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Autore: Krgul00    17/03/2022    1 recensioni
Charlie è una donna con dei segreti stufa che questi la tengano lontana da suo padre, l'unica persona che può chiamare famiglia. Tornata al suo paese natale per ricucire il loro rapporto, Charlie si troverà coinvolta con l'affascinate nuovo sceriffo.
Ma ancora una volta, il non detto rischia di mettere a repentaglio ciò che ha di più caro.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO QUATTORDICI
Nella sua brevissima esperienza in stato di arresto, Charlie aveva passato poco meno di un’ora – checché ne dicesse Matthew –seduta ad un anonimo tavolo di metallo, in una stanza per interrogatori con il tipico vetro a specchio, e due agenti dell’FBI decisamente intimidatori che la guardavano in cagnesco.
Aveva avuto la sfortuna di farsi coinvolgere con un senatore di spicco che, al centro di un’indagine, fu arrestato per una lista di crimini, a scapito della società, a dir poco imbarazzanti. Sembrava, infatti, che l’uomo avesse sottratto cifre da capogiro ai fondi pubblici e, con l’aiuto di diversi complici, avesse messo su un losco giro d’affari da milioni e, per quel che ne sapevano, anche lei poteva essere invischiata in quella spiacevole storia.
Tutto ciò, per fare un favore a Matthew.
In ogni caso, i due federali si erano ritrovati a che fare con una donna completamente impassibile e più interessata alla sua manicure che alla sua situazione decisamente precaria. Nonostante le ricordassero costantemente quanto stesse rischiando, Charlie non aveva spiccicato una parola e nemmeno il suo linguaggio del corpo aveva rivelato il minimo indizio di disagio; soltanto più tardi, quando un collega era entrato avvisandoli che doveva esser rilasciata, Charlie s’era alzata e aveva augurato ad entrambi buon lavoro. Proprio come se per lei fosse venuto il momento d’abbandonare una riunione noiosa.
Effettivamente, all’epoca non era stata affatto nervosa; sapeva benissimo come sarebbero andate le cose: Matthew avrebbe chiamato e avrebbe risolto tutto.
Stavolta, nessuno sarebbe venuto ad intercedere per lei e, come allora, indossò gli abiti - un po’ dismessi - della donna indifferente, nonostante le prove lampanti che svettavano sul tavolo tra lei e suo padre. La differenza, però, fu evidente: quella sorta di divisa le risultò più stretta e scomoda; come se, tutt’un tratto, lei fosse troppo cresciuta per entrarvi. Come se fosse stata cosparsa di polvere pruriginosa e l’unica cosa che davvero desiderasse era togliersela di dosso.
Con l’agitazione che ancora le smuoveva le viscere, Charlie si avvicinò al frigorifero e ne tirò fuori il suo succo d’arancia. Se la prese con calma, versandosi un generoso bicchiere, prima di voltarsi verso suo padre. Appoggiata al piano della credenza, assaporò con finta nonchalance la sua bevanda zuccherosa, non distogliendo lo sguardo dai suoi occhi blu, sempre più ombrosi man mano che il tempo passava senza ricever risposta.
“Ho dormito da un amico.” Inclinò il bicchiere verso di lui, in un gesto di riconoscimento. “Scusami se non ti ho avvisato, mi sono distratta.”
Le orecchie di suo padre si arrossarono di irritazione repressa e lei inclinò la testa su una spalla, studiandolo attentamente. Era strano che si stesse trattenendo in quel modo, a quest’ora avrebbe già dovuto iniziare ad urlare; eppure, stava facendo di tutto per evitare d’esplodere.
Evidentemente, era intenzionato a capire fino in fondo il motivo che avesse spinto sua figlia a comprare una pistola, e di certo grida di rabbia non avrebbero aiutato a fare chiarezza. Tuttavia, l’agitazione repressa della donna sembrò avesse un andamento direttamente proporzionale alla calma apparente dell’uomo: più lui si mostrava tranquillo e più le si annodava lo stomaco.
