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Autore: Krgul00    01/04/2022    1 recensioni
Charlie è una donna con dei segreti stufa che questi la tengano lontana da suo padre, l'unica persona che può chiamare famiglia. Tornata al suo paese natale per ricucire il loro rapporto, Charlie si troverà coinvolta con l'affascinate nuovo sceriffo.
Ma ancora una volta, il non detto rischia di mettere a repentaglio ciò che ha di più caro.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO SEDICI
Quando un ciottolo viene gettato in uno stagno, questo genera una catena d’increspature circolari che si propagano sulla superficie dell’acqua, comunemente chiamate onde.
Naturalmente, sappiamo che la fisica descrive molti fenomeni – ad esempio il suono, la luce o la gravità – attraverso il modello ondulatorio.
In ogni caso, proprietà caratteristica delle onde è l’interferenza che può essere, essenzialmente, di due tipi: costruttiva o distruttiva. Questo fenomeno fa sì che, nel momento in cui nello stagno si gettano due ciottoli distinti, le onde che questi andranno a produrre si incontreranno, amplificandosi fra loro – nel primo caso – oppure decrementandosi – nel secondo.
Quindi, furono due i metaforici ciottoli causa degli eventi che andarono, pian piano, a scontrarsi e accrescersi, fino ad ingigantirsi e sfuggir completamente di mano, quel venerdì.
Le feste erano ufficialmente finite, il giorno prima, ma la scuola non avrebbe riaperto fino al lunedì successivo, concedendo in questo modo tre giorni in più di svago al piccolo Jake Moore.
Tuttavia, per suo padre il lavoro non si era mai fermato e quel giorno sarebbe stato occupato fino a tardi. Successivamente alle informazioni ricevute dallo sceriffo Clark, circa i magazzini contenenti la droga, la polizia aveva iniziato a sorvegliarli per tener traccia di chi vi accedeva. Sarebbe stato stupido, infatti, sequestrare lo stabile senza aver preso nota di ogni più piccolo dettaglio; anche perché, in quel modo, non avrebbero risolto affatto il problema: quegli uomini si sarebbero limitati semplicemente a cambiare deposito, lasciandoli senza più alcun vantaggio.
Quella sera, però, Logan si sarebbe occupato di persona di coordinare il pattugliamento, pertanto lo aspettava una nottata insonne, lontano da Jake e da Charlie.
Quindi, aveva chiesto a sua madre di badare al figlio per tutto il giorno e, per quel motivo, si ritrovarono al tavolo della colazione loro tre, quella mattina.
Lo sceriffo non notò nulla di strano nei sorrisi spumeggianti che continuava a rivolgergli la donna; dopotutto, aveva sempre adorato l’allegria che pareva non abbandonasse mai sua madre e le parole, decisamente inaspettate, che gli rivolse non furono sufficienti a chiarirne all’istante le intenzioni.
“Aubrey ha accettato di incontrarti, martedì. Va bene per te?”
Logan si fermò nel gesto di infilzare le sue uova strapazzate e sollevò gli occhi dal piatto; al sentir nominare la sua maestra, poi, anche Jake portò la sua attenzione sulla nonna, mentre si infilava un cucchiaio di latte e cereali in bocca.
Naturalmente, il fatto che l’insegnante di suo figlio volesse vederlo, quando avrebbe potuto facilmente fermarlo per strada in qualsiasi momento, come al solito, lo impensierì. Ma, si disse, non poteva avere niente a che fare con Jake, era sempre stato un alunno modello; però, poteva sempre trattarsi di qualcosa di diverso dalla rendita scolastica, atti di bullismo ad esempio – anche se quella sarebbe stata in assoluto la prima volta che sentiva di una cosa del genere nella scuola di Sunlake.
“È successo qualcosa?” Chiese ignaro, e la madre si accigliò a quella reazione poco entusiasta e così seria - totalmente opposta a quella sperata - da parte di lui.
Confusa, lo studiò per un lungo momento. “No, ma pensavo ti avrebbe fatto piacere…”
Le spalle di Logan si rilassarono e l’uomo prese tranquillamente un boccone della sua colazione. Abbassò di nuovo gli occhi al suo piatto, iniziando a raccogliere un’altra forchettata, mentre rispose: “Non c’è bisogno, ci ho già parlato l’altro giorno. Tuo nipote è ancora un piccolo genio.” Disse, sorridendo orgoglioso al diretto interessato e allungandosi a scompigliargli, ancor di più, quella zazzera di capelli scuri.
Ad ogni modo, le sue parole non servirono affatto a chiarirle le cose, lasciandola ancor più interdetta. “Ma…” Si voltò verso suo nipote, come se un bambino di otto anni avesse potuto aiutarla a fare chiarezza. “Pensavo fossi interessato alla signorina Morgan.” Sussurrò, sporgendosi sul tavolo, in un tenero, quanto inutile, tentativo di non farsi sentire da Jake.
Logan alzò subito gli occhi su di lei e tutto ciò a cui riuscì a pensare fu: dannazione, Charlie aveva ragione.
