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Autore: Krgul00    25/03/2022    1 recensioni
Charlie è una donna con dei segreti stufa che questi la tengano lontana da suo padre, l'unica persona che può chiamare famiglia. Tornata al suo paese natale per ricucire il loro rapporto, Charlie si troverà coinvolta con l'affascinate nuovo sceriffo.
Ma ancora una volta, il non detto rischia di mettere a repentaglio ciò che ha di più caro.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO QUINDICI
Seduta ad uno dei tavoli all’aperto, Sylvie Moore guardò suo nipote infilare un bastone nella pancia bianca e tonda di un pupazzo di neve. Con la chiusura delle scuole, era normale che la piazza centrale fosse sempre gremita di bambini che giocavano e che facevano lunghe battaglie a palle di neve.
In quel caso, poi, puntualmente il signor Myers agitava il suo bastone da passeggio in aria, rimproverando quei giovani teppisti che avrebbero potuto rischiare di colpirlo in pieno e iniziava, quindi, una lunga invettiva in cui sosteneva che, ai suoi tempi, c’era più rispetto per gli altri e, in particolare, per chi passeggiava per la piazza.
In ogni caso, non appena si allontanava, la battaglia – momentaneamente placata – riprendeva, più furiosa di prima.
Sylvie adorava quel periodo, e quel che contraddistingueva il Natale a Sunlake da quello in qualsiasi altra città era l’atmosfera di comunità e condivisione che era possibile creare solo in realtà così piccole.
Alla mattina del venticinque, ad esempio, iniziava una sfilata di vassoi pieni di leccornie di ogni tipo e per l’ora di pranzo ogni singolo abitante del paese era seduto ad uno dei tavoli della piazza. Nel pomeriggio, si procedeva con i festeggiamenti, fatti di balli e canti a cui prendevano parte sia i più piccoli sia gli adulti e, sotto le piccole luci bianche che illuminavano la sera, era impossibile non sentire un forte senso di appartenenza a quel paese e a quelle persone.
Tuttavia, la festa che Sylvie preferiva di più in assoluto, tra le tante, era quella di Capodanno.
Per l’occasione, era tradizione che venissero organizzati gare e giochi d’abilità: si iniziava nel primo pomeriggio, scandito dal susseguirsi delle competizioni, per poi passare alla cena e alle premiazioni, finché non arrivava la mezzanotte.
Tra le donne, il trofeo più ambito – per il quale partecipava anche lei – era quello de La Torta Più Buona, votata da coloro che prendevano un assaggio di ogni torta in gara – cioè tutti.
In teoria vi partecipavano almeno quindici donne ma, alla fin fine, quel premio era conteso essenzialmente tra tre: Doroty Andrews, Daisy Peterson e Sylvie stessa.
Quell’anno se l’era aggiudicato Daisy, per la seconda volta consecutiva, con la sua torta al triplo cioccolato.
Lei era dell’idea che quella scelta fosse assolutamente scorretta; era impossibile, infatti, vincere contro una torta del genere: non appena i bambini la vedevano vi si fiondavano subito e, per quanto buona potesse essere la torta alla nocciola di Sylvie, votavano in massa quella della signora Peterson come la migliore.
Tuttavia, le regole erano chiare: si poteva presentare qualsiasi torta, bastava che non fosse lo stesso tipo dell’anno prima.
Nonostante la vittoria di Daisy non avesse sorpreso nessuno, i colpi di scena non erano mancati dicerto.
Infatti, tra gli uomini, la competizione più importante era sempre stata il tiro al bersaglio e per lo scopo veniva allestito un baracchino, con cinque scaffali pieni di lattine di ogni dimensione, dotato di un fucile a piombini che doveva essere maneggiato con estrema cura e, per motivi di sicurezza, la gara era riservata unicamente ai maggiori di diciotto anni.
La sfida consisteva di cinque eliminatorie, per poi arrivare in finale: chi abbatteva più obbiettivi poteva passare alla fase successiva, fino ad esaurimento dei posti consentiti.
Era Stephen Royce a detenere il record di trofei vinti: ben ventisette, e Sylvie sospettava che sarebbe riuscito a vincerne ancora, se solo, più di dieci anni prima, non avesse inspiegabilmente smesso di inscriversi.
In ogni caso, il primo premio aveva preso il suo nome: coppa Royce e, da quando era diventato maggiorenne, Cameron Harris aveva iniziato la sua scalata verso la vetta, nella speranza che, se avesse superato quota ventisette, il premio avrebbe preso il suo, di cognome.
