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Autore: Princess Tutu    02/05/2022    1 recensioni
I Serpeverde dell'Ottavo Anno ricevono delle lezioni extra e sono costretti ad affrontare quella parte di se stessi che ritengono spezzata per sempre.
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Dramione (Pining Draco Malfoy/Oblivious Hermione Granger) | 8th Year AU | One-shot
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Esercito di Silente, Hermione Granger, Serpeverde | Coppie: Draco/Hermione
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Due erano state le cose che avevano fatto preoccupare Draco nei riguardi del suo ritorno ad Hogwarts per frequentare il cosiddetto ‘Ottavo Anno’, un anno scolastico creato dalla Preside McGranitt per tutti coloro che l’anno precedente non erano riusciti a completare il proprio percorso educativo. 

La prima era il doversi trovare faccia a faccia con persone che aveva cercato di uccidere, che la sua famiglia aveva cercato di uccidere, che avevano cercato di ucciderlo, che avevano cercato di uccidere la sua famiglia. L’idea di dover vivere un anno intero mangiando, studiando, dormendo a pochi metri da quei maghi e streghe faceva attorcigliare lo stomaco di Draco.

La seconda era più semplice, ma forse quasi più terribile. Avrebbe dovuto vivere accanto alla strega che amava, vederla tutti i giorni, condividere gli spazi con lei, il tutto sapendo che il suo cuore apparteneva ad un mago che non era lui. Draco non era sicuro di farcela.

Tornare ad Hogwarts non era obbligatorio. L’alternativa era passare l’anno scontando gli arresti domiciliari a cui era stato condannato per i suoi crimini a Villa Malfoy, chiuso con sua madre in quella casa dove tutti i suoi incubi erano diventati realtà.

Draco aveva quindi scelto il minore dei due mali. Il Primo Settembre, quasi ridendo dell’ironia di essere di nuovo lì dove tutto era iniziato (o finito, a seconda dei punti di vista), aprì la porta della sua vecchia stanza nel Dormitorio Serpeverde.

 


 

Se Draco avesse saputo che la McGranitt li avrebbe costretti a frequentare quelle lezioni extra, forse avrebbe scelto gli arresti domiciliari.

“Il Ministero, che vorrebbe vedere la maggior parte di voi rinchiusa ad Azkaban insieme ai vostri parenti, non approva questa mia decisione,” spiegò la Preside. “Ritiene che insegnarvi quest’incantesimo metta a rischio la sicurezza del Mondo Magico, dato che questo è l’unico modo per respingere i Dissennatori.” La linea sottile disegnata della bocca della McGranitt faceva capire bene cosa pensasse di ciò la Preside. “Ho fatto quindi notare al Ministro che la Preside di Hogwarts sono io e che posso insegnare qualsiasi incantesimo voglia ai miei studenti, a patto ovviamente che non si tratti di Arti Oscure.”

Non ci voleva un genio per capire a cosa si stava riferendo la Preside. Draco desiderò essere da qualsiasi altra parte e, osservando gli sguardi tra il vacuo e il terrorizzato dei suoi compagni, capì di non essere il solo. Erano tutti Serpeverde dell’Ottavo Anno, figli o parenti di Magiamorte, anche se ad avere il Marchio Nero sul braccio era solo lui. Tutte persone troppo spezzate per poter produrre l’incantesimo che la McGranitt voleva loro insegnare.

Ma l’essere messi di fronte all’oscurità della propria anima non era la parte peggiore di quelle lezioni, il terribile è che l’avrebbero fatto davanti al peggior tipo di pubblico immaginabile.

“Ad accompagnarmi durante queste lezioni ci saranno quelli che, tra i vostri compagni, sono capaci di produrre quest’incantesimo così complesso.”

La Preside agitò la mano verso gli studenti dietro di lei. Tutti Grifondoro, con alcuni Corvonero e Tassorosso. L’Esercito di Silente.

A Draco venne da ridere. L’Esercito di Silente avrebbe insegnato a dei quasi-Magiamorte come evocare il proprio Patronus.

 


 

Expecto Patronum!”