Il suo disagio, che lo fece spostare nervosamente sulla sedia, fu scambiato per imbarazzo e l’occhiata titubante che rivolse a suo figlio ricordò a Sylvie la prima – e unica – volta che avesse provato ad organizzargli un appuntamento con Aubrey Morgan. In quel caso, Logan era stato categorico: non sarebbe uscito con l’insegnante di Jake - troppe complicazioni – e lei aveva rispettato la sua decisione, trovandola sensata.
Si sporse oltre il tavolo e afferrò la mano dell’uomo difronte a lei. “Questa volta è diverso, se provi qualcosa per lei non ha importanza il suo ruolo e dovresti-”
Si interruppe alla vista del sorriso condiscendete di suo figlio, che le disse chiaramente la verità: aveva frainteso.
“Oh.” Sussurrò, quindi, delusa che il miracolo che stava aspettando da sempre si fosse rivelato solo un buco nell’acqua e, prima che tornasse alla sua colazione, Logan riuscì a vedere le lacrime a stento trattenute negli occhi della donna.
Rigirò la mano in quella calda di lei e gliela strinse, con affetto. “Mamma…”
Avrebbe potuto dire molte cose; ad esempio, che non aveva alcun motivo di preoccuparsi. Oppure, ancora meglio, che non poteva provare dei sentimenti per Aubrey Morgan perché amava Charlie Royce, e l’amava in un modo così disarmante e senza limiti che s’era chiesto più volte come avesse anche solo potuto pensare, un tempo, che i suoi sentimenti per Marie fossero amore.
Perché, semmai Charlie se ne fosse andata, Logan non sarebbe mai e poi mai riuscito a riprendersi.
Però, il singhiozzo di sua madre gli impedì di pensare ad una buona alternativa a quella spiegazione.
“Non voglio che tu rimanga solo.” Disse la donna, tamponandosi gli occhi con il tovagliolo.
Vedendo sua nonna in quello stato, anche Jake tentò, a suo modo, di rassicurarla. “Papà non è solo, ci sono io con lui!” Osservò, e parve sicuro che quelle parole, da sole, sarebbero bastate a rallegrarla, ma Sylvie sembrò intristirsi ancor di più quando si sporse verso di lui per toccargli affettuosamente una guancia.
“Lo so, tesoro.”
Anche se non disse che, ciò che voleva per suo figlio, era una donna che stesse al suo fianco, Jake capì che la nonna non era soddisfatta del suo unico nome, perciò, in tutta fretta continuò: “C’è anche Charlie!”
Nessuno dei due si accorse di come Logan si irrigidì sulla sua sedia a quelle parole ma, in ogni caso, Sylvie credette che il bambino si riferisse al legame di amicizia che, era risaputo, i due condividevano; però, ciò che s’affrettò ad aggiungere il nipote distrusse completamente ogni sua certezza: “E da quando dorme con papà, non fa più brutti sogni.” Annunciò, sorridendo orgoglioso di aver presentato quella dimostrazione inconfutabile della felicità del padre.
 E quello fu l’esatto momento in cui il primo ciottolo colpì la superficie dello stagno.
In ogni caso, quella era la spiegazione che Logan aveva dato a suo figlio alla sua domanda in merito, ma se agli occhi innocenti di un bambino quel chiarimento era assolutamente accettabile, a quelli disillusi di un adulto il significato appariva completamente differente.
Pertanto, con una mano al petto, Sylvie tornò a guardarlo.
“Cosa?” Chiese in un bisbiglio tremante.
“Andiamo a parlarne di là.” Disse Logan, alzandosi velocemente dalla sedia, seguito a ruota da una Sylvie ancora stordita da quella rivelazione.
Quando furono in camera da letto, la donna si guardò intorno con occhi nuovi, come alla ricerca di un indizio di una presenza femminile e, ovviamente, ne trovò.
Innanzitutto, si soffermò sul letto matrimoniale, ancora sfatto, che dominava la stanza. Le coperte erano state spinte da parte da entrambi i lati, proprio come se qualcuno fosse sceso dalle due parti opposte.
Sul comodino di sinistra, poi, c’era una piccola confezione rossa di crema per le mani, cosa che, sapeva per certo, Logan non usava e, come se non bastasse, sullo schienale della poltrona nell’angolo, era stata dimenticata una sciarpa rosa, da donna, e nell’aria della stanza era ancora possibile percepire la debole nota floreale di un profumo femminile.
“Allora è vero.” Osservò con orrore Sylvie, davanti a tutti quegli indizi evidenti.
Logan, da parte sua, credette che quell’incredulità fosse dovuta unicamente al fatto di aver scoperto che suo figlio le aveva tenuto nascosta una verità simile; quindi, grattandosi in imbarazzo una guancia, disse: “Mamma, ho davvero bisogno che tu non lo dica a nessuno.”
Non avrebbe mai immaginato che, in quel modo, avrebbe scatenato l’ira di lei.
“Come osi chiedermi una cosa del genere!” Gridò, piena d’indignazione e sprezzo. “Credevo di aver cresciuto una brava persona, non un meschino traditore!”