Nonostante gli avessero spiegato più volte che, in ogni caso, non sarebbe successo, l’uomo non voleva sentire ragioni e, in dieci anni, aveva accumulato ben otto premi, stabilendo così il secondo punteggio migliore dopo quello di Stephen.
Secondo Sylvie, quell’impresa era stata possibile soprattutto perché suo figlio aveva deciso di non prendervi parte. Lo sceriffo, infatti, non riteneva corretto partecipare, e lasciava volentieri agli altri il compito di contrastare il competitivissimo Cameron.
Nessuna donna aveva mai vinto quel trofeo e, a voler esser più precisi, nessuna mai si era iscritta come concorrente; pertanto, il solo fatto che Charlie Royce avesse avuto intenzione di partecipare era già stato un evento degno di nota.
All’inizio, nessuno degli altri, tantomeno Harris, si era minimamente preoccupato di quella concorrenza; tuttavia, non appena la donna aveva abbattuto tutti gli obbiettivi, senza mancarne nemmeno uno, sotto lo sguardo attonito dei presenti, era diventato evidente che il trofeo rischiava d’esser vinto nuovamente da qualcuno che ne portasse lo stesso nome.
Il fatto che, poi, al terzo turno, ancora non avesse mancato un colpo aveva, ovviamente, richiamato l’attenzione di Cameron Harris che, improvvisamente, aveva riscoperto delle nuove regole.
“Non può partecipare. Non si è mai sentito di una donna che vince questo premio.” Aveva protestato ad alta voce, rivolgendosi non si sa bene a chi e facendosi spazio tra la calca di gente che era rimasta ad osservare lo spettacolo.
Non era stata Charlie a rispondergli, bensì Maddie Foster, e Sylvie non poteva sapere dell’ostilità che correva tra la donna e Cameron, nata nel momento in cui lei aveva nascosto un serpente finto nel sottobanco dell’altro, spaventandolo a morte.
“Cos’è, hai paura di un po’ di competizione?” Lo aveva sbeffeggiato, spalleggiando l’amica, che era sembrata alquanto indifferente da quelle assurde rimostranze.
Harris, che aveva imparato ad ignorarla nel corso degli anni, si era rivolto direttamente a Charlie. “Cosa vuoi fare? Vuoi vincere il kit da barba in palio?” L’aveva derisa, avvicinandosi sempre di più.
Era stato bloccato, però, nella sua avanzata, dalla mano di Logan che lo aveva trattenuto per una spalla e, convinto che lo sceriffo l’avrebbe sostenuto, Cameron le aveva rivolto un arrogante ghigno di vittoria. “Diglielo anche tu, Logan.”
“Chiunque sia maggiorenne può partecipare…” Gli aveva fatto notare l’altro, in tono asciutto, lasciandolo andare, non appena fu a una distanza più appropriata.
Dall’espressione sul viso di Harris, era stato palese che si fosse sentito tradito da quella sentenza. “Come sarebbe? Ci sono delle regole, non possiamo semplicemente ignorarle e permettere ad una biondina qualsiasi di-”
A quelle parole lo sceriffo aveva alzato semplicemente la mano, imponendo – ed ottenendo - il silenzio, ed anche Sylvie – che era stata abbastanza vicina – era rimasta sorpresa dalla scintilla di pericolo che gli aveva attraversato per un momento lo sguardo.
“Forse non ti è chiaro che qui le regole le faccio io, Cameron. Sei liberissimo di lamentarti se vuoi ma, ti avverto, stai molto attento a quello che dici.” Gli aveva suggerito con una calma completamente opposta al furore del suo sguardo.
Dunque, anche se Charlie non avesse vinto la gara, quel confronto avrebbe reso memorabile quel Capodanno; invece, la donna era salita sul gradino più alto del podio – con enorme gioia di tutti e indicibile disappunto di Harris - sventolando orgogliosa il suo nuovo rasoio elettrico da barba, con una gioia così esuberante che si sarebbe potuto dire fosse tutto ciò che aveva mai desiderato.
Poi, con stupore di tutti, aveva abbracciato suo padre e, ogni volta che ci ripensava, Sylvie riusciva a sentire la risata di Stephen riecheggiarle nelle orecchie. Dubitava che qualcuno l’avesse mai sentito ridere in quel modo, ed era stato assolutamente strabiliante.
