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Autore: SamuelCostaRica    27/03/2022    0 recensioni
La storia ci insegna che chiunque può essere sostituito. Anche il Presidente degli United States nel pieno delle sue funzioni. Ma il Presidente ha sempre un sostituto, un designato a sopravvivergli. Ma se il designato non fosse chi il Presidente vuole o crede che sia? E se degli alieni decidessero di impadronirsi del mondo sostutuendosi al Presidente? Ma non sempre tutto è ciò come sembra.
Genere: Avventura, Fantasy, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nave

Non che la cosa importasse molto.

Aveva fatto di tutto per essere lì, in quel posto, in quel porto.

Jack, nome troppo americano per un cinese, era un vero genio.

Aveva percorso la strada per lo spazio nel più breve tempo possibile.

Elementari, medie, superiori se le era mangiate come le ciliegie: una via l’altra.

A quattordici anni era il più giovane universitario, insieme ad altri duemila in tutta la Cina, ad avere accesso al corso di astrofisica base: il numero di studenti si ridusse, per il corso di astrofisica avanzato, a cinquecento, Jack compreso.

Tutti gli altri corsi gli servirono da coronamento alla sua carriera universitaria.

A diciotto anni era già pronto per fare l’astronauta, ma il suo fisico non si era ancora del tutto sviluppato, per cui poteva fare solo molta ginnastica e allenamenti in palestra.

Il suo fisico si sviluppò bene e, a ventidue anni, era pronto per la centrifuga e i voli in assenza di gravità.

Nel frattempo, aveva studiato di tutto e di più.

Geologia, biologia, metallurgia e altri studi di contorno, riuscendo sempre a superare gli esami con voti eccezionali.

E ora, dopo tutta quella fatica, era lì, a Nushahr.

Vi era arrivato dopo l’esplosione nucleare del bunker, al seguito dei diplomatici cinesi che, dopo un viaggio allucinante, erano atterrati nell’aeroporto di Nushahr.

Aveva visto il filmato della nave spaziale, che era esplosa e si era abissata nel Mar Caspio.

Ma lui, a quel video, non ci aveva creduto.

Da lì a svignarsela dall’ambasciata, a cercare delle risposte alle sue domande, la strada fu breve.

Ora lì vedeva quei due tipi, con un dromedario al seguito, bardati come beduini, con gli occhiali da sole che distorcevano, anche se non molto, il viso, coperto dal tagelmust.

I due, circospetti, presero in affitto un battello.

Non erano iraniani, poco ma sicuro.

Una era troppo alto per essere di quei posti.

Decise di abbandonare la sua postazione, lungo il pontile del porto, e si diresse verso qui tipi, che lasciarono la corda, che teneva il muso del dromedario, all’uomo della barca, che tutto felice se ne andò.

I due continuavano a guardarsi in giro e notarono lui, con il viso nascosto come loro, con enormi occhiali scuri.

Sulla manica lo strano marchingegno vibrò mentre si avvicinava a loro.

Jack si avvicinò e i due si presentarono.

«Kimiko!» Disse la ragazza.

«Douglas!» Gli fece eco l’altro.

«Jack!» Nome per nome, pensò.

I tre continuarono a guardarsi in giro in modo furtivo.

«Se continuiamo a stare qui sulla banchina attiriamo l’attenzione di troppo gente. Come non detto: arrivano due militari!» Disse Douglas.

Douglas si voltò e guardò i due militari, che stavano passeggiando sulla banchina, fumando sigarette, distratti improvvisamente da una ragazza che, senza veli e a piedi nudi, con un vestito bianco molto leggero, portava una cesta piena di pesci verso un bancone da pescivendolo lì vicino.

I due si girarono e la ragazza, divertita, sorrise a loro, mentre Douglas, cogliendo l’occasione, spinse leggermente Kimiko verso la barca, seguendola su di essa, con Jack alle calcagna.

«Scioglie le gomene di poppa!» Ordinò Douglas a Jack.

Kimiko prese in mano il timone e accese il motore.

Douglas continuò a controllare i due militari che, sentito il motore di una barca funzionare, si girarono di colpo, imbracciando i loro AK-47 e corsero verso la barca, che si allontana velocemente dalla banchina.