Di tutte le reazioni possibili, Logan non aveva minimamente preso in considerazione una sfuriata del genere.
“Eh?” D’accordo, forse aveva messo in conto un po’ di rabbia e risentimento per averglielo tenuto nascosto, ma addirittura definirlo un traditore gli sembrò esagerato.
Con il petto che s’alzava e abbassava repentinamente, la donna prese un profondo respiro; eppure, non servì a calmarla ma, almeno, abbassò il tono di voce quando continuò: “Pensavo che tu e Luke foste amici. Come hai potuto fargli questo? Hai visto tutti i fiori che quell’uomo le manda? È ovvio che prova qualcosa per lei.”
“Sono io che le mando i fiori.”
La donna aggrottò la fronte e una piccola ruga d’espressione le si formò tra le sopracciglia. “Cosa?”
Logan si passò una mano tra i capelli, frustrato. Di tutte le cose che aveva pensato di dover fare quel giorno, spiegare a sua madre la vera natura del suo rapporto con Charlie era l’ultima che avrebbe immaginato. “Ho chiesto a Luke di comprarli a nome mio.”
Gli occhi di lei si spalancarono ancor di più. “Oddio.” Mormorò, portandosi una mano davanti alla bocca, ancor più orripilata. “È una di quelle strane cose a tre che vanno tanto di moda adesso tra i giovani?”
Lo sceriffo scoppiò a ridere.
“Guardi troppa televisione, mamma. Luke non è interessato a Charlie.” Soprattutto, non in quel momento. Il vicesceriffo, infatti, non poteva certo definirsi un accanito fan della donna in quel periodo. “Mi ha solo aiutato a mantenere questa storia segreta.” Chiarì.
“Ma…” Iniziò, visibilmente sempre più in confusione. “Perché? Perché non me l’hai detto?”
Con un sospiro, le diede l’unica spiegazione abbastanza buona da poter giustificare il suo comportamento: la verità.
“Il Maggiore Royce non era d’accordo.” Vide l’indignazione prender possesso dei suoi lineamenti, ma la bloccò prima che potesse dire qualcosa. “Ora è tutto risolto, comunque. Lo sa, gli va bene e siamo tutti sereni.”
Diede un’occhiata al suo orologio da polso e se non fosse uscito subito di casa avrebbe rischiato di fare tardi per il suo appuntamento mattutino con Clark. Dunque, ritenne conclusa quella piccola riunione familiare a due. “È una storia piuttosto complicata, te la racconterò domani. Ora devo proprio andare o farò tardi, mamma, scusami.”
Tuttavia, per Sylvie la faccenda non fu affatto risolta e aveva tutta l’intenzione di dire la sua, soprattutto ad una persona in particolare. Pertanto, quando, quel tardo pomeriggio, vide Stephen Royce seduto su una delle panchine della piazza, in compagnia del sindaco Young, non ci pensò due volte a far sapere a quell’uomo cosa ne pensasse della sua disapprovazione per il suo adorato figlio e, da lì, si scatenò un bel litigio che ebbe come unico risultato quello di mettere al corrente mezzo paese della verità.
Annabelle King lo venne a sapere solo quella sera, quando Doroty la chiamò al telefono per spiattellarle la notizia appena appresa e, anche in quel caso, Charlie aveva avuto ragione: esplose il melodramma.
 
Come ogni scienziato sa, per comprendere appieno un fenomeno bisogna studiarne ogni causa scatenante e l’origine del secondo fu l’allegra suoneria del cellulare di Charlie, che interruppe bruscamente la sua colazione con Maddie.
Normalmente non avrebbe risposto al telefono, sennonché stava aspettando una chiamata davvero importante.
Da quando aveva messo la cimice addosso a Ruiz, infatti, aveva scoperto che solo nell’ultima settimana, proprio come Robert Nelson e Scott Adams nella primissima intercettazione che aveva fatto sul suolo di Sunlake, l’uomo e i suoi compari avevano parlato più volte di un certo Max e della sua bistecca al sangue.
Nonostante ne fosse rimasta interdetta, non aveva creduto nemmeno per un secondo che quella fosse solo una coincidenza; quindi, attraverso una brevissima ricerca su internet, il famoso Max era risultato essere il fiero proprietario di un locale nel cuore della Twin Lake City più turistica e sfrenata, il Jimbo’s.
Aveva recensioni davvero ottime, a proposito.
In ogni caso, quel nome le aveva stuzzicato la memoria, così era andata a risentire tutte le intercettazioni telefoniche passate che aveva coscienziosamente registrato e aveva fatto tombola.
Le intercettazioni di cui lei era in possesso, ovviamente, risalivano solo a metà novembre, subito dopo aver avuto la malsana idea d’accettare l’incarico di Matt; tuttavia, l’unica telefonata in cui veniva pronunciato quel nome risaliva agli inizi di dicembre, quando una voce femminile aveva esordito salutando Liam Ruiz con un sospirato: “Ciao, Jimbo.” Prima di perdersi in chiacchiere frivole e senza peso, per poi chiudere con un allettante: “Ci vediamo stasera, alla solita ora.”
