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Autore: Ari Youngstairs    12/05/2022    1 recensioni
Malec | Divergent!AU
“Eppure, io ero convinto di non avere nulla di speciale.
Schietto, timido, voglio bene ai miei fratelli e ho poca voglia di stare in mezzo alla gente: un normalissimo Candido. Beh, forse non proprio normale, dato che ho fin troppi scheletri nel mio armadio.
La città in cui vivo è divisa in cinque Fazioni, ma non le amo particolarmente: ci limitano, e nel mio caso sono la cosa più scomoda che possa capitarti.
Però se tengo la bocca chiusa non potrà accadermi nulla di male. Giusto?”

Alexander Gideon Lightwood si sbaglia: la sua semplice vita viene completamente stravolta dopo il Test Attitudinale, rendendola quasi come un vero e proprio thriller.
Aggiungete dell'azione, intrighi, cospirazioni e qualche battito cardiaco di troppo.
Che ne verrebbe fuori?
Genere: Azione, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Altri, Magnus Bane
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Note: Buongiorno! Vi sono mancata?
Non mi sembra vero di essere puntuale anche questa settimana, ma meglio così!
Questo capitolo è bello corposo e importante, quindi spero davvero che vi piaccia e che ve lo godiate.
Vi volevo inoltre annunciare che sono riuscita a recuperare il mio vecchio account di Wattpad, e che questa storia verrà pubblicata capitolo dopo capitolo anche lì! Per chi volesse, mi trovate come @AriYoungstairs.
Detto questo, non mi resta che ringraziare tutti coloro che hanno recensito e inserito questa storia nelle preferite/ricordate/seguite: il vostro sostegno mi sprona a fare sempre meglio <3
Essendo questo un capitolo cruciale, mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate; detto questo, vi auguro una buona lettura <3
Ari Youngstairs



• Capitolo Ventitré •


Alla fine, il terribile giorno del test finale è arrivato: quest’ultimo ormai è il protagonista di ogni mio incubo.
Ho assistito alla cerimonia di iniziazione dei Candidi tutti gli anni, prima di questo: lì, invece delle simulazioni, ti sottopongono alla macchina della verità. Tutti i giorni, tutto il giorno. 
Per il test finale ogni Iniziato deve assumere il siero della verità, sedersi davanti a tutti e rispondere ad una serie di domande molto personali: la teoria è che una volta che hai spiattellato tutti i tuoi segreti non avrai mai più il desiderio di mentire su niente.
Non so quando ho cominciato ad accumulare così tanti segreti: l’essere omosessuale, l’essere Divergente, le mie paure. Se avessi scelto di restare nella mia fazione, l’iniziazione dei Candidi avrebbe toccato parti di me che persino le simulazioni non riescono a raggiungere. Mi avrebbe distrutto.
Negli Intrepidi è tutto diverso: nel Giorno dell’Iniziazione l’intero quartiere sprofonda nella follia e nel caos: c’è gente ovunque che corre da ogni parte, beve e chiacchiera a voce altissima. 
Io e tutti gli altri Iniziati ci dirigiamo al Pozzo e saliamo il canale che porta al palazzo di
vetro. Alzo la testa verso il soffitto, ma riesco a malapena a vedere la luce del giorno perché è completamente coperto dalle suole delle scarpe degli Intrepidi.
Il calore di tutti questi corpi mi soffoca e sulla fronte mi si formano gocce di sudore. Un varco nella calca mi permette di scoprire intorno a cosa sono raccolti tutti quanti: c’è una serie di schermi sulla parete alla mia sinistra, da cui chiunque potrà vederci svolgere il test: grazie a Dio nessuno qua fuori vedrà le mie paure, ma solo le mie reazioni.
Guardando i volti intorno a me, vedo che non sono l’unico ansioso o che ha fatto fatica a dormire stanotte: Jace ha dei solchi profondi sotto agli occhi, Clary si morde le unghie a sangue e Isabelle sbatte nervosamente i tacchi degli stivali a terra.
Davanti all’enorme portone che ci separa dalla sala del test, Magnus Woolsey e Tessa aspettano che ci posizioniamo. Sembrano statue imponenti e indistruttibili. 