In ogni caso, senza nemmeno accorgersene, era arrivata l’Epifania che avrebbe messo un punto a quel periodo meraviglioso. Tuttavia, Sylvie ignorava completamente che, anche quel giorno da lei tanto odiato, poteva riservare delle magiche sorprese.
Venne, quindi, riscossa dai suoi pensieri dalla voce di Gracie Howard, seduta vicino a lei.
“Accipicchia, guarda lì quel sorriso.” Commentò all’indirizzo di Daisy Peterson.
Distogliendo l’attenzione da Jake, anche Sylvie seguì lo sguardo della donna, finché i suoi occhi non si posarono su suo figlio.
In piedi, a diversi metri da loro, vicino ai tavoli del rinfresco, Logan stava parlando con Luke Thomson, cosa nient’affatto sorprendente, se non fosse che parve insolitamente distratto, come se non riuscisse proprio a mantenere la concentrazione fissa sull’amico davanti a lui e, dall’espressione infastidita sul viso dell’altro, fu evidente che il suo vice non apprezzasse molto quella poca considerazione.
Non poteva sapere che, in realtà, in seguito alla scoperta di quanto Charlie fosse invischiata nelle loro indagini e con la consapevolezza che lo sceriffo – forse un po’ manipolato - non aveva intenzione di fare nulla al riguardo, i rapporti tra Luke e la donna si erano notevolmente raffreddati; tanto che, l’uomo aveva quasi smesso di prender parte ai loro soliti pranzi.
La cosa strana, però, era come si prestasse ancora ad ordinare i fiori dalla signora Young, in vece dell’altro.
Ad ogni modo, incuriosita, Sylvie seguì lo sguardo del figlio fino alle tre donne che parlavano più in là: Maddie Foster, Aubrey Morgan e Charlie Royce.
“Oh mamma, eccolo di nuovo.” Disse Daisy, dandole un colpetto nelle costole, come se non avesse già la sua completa attenzione.
Osservò con stupore il pigro sorriso obliquo che piegò le labbra di Logan e anche lei dovette trattenere il fiato a quella vista; tutti conoscevano bene quel sorriso, e l’unico a beneficiarne era sempre stato Jake.
“Credo si sia preso una bella cotta per la signorina Morgan, Sylvie.” Cinguettò Gracie e subito Daisy si disse d’accordo, ridacchiando. Ma lei le sentì appena, concentrata com’era sulla scena.
E non ebbe alcun dubbio, lo sguardo di Logan era tutto per l’insegnante di suo nipote.
Tornò di nuovo a guardare suo figlio, giusto in tempo per vedere il suo sguardo scivolare via dal suo interlocutore e fissarsi di nuovo al di là di Luke.
In quel modo, Sylvie non notò la fugace occhiata, piena di complicità, che Charlie Royce gli rivolse in risposta, o di come le sue labbra si schiusero lentamente in un sorriso pieno e seducente.
Nonostante i due non avessero più alcun motivo di nascondersi, visto che il Maggiore Royce era stato ormai messo a parte della cosa da settimane, la loro relazione rimaneva ancora un segreto.
Infatti, se Charlie aveva avuto delle remore in tal senso, era dovuto unicamente agli assurdi sentimenti di Annabelle King. 
Erano diventate amiche, per quanto incredibile potesse sembrare, ed ogni giorno le era sempre più chiaro che i sentimenti di Annabelle per Logan erano tutto, fuorché amore.
La donna ammirava profondamente lo sceriffo – come tutti del resto – e in lui vi vedeva un uomo leale, legato alla famiglia e non interessato affatto a relazioni senza significato. Sapeva che era gentile e che mai e poi mai l’avrebbe trattata in malo modo e – di fondamentale importanza - sua madre lo avrebbe approvato; d’altronde, non a caso era il miglior partito di tutta la contea di Lake Rock.
Quindi, Annabelle amava solo l’idea di Logan e, nelle poche occasioni in cui si era unita a loro per pranzo, aveva ampiamente dimostrato di non conoscerlo affatto.
Tuttavia, era davvero difficile – se non addirittura impossibile – dissuaderla da questa sua convinzione, e solo il cielo sapeva quante volte Charlie avesse provato a farla ragionare; pertanto, era perfettamente consapevole di non potersi limitare a rivelarle la verità, almeno non senza scatenare un melodramma.
