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Autore: crazy lion    12/03/2022    0 recensioni
Che succede quando una sirena si imbatte in una creatura più piccola e indifesa? Tutti sanno che proteggere e difendere sono istinti umani, ma le sirene stesse non sembrano fare eccezione. E' questo il caso di Lucia e della piccola Emiko, bambina che nasconde un segreto in buona fede, guidata da un cuore piccolo ma grande come la sua forza di volontà. Lasciate che si fidi di voi, accompagnandovi per mostrarvi come sarà il suo futuro accanto alla sirena dalla perla rosa. Disclaimer: i personaggi non mi appartegono, ma sono proprietà degli autori che li hanno ideati. La storia è scritta senza alcuno scopo di lucro.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gaito, Kaito Domoto, Karen, Luchia Nanami, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 20.
 
UN DONO DAL CIELO
 
Passarono altre tre, lunghissime, estenuanti ore, e a quel punto entrambi erano stanchissimi.
Un medico venne a controllare.
“Ci siamo” disse. “È a nove centimetri. Portiamola in sala parto.”
Dopo un’altra mezz’ora era arrivata a dieci centimetri.
“La assisto io” disse l’ostetrica. “La chiamerò se ci saranno problemi, dottore.”
“D’accordo.”
Lui uscì e rimasero loro tre. In una stanza vicina, una donna stava lanciando improperi contro il marito. Anche Lucia aveva sclerato, come le piaceva dire, e ora capiva cos’aveva voluto dire l’ostetrica del corso preparto quando aveva parlato del cambio di comportamento della donna.
Qualche mese prima lui e Lucia avevano avuto due discussioni.
2E se fosse una femmina e fosse una sirena?” aveva chiesto lei una sera, mentre erano seduti sul divano ed Emiko giocava ai loro piedi. “Quando la laverebbero capirebbero che è una sirena, le spunterebbe la coda.”
“Merda!” aveva esclamato Kaito. “Non possiamo impedire ai medici o agli infermieri di lavarla, dovranno tirarle via il sangue.”
“E se non fosse umana e avesse preso da me? Che faremmo?”
“Non lo so” aveva risposto lui e poi le aveva confessato di non averci mai pensato.
Lucia si era dimostrata molto angosciata per questa cosa nei mesi precedenti, fino alla fine della gravidanza, ma ne aveva parlato solo con lui.
La seconda discussione che avevano avuto era riguardo il nome.
“A me piace Hiro, per un maschio” aveva detto Kaito una sera, a letto, accarezzando i capelli di sua moglie.
“Ma ti prego!” aveva risposto lei.
“Toyo?”
“Sì, Toyo mi piace. Per una femmina pensato ad Aki, corto ma dolce. Oppure a Mi Sun, anche se non è un nome giapponese.”
“Teniamoli entrambi.”
Il giorno dopo avevano compilato una lista con tutti quei nomi e ne avevano aggiunti altri a mano a mano che venivano in mente a entrambi.
“Mi piace Hana per una femmina” aveva detto Lucia.
Le piaceva perché significava fiore.
“Anche a me.”
Ne avevano scelti altri di femminili.
“Fa… un male… cane” disse Lucia a fatica e quella frase riportò Kaito al presente.
“Lo so, cara, lo so” le rispose l'ostetrica. “Ma tu sei forte, okay? Puoi farcela. Il tuo bambino vuole nascere.”
“Non ce la faccio. Il travaglio mi ha stremata!” esclamò e scoppiò a piangere.
“Shhh, tranquilla.” L'ostetrica fece il giro del letto e le prese una mano. “So che sei stanca, dopo un travaglio di sette ore, ma per il bambino non fa bene che le contrazioni passino e basta, d'accordo?” le fece capire, con tutta la delicatezza possibile, mentre l'ennesima contrazione la faceva dolere e passava.
“Va bene” disse Lucia, la stanchezza si vedeva sul suo bel viso e sugli occhi infossati.