Il famoso cervo argentato uscì con un balzo dalla bacchetta di Potter, saltellò in mezzo agli studenti e poi si dissolse in un nuvola di stelle.

Draco odiò la facilità con cui Potter portava in vita il proprio cervo. Tutti i membri dell’Esercito di Silente non avevano difficoltà con quell’incantesimo, ma per Potter era come una seconda natura: un battito di ciglia ed ecco comparire quel maledetto Patronus, mentre Draco e gli altri Serpeverde tentavano da settimane e riuscivano a malapena a far illuminare d’argento la punta delle proprie bacchette.

La cosa peggiore era però la pietà con cui i membri dell’Esercito di Silente cercavano di insegnar loro l’incantesimo. Draco e gli altri Serpeverde all’inizio avevano temuto che sarebbero stati oggetto di prese in giro e vendette, ma forse sarebbe stato preferibile alla quasi tenerezza con cui invece venivano trattati. L’Incanto Patronus nasceva dai ricordi felici e il fatto che nessuno di loro riuscisse a produrre neanche una nuvola argentata diceva molto delle loro vite fino a quel momento. Di ciò i membri dell’Esercito di Silente erano dolorosamente consapevoli e l’umiliazione di sapere che loro sapevano era quasi insopportabile.

Draco strinse i denti.

Expecto Patronum,” mormorò.

Niente, neanche una flebile luce.

 


 

Draco era stupito dal fatto che lei non portasse nessun anello al dito anulare della mano sinistra. Tutti sapevano che lei e Weasley ormai avevano una relazione seria (si vociferava di un focoso bacio nella Camera dei Segreti durante la Battaglia finale) e Draco aveva pensato che la Donnola avrebbe colto la prima occasione per infilarle al dito uno dei pochi cimeli di famiglia che ancora i Weasley possedevano.

Osservandone la mano durante le lezioni, Draco immaginò che al dito avesse il suo cimelio di famiglia, uno splendido anello d’argento e smeraldi che da secoli i Lord Malfoy donavano alla propria Lady.

Poi sbuffò, scacciando il pensiero. Come se lei potesse mai desiderare di indossare un anello di fidanzamento forgiato da una famiglia di maghi che disprezzavano tutto ciò che lei era e rappresentava. Probabilmente la pelle le sarebbe andata a fuoco se Draco avesse provato ad infilarglielo al dito.

Molto meglio che portasse quello proveniente da una famiglia che non aveva cercato di sterminare tutti i maghi e le streghe come lei.

 


 

In realtà Draco non poteva neanche lamentarsi.

Suo padre era un uomo rigido che aveva sempre preteso la perfezione dal proprio figlio, ma lo aveva amato quanto più gli era stato possibile, sebbene sempre in modo freddo ed aristocratico, come si conviene ad un purosangue. Malgrado ormai Draco non avesse più niente in comune con suo padre e i suoi ideali, i sentimenti di affetto che provava nei suoi confronti non erano cambiati.

Sua madre aveva rischiato più volte l’ira del Signore Oscuro per proteggere Draco e il giovane mago sapeva di essere il centro del suo mondo. Ormai Narcissa Malfoy era un’ombra della nobile lady che era stata, ma i suoi pensieri erano sempre per lui e Draco se ne prendeva cura con dedizione.

No, Draco non si poteva decisamente lamentare per la propria vita, almeno non per la prima parte di essa.

Osservò Theo, sapendo che sotto l’immacolata camicia della divisa stirata alla perfezione la sua schiena era costellata di cicatrici, regalo di Nott Sr.

Osservò Blaise, sapendo che il suo più recente patrigno era morto in circostanze misteriose e che sua madre era di nuovo stranamente vedova ed ancora più ricca.

Osservò Pansy, sapendo i suoi geniotri avevavo cercato di farla sposare con un Magiamorte che aveva il doppio dei suoi anni e che, quando lei si era rifiutata, l’avevano quasi costretta a prendere il Marchio Nero.

Era comprensibile che i suoi amici non riuscissero ad evocare il proprio Patronus. Ma perché lui, che per lo meno aveva alcuni ricordi d’infanzia che poteva ritenere essere ricordi felici, non ci riusciva?