“Luke Thomson?”
In un’altra situazione, Charlie avrebbe riso per lo sprezzo con cui pronunciò quel nome. Diversi giorni prima, quando il vicesceriffo era passato a prenderla per il loro appuntamento a quattro, suo padre non era parso affatto contento di saperla con il famigerato sciupafemmine del paese; tuttavia, date le circostanze, non ci badò poi molto.
“No.” Ammise, prima di svuotare il contenuto del bicchiere che ancora stringeva tra le dita.
Stephen aspettò, invano, che la figlia si chiarisse. “Allora chi è questo misterioso amico?” Domandò, infine, con irritazione.
Charlie si limitò a scrollare le spalle, posando il bicchiere sul ripiano dietro di lei. Incrociò le braccia al petto e, con un veloce movimento del mento, indicò l’arma davanti a lui. “Ho il permesso per quella.” Disse, stufa di ignorare l’enorme elefante nella stanza.
“Fammelo vedere.” Ribatté subito lui, sfidandola con gli occhi, palesemente convinto che stesse mentendo.
Sarebbe stato davvero facile per lei accontentarlo, ma desiderava che suo padre le credesse e basta, non solo perché un pezzo di carta gli assicurava che quella fosse la verità.
Santo cielo, Logan si fidava di lei nonostante avesse tutti i motivi per dubitarne – proprio come lui.
Inoltre, possedere una pistola non significava nulla; anche suo padre ne aveva una e, dicerto, lei non gli aveva mai rivolto uno sguardo di biasimo per questo.
“No.” Ripeté ancora e, a quella sillaba, il rossore sulle orecchie dell’uomo si spostò verso il basso, macchiandogli il collo. Stephen aprì la bocca, ma Charlie lo precedette, ponendogli la domanda che non aveva mai avuto il coraggio di fare: “Perché credi che io sia una spacciatrice?”
Sicuramente rimase spiazzato dal modo tranquillo e diretto con cui glielo chiese, perché non riuscì a nasconderle il suo imbarazzo. Si irrigidì sulla sedia e assottigliò lo sguardo. “Non credo tu sia una spacciatrice.” Rispose con cautela, guardandola come a chiedere conferma che facesse bene a pensarlo, ma tutto ciò che ottenne da lei fu un sopracciglio biondo inarcato. Sospirò, prima di ammettere: “Però, lo so che sei coinvolta in qualcosa di losco.”
“Perché?”
Sbatté la mano sul tavolo a quell’insistenza, ma Charlie non sussultò nemmeno e assistette con calma alla sua sfuriata, come se fosse una semplice spettatrice.
“Davvero hai il coraggio di chiedermelo? Mi sono fatto migliaia di chilometri per venirti a trovare e l’unica cosa che trovo è uno stramaledetto Starbucks in cui nessuno ti aveva mai sentito nominare!”
Ultimamente sembrava avesse sviluppato un vero talento per far sbottare gli uomini della sua vita.
“Ho pensato che mi fossi sbagliato, figurati se avrei mai potuto pensare che mi avessi mentito per anni. E quando ti ho chiesto di nuovo dove lavorassi, tu mi hai riempito delle stesse bugie! Quindi si, credo che tu abbia preso una brutta strada. Puoi davvero biasimarmi, dopo che ti presenti con una macchina nuova, quei vestiti che di certo non appartengono a qualcuno che se la passa male e ti rifiuti di darmi delle spiegazioni?”
Pian piano, la sua indignazione evaporò, come un’entità demoniaca che abbandonava il suo corpo, e il tono dell’uomo, verso la fine, ritornò normale.
Charlie non poté sostenere il suo sguardo pieno di dolore, ed abbassò la testa sulle sue scarpe.
Quando, quel giorno di sette anni prima, suo padre l’aveva chiamata chiedendole chiarimenti riguardo il suo presunto ufficio, lei era stata impegnata con il suo vero lavoro e, troppo distratta, non aveva fatto caso a quella domanda tanto strana.