Kaito non poteva fare a meno di guardarla: i capelli legati in una crocchia disordinata, alcuni dei quali erano sfuggiti all'elastico ed ora le stavano appiccicati alla fronte, le guance rosse e gli occhi umidi mentre respirava rumorosamente. Gli occhi di Lucia che lo fissavano la riportarono al presente. Era terrorizzata per quello che stava per accadere.
“Kaito?” lo chiamò, con un filo di voce.
“Sono qui, amore” sussurrò lui al suo orecchio.
“Ho paura” gli confessò, mentre una lacrima partiva dal suo occhio destro per finirle sul collo.
La sua voce era roca.
“Andrà tutto bene” cercò di tranquillizzarla lui. “Sai che ti amo, vero?”
“Anche io ti amo” gli rispose con voce strozzata.
Poi affondò la testa nel cuscino e chiuse gli occhi e li strinse, segno che una nuova contrazione stava per arrivare.
Fuori, il vento soffiava forte e lo si sentiva ululare. Lucia si voltò verso la finestra. Nevicava ancora. Si umettò le labbra secche ed ebbe un'altra contrazione.
“Okay Lucia, ci siamo. Devi essere tu a decidere, collaborando con il bambino, come, quando e quanto spingere” le disse l'ostetrica. “Coraggio, cara!”
Lucia prese la mano di Kaito, che l'aveva allungata verso di lei, e gliela stritolò. Con quella libera strinse il bordo del letto mentre, con un grugnito grottesco che proveniva dal fondo della sua gola, cominciò a spingere. Aveva le guance bordeaux e le lacrime che le scendevano dagli occhi fino al collo.
Quando la prima spinta terminò, Lucia cercò di rilassarsi riaffondando la testa nel cuscino.
“Ancora, Lucia” disse l'ostetrica. “Respira.”
Lei lo fece, ma in quel momento l’ennesima contrazione arrivò e lei affondò talmente i denti nel labbro inferiore che Kaito temette che le uscisse sangue e che se lo spaccasse.
“Okay. Adesso.”
Le sue dita si strinsero ancora di più attorno alla mano del marito, fino a diventare bianche. La sua bocca si spalancò per far uscire un grido di puro dolore. Quando anche la seconda spinta passò, si risdraiò sul materasso, consapevole di avere pochi secondi per riprendersi.
Lanciò a Kaito un'occhiata truce che non prometteva niente di buono.
“Scordati altri figli!” lo ammonì. “Il tuo pene non entrerà ,mai più nella mia vagina senza un cazzo di preservativo, chiaro? Non sfornerò altri figli per te, d'accordo?”
“C-chiarissimo” balbettò Kaito.
Lui fece appena in tempo a dirglielo che gli occhi di Lucia si strinsero nuovamente. L'urlo agghiacciante che uscì dalla sua bocca fece accapponare la pelle a Kaito.
“Bravissima, Lucia. Stai andando alla grande. Sì, vedo la testina!” esclamò l'ostetrica.
La ragazza tornò a distendersi sul materasso e poi si rialzò per dare la terza spinta di quella contrazione.
Diede altre spinte, che i due non seppero quantificare. Uscirono le spalle, prima una e poi l’altra, e poi il corpo. Kaito non poteva fare niente per aiutare Lucia o alleviare il suo dolore, se non lasciare che Lucia gli stritolasse la mano. Si sentiva impotente e in ansia per lei, ma cercava di non darlo a vedere e, per fortuna, ci riusciva piuttosto bene. Lucia gli conficcò le unghie nella mano fino ad arrivare alla carne e a farlo sanguinare.
“Scusami” gli disse, respirando a fatica.
“Non ti preoccupare. Vado a lavarmi.”
“Si faccia disinfettare da un medico” gli consigliò l'ostetrica.
Dopo poco Kaito tornò e, con l'ultima spinta, Lucia fece uscire le gambine del bambino e regalò a Kaito uno dei pianti più dolci del mondo. Un pianto forte e chiaro si fece sentire nella stanza.