Forse non aveva nulla a che fare con i ricordi o con la propria famiglia o con il modo in cui una persona veniva allevata.

Paciock probabilmente avrebbe visto morire i suoi genitori senza che essi lo riconoscessero nuovamente, eppure il suo alano d’argento spuntava dalla sua bacchetta senza alcun problema.

Il coniglio argentato di Lovegood saltellava gioiosamente per la classe, malgrado lei avesse passato giorni terribili nelle segrete di Villa Malfoy.

Le sventure di Potter erano famose quanto il suo Patronus a forma di cervo.

E Granger… Vederla evocare la sua splendida lonta muovendo il braccio su cui zia Bellatrix aveva inciso la parola ‘Sanguemarcio’ faceva venire voglia a Draco di vomitare.

 


 

A Novembre, Tracey Davis riuscì a produrre un Patronus incorporeo. Fu la prima.

Draco non ne fu stupito. Tracey era una mezzosangue senza alcun legame con i Mangiamorte o il Signore Oscuro. Il Cappello Parlante l’aveva smistata in Serpeverde per le sue qualità, non per i suoi legami familiari.

Draco non ne fu stupito, ma ciò non gli impedì di invidiarla.

 


 

Le mani fresche di sua madre sulla fronte calda, un giorno in cui Draco era rimasto a letto a causa della febbre.

La sua voce dolce che gli cantava una ninna nanna per farlo addormentare, prima che suo padre le vietasse di farlo, sostenendo che ormai Draco fosse troppo grande per quelle sciocchezze da femminuccia.

Il sorriso orgoglioso di suo padre la prima volta in cui Draco era riuscito a sorvolare la tenuta di Villa Malfoy a cavallo di una scopa.

Expecto Patronum,” mormorò Draco, aggrappandosi a quei suoi ricordi migliori.

La punta della sua bacchetta si illuminò d’argento, una luce benigna e pulsante.

Draco alzò la testa, trionfante. Ci era riuscito! Non era un vero Patronus, neanche lontanamente, ma era la prima volta che la bacchetta reagiva al suo incantesimo.

Quasi inconsapevolmente, cercò con gli occhi quella massa di capelli che indicava la presenza di Granger. Voleva mostrarle il suo primo successo, come se quella luce potesse dimostrarle che non tutto dell’anima di Draco era nero e marcio, che se lei avesse voluto avrebbe potuto forse trovare quelle parti ancora sane e luminose.

Alla fine la vide, dall’altra parte dell’aula. Vide che lei e Weasley stavano dando indicazioni ad una Pansy sull’orlo delle lacrime. Draco vide anche che la sua mano era stretta in quella più grande e lentigginosa del mago al suo fianco.

La luce sulla punta della bacchetta si spense.

 


 

Se la situazione non fosse stata così patetica, Draco avrebbe riso di se stesso e dei suoi compagni.

Erano diventati tutti ossessionati dall’Incanto Patronus. Si allenavano continuamente, provando e riprovando i movimenti della bacchetta e le parole dell’incantesimo a tutte le ore del giorno, durante i pasti, durante le altre lezioni, durante le ore serali che passavano tutti insieme intorno al camino della Sala Comune Serpeverde.

Era diventata una questione di vita o di morte.

Se riesco ad evocare il mio Patronus significa che c’è ancora della luce in me.

Se riesco ad evocare il mio Patronus significa che la mia famiglia non mi ha spezzato.

Se riesco ad evocare il mio Patronus significa che le scelte fatte da altri nei miei confronti non condizioneranno tutta la mia vita.

Se riesco ad evocare il mio Patronus significa che il Marchio sul mio braccio o le cicatrici sul mio corpo non rappresentano ciò che io sono.

Se riesco ad evocare il mio Patronus significa che ho la possibilità di riprendere il controllo, di essere salvato, di salvare me stesso e altri come me.

Significa che non tutto è perduto.

 


 

“Credo che la colpa sia del Marchio Nero.”

Il cuore di Draco gli balzò in gola e lui si girò di scatto, pronto a colpire con un incantesimo chiunque gli fosse arrivato silenziosamente alle spalle.

Era Granger.