Charlie, diffidente per natura quando si trattava di questo, l’aveva trovata una conversazione assai strana: l’unica chiamata da parte di una donna che, per di più, si rivolgeva a Ruiz con quel nomignolo ridicolo.
Aveva subito aperto i dati sulle triangolazioni del telefono di quell’uomo e, senza sorpresa, era risultato che quella stessa sera, a differenza del solito, Liam Ruiz fosse stato nei paraggi del Jimbo’s.
Quindi, l’unica domanda che rimaneva da fare era: chi aveva incontrato?
E adesso, gennaio era appena iniziato, le feste erano appena finite e Charlie sentì di nuovo quella stessa voce di donna miagolare ancora: “Jimbo.”
Segno inconfutabile che quella stessa sera ci sarebbe stato un incontro.
Da quella sola parola di cinque lettere, si generano due conseguenze, una direttamente correlata all’altra.
La più naturale, che non sorprende affatto, fu la decisione di Charlie di uscire, quella sera stessa.
L’altra, più difficile da prevedere, ma che non dovrebbe stupire più di tanto, fu che la donna si ritrovò Maddie Foster appoggiata al fianco della sua auto, con le braccia incrociate sotto i seni e lo sguardo di una bibliotecaria che aveva appena beccato due adolescenti a pomiciare tra gli scaffali.
Facendo scorrere gli occhi sulla sua figura, si fece un’idea ben chiara delle sue intenzioni, soprattutto quando si soffermò sui tacchi a spillo – comprati insieme, per rimpiazzare le sue vecchie scarpe da colloquio – che aveva ai piedi.
Pareva non le fosse sfuggito il suo umore di quella mattina, non appena aveva riattaccato il telefono.
“Cosa fai qui, Diddi?” Chiese, nascondendo il più possibile la sorpresa di ritrovarsela davanti.
L’altra sbuffò, all’assurdità di quella domanda. “Vengo con te.”
Si guardarono per un lungo momento e Charlie fu sorpresa di come Maddie continuasse a sostenere il suo sguardo, quando era sicura che altri si sarebbero fatti indietro difronte alla sua impassibilità glaciale.
Un angolo della bocca le si incurvò verso l’alto, e pensò a quanto poco fosse cambiata dalla ragazzina testarda che era stata.
In ogni caso, girandole intorno e fermandosi davanti la portiera del guidatore, al di là del tettuccio, si limitò a pronunciare una sola sillaba: “No.”
E rimasero ancora a fissarsi, entrambe consapevoli che non appena Charlie avrebbe aperto l’auto per poter salire, Diddi ne avrebbe approfittato.
Pertanto, con il trucchetto più vecchio del mondo, guardò oltre l’amica, verso la porta di casa sua, e con finto stupore disse: “Papà?”
Maddie ci cadde come una pera cotta e si voltò; ma, in ogni caso, Charlie non fu abbastanza veloce perché se la ritrovò al suo fianco, sul sedile del passeggero.
Si piegò in avanti, ad appoggiare la testa sul volante, esasperata. “Diddi, sul serio, non puoi venire. Ti prego, scendi.” Si sentì dire, quasi supplicando.
“Non mi lascerai indietro, questa volta. Siamo una squadra, quindi vengo con te.”
Era rimasta davvero offesa quando, a grandi – davvero grandi - linee, le aveva raccontato della sua uscita in solitaria, motivo scatenante del suo apparente diverbio con Logan, ed ora pareva proprio non aver intenzione di permettere che accadesse di nuovo.
Charlie sapeva che sarebbe stato comunque troppo rischioso portare l’altra con sé; tuttavia, aveva due possibilità: trascinarla giù dall’auto a forza, rischiando così che la donna la seguisse, oppure portarla con sé e tenerla d’occhio.
Fu solo quando guardò l’ora sul display del cruscotto che si decise ad accendere il motore: non poteva proprio permettersi di far tardi e rischiare di mancare quell’incontro.
D’alta parte, si disse, non avrebbe dovuto avvicinarsi a Liam Ruiz; perciò, sarebbe andato tutto bene.
E all’inizio, sembrò davvero così.
Quando entrarono al Jimbo’s, infatti, Charlie si sentì improvvisamente più tranquilla nel constatare quanto fosse affollato il locale e non ebbero problemi a confondersi tra la folla.
I camerieri si muovevano con abilità tra i tavoli attorno alla pista da ballo, ancora vuota, e su ognuno dei loro vassoi c’erano solo tagli di carne cotti alla brace di diverse dimensioni, accompagnati da un qualsiasi tipo di contorno.
Scelsero un tavolo il più in disparte possibile ed ordinarono. Cenarono con calma, e non parve accadere nulla per la prima ora o giù di lì; pertanto, le due donne si gustarono tranquillamente la loro bistecca che, dovette ammetterlo, era davvero squisita.
Arrivarono verso le otto e mezza, e a Charlie ci volle qualche momento per riconoscere l’uomo insieme a Liam Ruiz: Cole Rodriguez.