E se fosse una bambina? pensò Lucia.
Non le sarebbe dispiaciuto avere una femmina, ma aveva paura che fosse una sirena e che gli umani potessero scoprirlo. Si lasciò andare, ormai senza forze, sul materasso, chiuse gli occhi e lasciò gradualmente la presa della mano del marito. In quel momento smise di nevicare e il vento di soffiare. Tutto si calmò, tranne il pianto del bambino. Un rumore forte fece voltare tutti verso la finestra. Uno spazzaneve stava passando per liberare le strade.
“Speriamo siano sgombre per quando tornerò a casa” disse Kaito.
Ma la cosa più importante, adesso, era il suo bambino, o la sua bambina.
L’ostetrica tagliò il cordone ombelicale.
“Congratulazioni, è un maschietto!” esclamò.
E, per quanto a Lucia e Kaito non sarebbe affatto dispiaciuto avere una femmina, quella notizia li riempì di gioia. Almeno il bambino non si sarebbe trasformato in una sirena quando gli avessero fatto il bagno.
L'ostetrica si avvicinò ai neogenitori e posò il bambino fra le braccia di Lucia.
“Ehi, ciao! Sei bellissimo” gli disse, e la voce le si ruppe per l'emozione. Era incredibile: era diventata mamma. “E che bella voce forte che hai.”
“Eh sì, è proprio forte” disse Kaito, che accarezzò la testa bionda. “Ha i tuoi capelli.”
Lucia riempì il piccolo di baci e coccole.
“E sono sicura che avrà i tuoi bellissimi occhi.”
Il bambino li guardò entrambi. “Oh, grazie per il complimento!”
Aveva ancora gli occhi blu come tutti i neonati, ma presto si sarebbe visto il loro vero colore.
Il piccolino urlava ancora a squarciagola.
“Shhh, buono” gli sussurrò Lucia. “Buono.”
Quando gli disse così, il bambino diminuì il pianto fino a smettere di piangere.
“Il potere della mamma è insuperabile” disse l'ostetrica, mentre compilava alcune carte. “Che nome gli diamo?”
“Toshi?” domandò Kaito a sua moglie.
Era uno di quelli che avevano scritto nella lista.
“Va bene.”
“Toshi Domoto, allora?” chiese conferma l'ostetrica.
“Sì.”
Lo scrisse su un foglio:
Toshi Domoto, nato il 23 ottobre 2021.
“Per tutti i Kami, è così piccolo!” esclamò Lucia. “Vuoi prenderlo in braccio?”
“Ho paura di romperlo” disse Kaito.
“Oh, dai, non succederà niente.”
“Non preoccupatevi,” intervenne l’ostetrica, “i bambini sono molto più resistenti di quanto crediate.”
Lucia alzò il bambino e lo passò la marito, che se lo appoggiò sull'avambraccio.
“Hai ragione, è minuscolo” disse Kaito, stando attento a non farlo cadere. “Ehi, ma lo sai che sei dolcissimo?”
L'ostetrica li guardava sorridendo, mentre i cuori dei due battevano all'impazzata. Non avrebbero saputo descrivere l'emozione che provavano in quel momento, sapevano solo che era una delle più forti che avessero mai sentito in vita loro.
Kaito unì le sue labbra a quelle di Lucia per un dolce bacio, ma il pianto del bambino li divise.
“Ti vuole tutta per sé” disse il marito con un sorriso.
Anche Lucia sorrise.
“Come ti senti?”
“Fisicamente stanca ma felice.”
“Anch’io sono felice.”
“Non vorrei interrompere questo bel momento, ma Lucia ha bisogno di alcune flebo per reidratarsi e il bambino va visitato, quindi, signor Domoto, le chiedo di aspettare fuori.”
Lui diede il bambino all'ostetrica e uscì. Avvisò la sua famiglia della nascita del bimbo.