Ora il cuore di Draco batteva per un’altra ragione.

Draco cercò di nascondere il nervosismo causatogli dalla vicinanza di lei con la sgarbataggine.

“Per Merlino, Granger, ti sembra saggio arrivare di soppiatto alle spalle di un Mangiamorte armato di bacchetta?”

Lei sorrise, rispondendogli con tono dolce, “Non sei un Mangiamorte, Malfoy.”

Draco ingoiò a vuoto.

“Il Marchio Nero sul mio braccio racconta un’altra storia.”

Lei annuì.

“È proprio quello che intendevo dire. Credo che il Marchio Nero interferisca con l’Incanto Patronus, impedendoti di eseguirlo.”

Draco alzò le sopracciglia, sorpreso e Granger arrossì. Quel rossore sulle sue guance era la cosa più bella che Draco avesse mai visto.

“Io…” Granger agitò una mano, cercando le parole. “Sei un ottimo mago, Malfoy, ma in tutti questi mesi non sei riuscito neanche a produrre un Patronus incorporeo. La cosa mi ha stupito e quindi sono andata in biblioteca a fare delle ricerche.”

Draco era stupito, lusingato ed estasiato. Non solo lei aveva un’opinione positiva delle sue capacità magiche, ma si era anche interessata a lui, arrivando addirittura a fare una delle sue famose ricerche in biblioteca per risolvere i suoi dubbi nei suoi confronti. Voleva dire che l’aveva osservato, che aveva pensato a lui, che si era preoccupata per lui.

Inconsapevole di ciò che le sue parole stavano facendo al cuore di Draco, o a ciò che ne rimaneva, Granger continuò, “Diversi tomi nella Sezione Proibita sottolineano come sia sempre stato Voldemort ad imprimere il Marchio Nero sui suoi seguaci, utilizzando un incantesimo di sua invenzione, molto simile al Morsmordre. Però, a differenza di ques’tultimo, che può essere scagliato da chiunque, solo Voldemort poteva marchiare i Mangiamorte con appunto il Marchio Nero. In realtà si sa poco di questo incantesimo, ma il fatto che solo Voldemort potesse utilizzarlo e che i Marchi Neri collegassero tutti i Mangiamorte e Voldemort stesso in una sorta di tela magica porta ad un’interessante conclusione.”

Ora Draco era curioso di sapere a quale brillante deduzione fosse arrivata Granger dopo la ricerca che aveva fatto per aiutarlo. Merlino, quanto amava quella sua mente geniale.

“E cioè?” Chiese.

Granger gli sorrise, contenta di vederlo interessato alla sua spiegazione.

“Cioè che non solo il Marchio Nero è frutto di magia oscura ed è quindi intrisecamente oscuro già di per sé, ma anche che una parte, un’ombra, della magia di Voldemort è racchiusa in esso.” Draco non poté che rabbrividire e Granger gli lanciò un’occhiata triste, prima continuare, “Al contrario, l’Incanto Patronus è uno degli incantesimi di magia della luce più potenti, è un incantesimo puramente benigno. Come tutti gli incantesimi, esso parte del tuo nucleo magico, che si trova al centro del tuo petto, corre per tutto il tuo corpo, per tutto il tuo bracco, per poi attraversarti la mano ed arrivare alla tua bacchetta ed infine uscire da essa. Prima di  arrivare alla bacchetta, però, incontra il Marchio Nero, questo grumo di magia oscura e di scaglie di Voldemort e questo lo neutralizza, impedendoti di evocare il tuo Patronus.”

Granger sembrava molto soddisfatta dalla propria ricerca e convinta delle proprie conclusioni e ciò dissuase Draco da dirle ciò che pensava davvero, ovvero che secondo lui semplicemente non aveva abbastanza ricordi felici in sé, abbastanza luce, per poter produrre un Patronus.

“Sono ambidestro,” disse invece. “Posso provare ad usare l’altra mano.”

Questa volta fu lei ad alzare le sopracciglia dalla sorpresa. Non era una cosa comune nei maghi e per un istante Draco pensò di vantarsene, di chiederle se Weasley ne fosse capace. Si morse la lingua un istante prima di aprire la bocca.