Perché il resto non avrebbe avuto importanza: Annabelle l’avrebbe visto come un tradimento della loro neonata amicizia.
Era anche vero, però, che Charlie non poteva – e non voleva - nasconderle una cosa del genere all’infinito; dunque, avevano deciso, con Logan, di aspettare la fine del periodo natalizio, in modo da poterlo passare in serenità, e l’epifania era proprio l’ultimo giorno di tranquillità che gli rimaneva, rendendoli sicuramente molto meno discreti e prudenti.
Sylvie Moore, però, non poteva saperlo e rimase a guardare incantata quel miracolo, convinta che, finalmente, tutte le sue preghiere fossero state esaudite.
E, alla fin fine, non aveva nemmeno torto.
Aveva assistito, impotente, a cosa aveva fatto Marie – la madre di Jake – a Logan, nel momento in cui se n’era andata.
Non tanto perché lui ne fosse follemente innamorato, piuttosto perché la donna non aveva esitato nel lasciarli, preferendo la carriera ad entrambi.
Suo figlio, uomo pragmatico proprio come lo era stato il padre, non aveva mai mostrato la ferita che Marie aveva lasciato e aveva provveduto a rimarginarla a suo modo.
Tuttavia, proprio come per suo nipote era difficile interagire con gli adulti, Sylvie immaginava che per Logan fosse difficile permettere ad un’altra donna d’entrare nella sua vita - e in quella di Jake, naturalmente – in un modo così intimo e profondo.
Comunque sia, difronte allo sguardo di suo figlio per la signorina Morgan – a cui credeva fosse rivolto – Sylvie non poté fare a meno di chiedersi se Marie, sotto l’intensità di quello sguardo, non sarebbe riuscita a trovare una ragione per rimanere.
 
In ogni caso, Sylvie, Gracie e Daisy non furono le uniche ad accorgersi dell’attenzione dello sceriffo per il trio di donne a poca distanza.
“Ti avverto, se mi lancia ancora un altro di quegli sguardi, dovrai raccogliermi da terra con un cucchiaino.”  Ridacchiò, infatti, Aubrey, sventolandosi il viso con una mano.
Charlie scambiò un’occhiata complice con Maddie di cui l’altra donna non si accorse, troppo intenta a sbirciare di sottecchi verso lo sceriffo.
Nonostante non indossasse il cappello, quell’uomo le toglieva comunque il fiato. Svettava tra la folla in modo evidente e il cappotto, che gli fasciava quelle splendide spalle larghe, era quasi un degno sostituto del suo Stetson.
Quasi. Non era mica impazzita.
“Deve essere il vestito.” Sostenne ancora una volta Aubrey, non riuscendo a capacitarsi di come, tutt’un tratto, avesse attirato l’attenzione di Logan.
Iniziò a sistemarsi nervosamente i capelli scuri, cosa che aveva fatto almeno cinque volte negli ultimi trenta secondi, e Charlie fu felice di avere la riprova che quell’uomo non aveva quell’effetto solo su di lei.
“Come sto?” Chiese a Maddie, e per fortuna, perché Charlie non era sicura che sarebbe riuscita a trattenere la risata che minacciava di uscirle di bocca.
Alzò la testa, e iridi scure incontrarono inevitabilmente occhi blu, legandosi nel vortice d’emozione che, per un momento, sembrò unirli.
Fu riportata al presente dalla voce dolce di Aubrey. “Vi giuro che, un mese fa, all’incontro genitori insegnanti, mi è sembrato sempre il solito. Avevo anche messo il mio profumo nuovo.” Arrossì a quella confessione, ma non si fermò, fomentata dal suo stesso nervosismo che, pareva, la spingesse a parlare a ruota libera. “Quindi deve essere per forza il vestito...”
Non parve rendersi conto, però, che con il cappotto l’abito al di sotto era completamente coperto.
Charlie, che non voleva assolutamente sembrare scortese e rischiare di non riuscire più a trattenere il suo divertimento, sentì il bisogno impellente di allontanarsi.
“Scusate, vado a prendere una tazza di caffè.” Annunciò, quindi, e si diresse verso il lungo tavolo con le bevande calde, al ridosso del Red. Sperando che un poco di movimento potesse aiutarla.
Il suo umore allegro non era unicamente dovuto al fraintendimento di Aubrey, ovviamente. Una certa euforia l’accompagnava da quando s’era chiarita con suo padre e le sembrava di non essersi mai sentita così viva, prima d’ora. Le cose, per lei, non potevano esser più perfette di così.