“A chi somiglia di più?” chiese sua zia.
“Credo che sia una perfetta combinazione tra me e Lucia. Ha i suoi capelli, il mio sorriso e il mio naso.”
“Non posso credere di essere diventata di nuovo nonn!” esclamò Hiroko quando rispose al telefono dell'hotel.
“Siete già arrivati?”
“Quando Hippo ci ha avvertiti abbiamo fatto più in fretta che abbiamo potuto. Di' a Lucia che domani veniamo a trovarla e che abbiamo dei regali per lei e la bambina.”
“Abbiamo già tutto quello che ci serve, Hiroko, davvero.”
“Li porterò lo stesso.”
Poi Kaito parlò con Takeo e gli altri.
Quando l'ostetrica lo fece rientrare, Lucia aveva il bambino sdraiato sopra di lei e il piccolo stringeva il seno della ragazza con le sue manine e succhiava.
“Il latte si formerà fra poche ore, ma è importante che si attacchi fin da subito” spiegò la donna ai neogenitori. “Poi si formerà il colostro, una sostanza che il bambino succhierà prima della montata lattea, che avverrà fra qualche giorno.”
Disse che bastavano poche gocce di colostro per riempirgli la pancia, perché il piccolo aveva lo stomaco grande quanto una nocciola. Kaito e Lucia risero a quell'affermazione.
“Vado a casa, ti lascio riposare” disse il ragazzo alla moglie quando l'ostetrica portò la bambina nella nursery. “È tardi e sarai stravolta.”
“In effetti lo sono, e molto.”
“Dormi tranquilla. Ci vediamo domani mattina.”
“Ce la fai con il lavoro?”
“Vengo almeno a farti un saluto.”
“La dottoressa mi ha detto che mi porterà Toshi alle sei per l'allattamento.”
“Sarò qui a quell'ora. Non voglio perdermi quel momento.”
I due si sorrisero.
“Ti amo, Lucia Nanami!” esclamò Kaito.
“Ti amo anch'io, tantissimo.”
“Io di più.”
Risero, poi lui le augurò la buonanotte e uscì. Lucia si girò su un fianco e, in meno di cinque minuti, era già addormentata. Il travaglio e il parto erano stati estenuanti e l'avevano sfinita. Doveva riposare un po' per essere in forze. Il suo bambino necessitava che lei lo fosse.
Il mattino dopo, come aveva detto, l'ostetrica portò Toshi a Lucia.
“Ha fatto il bravo?”
“Ha pianto solo un paio di volte perché doveva essere cambiato, per il resto ha dormito. Ma non illuderti: una volta a casa sarà diverso.”
“Sì, lo immagino” disse la sirena dalla perla rosa e sospirò. “Non so se ce la farò da sola. Ho anche un'altra bambina e lei è a casa con me perché non va ancora all'asilo. Come farò a gestire due bambini piccoli?” chiese, mentre si spogliava, si sdraiava e si apppoggiava il bambino con il naso davanti al seno.
Il piccolo si attaccò subito.
“Kaito non si prende qualche giorno di permesso?”
“Sì, ma dopo? Il problema della bambina resta.”
“Con chi è adesso?”
“Con le mie amiche che lavorano all'hotel Pearl Piari.”
“Allora chiedi a loro di tenertela mentre tu ti occupi di Toshi.”
Il bambino aveva già cominciato a succhiare quando Kaito arrivò. Il primo risucchio fece male a Lucia, tanto che si lamentò per il dolore, ma durò solo un istante.
“Non ci avevo pensato” mormorò Lucia mentre il suo compagno entrava.
“A cosa?” chiese.
“Mi stavo un po' organizzando per i prossimi giorni.”
“Sai che sarò a casa con te per due settimane, no? A partire da quando tornerai a casa dall'ospedale.”
“Sì, lo so, e ti ringrazio per questo. Ma io parlavo del dopo.”