Spostò invece la bacchetta nell’altra mano, quella attaccata ad un braccio che non aveva sottopelle rimasugli di un mago oscuro.

Granger era lì accanto a lui, completamente concentrata su di lui e Draco si permise per un istante di farsi avvolgere dalla sua attenzione, dal calore e dal profumo che emanava, creando intorno a lui un bozzolo di affetto e sicurezza.

“Penso che tu ce la possa fare,” bisbigliò lei.

Expecto Patronum,” disse lui, beandosi degli occhi scuri di Granger puntati esclusivamente su di lui, pieni di fiducia in lui.

Un’intensa luce candida apparve sulla punta della bacchetta di Draco, per poi espandersi e allungarsi in un’onda argentata che avvolse la porzione di aula in cui Draco si era posizionato all’inizio della lezione.

Granger rise e il Patronus incorporeo divenne più luminoso.

“Avevo ragione!” Esclamò lei con gioia, guardandolo con un’espressione di pura felicità. “Era il Marchio Nero!”

No, pensò Draco, sei tu.

 


 

Arrivò dicembre e le vacanze di Natale. La maggior parte dei Serpeverde del Settimo e dell’Ottavo Anno rimase ad Hogwarts. Con quasi tutti i parenti ad Azkaban e le ville di famiglia chiuse per le indagini degli Auror, semplicemente non avevano altro posto dove andare.

Il 24 dicembre nevicò e il castello, Hogsmeade e le terre circostanti vennero ricoperti da una coltre di soffice e candida neve che rifletteva il flebile sole invernale, creando un paesaggio su cui sembrava fossero stati disseminati milioni di frammenti di stelle lucenti.

“Andiamo ad esercitarci fuori,” propose Blaise con un sorrisetto. “Magari la purezza della neve tirerà fuori la purezza dei nostri cuori.”

Gli altri Serpeverde rotearono gli occhi davanti a quella frase così scherzosamente melensa, ma si alzarono dai divani della Sala Comune e si avventurarono nei giardini innevati intorno al castello.

Gli esercizi non portarono nessun risultato e ben presto si trasformarono in una battaglia di palle di neve che, essendo giocata da un gruppo di Serpeverde purosangue amici fin dall’infanzia, fu spietata e senza quartiere.

Tornarono nella Sala Comune ore dopo, bagnati fino al midollo e con enormi sorrisi dipinti sui visi.

 


 

A San Valentino Weasley le regalò un libro.

Draco sbuffò, pensando che anche sforzandosi non riusciva ad immaginare un regalo più scontato di quello.

Lei era molto di più di un topo di biblioteca a cui piaceva leggere e studiare e, se anche avesse voluto passare la propria vita a non fare altro, la biblioteca di Villa Malfoy era piena di tomi mille volte più preziosi di quello che Weasley le aveva cerimoniosamente messo tra le mani.

Villa Malfoy era anche il luogo dove lei aveva vissuto quelli che probabilmente erano i momenti peggiori della sua vita, quindi Draco non disse niente.

 


 

Granger lo osservava con fare critico, inconsapevole che la sua attenzione su di lui gli stava facendo venire la pelle d’oca e formicolare la punta delle dita.

“Sei sicuro di non avere dei ricordi più potenti?”

Draco roteò gli occhi.

“Sì, Granger, sono sicuro. Mi spiace che la tristezza della mia vita si frapponga tra te e il tuo obiettivo, ovvero avere successo nell’insegnarmi ad evocare un maledetto Patronus.”

Questa volta fu lei ad alzare gli occhi al cielo, per niente colpita od offesa dalle sue parole taglienti.

“Prova di nuovo, questa volta utilizzando un ricordo che non hai mai usato prima,” gli disse. “Non permetterò che tu muoia al primo incontro con un Dissennatore solo perché sei convinto di non di non farcela o di non avere ricordi abbastanza felici.”

Draco sospirò. Amava quella strega, ma era tenace e prepotente come pochi altri. Era praticamente impossibile farle cambiare idea una volta che si era fissata su qualcosa che riteneva giusto o necessario, tutte caratteristiche della sua insopportabile Casa di eroi con la sindrome del salvatore.