Aveva capito cos’era successo nel momento in cui, qualche mese dopo, aveva varcato la soglia della sua casa d’infanzia – quella stessa casa – e suo padre le aveva riversato addosso tutta la sua frustrazione.
In ogni caso, la sua domanda era stata ben diversa, sapeva perfettamente come stavano le cose, non aveva bisogno che suo padre glielo ricordasse; pertanto, non demorse, e riprovò: “Perché non la spogliarellista?” Domandò, osservandolo da sotto le ciglia, i corti capelli biondi che le coprivano una parte del viso.
Naturalmente, Stephen credette di aver sentito male. “Cosa?”
Lei si raddrizzò, sempre appoggiata al ripiano della cucina. “Perché non hai pensato che potessi fare la spogliarellista? Magari è per questo che te l’ho nascosto, mi vergognavo…”
Ovviamente, nel corso degli anni, ogni volta che si era ritrovata da sola nel freddo letto del suo appartamento a contemplare il soffitto, Charlie aveva ripensato a quel litigio che aveva deteriorato – e quasi spezzato – il loro rapporto.
Ciò che più le aveva fatto male era stata la conclusione immediata a cui suo padre era arrivato. Aveva pensato a quanti possibili motivi potesse avere una persona per celare le verità che lei stessa stava nascondendo.
Poteva aver sposato in segreto un uomo estremamente ricco, ma incredibilmente vecchio, per poter vivere da mantenuta. Poteva essersi innamorata di un’altra donna e, insicura della sua reazione, aveva iniziato a   condurre una doppia vita. Poteva aver intrapreso una carriera nell’industria pornografica e voleva che suo padre ne rimanesse all’oscuro.
Insomma, c’erano davvero tante spiegazioni plausibili; eppure, lui la credeva capace di delinquere. E la cosa che più la indispettiva era che, con l’istruzione che aveva ricevuto, sembrava proprio che Stephen Royce lo ritenesse possibile!
Perciò, osservò con un pizzico di soddisfazione il viso di suo padre diventare pallido e, ad occhi sgranati, sussurrare con orrore: “È vero?” Deglutì. “Fai la spogliarellista?”
Per un momento, si limitò a fissarlo, lasciandolo cuocere a fuoco lento, solo per torturarlo un po’.
“No.” Rispose infine, un angolo delle labbra che si sollevò verso l’alto con fare ironico. “Ma avrei potuto, dico bene?”
La bocca dell’uomo s’assottigliò. “Ti sembra un buon momento per degli stupidi giochetti?”
Si fissarono per un lungo istante e un silenzio pesante si posò su di loro, prima che suo padre riprendesse a parlare, tornando all’argomento principale. “Lo neghi ancora, nonostante l’evidenza?” Chiese, distogliendo brevemente gli occhi dai suoi, per posarli sull’arma e poi tornare a guardarla.
“Possedere una pistola non è un reato.” Osservò. “Sai, invece, cosa lo è? La violazione della privacy.”
Certamente, lei non era la persona più qualificata per fare la morale a suo padre, almeno non su quell’argomento in particolare; tuttavia, la infastidiva che avesse sentito il bisogno di frugare nella sua camera.
In ogni caso, lui non parve a disagio; anzi, sembrò piuttosto fiero d’aver trovato la Glock che teneva nella valigia. Era sicura che sarebbe stato pronto a rifarlo, se questo avesse significato – ai suoi occhi – tenerla fuori dai guai. Per questo non riuscì ad avercela troppo con lui.
“Sei mia figlia e questa è casa mia.” Si giustificò.
Charlie scosse la testa e sospirò, amareggiata. “Non vuol dire niente, lo sai benissimo.”
Stephen, però, era determinato ad arrivare fino in fondo a quella storia. “Cosa hai fatto per far infuriare lo sceriffo Moore?”