Le loro urla e i colpi del mitra, sparati per aria, non diedero il risultato da loro sperato.

Uno di loro prese la radio da campo e urlò a qualcuno, facendo cenni con la mano verso la barca che si dirigeva fuori dal porto.

Jack e Douglas li guardarono sorridendo.

Dopo aver passato la bocca del porto, la barca, con il motore che, a tutta velocità, sbofonchiava e sputava fumo dal fumaiolo e dalla carena, si diressero al largo verso il punto presunto dell’affondamento della nave spaziale.

All’improvviso, in lontananza, una sirena ululò contro di loro.

Un cacciatorpediniere militare stava arrivando a tutto vapore, vomitando fumo nero dal suo enorme fumaiolo.

Forse faceva i trenta o quaranta nodi, ma non li avrebbe presi.

Douglas tirò fuori la sua arma, la posizionò sulla poppa della nave e l’accese.

Il contraccolpo per poco non fece cadere Kimiko e Jack.

Kimoko spense il motore e la barca, velocemente, si allontanò dal loro inseguitore.

Il cacciatorpediniere, vista la presa sfuggirgli, fece fuoco con il cannoncino che era posizionato sulla prua, ma l’imprecisa mira degli occupanti rese la vita facile ai tre fuggitivi.

Il presunto punto in cui il veicolo spaziale era affondato fu raggiunto, dopo più di due ore di navigazione, con sempre il cacciatorpediniere alle calcagna.

Douglas spense la sua arma, tutti si tolsero i mantelli e il tagelmust, misero in funziona il casco e si buttarono nel mare, leggermente mosso per un temporale che stava arrivando da sud.

Nell’acqua, scendendo in profondità, i tre misero in funzione gli interfoni e si scambiarono le idee su cosa fare.

«Controllate i vostri bracciali! Forse qualche strumento acceso della nave ci consentirà di prendere contatto con lei!» Disse Douglas, mentre abilitava il suo bracciale.

Jack aveva qualche dubbio sull’uso della tuta in quel punto, dove il mare era molto profondo.

Kimiko gli si avvicinò e lo aiutò a regolare la tuta dal bracciale.

«Ma fino a che profondità possiamo spingerci?» Chiese Jack, molto preoccupato.

«Non ci sono limiti! La tuta compensa in automatico la pressione esterna con quella interna!» Disse Kimiko.

Douglas si avviò verso un punto imprecisato, seguendo un segnale che arriva da un punto davanti a lui e sotto di lui alcuni metri.

Gli altri due lo seguirono.

Il cacciatorpediniere si stava avvicinando velocemente, svuotando, velocemente, anche se capienti, i serbatoi di combustibile.

I tre videro una strana sagoma sotto di loro e, seguendo il segnale, si avvicinarono ad un boccaporto.

La nave spaziale, di forma indefinita, a prima vista, pareva non aver subito alcun danno.

Douglas armeggiò con il bracciale e il boccaporto si aprì.

Scivolarono dentro il locale e il boccaporto, automaticamente, come si era aperto, si richiuse e l’acqua fu subito espulsa.

Da dentro la nave pareva reclinata di parecchi gradi a babordo.

I tre si tolsero i caschi, che si nascosero nella tuta.

L’aria era pulita e fresca.

«Ottimo!» Disse Douglas, tentando di mettersi in piedi, con le parteti del locale ancora scivolose per la presenza dell’acqua.

«Se lo dici tu!» Disse Kimiko che, nel tentativo di alzarsi in piedi, scivolò e si rimise seduta.

«Già!» Disse Jack, che, seduto, si guardava intorno.

Il locale aveva pareti lisce e un boccaporto, speculare a quello in cui erano entrati.

Jack, camminando a carponi, gli si avvicinò, mentre anche Kimiko e Douglas, che si era rimesso seduto, lo seguivano a gattoni.

Il bracciale, che Jack portava, avvicinato ad un quadro di comando vicino al boccaporto, lo fece aprire, introducendoli in un locale ampio.