Fu evidente che l’uomo si fosse sottoposto a diversi interventi di chirurgia plastica, perché il naso era completamente differente da quello piccolo e un po’ a patata che aveva prima e anche gli zigomi erano stati sollevati verso l’alto in modo assolutamente innaturale.
I due si sedettero diversi tavoli più in là, con Rodriguez che le dava le spalle.
Quello di cui aveva bisogno era una foto del viso, magari anche del profilo, di quell’uomo, di certo non della sua nuca; pertanto, aspettò con impazienza – strano per lei – che l’uomo si girasse.
Da quando Ruiz aveva varcato la soglia, infatti, una strana inquietudine aveva iniziato a strisciarle addosso, come se quella non fosse la sera ideale per andare avanti con i suoi propositi; tuttavia, Charlie non era abituata ad assecondare il suo istinto quando questo le diceva di fuggire, perciò rimase al suo posto ad aspettare la sua occasione.
E questa arrivò, quando, finalmente, l’uomo si voltò versò la pista da ballo, concedendole il profilo e lei alzò subito il telefono.
Sembrò che stesse facendo una foto a Diddi che, infatti, si mise in posa credendo che quello fosse il suo effettivo intento, ma Charlie ingrandì sul viso di lui che, con un ottimo spirito di collaborazione, si spostò ancora, permettendole di ottenere un bel ritratto a tre quarti.
Abbassando il cellulare, però, i suoi occhi incontrarono gelide iridi verdi che la fissarono con riconoscimento.
“Merda.”
“Cosa? Non posso essere davvero così poco fotogenica.” Si lamentò Maddie, fissandola con perplessità quando l’altra lasciò diverse banconote da cinquanta sul tavolo e si alzò.
“Dobbiamo andare.”
“Ma ancora non ci hanno portato il dolce…” Le fece notare, sempre più disorientata da quell’improvviso cambio d’umore. Fino a quel momento, infatti, era stata una serata tranquilla, niente affatto pericolosa come Charlie aveva voluto farle intendere.
Occhi blu si puntarono su di lei e in un sibilo severo le ingiunse: “Subito, Maddie.”
Sentirsi chiamare con il suo nome di battesimo da quella donna che mai, prima d’allora, l’aveva usato, la spaventò. Soprattutto perché riconobbe nel suo sguardo un timore inconsueto.
Si ritrovò in piedi in un lampo, quindi, con Charlie che iniziò a spingerla fuori di lì e poi verso la macchina, attraverso il piazzale deserto. Ad ogni passo, si maledì per aver parcheggiato nell’angolo più lontano dall’ingresso.
Non era per sé stessa tutta quella preoccupazione, quanto piuttosto per la presenza di Diddi con lei. Se Liam Ruiz avesse anche solo sospettato che aveva scattato una foto a Cole Rodriguez, allora, probabilmente, sarebbero morte entrambe.
La paura di Charlie iniziò a placarsi solo a pochi metri dall’auto; infatti, guardandosi indietro, da sopra la spalla, sembrò che ancora nessuno fosse uscito per fermarle, e pian piano il suo cuore tornò a battere ad un ritmo più regolare. Ce l’avevano fatta.
Non riuscì a trarre un sospiro di sollievo perché il silenzio del parcheggio fu infranto da un urlo furioso e fin troppo familiare.
Si è detto che, nel caso di un’interferenza di tipo costruttivo tra due onde, queste si uniscono a formarne una nuova che avrà intensità pari alla somma delle intensità originali.
Fu quello il momento in cui, i due fenomeni inizialmente indipendenti, si incontrarono, e gli eventi sfuggirono completamente al controllo.
“Charlie Royce!” Gridò Annabelle King, facendosi strada verso di loro.
Non poté non fermarsi. La guardò completamente sconcertata: che diavolo ci faceva lei lì e per quale maledetto motivo stava urlando il suo dannatissimo nome ai quattro venti?
“Cosa ci fa qui?” Mormorò senza fiato.
Concentrata sulla nuova arrivata, non si accorse del disagio di Maddie, al suo fianco.
Era stata la donna, infatti, ad aver scritto ad Annabelle – su sua infinita insistenza – dove si trovavano, quella sera. A sua discolpa, le aveva creduto quando l’altra le aveva promesso che non le avrebbe raggiunte.
Era evidente che avesse mentito.
In ogni caso, anche lei fu alquanto perplessa da tutta quella rabbia. “Pare piuttosto furiosa.”
“Come hai potuto!” Le urlò in faccia quando si avvicinò. Il volto rigato di lacrime e gli angoli della bocca cosparsi di tracce di glassa, segno evidente che lungo la strada per venire si fosse fermata a comprare qualche ciambella. “Mi fidavo di te! Credevo fossimo amiche!”
“D’accordo, calmati. Sono sicura che possiamo risolvere civilmente qualsiasi cosa sia successa.”
“Non dirmi di calmarmi!” Strepitò, sempre più isterica. “Perché mi hai fatto questo? Potresti avere ogni uomo sulla faccia della terra e hai dovuto scegliere proprio quello che amo!?”
