dolore che deflagra a silenziare finanche la
voce.
Perché hai scelto di dimenticare per vendetta e non per
amore? Perché hai barattato i tuoi ricordi con il desiderio omicida?
Perché hai sacrificato quanto di più caro avevamo in due e noi due
per uccidere Peter?
E se fossi stato in te, Pads, avrei fatto lo stesso?
L'asse del pavimento nasconde un doppio fondo, un
incastro di legno e terra e dentro l'incastro una scatola e sulla
scatola l'impronta sbavata di una zampa canina.
Remus aggrotta la fronte e si scosta. Sirius si
avvicina, prende la scatola, la ammira un paio di secondi prima di
poggiarla tra loro due e infine, con una manata, togliere lo strato
di polvere e fango accumulatosi sul coperchio in tutti quegli anni.
“Cos'è?”
L'altro alza il labbro superiore a mostrare i denti in
una pantomima di sorriso. Forse sorridere non gli riesce più, i
muscoli attorno alla bocca e dentro le guance si sono atrofizzati, si
sono scordati i movimenti necessari come la mente ha obliviato
i ricordi essenziali a trattenerlo sul ciglio della pazzia.
“Il vero motivo per cui dovevo tornare.” risponde “E
il cui pensiero ho dovuto stritolare tra i denti, morderlo,
triturarlo e ingoiarlo, spingerlo nel fondo del cuore e delle
viscere, lontano dai Dissennatori.”
Il silenzio cala tra loro. Un silenzio carico d'attesa,
un silenzio che il sapore della sacralità e impedisce alla lingua di
muoversi, alle parole di affacciarsi al principio della gola. Sarebbe
quasi male, sarebbe quasi peccato infrangere l'attesa, il respiro
sospeso, accompagnare con parole lo stridio della scatola che si
apre, il singhiozzo del legno, lo starnuto non più trattenuto della
terra incrostata e della lacca indurita dalla polvere.
Remus tace e nell'aspettare ricorda un'altra attesa, in
ginocchio dinanzi al Platano Picchiatore, a mo' di preghiera, nudo,
vestito unicamente della propria pelle, di sangue, lacrime e
vergogna; il pianto gli bagna le guance, gli si asciuga sulla bocca
in cristalli di sale, punteggiati al rosa quieto dell'alba. La luna
piena ha lasciato il posto ad un cielo così terso da non sembrare
vero e lui si tende, coi muscoli urlanti, per bagnarsi della prima
del luce del sole.
Un mantello gli copre le spalle picchiettate di brividi
e non è Madama Chips, dietro di lui, è Sirius, con gli occhi
arrossati dalla notte insonne e il volto pallido e le dita che
tremano -Tremano di paura, ma non paura di lui, Sirius ha paura per
lui e Remus lo osserva, segue il percorso della luce sulla
guancia e sulla linea del collo e rimane e rimangono così, l'uno
davanti all'altro, in quell'attimo sospeso tra dolore e paura, tra
speranza ed emozione, e anche Sirius piange di un pianto che ha un
significato per ogni lacrima e ogni lacrima si chiama con un nome
diverso, benché sulla bocca abbiano tutte il nome di Remus.
“Guarda.”
Lupin trattiene un moto di sorpresa.
Dentro alla scatola c'è un numero piuttosto consistente
di cianfrusaglie: una figura delle Cioccorane il cui proprietario è
fuggito chissà dove e chissà da quanto; gagliardetti e festoni del
Quidditch; un pezzo di pergamena con sopra scarabocchiato una
caricatura di Piton; i ciuffi di un manico di scopa; persino una
nappa presa dal letto a baldacchino dei Dormitori.
E poi ci sono le foto -Tutte, tutte scattate con una
macchina fotografica Babbana: i soggetti non si muovono, i sorrisi
sono stati catturati al loro nascere; alcune sono mosse, troppa era
l'eccitazione del momento, altre hanno a fuoco particolari quasi
inutili come la punta di una penna d'oca, le scarpe di vernice
allacciate di Lily mentre siede a caviglie incrociate, il dito di
Remus tra le pagine di un libro per non perdere il segno, gli appunti
dalla grafia panciuta di Peter agli angoli di un tema di
Trasfigurazione.
Sirius prende il plico di fotografie e lo sfiora a punta
di dita, come l'insegnante di Divinazione diceva di fare coi
tarocchi, per imprimervi, infondervi un soffio della propria
personalità e del proprio cuore. Si accomoda meglio accanto a Lupin
e apre le foto a ventaglio: eccoli, tutti e quattro davanti al Paiolo
Magico oppure da Fortebraccio, il volto di James
seminascosto da un cono gelato, o ancora uno scatto di sfuggita a
Remus, in punta di piedi sullo sgabello di Madama McClan e in
viso l'espressione di chi vorrebbe essere da tutt'altra parte; poi di
nuovo James e Sirius e la macchina forse in mano a Lupin, mentre
indicano euforici la nuova vetrina di Accessori di Prima Qualità
per il Quidditch; Euphemia Potter che improvvisa un valzer con
Fleamont; la motocicletta di Sirius posteggiata al ciglio di una
strada, col sole al tramonto che batte contro il sellino; Remus che
s'aggiusta la cravatta; Peter addormentato sulla poltrona della Sala
Comune, un rivolo di saliva appiccicato alla guancia; Remus che morde
la nocca dell'indice, pensieroso; Lily con la testa poggiata sulla
spalla di James; i fiori e le panche addobbate; James mutato in cervo
che strofina il palco di corna sulla corteccia di un albero; Lily che
sorride da sotto il velo da sposa e James che allenta il colletto del
completo per prendere aria; un Boccino D'Oro giocattolo poggiato
sulla pancia di Lily; Remus che sceglie indeciso tra una minuscola
bacchetta da mago che sprizza scintille blu ed una che scoppietta
piccole stelle rosa.
Capitoli di una storia lunga una vita.
Immortalata in dieci, cento, mille scatti.
Immortalata e immortale.
Remus sorride, tornando a guardare Sirius.
“E' per questo che sei tornato.”
Non è più una domanda. E' un'affermazione, una
certezza.
Il cuore di Sirius, l'anima di Sirius è lì, lì
dentro, in quella scatola con l'impronta di una zampa sbavata sul
coperchio, nascosta sotto l'asse di una stamberga fatiscente.
“Per questo e per un'altra cosa che non avevo modo di
nascondere qui.”
“Che cosa?”
Il sole muore piano tra le imposte, senza fare rumore.
La sua luce s'assottiglia, si ritrae dalle pareti che raccontano di
ululati, graffi, scontri di cani e di lupi, bramire di cervi,
zampettio di ratti, ma anche passi veloci, affrettati, respiri che
accelerano, vestiti agguantati, stretti, ritorti tra le dita, schiena
e spalle puntellate contro il legno, capelli tirati, carezze e gemiti
e morsi.
Prima di svanire del tutto, ecco, un lampo, uno schiocco
e l'ultimo bagliore del giorno s'appoggia sulle labbra di Sirius, la
cui bocca è già sulla bocca di Remus, il respiro dell'uno ora, di
nuovo, finalmente nel respiro dell'altro.