Quello la sorprese; infatti, la donna non sapeva che l’episodio di quella mattina fosse sulla bocca di tutti in città. Ripensò alle donne del comitato cittadino, tutte affacciate alla finestra a ficcanasare e si massaggiò la fronte, sconfitta. “Non era arrabbiato.” Borbottò, improvvisamente esausta.
Allo sbuffò derisorio del padre, che ovviamente non le credette – si chiese perché continuasse a farle domande, se tanto quello era il risultato – Charlie si raddrizzò, decisamente infastidita dal suo atteggiamento.
“Vuoi chiederglielo tu stesso? Magari possiamo invitarlo qui e, già che ci sei, potresti convincerlo a chiedermi il porto d’armi.” Lo sfidò e poi, tra i denti, aggiunse: “Sempre che tu ci riesca…”
Immaginò suo padre che tentava di persuadere Logan in quel proposito, era sicura che sarebbe stato molto più facile convincerlo a rubare il deambulatore ad una vecchietta.
L’uomo si appoggiò allo schienale, ostentando tranquillità; ma la sua mano, chiusa a pugno davanti a lui, raccontava ben altra storia. “Quindi, anche questa volta, non mi darai alcuna spiegazione.” Si limitò a constatare, ancora sorprendentemente calmo.
Lei rimase in silenzio, sempre appoggiata al ripiano e sempre con le braccia conserte. Quindi, fu testimone della tempesta che infuriò in quegli occhi blu: il conflitto tra l’amore d’un padre e il dolore delle scelte che, a volte, esser genitore comporta. E il Maggiore Royce era sicuramente un uomo duro, che per il bene di sua figlia, poteva trovare la forza di prendere la decisione più difficile. “Se è così, te l’ho detto, non puoi rimanere in questa casa…” Disse a bassa voce, come se gli costasse fatica e la sua sofferenza fece da eco a quella di Charlie.
Non riusciva a capire perché quell’uomo, che era sangue del suo sangue, non potesse trovare un po’ di fiducia da darle. Era una delle cose che desiderava di più al mondo; eppure, ogni volta che arrivava quasi a toccare il traguardo, veniva tirata nuovamente indietro, come in un maledetto loop infernale.
Le si chiuse la gola e batté ripetutamente le palpebre, cercando di trattenersi dal crollare.
Si voltò verso la finestra, in un ultimo disperato tentativo di celare la sua vulnerabilità. Le sfuggì una lacrima, però, che si fece lentamente strada lungo la sua guancia destra, quella nascosta alla vista.
Non l’asciugò, lasciò che la sua tristezza le bagnasse la pelle e così, quella sorta di monito, la spinse ad abbandonare i vestiti dell’indifferenza e a parlare, come una semplice figlia davanti alla delusione d’un padre.
“C’è mai stata una volta in cui hai pensato bene di me?” Chiese in un soffio e quella domanda mormorata, unico suono nel silenzio tormentato, colpì Stephen. Non solo per le parole tremanti ma, soprattutto, per la profonda amarezza di cui erano pregne. E quando si girò a guardarlo, vide le iridi di lei lucide di lacrime e fu evidente che solo la sua forza di volontà le tenesse a bada; con orgoglio – copia del suo – Charlie lo fissò dritto negli occhi.
L’emozione che vi vide gli ricordò la sua bambina che, caduta sull’asfalto, si sbucciava le ginocchia e correva da lui con la sicurezza che suo padre avrebbe aggiustato ogni cosa; tuttavia, adesso, quella luce s’era spenta e Stephen si rese conto che, fino ad allora, sua figlia s’era volutamente sottratta al suo sguardo e lui non era stato in grado di vederla davvero.
Ogni volta che avevano avuto un confronto, Charlie non aveva mai mostrato rimpianto, dolore o una qualsiasi altra emozione se non l’indignazione. E Stephen aveva creduto che, difronte ad accuse del genere da parte di un genitore, qualsiasi figlio avrebbe mostrato un’emozione differente dal semplice sdegno.
Pertanto, tutta la sofferenza che la donna si portava nel cuore lo sommerse, come acqua che esonda dagli argini: con forza e senza pietà.