E con quelle parole, tutto si fece chiaro: l’aveva scoperto.
Tuttavia, quello non era sicuramente il luogo migliore in cui affrontare la questione e, quando Charlie si voltò indietro e vide Liam Ruiz e altri due uomini uscire dalle porte del Jimbo’s, fu evidente che non era nemmeno il momento più opportuno.
“Andiamo a parlarne da un’altra parte.” Disse, afferrando il braccio di Annabelle e cercando di trascinarla verso l’auto, ma la donna iniziò a divincolarsi come una matta e fu costretta a lasciarla andare.
“Non vengo da nessuna parte con te, traditrice! Mi fidavo! Quell’uomo è il mio futuro marito!” Alzò sempre più la voce ad ogni parola e così Charlie disse addio al suo famoso autocontrollo e sclerò.
“Smettila d’esser ridicola, nemmeno lo conosci!” Gridò di rimando. “L’altro giorno gli hai addirittura chiesto di dividere una fetta di torta al pistacchio, per la miseria!” Alzò le braccia al cielo esasperata.
L’altra fece un passo indietro, presa in contropiede. “E questo cosa c’entra?”
“È allergico.” Sibilò.
“Cosa? Da quando?”
“Da tutta una vita, dannazione!”
Capì subito quando ebbe esaurito tutto il vantaggio che aveva accumulato e fu proprio il cambiamento nell’espressione della donna davanti a lei a confermarglielo. Gli occhi di Annabelle si spostarono oltre di lei e si sgranarono leggermente quando si fermarono sui tre uomini, decisamente poco amichevoli, che stavano assistendo alla scena.
“Ditemi voi se questo non è uno scontro tra gattine sexy.” Fu il sagace commento di Liam Ruiz e una calma familiare, da sempre benvenuta, calò su di lei insieme ad una spietata lucidità che le era mancata pochi istanti prima, quando aveva trascinato Diddi fuori di lì.
Il suo sguardo sembrò impietrire Annabelle quando, prima di voltarsi, le ordinò in un sibilò: “Non muoverti da qui.”
Non voleva che nessuna di loro le si allontanasse, correre da sole per un parcheggio deserto sarebbe stato molto più pericoloso, visto che, con tutta probabilità, uno di quegli uomini le avrebbe seguite. Inoltre, se avessero avuto una pistola sarebbe stato comunque inutile, e fu proprio in quell’eventualità che spinse Maddie dietro di lei e si frappose tra le due donne e i tre uomini.
Tuttavia, se anche il suono di uno sparo non fosse stato sufficiente a sovrastare la musica assordante all’interno del locale, avrebbe comunque destato l’attenzione di qualcuno nei dintorni, e che motivo avevano di correre un rischio simile? Erano solo tre donne, dopotutto.
Liam Ruiz, le mani nelle tasche dei pantaloni eleganti del completo, in piedi ad almeno cinque passi da loro, con due energumeni ai suoi fianchi, la guardò attentamente, a partire dalla camicetta nera, leggermente svasata, per poi scendere lungo le sue gambe fasciate dai jeans, fermandosi alle sue adorate Jimmy- Choo.
Le rivolse un sorrisetto d’apprezzamento e le fece l’occhiolino, prima di chiedere: “Dove te ne andavi, bambolina?”
Se la volta precedente quel nome le aveva urtato i nervi, stavolta non scalfì affatto la superficie della sua placidità e si ritrovò a rispondere: “Stavamo giusto tornando a casa.” Proprio come se non ci fosse niente di strano nel parlare con un uomo – un assassino per giunta – seguito da due guardie del corpo intimidatorie nel mezzo di un parcheggio buio.
Negargli la soddisfazione di vederla spaventata lo infastidì, e non poco a giudicare dal movimento della sua mascella.
“Sono rimasto molto deluso dal tuo comportamento della volta scorsa.” Continuò Ruiz, facendo finta di niente.
Lo stesso fece lei e, pertanto, rispose: “Come mai?”
“Prima mi ti butti addosso, mi baci in quel modo e poi te ne vai senza nemmeno salutare.” Lo disse come se ne fosse realmente dispiaciuto, quando entrambi sapevano perfettamente che era incazzato oltremisura perché aveva avuto l’ardire d’intaccare il suo tronfio orgoglio.
Buttò lì la prima scusa che le venne in mente, continuando quella ridicola farsa che l’uomo aveva iniziato. “Mi ha chiamato mia nonna, aveva bisogno di una mano con-”
“Sono tutte stronzate.” La interruppe aspramente e poté avvertire il sussulto di sorpresa delle due donne dietro di lei quando aggiunse: “La verità è che sei solo una piccola troietta rizzacazzi.”
Quella di Charlie, invece, fu la reazione di una donna abituata al sentirsi dire cose di quel genere o, tutt’al più, di una donna che si aspettasse commenti di quel tipo da un uomo come quello.
Tuttavia, quelle parole non rimasero senza risposta e scatenarono l’indignazione di Annabelle che, con voce tremante di paura, intervenne a difenderla: “C-come ti p-permetti-” Ma in quel modo attirò solo l’attenzione di quegli occhi verdi su di sé e, sotto a quello sguardo, si zittì di botto.