Draco strinse con più forza la bacchetta, chiuse gli occhi, prese un bel respiro e cercò nella mente un ricordo abbastanza potente da far prendere forma materiale alla felicità che tutti pensavano avesse dentro di sé.

Un ricordo felice…

“La smetta, professore! Rischia di fargli male!”

Draco spalancò gli occhi, mentre quel ricordo gli invadeva ogni fibra del suo essere, alimentando la sua magia come alcol gettato su un fuoco acceso.

Expecto Patronum!” gridò e tutto intorno a lui esplose di luce banco-argento.

Draco si rese conto di riuscire a controllare quella luce, la quale non era altro che pura magia benigna prodotta dalla gioia che Draco non sapeva neanche essere in grado di provare. La piegò, costringendola a compattarsi, a prendere una forma fisica. La luce roteò, si avvolse su se stessa e si condensò in un… furetto d’argento. 

Il Patronus annusò l’aria con il suo piccolo naso, girò la testa osservando gli studenti che lo stavano fissando e poi, con enorme imbarazzo di Draco, iniziò a trotterellare verso Granger. Lei però, a differenza degli altri, non lo stava guardando: i suoi occhi erano fissi in quelli di Draco e tutto il suo viso era illuminato dalla gioia e dalla soddisfazione che stava provando. Draco avrebbe voluto morire affogando in quello sguardo.

Come al solito, Weasley rovinò tutto.

“Non ci posso credere!” Esclamò, ridendo sguaiatamente. “Il Patronus del Furetto è un furetto!”

Granger si girò verso di lui, negli occhi un’ira focosa che Draco ringraziò non fosse rivolta nei suoi confini.

“Non essere maleducato, Ronald!” lo sgridò e poi lo colpì con uno scappellotto sul braccio.

Il furetto argentato brillò con più forza.

 


 

“Malfoy.”

La sua voce lo fece fermare in mezzo al corridoio, il suono del suo cognome sulla sua lingua che come al solito gli faceva scorrere un brivido di piacere lungo la spina dorsale. Draco era convinto che sarebbe morto se lei, per qualche assurdo motivo, lo avesse chiamato utilizzando il suo nome di battesimo.

Si girò verso di lei e si rese conto che le sue labbra erano distese nel suo classico sorrisetto da schiaffi, quel tipo di sorriso che per anni aveva rivolto a chiunque. Per Merlino, quand’era stata l’ultima volta che aveva sorriso così? Sicuramente non dopo il Quinto Anno.

“Sì, Granger?”

Potter e Weasley erano andati avanti, ma lei era rimasta in aula dopo la lezione, per aiutare la McGranitt a mettere a posto banchi e sedie. Erano soli in quel corridoio. Quella consapevolezza fece scorrere più velocemente il sangue di Draco.

“Niente, ti volevo solo fare i complimenti per essere riuscito ad evocare il tuo Patronus.” Granger si portò dietro ad un orecchio uno dei suoi riccioli ribelli. Draco avrebbe dato tutta la sua considerevole eredità per poter replicare quel gesto. “Ottimo lavoro, Malfoy.”

Gli sorrise di nuovo, superandolo. Era già quasi alla fine del corridoio quando Draco fece qualcosa che non si spiegò neanche lui. Decise di dirle la verità.

“Granger!” Lei si bloccò e poi si girò lentamente verso di lui. “Vuoi sapere quale ricordo ho utilizzato per evocare il mio furetto?”

Lei arrossì lievemente, ma non sembrava a disagio, più che altro sembrava che volesse saperlo, ma che non avesse il coraggio di chiederglielo. Draco sorrise fra sé e sé, mentre la raggiungeva. La curiosità di Granger era leggendaria.

“I ricordi per evocare un Patronus possono essere molto intimi, dato che devono essere ricordi di momenti incredibilmente felici, quindi non sentirti obbligato… Se non vuoi…”

“Ti ricordi il Quarto Anno? Quando Moody, o meglio, Crouch Jr, mi trasformò in un furetto per punirmi?” 