La magia del Natale – che credeva perduta da quando aveva compiuto quindici anni – pareva avesse travolto anche lei, e il principale beneficiario della frenesia che l’aveva pervasa era stato Jake.
Nemmeno Maddie, che l’aveva accompagnata al negozio di giocattoli di Twin Lake City, era stata in grado di porvi un freno e, dunque, era stata testimone del delirio da shopping compulsivo che l’aveva posseduta.
E dire che a Charlie non era mai piaciuto andare in giro per negozi. Tutti i vestiti che possedeva, infatti, glieli avevano forniti per il lavoro; eppure, circondata da giochi per bambini, non era riuscita a trattenersi.
Non appena metteva gli occhi su un articolo, non aveva potuto fare a meno di pensare alla faccia che avrebbe fatto Jake nel vederlo e a quanto lei stessa si sarebbe divertita nel giocarci con lui, quindi, in poco tempo, aveva riempito il carrello.
Era stata solo per la presenza di Maddie – che la convinse a lasciar perdere la bicicletta, tra le altre cose - che erano uscite di lì solamente con: un piccolo chimico, due puzzle – uno della gioconda e l’altro dei dinosauri - da mille pezzi, un gioco da tavolo a quiz, un pallone, la ricostruzione della Morte Nera di LEGO, un paio di pattini a rotelle e quattro diversi videogiochi.
Tuttavia, era stato passando dall’ottico, poiché Diddi aveva avuto bisogno di nuove lenti a contatto, che Charlie aveva visto il telescopio e aveva saputo che quello era il regalo perfetto per Jake.
Non c’è bisogno di dire che, se da una parte il bambino era stato elettrizzato alla vista di tutti quei regali sotto l’albero di Natale, Logan non ne era stato ugualmente contento.
In piedi nel suo soggiorno, con le braccia incrociate al petto, l’uomo aveva osservato in silenzio Charlie e suo figlio districarsi in quel marasma di pacchetti, con Jake che ne prendeva uno, lo scuoteva, faceva una supposizione – man mano sempre più assurda – che suscitava le risate dell’altra.
Il punto debole dello sceriffo, però, erano quei fulgidi occhi blu da gatta che lo avevano guardato con sorpresa e smarrimento quando, ormai soli, le aveva detto: “Hai esagerato, tesoro.”
Era stato evidente che non aveva avuto idea a cosa si stesse riferendo, pertanto aveva chiarito. “Gli hai comprato troppi regali e non voglio nemmeno immaginare quanto hai speso per il telescopio.”
Dicerto, lei non era stata tanto pazza da dirglielo, perciò si era limitata a consolarlo, accennando un timido sorriso: “Due sono tuoi…”
Logan aveva sbuffato una risata, prendendola tra le braccia e attirandola a sé. “Allora questo cambia tutto.” Aveva ridacchiato.
Tuttavia, la preoccupazione aveva iniziato ad insinuarsi in lei: “Ti dà fastidio?” Aveva chiesto.
“No.” Aveva risposto subito, rassicurandola. “Però, la prossima volta limitati ad un massimo di tre, d’accordo?”
In ogni caso, quella notte, aveva trovato il modo di farsi perdonare, eccome.
Con quel pensiero, si fermò davanti al bricco del caffè, improvvisamente accaldata, e prese una tazza dalla pila, lì vicino.
Non si sorprese affatto quando la voce di Logan la raggiunse, alle sue spalle. “Pare che la biblioteca sia aperta.” Iniziò, prendendo anche lui una tazza pulita, grattandosi distrattamente una guancia. “Ci vediamo al solito posto tra dieci minuti?” Buttò lì in tono casuale, rivolgendole solo una breve occhiata, come se l’idea gli fosse venuta in mente in quell’esatto momento.
La donna coprì il suo sorriso prendendo un sorso di caffè, guardandolo dal basso verso l’alto.
Credeva davvero di fare il disinvolto?
Invece di rispondere, Charlie chiese a sua volta: “Sei l’uomo meno discreto che io abbia mai conosciuto, lo sai?”
Sapevano entrambi di cosa stesse parlando, di quelle occhiate di fuoco che non aveva smesso di lanciarle da quando era arrivato.
Le sopracciglia di lui si sollevarono, in un’espressione di autentico stupore e finto oltraggio. “Come sarebbe? Sono l’uomo più discreto di tutta la contea.”