“Chiederemo a Nikora e alle altre di prendersi cura di Emiko. A proposito, te la porto stasera, così conoscerà il fratellino.”
Lucia sorrise.
“Non vedo l'ora di vedere la sua faccia quando lo guarderà per la prima volta!”
“Già, anch'io. Stanotte l'ho tenuta con me, adesso è all'hotel.”
“È stata buona?”
“Sì, ha dormito tutta la notte senza mai svegliarsi.”
“Al contrario di questo piccolino, a quanto mi ha detto l'ostetrica.”
Lucia gli fece il solletico al pancino. Il bambino non rise - era troppo piccolo per riuscirci -, ma continuò a succhiare con avidità. Sentendo il contatto pelle a pelle Lucia rabbrividì. Era un momento importante, quello, per lei e il suo bambino, che creavano un legame indissolubile. Certo, Lucia sapeva, avendolo letto su un quotidiano, che alcuni dati scientifici dimostravano che il bonding madre-bambino non si forma durante l'allattamento, anche se questo è un momento importante, ma che al contrario è l'amore a creare questo legame. In effetti, con Emiko era stato così. Una volta che il bambino si staccò da un seno, andò sull'altro e succhiò, ma dopo un po' scoppiò a piangere.
“Credo sia arrivata l'ora di cambiare il pannolino” disse Lucia.
“Dammelo, lo porto alle infermiere.”
Loro glielo riportarono pulito e profumato.
“Da domani iniziamo a mostrarle come si fa a cambiarlo” disse una di loro sistemando una culla accanto al letto della mamma.
“Ho già esperienza con mia figlia adottiva.”
“Quanto aveva quando l'ha adottata?”
“Undici mesi.”
“Allora è meglio fare un ripasso. Ve lo lasciamo un po', prima di portarlo nella nursery.”
I due genitori si persero a guardare il loro bambino che ora sonnecchiava.
“È perfetto, Lucia. Un maschio perfetto. Ma sai che, se fosse stata una femmina, io l'avrei amata allo stesso modo, vero?”
“Certo che lo so, stai tranquillo.”
Il bambino si svegliò e si mise a piangere, così Kaito lo prese in braccio.
“Cosa c'è, ometto? Ti sei già svegliato?”
Il bambino si calmò subito e guardò il padre, mentre Lucia sorrideva.
Dopo poco, però, Kaito dovette lasciarla perché doveva tornare a casa e prepararsi per andare al lavoro.
“Ci vediamo stasera.”
“Sì, a stasera.”
Lucia ebbe il bambino in camera per la maggior parte della giornata. Le infermiere le insegnarono come cambiare il pannolino quel giorno, non quello dopo come avevano detto in precedenza. La ragazza si stupì di quanto fosse difficile. Nemmeno Emiko era stata ferma durante i primi cambi, ma Toshi si muoveva in continuazione.
Si svegliava spesso per le poppate frequenti o perché voleva essere cullato, e Lucia seguì il consiglio delle infermiere: dormire quando lui dormiva.
Quella sera, i primi ad arrivare furono Kaito ed Emiko.
“Ecco il tuo fratellino” disse Kaito alla bambina.
Era nella nursery, quindi potevano vederlo solo tramite il vetro. Lucia li raggiunse.
“Mamma!” esclamò la bambina.
“Amore! Ti sono mancata?”
“Tanto. Posso toccare fratellino?”
“Si chiama Toshi, sai?” le disse Lucia. “E sì, credo che tu possa, chiediamo alle infermiere.”
Loro li fecero entrare in una stanza dove alcune donne stavano allattando i figli. Si chiamava stanza dell’allattamento.
“Accomodatevi” disse loro un'infermiera, indicando loro un divano.
I tre lo trovarono estremamente comodo e confortevole. Quando un'altra infermiera portò Toshi ai genitori e lo diede a Lucia, Emiko esclamò:
“Faccino piccolo!”
Tutti risero.
“Sì, è piccolo” disse Kaito.