Entrati, le luci si accesero automaticamente, dando ancora di più l’idea dell’inclinazione del veicolo alieno.

«Dividiamoci e cerchiamo la cabina di comando!» Ordinò perentorio Douglas.

Douglas andò a sinistra, Kimiko diritta e Jack a sinistra.

Dopo dieci minuti, un urlò femminile nell’interfono fece trasalire Jack.

«Correte! Correte! Correte! Correte qui!» Urlò Kimiko.

Essendo qui un posto indefinito in quella enorme nave spaziale, come avevano potuto constatare Douglas e Jack, questi ultimi ritornarono sui loro passi e, incontratisi, si diressero dalla parte in cui era andata Kimiko.

La stanza in cui entrarono era enorme.

Era lunga più di dieci metri e larga cinque, di forma ovale, con console e video lungo le pareti, frammezzate da porte o pilastri portanti della struttura, che aveva la forma di un uovo.

In mezzo al locale altre console con video incassati, distanziate, coprivano l’intera area del locale.

Ma, alzando gli occhi, Jack si rese conto che il locale aveva una zona rialzata, proprio sopra l’ingresso, lunga circa due metri.

Kimiko stava guardando, in mezzo alla stanza, proprio sopra a quel soppalco.

Jack e Douglas gli si avvicinarono e seguirono lo sguardo di Kimiko.

Sul soppalco vi erano degli scranni, uno di essi era dorato.

I tre rimasero senza fiato: gli altri scranni erano di un bianco marmoreo impressionante.

All’improvviso un rumore sordo li fece trasalire.

Le luci, accese al minimo, improvvisamente aumentarono di intensità ed una voce parlò a loro.

« Tervetuloa intergalaktiseen tuntevien olentojen siirtojärjestelmään nimeltä Hujko III, Series Jourge, aurinkokunnan Kutrea, Ghitre-planeetalta.»
 

Dopo un loro momento di panico, Kimiko fu la prima a riprendersi.

«Parlasse almeno la nostra lingua!» Esclamò Kimiko all’invisibile interlocutore.

«Scusate!» Riprese la voce.

«Benvenuti nel sistema di trasferimento esseri senzienti intergalattico chiamato Hujko III, Series Jourge, del sistema solare Kutrea, proveniente dal pianeta Ghitre.»

«Così va bene!» Esclamò Douglas, ripresosi dalla choc iniziale.

«Sistema di trasferimento... cosa? E poi intendi per esseri senzienti?» Jack faceva troppo il pignolo per gli altri due, che lo guardarono stupefatti.

«I miei fabbricatori» Riprese la voce «mi hanno dato queste definizione di loro e di qualsiasi essere che potesse usarmi per spostarsi nello spazio infinito o, come meglio lo definite voi, galattico.»

«Ma hai un nome con cui possiamo chiamarti?» Chiese Kimiko.

La voce rimase un attimo in silenzio, forse cercando nei suoi chip una risposta ideale per quei nuovi occupanti dei suoi spazi vitali.

«Computer!» Disse la voce con un tono leggermente femminile.

«Mi sa che questo ha visto troppi film di fantascienza!» Affermò, deciso, Douglas, alzando gli occhi verso l’alto.

La nave risultava ancora inclinata e, a tutti, sembrò naturale chiedere alla macchina di livellarla, ma un rumore di motori passò sopra di loro.

«Era meglio affondarla quella dannata barca!» Esclamò Douglas.

«Se volete la posso…» Incominciò il Computer.

«No, zitta! Non fare niente!» Disse imperiosa Kimiko. «Dobbiamo prima evitare che la nave si riempi di acqua! Abbiamo visto delle perdite in giro! In che modo possiamo chiudere le paratie tra i vari comparti?»

Una console si illuminò, mostrando la pianta della enorme nave su di un video, con il veicolo evidenziato in color bianco su sfondo nero.

Le paratie vennero evidenziate in verde.

I numeri indicavano ogni singola paratia presente sulla nave.

Sul video, in basso a destra, veniva indicato, in verde, il livello dei ponti della nave spaziale.

Jack tocco quella zona del video, e apparve un livello più alto della nave.