Ignara del profondo turbamento dell’altro, Charlie continuò; non aveva ancora finito, infatti, e non sembrò in grado di frenare le parole seguenti, che contribuirono a togliergli il fiato, ognuna come una coltellata al petto.
“Immagino di no, eh? Nemmeno quando avevo quindici anni. D’altronde, ho sbagliato una volta e sono finita alla scuola militare.” La vide deglutire, ma la sua voce non si incrinò, lampante segno del suo incredibile autocontrollo. “L’ho fatto solo per aiutare Diddi, ma per te ero già una criminale: l’hacking è un reato.” Scimmiottò con sprezzo la voce di lui quando, all’epoca, l’aveva rimproverata per aver acceduto senza permesso al computer della scuola. “Avevo quindici anni! Come diavolo potevo saperlo!?” Si appoggiò alla credenza, respirando profondamente per ritrovare la calma. “Ed ora, ho mentito, non sono in ristrettezze economiche ed ho una pistola. Però, ti giuro che non ho mai violato la legge.” Almeno non come lo intendeva lui. “Ma la mia parola non conta nulla, vero? Perché sono solo una delusione…” Sospirò, leggermente tremante. “Evidentemente, non merito nemmeno il beneficio del dubbio. Sbagli una volta, sbagli per sempre.” Rise amaramente, scuotendo la testa, e le sfuggì un’altra lacrima che cadde sul pavimento. “Forse hai ragione, dovrei semplicemente andarmene e non farmi più vedere.” Sussurrò infine, sconfitta.
Il silenzio calò ancora una volta tra loro e Charlie cercò di trovare la forza di fare ciò che aveva detto, ma non riuscì a muoversi.
Tornò a fissare fuori, dove il buio avvolgeva ogni cosa, nella speranza di capire come rimediare, perché la verità era che non poteva costringersi a lasciare quella casa. Non voleva lasciare suo padre.
Aprì la bocca, pronta a scusarsi, pensando che così avrebbe potuto risolvere un poco le cose, ma un suono sconosciuto infranse il silenzio.
Si voltò di scatto verso di lui, ancora seduto e con la testa tra le mani. Non poteva vederlo in faccia, perciò, avrebbe potuto credere d’aver immaginato quel singhiozzo; senonché, vide le sue spalle tremare e seppe che l’impensabile era accaduto: il Maggiore Stephen Royce stava piangendo.
Mai, prima d’allora, l’aveva visto piangere; pertanto, quella reazione inaspettata le fece paura.
Esitante, si avvicinò. “Papà?”
Solo quando fu di fianco al tavolo, l’uomo parlò.
“Ho amato tua madre con tutto me stesso.” Iniziò con voce spezzata. “Sai, più volte, la signora Lews mi ha suggerito di reagire, di trovare qualcun altro; però, mi sono sempre chiesto come potesse solo pensare che avrei potuto sostituirla. Lei era la mia una volta su un milione. Quando ci siamo sposati ero convinto che non avrei mai potuto amare nessuno più di così; finché, non sei nata tu.” Stephen alzò il viso e per poco non le si fermò il cuore alla vista dell’emozione nei suoi occhi umidi. “Tua madre era l’amore della mia vita, ma tu sei la mia vita, Charlie. E quando ti ho preso tra le braccia, così piccola e fragile, ho avuto il terrore che non sarei stato adatto.
Non ho mai avuto un buon rapporto con tuo nonno, fu lui ad insistere affinché scegliessi la carriera militare. Solo con il passare degli anni, troppo tardi, capii e gliene fui grato. Però, non volevo essere quel tipo di padre per te.” Sbuffò, con amarezza. “E invece guardami, mia figlia nemmeno sa quanto io la ami.”
Charlie si lasciò cadere sulla sedia, vicino a lui, con le mani in grembo. Troppo stordita da quell’improvviso cambio di rotta per riuscire a muoversi e toccarlo.