Ora era davanti a lei, vicinissimo. Riusca a vedere le leggere lentiggini che aveva sul naso e desiderò poterle baciare una per una. L’aria intorno a loro era elettrica tanto erano l’uno concentrato sull’altra.

Lei annuì e Draco continuò, “Tu fosti l’unica a preoccuparti per me. Certo, poi intervenne la McGranitt, ma ricordo benissimo le tue urla preoccupate e inorridite.” Draco si strinse nelle spalle. “So benissimo che non eri preoccupata perché ero io in particolare, avresti reagito allo stesso modo per chiunque, ma era la prima volta che qualcuno che non fosse mia madre dimostrava preoccupazione per la mia sicurezza. Se poi aggiungi a ciò il fatto che a preoccuparsi per me era la strega per cui avevo una cotta… Non stupisce che sia un ricordo abbastanza potente da evocare un Patronus corporeo.”

Granger era senza parole e Draco osservò con piacere e interesse l’intenso rossore che le comparve sulle guance, per poi diffondersi sul collo e infiammarle le orecchie. I suoi grandi occhi castani erano sbarrati e la giovane strega boccheggiò un paio di volte, alla ricerca di qualcosa da dire dopo che il suo ex bullo ed ex nemico di guerra le aveva confessato di avere avuto una cotta per lei.

Draco rise della sua espressione e fu lui a superarla, soddisfatto. Sapeva che lei non avrebbe mai ricambiato il suo amore e quindi il rossore sul suo viso gli bastava. Una piccola gratificazione personale.

“Malfoy…”

Lui si girò a guardarla. Era ancora lì dove l’aveva lasciata, una strana espressione sul viso. Draco inclinò la testa, invitandola a continuare.

“Hai detto ‘la strega per cui avevo una cotta’... Vuol dire che non ce l’hai più?”

Draco sorrise, un sorriso caldo, onesto e luminoso. Un sorriso che non aveva mai sorriso prima in tutta la sua vita.

“No, Granger. Significa che quella cotta adolescenziale è diventata amore.” L’espressione sul viso di Granger era ormai quasi comica e Draco scoppiò a ridere. “Esatto Granger, chi l’avrebbe mai immaginato? Il piccolo furetto nervosetto ti ama.”

Ora tutto il viso di Granger era in fiamme e gli occhi erano lucidi, come se la strega avesse la febbre. Draco pensò che la prossima volta gli sarebbe bastato ricordare quell’espressione per evocare il suo furetto d’argento.

 


 

Quella sera, a letto, Hermione non riusciva a prendere sonno. Si rigirò un numero infinito di volte nelle sue coperte scarlatte, mentre le parole di Malfoy cle risuonavano nelle orecchie, nella testa e nel cuore.

Quando poi infine si addormentò, sognò la sua lontra che nuotava in un laghetto cosparso di ninfee, saltando e giocando allegra nell’acqua. Sul bordo del laghetto, acciambellato in mezzo a fiori di mille colori, un furetto candido la osservava.




 

Nota dell’Autore

Questa one-shot vi è stata portata dalla #Sad&DepressedDracoIsBestDracoSquad e dalla #SlytherinProtectionSquad xD


Su internet si trovano centinaia di headcanon su quale possa essere il Patronus di Draco, da pavoni a levrieri a draghi. Nessuna di queste ipotesi mi ha mai soddisfatta pienamente, ma allo stesso tempo non ho mai avuto un headcanon personale… fino a ieri. All’improvviso mi è venuta in mente quella scena del Calice di Fuoco e mi sono detta che probabilmente quella è stata la prima ed unica volta che qualcuno che non sia Narcissa si sia preoccupato per Draco. Se a ciò si aggiunge un pizzico di sano Dramione, ecco la soluzione: il Patronus di Draco è un furetto.

Questa one-shot è nata così. 

Ho aggiunto gli altri Serpeverde e le loro difficoltà con l’Incanto Patronus semplicemente perché immagino che anche loro, come Draco, non siano mai riusciti ad evocare un Patronus a causa delle loro famiglie. Amo tutti i miei poveri serpentelli traumatizzati ♥

Grazie per aver letto questa mia one-shot e spero vi sia piaciuta ♥
 

   
 
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