Lucia lo mise sule gambe di Emiko.
“Devi tenergli una mano sotto la collo, così, e l'altra fra le gambe, in questo modo.”
“Hai visto quanto è piccolo?” chiese Lucia a sua figlia.
“Tanto” disse la bambina. “Posso giocae con lui?”
“Per il momento no, perchè è troppo piccolo, ma dopo sì!” esclamò la sirena, facendo sorridere la piccola.
Emiko si stancò presto di tenere il bambino in braccio, così la mamma lo prese in braccio.
“Lu, ci sono i nostri parenti nella tua stanza, vogliamo andare?”
“Sì.”
Rimisero il bambino nella culla a rotelle che l'infermiera aveva dato loro e tornarono in stanza.
“Ciao, mamma!” esclamò Lucia.
“Ciao. Ti trovo bene. Come ti senti?”
“Un po' stanca, ma sto bene, grazie.”
“E questo è il mio nipotino! Ma è bellissimo, tesoro.”
“Sì, è meraviglioso” disse Takeo. “Posso prenderlo in braccio?”
“Sei suo nonno, non devi nemmeno chiederlo!”
L'uomo lo prese fra le braccia e se lo appoggiò sull'avambraccio.
“Toshi è un bel nome, avete scelto bene.”
“Grazie, papà” disse Lucia.
Poi la ragazza andò a salutare gli zii e il cuginetto di Kaito. Makoto volle prendere in braccio Toshi.
“Non ho mai tenuto in braccio un bambino così piccolo!” esclamò il bambin, emozionato.
“E come ti fa sentire?” gli chiese Kaito.
“Come se dovessi proteggerlo.”
I due genitori sorrisero.
“Anche noi ci sentiamo così.”
Tutti avevano portato un regalo: vestitini per il bambino, copertine di lana fatte a mano dalla mamma di Lucia e dalla zia di Kaito, shampoo e bagnoschiuma.
“Grazie a tutti!” dissero Kaito e Lucia.
Avevano già molte cose di quelle che avevano ricevuto in dono, ma non importava. Un regalo era sempre tale ed era importante. I parenti, dopo aver preso in braccio uno a uno Toshi, se ne andarono per lasciare la famiglia da sola.
Quando uscirono, il piccolo si mise a piangere.
“Forse avrà fame” suggerì Kaito.
Lucia lo allattò e il piccolo succhiò con avidità.
“Guarda come divora! È proprio goloso!” esclamò la ragazza.
Emiko guardava la mamma.
“Coca fa?” chiese, rivolta al padre.
“Dà da mangiare al tuo fratellino, Quando sono molto piccoli i bambini non mangiano come te, me o la mamma, ma bevono latte dal suo seno, questa parte qui” le disse e le mise le mani sul petto.
“Oh” rispose solo la bambina.
Kaito si domandò se avesse capito il discorso e si rimproverò di non aver utilizzato parole più semplici per spiegarle ogni cosa.
Dopo poco il ragazzo, stanco per la giornata di lavoro, portò a casa Emiko. La bambina piangeva. Era stanca e aveva fame e sonno.
“Scusami se vado via così presto, tesoro, ma domani mattina devo portare questo mostriciattolo dalle tue amiche.” Fece il solletico al pancino della bambina, che rise. “E poi devo andare al lavoro.”
“Non ti preoccupare, sei rimasto qui parecchio tempo. Ci vediamo domani sera, all'orario di visita.”
“Certo. Porterò anche Emiko.!
E fu così che Lucia rimase sola con il bambino, che dormiva fra le sue braccia. Non osò muoversi per paura di svegliarlo e, al solo guardarlo, una singola lacrima le rotolò giù per la guancia. Era già diventata mamma quando aveva avuto Emiko in affidamento e poi l'aveva adottata, ma adesso che aveva avuto un figlio che era cresciuto nel suo ventre si sentiva ancora più donna. Non si era quasi resa conto di quella trasformazione fino a quel momento.