Woolsey poi, in quanto capo-fazione, prende la parola:
«Iniziati, questa prova è l’ultima che vi separa dall’essere Intrepidi a tutti gli effetti. Qui dentro, una simulazione vi mostrerà alcune delle vostre peggiori paure: il test sarà superato quando riuscirete ad affrontarle con successo.»
Magnus poi fa un passo avanti, mentre Tessa gli passa un piccolo carrello metallico pieno di siringhe: al loro interno, un liquido arancione fosforescente.
«Questo siero che vi inietteremo ci permetterà di accedere alle vostre menti.» Spiega. «Avete un massimo di quindici minuti per concludere il test: in caso contrario, saremo costretti a considerarlo fallito. Vi auguriamo buona fortuna, siate coraggiosi.»
Sento levarsi un coro di grida d’incoraggiamento da tutti gli Intrepidi che sono venuti ad assistere, e mai come prima d’ora mi ero sentito come carne da macello.
Sento Isabelle cercare la mia mano ed io gliela stringo, accarezzandole il dorso con il pollice: se solo sapesse quanta paura ho anch’io in questo momento, probabilmente non cercherebbe me per un conforto. 
Veniamo chiamati in ordine casuale: la prima è una ragazza di nome Miriam, alta e con la pelle color ebano. 
Vedo Magnus prendere la prima siringa e iniettarle il liquido nel collo, proprio sotto l’orecchio. 
Poco dopo essere entrata, nella sala delle simulazioni le luci si accendono mostrando Miriam che si distende sul lettino, mentre un Intrepido le sistema addosso i cavi del computer. Nella stanza, una lunga fila di poltrone ospita altri Intrepidi che si accettano che tutto avvenga secondo le regole. Stavolta non avrò né Magnus né Tessa ad aiutarmi.
Tra i numerosi televisori, quello centrale mostra il battito cardiaco di Miriam che accelera per un po’ e poi rallenta. Quando raggiunge un ritmo normale, lo schermo diventa verde e gli Intrepidi esultano: significa che le sue paure sono state superate.
Sono passati solo dieci minuti, Miriam esce tremante dalla stanza e sento la voce di Wolsey chiamare Jace.
Accanto a me, lui emette un verso strozzato e fa per avviarsi, ma lo blocco prendendolo per una spalla.
«Buona fortuna fratello.» Gli dico, guardandolo dritto negli occhi. Per la prima volta noto che non ha la sua consueta spavalderia.
Lui posa la propria mano sulla mia, stringendola in un gesto deciso: «Grazie, fratello.»
Come Miriam prima di lui, Jace riceve l’iniezione da Magnus e viene preparato per la simulazione. 
Dagli schermi lo vedo agitarsi, stringere involontariamente le dita attorno al lettino con la fronte madida di sudore e mordersi le labbra fino a farsele sanguinare. 
Dopo pochi minuti però lo schermo diventa verde anche per lui, e altre grida di esultanza si levano dalla folla: stavolta anche io, Clary e Izzy tiriamo un grande sospiro di sollievo.
Uno dopo l’altro, un Iniziato per volta, escono ed entrano da quella maledetta stanza e noi li osserviamo da fuori: un ragazzo non ce l’ha fatta ed è stato portato via con la forza.
Ha fallito e fra poco lo farai anche tu.. Scaccio questo pensiero con tutta la forza che posso: devo rimanere lucido, o rischio davvero di mandare in rovina la mia vita.
Quando anche Clary e Isabelle superano la prova, il nodo che ho alla bocca dello stomaco si allenta leggermente; quantomeno le persone a cui voglio bene ora sono al sicuro, ce l’hanno fatta: li vedo abbracciarsi con gli occhi lucidi poco distante, felici e sollevati di aver superato l’impresa. 
Jace mi fa un gesto d’incoraggiamento, ma l’ansia comincia a farsi così forte che faccio fatica a fingere un sorriso in risposta.
«Alec Lightwood.» 
Quando la voce di Woolsey arriva alle mie orecchie, spero che una voragine si apra sotto i miei piedi e mi inghiotta per sottrarmi a ciò che mi attende dall’altra parte di quella porta.
Ciò purtroppo non accade, e con passo incerto attraverso la folla.
Quando arrivo davanti a Woolsey e Magnus, lui tiene già pronta tra le mani una siringa dall’ago tutt’altro che rassicurante: da lontano non sembrava assolutamente così grande.