Jack notò che a sinistra, in basso, vi era un simbolo in rosso.

Lo tocco e riapparve il ponte precedente.

Jack toccò una paratia, che da verde divenne rossa, mettendo la linea a chiudere il locale.

Incominciò a chiudere tutte le paratie esterne, facendo il giro tutto interno del veicolo.

Passò da un livello all’altro, finché tutte le paratie, che davano verso l’esterno, non furono tutte chiuse.

Jack guardò il suo lavoro soddisfatto, ma quel maledetto rumore di eliche ripassò sopra di loro.

«Ci vedranno?» Chiese Douglas.

«La nave è mimetizzata, genio! Chi vuoi che ci veda?» Ribatté Jack.

«Ma se urlate ci sentono! Abbassate il tono della voce!» Li rimproverò Kimiko, sottovoce.

«Non c’è problema!» Disse il Computer. «La nave è insonorizzata internamente ed esternamente! È praticamente impossibile che ci sentano. E l’occultamento è talmente fantastico, che difficilmente ci vedranno!»

La voce del Computer era più che soddisfatta.

«Sì. Ma le bolle dell’aria che fuoriescono dal veicolo possono essere viste! E per produrre energia devi far funzionare batterie o altro, che producono calore e possono essere rilevati! Per non parlare del fatto che siamo inclinati e che, se scivoliamo di lato, il rumore delle rocce smosse possono essere rilevate dai loro fonografi! Computer, intanto diminuisce la luce e cerca di mettere al minimo il supporto vitale. Anzi, lascialo acceso solo per questa zona del veicolo. Jack, chiudi le paratie di questo locale!»

Jack andò al monitor, chiuse le paratie della zona in cui erano, e il Computer diminuì la potenza dei motori e tolse il supporto vitale alle zone non occupate.

Il sommesso ronzio dei motori si attenuò di colpo, rendendo la cabina silenziosa.

Anche all’esterno sembrò che il rumore del veicolo non fosse più udibile.

Ma lo scivolamento dello scafo non si era fermato.

Erano vicino al punto più profondo e non sapevano se il veicolo avesse supportato tale profondità.

«Computer!» Disse Kimiko. «Fino a che profondità può resistere questa nave?»

Il Computer tacque: i suoi chip stavano calcolando cosa?

«Ho rilevato che se continuiamo a scivolare, finiremo nel punto più profondo del mare, a circa mille ottocento venticinque metri di profondità. Il veicolo, con gli scudi alzati, può tranquillamente giungere a quella profondità. Ma la messa in funzione di tale sistema di difesa richiede che il motore sia al cinque per cento di attività, che può far salire il tono del sistema di circa 40 decibel. Ci sentiranno.»

«E senza l’accensione del motore?» Chiese Jack.

«Cinquecento metri circa.» Rispose in modo flemmatico il Computer.

«Sì. Ma se scivolassero planando lontano dalla nave che continua a girarci sopra?» Chiese Kimiko.

Il Computer tacque.

Ci vollero circa dieci secondi prima che il Computer parlasse.

«Potremmo allontanarci di circa un chilometro, prima di arrivare a cinquecento metri, e poi accendere i motori e alzare gli scudi, finendo nelle profondità di questo mare. Non ci sentiranno!» Disse soddisfatto il Computer.

«Bene! Procedi!» Comandò Douglas.

Gli altri due lo guardarono con una faccia che voleva spiegazioni, ma lui fece spallucce.

Kimiko scosse la testa e Jack si avvicinò al vetro, in fondo al locale, che dava all’esterno.

Un improvviso scossone fece scivolare la nave verso il basso.

Il Computer fece planare il veicolo, nel mare nero come il petrolio, verso il fondo, allontanandosi dal cacciatorpediniere.

Arrivato ai cinquecento metri, il Computer accese il motore al minimo e alzò gli scudi.

Il rumore del motore si sentì subito, ma su un pannello, a cui Douglas si era avvicinato, intorno non vi era nessuno.

Un improvviso clinch attirò l’attenzione di Douglas.

«Cosa diavolo è?» Urlò ad alta voce Douglas.