“Potevo contare sulla dolcezza di tua madre, per ammorbidire tutti i miei spigoli; finché, la leucemia me l’ha portata via. Le ho promesso che avrei fatto del mio meglio con te, che non ti sarebbe mai mancato niente e le cose sono andate bene per un po’. Eravamo felici, non è vero?” Le sorrise, un po’ amaro e un po’ titubante. Si passò entrambe le mani tra i capelli, con forza, prima di continuare. “L’hacking è un reato e se a quindici anni non lo sapevi, la colpa è mia. È successo sotto ai miei occhi e nemmeno me ne sono accorto.” Si fissò le mani, chiedendosi come avesse potuto permettere che accadesse. “Probabilmente, ho esagerato a mandarti alla scuola militare, ma mio padre ha fatto così con me, e ha funzionato. Me ne sono pentito non appena ti ho lasciato lì; eppure, mi sono detto che era la cosa migliore. Sicuramente, se ci fosse stata tua madre, sarebbe riuscita a farmi ragionare, ma ero troppo spaventato.”
L’uomo si piegò sul tavolo sotto la forza del singhiozzo che lo sconquassò, come se volesse proteggere la parte più vulnerabile di sé. “È stata la decisione più difficile della mia vita, e scoprire che non è servito a niente…”
Lo aveva sconvolto e il dolore che gli aveva causato fu palese, anche se non riuscì a quantificarlo a parole.
“Ho pensato al peggio e non perché non mi fido di te, Charlie.”
Perché aveva creduto che la sua più grande paura fosse diventata realtà: esser un fallimento come padre e, anche se non lo disse, Charlie capì: tutto il biasimo che gli aveva sempre visto negli occhi era solo per sé stesso.
Erano sette anni che lei e Stephen non s’abbracciavano, ma le venne naturale sporgersi verso di lui e circondargli goffamente le spalle. Si ritrovarono entrambi piegati in avanti sul tavolo, quindi, le teste vicine e le braccia di lei sopra di loro, come a proteggerli dal mondo esterno.
“Mi dispiace tanto, papà.”
L’uomo poggiò la testa sul suo avambraccio, voltandosi a guardarla negli occhi, senza staccarsi. Ormai, entrambi stavano piangendo e, tra la nebbia delle lacrime, Charlie vide la mano di suo padre allungarsi verso di lei. Le si poggiò delicatamente sulla guancia, e il suo pollice iniziò ad asciugarle il pianto.
“A volte, mi ricordi così tanto tua madre...” Rimase sorpresa da quell’ammissione.
Suo padre non le aveva mai parlato della madre e, con il passare degli anni, Charlie aveva smesso di chiedere, vedendo il dolore che le sue domande gli provocavano. Anzi, era strano che si fosse lasciato sfuggire così tante cose al riguardo; perciò, ne approfittò subito: “Davvero?”
Lui annuì. “Era sempre pronta a scusarsi, anche quando ero io a fare l’idiota orgoglioso.” Scosse la testa, con un triste sorriso affettuoso a quel ricordo.
Muovendosi in avanti, per abbracciarla a sua volta, Stephen inciampò con il gomito nella pistola, ancora sul tavolo, e il rumore metallico che produsse li fece voltare entrambi verso l’oggetto.
Per un lungo momento, entrambi non dissero nulla, limitandosi a fissare la Glock, come due cerbiatti abbagliati dai fari di un’auto.
Non si separarono, e con un sospiro, Charlie non trovò affatto difficile confessare: “Mi piace andare al poligono di tiro.”
Vide crescere lo stupore sul viso di suo padre e sorrise timidamente, piena di speranza che quella verità – l’assoluta verità – gli bastasse. “Sul serio?”
Annuì. “Lo adoro. Alcuni per rilassarsi prendono a pugni un sacco da box, ma niente mi distende i nervi come crivellare di pallottole la sagoma del tiro a segno.”
Sorprendentemente, lui scoppiò a ridere. Una risata di pancia, un po’ isterica ma comunque autentica, che rilassò l’atmosfera.