“Ti amo!” esclamò e poi gli diede un bacio in testa.
I suoi capelli morbidi le solleticarono le labbra.
Lo mise nella culla e poco dopo un'infermiera venne a portarlo nella nursery. Poi per Lucia arrivò il momento di cenare e dopo andò a letto. Avere lì i parenti era stato bello, soprattutto perché aveva visto i suoi genitori. Tutti erano statti molto educati e avevano parlato piano per non spaventare o far piangere Toshi, ma il parto l'aveva sfinita e si diceva che la stanchezza che ora provava era sempre frutto di quanto accaduto il giorno prima. Si addormentò quasi subito, anche se dopo due ore dovette svegliarsi per allattare, e dopo altre due ore un'altra volta, così per tutta la notte.
Rimase in ospedale per altri due giorni, e uno di questi Kaito, che venne senza Emiko, le regalò un mazzo di ventitré rose rosse.
“Perché ventitré?” gli chiese Lucia.
“Perché è il giorno in cui è nato nostro figlio.”
Lei sorrise.
“Grazie.”
La mattina in cui la dimisero, Kaito le disse che la macchina era nel parcheggio dell'ospedale. C0era anche Emiko con loro. Lucia stava infilando a Toshi una tutina a righe che le aveva regalato sua madre. Uscirono dall'ospedale salutati dalle infermiere che augurarono loro buona fortuna.
Una volta arrivatial parcheggio, Lucia mise Toshi nel seggiolino che avevano comprato, che aveva anche una protezione per il corpo in modo che, se ci fosse stato un incidente, il bimbo non si sarebbe fatto male. Il viaggio fino a casa fu tranquillo, ma quando arrivarono il bambino richiese altro latte. Non mangiava da tre ore. Lucia si ritirò in camera sua e lo allattò,, poi lo fece addormentare e lo mise nella culla accanto al letto che condivideva con Kaito. Scese e accese lo stesso orsetto che aveva utilizzato per Emiko, così che, se il bambino si fosse svegliato, l'avrebbe sentito.
Quel giorno, nessuno venne a trovarli, nemmeno Hanon, Rina e Nikora. Probabilmente volevano lasciare loro un po' di privacy e Kaito e Lucia furono loro grati per questo. Coccolarono i loro bambini, giocarono con Emiko e si occuparono di Toshi, che doveva mangiare ed essere cambiato spesso.
La prima notte fu difficile. Il bambino si svegliò dieci volte, alcune per mangiare, altre per essere cambiato, altre ancora solo per le coccole.
“È il tuo turno” disse Lucia a Kaito.
“No, il tuo.”
“No, il tuo.”
Il bambino smise di piangere e i due ricaddero sui cuscini.
Le notti successive non furono da meno, ma dato che Kaito si era preso due settimane di ferie per stare con lei, Emiko e il piccolo anche lui si alzava per controllarlo.
Lucia aveva l’impressione di conoscere il suo bambino ora per ora, e tutta se stessa era dedicata alle sue cure e a quelle di Emiko. Li prendeva in braccio entrambi, ognuno su una gamba, e faceva il cavalluccio. Toshi era tranquillo, Emiko ridacchiava.
Una mattina di metà novembre, a colazione, mentre Toshi era nella carrozzina vicino a loro, Emiko disse:
“Famiglia.”
“Cosa, tesoro?” le domandò Kaito, che crecdeva di aver sentito male.
“Famiglia. Noi famiglia” disse, e mostrò un disegno che aveva fatto.
Erano schizzi infantili di quattro persone, due grandi, una piccola e una ancora più minuscola.
“Noi” chiarì, facendo commuovere i genitori.
“È un disegno bellissimo, tesoro!” esclamò Lucia.
Lo attaccarono con lo scotch a una delle pareti del salotto.
Sì, loro erano una famiglia, una famiglia unita. E non c'era cosa più bella di questa.
   
 
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