Dal sorriso genuino e soddisfatto che curvò le labbra dell’uomo, fu evidente che quell’atteggiamento lo compiacque decisamente molto di più di quello di Charlie.
“Mi sento magnanimo, questa sera.” Dallo luccichio sadico nei suoi occhi, non l’avrebbe mai detto. “Perciò, se vieni qui, senza fare storie, ti inginocchi e fai il tuo lavoro, perdonerò te e la tua stupida amichetta. Altrimenti…”
Anche se non continuò, ciò che non disse fu, comunque, evidente: sarebbe stato pronto a convincerla.
Maddie e Annabelle, dietro di lei, arrivarono alla stessa conclusione e poté quasi avvertire il momento in cui la loro paura si trasformò in puro terrore, che le ancorò saldamente al suolo.
“Per quanto l’offerta sia allettante, per questa volta passo e scelgo la seconda opzione.” Disse lei, con fare annoiato, mentre l’adrenalina iniziò ad irrorarle le vene, lasciandola con una certa smania di muoversi.
Fu lampante che a Liam Ruiz nessuna donna avesse mai detto di no, tantomeno una piccola biondina smorfiosetta come lei, ma sembrò comunque compiaciuto della sua scelta, probabilmente pregustando già il suono delle sue urla.
Tolse una mano – quella con tutte e cinque le dita – dalla tasca e con un pigro gesto altezzoso fece segno ai due uomini di prenderla. Non se ne sarebbe nemmeno occupato da solo, pensò con sprezzo lei, guardando quello che iniziò ad avvicinarsi.
Dopotutto, che bisogno c’era di venirle incontro in due per occuparsi di una cosuccia piccola e indifesa come lei?
Aspettò che colmasse tutti e cinque i passi di distanza e che si allungasse ad afferrarla per un braccio, prima di scattare di lato, afferrargli il polso e fluidamente – come se lo avesse fatto migliaia di volte, ed effettivamente era così – applicare la leva necessaria per farlo piegare in avanti.
Non si fermò e, senza esitare un solo istante, spinse oltre il limite di sopportazione alle sollecitazioni di una qualsiasi spalla umana e gliela spezzò; mentre, con una forte pressione del piede all’altezza della caviglia, gli spezzò anche quella.
Il suono raccapricciante prodotto avrebbe fatto rabbrividire chiunque, così come il grido dell’uomo che cadde a terra, svenuto.
Tutto quel dolore era difficile da sopportare.
Perciò, in pochi secondi il primo uomo fu messo fuori combattimento.
Ne mancavano solo due.
Ripresosi dalla sorpresa di vedere il suo compare cadere al suolo come un sacco di patate, il secondo estrasse un coltello a serramanico, uno di quelli da caccia che penetrava la carne come se fosse burro, e si fece avanti, con la consapevolezza, adesso, di avere davanti qualcuno che sapeva combattere.
Charlie lo accolse con un sorriso, felice di constatare come non avesse tirato fuori una pistola.
Scavalcò, quindi, il corpo ai suoi piedi e gli andò incontro.
Schivò il primo affondo, e le fu subito chiaro che quell’uomo credeva che bastasse agitare il coltello per avere la meglio in uno combattimento. Contava esclusivamente sulla sua forza fisica, per il resto era zero tecnica; si sa, quando la tecnica incontra la forza bruta, il risultato può essere uno solo.
Nel momento in cui riprovò un’altra stoccata, Charlie gli afferrò saldamente la mano con entrambe le sue e – favorita dall’impeto dello spostamento di lui - deviò il tragitto del suo movimento: il coltello gli si infilzò nella coscia e l’uomo emise un urlo di dolore.
Lei non ebbe pietà di lui e glielo strappò bruscamente dalla carne, torcendolo.
Certo, quello non bastò a metterlo fuori gioco, e al grido di “Brutta puttana!” la colpì al viso con un potente manrovescio.
Fece un male atroce, ma Charlie non si permise il lusso di pensarci.
Approfittando di quel suo momento di stordimento, l’uomo l’afferrò per il polso – con la cui mano teneva ancora il coltello - e subito lei si avviluppò su sé stessa – proprio come una mossa di ballo – e si ritrovò nel suo caldo abbraccio; sennonché, alzò il ginocchio e lo colpì all’addome, levandogli tutto il fiato a disposizione.
Fu per questo che non emise un suono quando gli sferrò una, due, tre gomitate in rapida successione al setto nasale, prima di crollare a terra.
Due erano andati, ed era appena passato un minuto.
Con il petto che si alzava e abbassava a ritmo frenetico, per lo sforzo della lotta, abbassò la testa verso le sue scarpe e si accorse di una piccola goccia di sangue che macchiava il candido bianco delle sue Jimmy- Choo. Solo allora permise a tutta la sua rabbia di affiorare in superficie e Charlie si voltò lentamente verso l’ultimo uomo rimasto, ancora fermo in piedi, come congelato dallo shock.