“Mi sbagliavo.” Cercò di dire, mentre ancora ridacchiava. “Non hai ripreso da tua madre, ma da me.”
Le labbra di lei si schiusero ancora di più, quella era la cosa più bella che potesse dirle; infatti, nonostante le loro divergenze, Charlie amava suo padre e, senza dubbio, lo ammirava.
Da quando era tornata a casa, non s’era mai sentita così vicino a lui e non voleva che l’enorme passo in avanti di quella sera risultasse vano; pertanto, sulla scia del suo desiderio di far più chiarezza possibile, Charlie prese una decisione: basta sotterfugi e menzogne. Questa volta, il loro rapporto si sarebbe retto su basi solide.
Si sciolse da quell’abbraccio e si raddrizzò. “Papà.” Lo richiamò con determinazione, guardandolo negli occhi. “Logan ed io abbiamo una relazione.” Disse, tutto d’un fiato. Non si sarebbe mai aspettata di ritrovarsi, a ventotto anni, come una bambina che confessa le sue marachelle; eppure, eccola lì.
“D’accordo.”
Charlie non sapeva cosa aspettarsi ma, tra tutti i possibili scenari, non aveva considerato quell’assenzo così veloce e comprensivo. Lo guardò attentamente in viso e arrivò subito ad una conclusione sconvolgente: “Non sei sorpreso.”
“Non più di tanto, in effetti.” Ammise. “Non sono diventato improvvisamente cieco, dovrai esserti resa conto anche tu di come ti guarda quell’uomo…”
Charlie aveva un’idea perfettamente chiara di come la guardasse Logan, soprattutto quando erano da soli e i suoi occhi scuri si facevano liquidi di passione e desiderio. Al solo pensiero, sentì improvvisamente caldo. Le sue guance si arrossarono sotto lo sguardo attento di suo padre, che sembrò oltremodo divertito dalla reazione così spontanea della figlia. Con un sorrisetto, infatti, commentò: “Immagino di sì.”
Ma parve arrivare anche ad un’altra conclusione, perché Stephen sospirò e il suo sorriso scomparve. “Ho visto anche il modo in cui lo guardi tu, quando credi che nessuno ti veda, Charlie. Sinceramente, sono felice che tu non mi abbia dato ascolto. Non voglio che tu creda di dover rinunciare ad una cosa del genere. Devi capire che, quello che ti ho detto, era solo dovuto al fatto che-”
La mano di lei prese la sua, interrompendolo: “Lo so, papà. Non ha importanza.”
Non face fatica ad immaginare cosa avesse dovuto pensare suo padre, sentendo che sua figlia aveva fatto infuriare lo sceriffo che - aveva intuito - aveva un debole per lei. Si era spaventato, e le paure che aveva iniziato a superare negli ultimi mesi passati insieme erano tornate a galla.
Inoltre, avendo colto quel loro interesse reciproco, suo padre non era più tornato sull’argomento; di fatto accettando qualsiasi sviluppo gli eventi avrebbero portato.
In ogni caso, in una situazione così complicata, era impossibile indicare qualcuno su cui far ricadere l’intera colpa, e Charlie non aveva mai pensato che parlarne con suo padre avrebbe risolto le cose.
Prima di allora, non erano mai riusciti a portare avanti una conversazione di quel tipo senza che lui iniziasse ad urlare o lei tirasse fuori il suo sarcasmo graffiante.
“Credi che…” Iniziò lei, un po’ esitante. “Potremmo superare tutto questo? Ricominciare da capo?” La sua espressione le disse già quale sarebbe stata la risposta; tuttavia, non riuscì a fermarsi ed aggiunse: “Ho solo bisogno di un po’ di tempo.”
Ad entrambi sembrò di liberarsi d’un fardello che per troppo tempo aveva gravato sulle loro spalle, quando Stephen disse: “Tutto il tempo che ti serve, piccola mia.”
   
 
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