Lui si avvicina a me e con delicatezza mi scosta una ciocca di capelli corvini per scoprire il collo: il suo tocco è così delicato che sembra abbia paura di rompermi.
Quasi non sento l’ago affondare nella pelle, tanta è l’agitazione che mi attraversa.
Prima che Magnus estragga la siringa avvicina le labbra al mio orecchio per un solo istante, bisbigliando «andrà tutto bene».
Inspiro profondamente e cerco di non svenire: ormai è troppo tardi per tirarsi indietro.



§



Mentre l’uomo che si occupa del macchinario mi faceva stendere sul lettino, ho provato a pensare a quali paure potrei vedere nella simulazione: il risultato è stato che sono talmente tante le cose che mi fanno paura nel profondo, che ho davvero l’imbarazzo della scelta.
D’un tratto tutto il mio campo visivo si sfuoca, le palpebre diventano pesanti.
In pochi istanti tutto ciò che avevo intorno si dissolve come fumo, ed io rimango solo.
Scendo dal lettino e muovo qualche passo, titubante. 
D’un tratto di duro mi colpisce alla schiena, facendomi cadere in avanti.
A sinistra e a destra due muri della stanza si avvicinano pericolosamente, il soffitto si chiude sopra di me con uno schianto.
Istintivamente mi porto le ginocchia al petto, rannicchiandomi più che posso mentre le pareti cercano di schiacciarmi. Perdo il controllo del respiro, in panico.
Gli spazi chiusi mi hanno sempre spaventato tantissimo, sin da quando da piccolo rimasi chiuso per sbaglio nello scantinato di casa: era una stanzetta angusta, buia e polverosa.
Mia madre mi ritrovò in lacrime poco dopo, ma non ho mai dimenticato la sensazione terribile di soffocamento e ansia che provai.
Sensazione che ora è tornata, più forte e reale che mai. 
Se non sapessi di essere monitorato, potrei controllare la simulazione e far sparire tutto questo. Ma non è una strada che ora posso percorrere.
«Un Intrepido usa ciò che ha a disposizione.»
Con il cuore in gola e le mani che tremano, cerco disperatamente qualcosa che possa aiutarmi prima di rimanere schiacciato.
Tastando il pavimento sento qualcosa di metallico e appuntito. Prendendolo tra le mani, mi accorgo che sono dei grandi chiodi, di quelli che si usano per chiudere le casse. 
Cerco di infilarli nella fessura che separa il suolo dalle pareti, incastrandoli con tutta la forza che ho nelle braccia: l’avanzata dei muri sembra fermarsi, bloccata dai chiodi.
La stanza intorno a me esplode con uno schianto, sparendo.
Tiro un sospiro, consapevole di essere riuscito a superare la prima delle mie paure.
Con un flash di luce mi ritrovo in camera mia, quella in cui sono cresciuto. Una fitta di nostalgia mi attanaglia mentre riconosco ogni dettaglio: l’armadio di legno, le pareti chiare, le fotografie mie e dei miei fratelli sulla scrivania, il pallone con cui io e Jace giocavamo da piccoli nell’angolo.
L’ultima volta che ho visto questo posto è stato il giorno della Cerimonia della Scelta: sono passate solo alcune settimane, ma a me sembra una vita.
Sobbalzo quando sento degli spari provenire dal piano inferiore. 
Scatto come una molla, e uscito dalla camera mi fiondo giù per le scale con una velocità che non sapevo di avere. 
Quello che vedo appena scendo dall’ultimo gradino è così terribile che trattengo a stento un conato di vomito: le piastrelle bianche del pavimento sono inondate di sangue, i corpi dei miei familiari riversi a terra in posizioni innaturali. 
Max, Jace, Isabelle e mia madre giacciono esanimi, i loro occhi sono vuoti e senza vita.
Al centro del salotto, la figura di un ragazzo: ha i capelli bianchi come la carta, gli occhi neri e senza pietà. È Jonathan.
«Arrivi tardi.» Mi dice, avvicinandosi con sguardo folle. Ad ogni passo i suoi stivali lasciano un’impronta rossa di sangue sul pavimento. Nella mano chiusa a pugno tiene stretta una pistola, che non esita a puntarmi contro. «Li ho uccisi tutti.» 
La vista mi si appanna dalle lacrime, non riesco a trattenerle. Vedere una simile scena mi fa venire voglia di strapparmi via il cuore dal petto. 