Ruiz parve accorgersi dell’odio in quegli occhi blu e, resosi conto d’esser ormai solo, fece un tremante passo indietro, pronto a fuggire.
Non appena si mosse, però, il coltello nella mano di Charlie gli si pianto nel piede, inchiodandolo a terra.
Cadde sul sedere, con un lamento, artigliandosi l’arto ferito con le mani. Lo vide sfiorare il manico, senza trovare il coraggio di estrarlo.
Iniziò ad avvicinarglisi, con una calma temibile, i fianchi che oscillavano sinuosamente ad ogni passo e i capelli biondi scompigliati.
Era ancora bellissima.
Inoltre, con le dita macchiate di sangue, lo sguardo gelido di quelle iridi blu e il taglio fresco sulla guancia, sembrò l’angelo della vendetta pronto a dispensare un po’ di giustizia alla vecchia maniera.
Normalmente, si sarebbe girata e se ne sarebbe andata, lasciandolo lì, a terra da solo; però, era stufa marcia e incazzata nera.
Incazzata per conto di Maddie ed Annabelle, per conto di Margot Baker – ammazzata da quell’essere ignobile – e anche per sé stessa.
Gli occhi di lui, velati di lacrime di dolore, si alzarono terrorizzati su di lei, quando gli si fermò davanti.
“Ti prego.” Piagnucolò. “Ti darò tutto quello che vuoi ma, ti prego, abbi pietà.”
Tutti uguali quest’uomini: dei vigliacchi, che facevano i gradassi quando avevano due guardie del corpo a battersi per loro ma che iniziavano ad implorare non appena tornavano ad essere nullità.
Charlie schioccò la lingua con disapprovazione, accovacciandosi alla sua altezza. “Non mi piace che mi si parli così, Peter.”
A sentir pronunciare il suo nome – il suo vero nome – gli occhi di lui si spalancarono ancor di più. “Come sai il mio nome?” Ebbe la forza di sussurrare, completamente sopraffatto.
“So tutto di te, Peter Cox. So quello che fai per Cole Rodriguez e so quello che hai fatto a Margot Baker.”
Da come reagì, sembrò che per lui fosse arrivato il momento del giudizio divino, perché iniziò a scusarsi in ogni modo possibile, a implorarla ancora, e a chiederle il perdono.
Come se le bastasse.
Come se le importasse.
“Lo sai quanto è difficile farmi incazzare?” Lo interruppe, estraendo il coltello dal suo piede e guardandolo impallidire e quasi svenire, mentre gemeva di dolore. Solo quando ottenne di nuovo la sua attenzione, continuò. “Non è stato per niente galante dirmi di succhiartelo davanti alle mie amiche, così come mandarmi contro quei due gorilla lì. E poi, hai anche solo una vaga idea di quanto costino queste scarpe?”
L’uomo non disse niente, guardò il coltello che scorreva veloce avanti e indietro tra le dita di lei, come ipnotizzato, finché non si fermò e Charlie lo strinse tra pollice e indice.
“Forse avevi ragione.”
“C-cosa?”
Indicando verso la patta dei suoi pantaloni con la lama, con fare evocativo, spiegò: “Dovrei dare un occhiata al tuo cazzo.”
Non servì altro.
A quella minaccia, svenne.
E lei lasciò cadere il coltello a terrà, alzandosi.
Le due donne, ancora ferme in piedi dove le aveva lasciate, la guardarono avvicinarsi ad occhi sbarrati, come se non la riconoscessero, ed Annabelle non ebbe nulla da ridire quando, con tono che non ammette repliche, le ingiunse: “Adesso, sali in macchina.”
 
L’onda d’urto che la investi sabato mattina, si presentò alla sua porta subito dopo che suo padre uscì per la sua passeggiata e proprio mentre Annabelle si trovava in casa.
La donna, vestita con il suo outfit da palestra – voleva che le insegnasse a tutti i costi l’autodifesa – aveva continuato a ringraziarla di averle salvato la vita, proprio come non aveva smesso la notte prima, e Charlie ne era già stufa.
Era inutile che le ripetesse di smetterla, che non aveva fatto nulla del genere, quella donna era ostinata a pensarla così.
In ogni caso, quando aprì la porta al suo secondo ospite, si ritrovò davanti Ryan Clark, che sembrò alquanto nervoso d’esser sulla veranda di casa sua.
“Sceriffo, a cosa devo il piacere?” Lo salutò e il suo sorriso parve metterlo ancor più in imbarazzo.
“Mi dispiace signorina Royce, ma sono qui per questioni di lavoro.”
Aprì ancor di più la porta e si fece da parte, per farlo accomodare. “Prego, le preparo un caffè.” Lo invitò, ma lui non si mosse, e scosse la testa amaramente.
Giocherellò per un lungo momento con il bottone della sua giacca prima di decidersi e guardarla dritto negli occhi. “Charlie Royce, per la legge della Contea di Twin Lake e della Contea di Lake Rock, la dichiaro in arresto.”
Il suo unico pensiero fu: dannazione a te, Matthew Allen.
   
 
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