«Un veicolo, lungo circa settanta metri, alto cica nove metri, di forma cilindrica. È ad una profondità di circa duecento metri. Dai miei dati può scendere ad un massimo di trecentocinquanta metri. Non può darci fastidio.» Disse il Computer, soddisfatto di sé stesso.

«Sì. Ma i loro sistemi di individuazione, anche se siamo mimetizzati, ci possono sentire. Meglio fermarsi sul fondo per un po’!» Disse Kimiko.

«E se potessimo mangiare e bere non sarebbe una brutta cosa!» Disse Douglas, con il suo stomaco che rumoreggiava.

Una console, verso l’ingresso della stanza, si illuminò e apparve del cibo e da bere.

L’acqua, nei bicchieri di plastica dura, o qualcosa di simile, era limpida e il cibo (una bistecca di carne alta un centimetro, con patatine fritte, insalata e altre verdure) avevano una faccia molto invitante.

Douglas prese un piatto, un bicchiere, delle posate bianche, anch’esse forse di plastica, e si diresse verso un tavolo circolare, vicino alla finestra che dava all’esterno, con intorno tre sedie.

Gli altri due fecero lo stesso e si sedettero al tavolo.

Il Computer continuò a far scendere il veicolo sul fondo del mare, con alle calcagna il sottomarino.

Raggiunto il fondo, i tre avevano letteralmente ripulito i piatti e stavano ancora guardandosi in giro in quella strana stanza.

Il sottomarino continuò a girare sopra a quel fondale.

Il livello del rumore del motore, a quella profondità, non consentiva il rilevamento da parte degli inseguitori, che continuavano, comunque, a cercarli.

«Computer! Quanto tempo possiamo stare qui sotto?» Chiese Jack, preoccupato.

«Con il motore a questa potenza, con solo voi tre, possiamo stare qui dai cinque ai sei mesi.» Rispose il Computer.

«Bene. A questo punto direi che un pisolino non ci farebbe male!» Decretò Douglas.

«Ma pensi solo ai tuoi bisogni fisiologici! Magari vorresti anche un cesso?» Lo rimbeccò Kimiko.

«Bhe, in effetti, se ci fosse…» Ma Douglas non finì la frase: gli altri due si misero a ridere e il Computer fece apparire dei letti, verso l’ingresso del locale, spostando alcune console, e da una porta usci il rumore di uno sciacquone.

Douglas di infilò nel locale, mentre gli altri due si diressero verso i letti.

Kimiko disse qualcosa al Computer, che Jack non capì.

Ma l’improvvisa apparizione di un armadio a muro, con vestiti più comodi della tuta, gli fece comprendere la richiesta della ragazza.

Si cambiarono, senza troppe formalità sul fatto che erano completamente nudi, senza la tuta, e si misero delle tute da ginnastica, molto più comode.

Quando Douglas, finalmente, uscì dal bagno, Kimiko vi andò, senza chiedere il permesso a Jack.

All’apertura della porta, Kimiko fu raggiunto da un odore sgradevole.

«Computer! Ricambio d’aria immediato nel locale bagno!» Urlò la ragazza.

La porta si richiuse e un improvviso vento rumoreggiò nel locale.

Quando la porta si riaprì, l’odore se ne era andato.

Douglas vide che Jack aveva un vestito diverso dalla tuta: non fece a tempo a chiedere che l’altro gli indicò l’armadio, con dentro i vestiti.

Jack si sdraiò sul letto, mentre il computer diminuiva la luminosità dal locale.

Anche Douglas, dopo essersi cambiato, si sdraiò sul letto.

Il sonno raggiunse i due velocemente.

Quando Kimiko uscì dal bagno, i due russavano tranquillamente.

Kimiko si avvicinò al vetro e guardò fuori.

Il sottomarino continuava a ruotare, ottocento metri su, cercando la nave spaziale sotto di lui.

Kimiko si allontanò dal vetro e si diresse verso il letto libero.

Vi si distese, stanca morta, addormentandosi tra il dolce rumore del russare dei suoi compagni di avventura e del ronzio del motore che li proteggeva dai nemici.

   
 
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