Stavolta Charlie rise di gusto e con un plateale gesto della testa si girò a guardare John Peterson che, nel bel mezzo della piazza, stava tentando di infilarsi la canottiera dentro i pantaloni. L’impresa, però, era più complessa di quanto potesse sembrare, con tutti gli strati di indumenti che aveva addosso.
Rimasero per un momento a guardare lo strano e contorno balletto dell’uomo, prima che Charlie parlasse di nuovo: “Non credo sia un grande risultato.”
Logan rise e Charlie lo guardò abbandonarsi a quell’ilarità, affascinata.
Adorava farlo ridere.
“Immagino sia questione di punti di vista.” Osservò, riportando gli occhi in quelli di lei, avvicinandosi la tazza alle labbra.
Le si accosto ancora, finché i loro cappotti non si sfiorarono all’altezza delle braccia e, a quel contatto tanto innocente, Charlie percepì l’impazienza farsi strada nel suo corpo e iniziare a divorarla; proprio come quando era bambina e la notte della Vigilia di Natale non riusciva a prender sonno in attesa di aprire i regali.
Inspirò, per farsi forza e trattenersi dall’allungarsi e baciarlo proprio lì, in mezzo a tutti. Ma non fu una buona idea: l’odore di cedro del profumo di Logan non la calmò affatto; anzi, le ricordò di quando, quella notte, nel buio della sua stanza le aveva spinto la testa all’indietro e l’aveva baciata. Di come, poi, l’avesse amata senza riserve, donandole tutto sé stesso.
Perché, anche se nessuno dei due aveva ancora pronunciato il tanto atteso ti amo, per loro era sufficiente uno sguardo per leggerlo negli occhi l’uno dell’altra.
Deglutì e si voltò a guardare tutta la piazza, soffermandosi brevemente su Sylvie Moore; quindi, non vide il sorriso consapevole che Logan le indirizzò.
“Credo che tua madre si sia fatta un’idea sbagliata.” Osservò, riportando gli occhi su di lui.
“In che senso?”
“Sono sicura che presto ti combinerà un appuntamento con Aubrey.” Annunciò, schiccando le labbra e prendendo un altro sorso dalla sua tazza.
La testa dello sceriffo si mosse di scatto, alla ricerca delle prove. Rimase un attimo ad osservare la madre prima di sentenziare: “No, non credo.”
Lei alzò un sopracciglio, in un’evidente espressione di scetticismo: “All’improvviso la guarda come se fosse il Papa.” Lo informò in tono piatto.
“Scommetto che è solo una tua impressione.” Insistette lui, come se, ripetendolo, quel desiderio sarebbe potuto diventare realtà.
Un angolo delle labbra di Charlie si curvò verso l’alto, gesto che espresse tutta la sicurezza della sua affermazione precedente. “D’accordo, cosa ci giochiamo?”
Logan appoggiò la tazza vuota sul tavolo vicino a loro e si fece più avanti, decisamente interessato a quello sviluppo. Charlie dovette inclinare la testa all’indietro per poter continuare a guardarlo negli occhi.
“Se vinco, dovrai andare in biblioteca ed aspettarmi sulla tua bella poltrona gialla.” Il tono di voce roco e quella luce maliziosa nello sguardo, pieno di promesse, la fecero rabbrividire di piacere.
Si sentì rispondere con un mormorio basso, senza fiato. “E se vinco io?”
“Se vinci tu…” Logan allungò una mano, dimentico d’esser in un luogo pubblico, e le scostò una ciocca dietro l’orecchio, e a lei non importò affatto che qualcuno potesse vederli. Per quanto la riguardava poteva anche arrivare la stampa, i giornalisti, i fotografi, gli elicotteri per le riprese aeree: esisteva solo Logan e il suo bisogno di sapere cosa volesse dirle. “Allora, sarò io ad aspettare te.”
Il sorriso di lei si aprì in uno ben più luminoso. “Questa è, in assoluto, la scommessa migliore di sempre.”
Tuttavia, si mordicchiò il labbro inferiore – gesto che non passò inosservato - indecisa se infrangere o meno le sue speranze. “Ti rendi conto, però, che potrebbero volerci giorni prima di conoscere il verdetto?”
Lui sembrò aspettarselo e non si scompose minimamente quando disse: “In tal caso, da vero gentiluomo, ti concedo la vittoria, tesoro.”
   
 
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