Un moto di furia mi travolge, accecandomi. Prima che lui possa premere il grilletto mi getto contro Jonathan con tutto il mio peso, scaraventandolo a terra con un tonfo sordo.
Sento la pistola sfuggirgli dalle mani e scivolare via.
«Sei un debole.» Sibila, mentre lo inchiodo al pavimento con tutto il mio peso. «Non sei riuscito nemmeno a proteggere la tua famiglia. Meriti di morire.»
Con le mani raggiunge il mio collo e lo stringe in una morsa, tentando di soffocarmi. La gola e i polmoni mi vanno in fiamme, la sua stretta è sempre più forte.
Afferro la pistola caduta poco distante dalla sua testa, puntandogliela sulla fronte. Il metallo è così freddo che sembra ghiaccio, e il mio primo istinto è quello di lanciarla via di nuovo.
Ogni cellula del mio corpo vorrebbe opporsi a ciò che sto per fare: fino ad ora ho sparato solo a dei bersagli, mai ad una persona. 
Ma so che non ho scelta: un vero Intrepido lo farebbe senza esitazione. 
Chiudo gli occhi e premo il grilletto, sentendo il rumore della detonazione che mi esplode nelle orecchie. Le braccia di Jonathan crollano a terra con un tonfo, lasciando la presa sul mio collo. 
Torno a respirare, guardando con orrore ciò che ho appena fatto: il corpo di Jonathan giace inerme sotto al mio, immerso in una pozza di sangue.
Col respiro corto mi alzo di scatto, in preda ai brividi. Sono consapevole che questa è solo una simulazione, ma tutto sembra così dannatamente reale che è difficile distinguere ciò che è vero e ciò che invece non lo è. 
Qualcosa di caldo e viscoso comincia a scorrermi tra le dita: con orrore mi accorgo che le mie mani sono piene di sangue, e che a nulla serve provare a strofinarle sui vestiti.
«Che cosa ci hai fatto?»
È mia madre ad aver parlato, ma la sua voce giunge distorta e spaventosa alle mie orecchie. Come degli zombie, i corpi della mia famiglia si rimettono in piedi. Eppure, guardandoli, mi rendo conto che non possono essere loro: sembrano sfigurati, con le braccia piegate in strane angolazioni, bocche troppo grandi che mostrano denti aguzzi, orbite vuote. 
Qualsiasi cosa siano queste creature, hanno solo le fattezze delle persone che amo.
«I tuoi segreti…i tuoi segreti ci hanno resi così…» Stavolta è Isabelle a parlare, la voce le gorgoglia in gola. I suoi capelli, di solito lisci e lucenti, ora sembrano drappi di stoffa neri malamente strappati.
Io indietreggio, non sapendo cosa fare. Ho ancora la pistola stretta in pugno, ma non voglio usarla contro di loro, non voglio sparargli.
Sapevo che tra le mie paure non potevano mancare tutte le cose che ho tenuto loro nascoste.
Avrei voluto così tanto dire tutto, ma non avevo scelta. 
Realizzo che davanti a me non ho più la mia famiglia, bensì delle forme mostruose che impersonano tutte le mie paure, i miei segreti e i miei rimpianti.
Ma chi dopotutto non ne ha? Anche il più puro dei Candidi, probabilmente, tiene comunque nascosto qualcosa. Penso a mio padre, che pur essendosi votato all’onestà ha tradito la mamma condannandosi per sempre.
Getto via la pistola, che sbatte sul pavimento con un rumore secco e metallico.
«Non mi fate paura.» Dico, ed è vero. Un moto di coraggio mi attraversa, la mia voce si stabilizza. «Siete solo le mie parti più oscure, ma ho smesso di scappare.» 
A queste parole i mostri e la casa intorno a me si dissolvono, portando con loro il sangue che tingeva di rosso il pavimento e le mie mani.
Tiro un sospiro di sollievo, sentendomi sollevato per qualche momento. La mia tranquillità però dura ben poco.
Con un altro flash, mi ritrovo in una nuova stanza: le luci sono deboli e soffuse, le pareti color rosso scuro. L’unico mobile presente è un gigantesco letto a baldacchino, che troneggia imponente al centro della stanza.
Che significa?
«Alexander.» Riconoscerei questa voce tra altre mille. 
Un paio di braccia forti e muscolose mi abbracciano da dietro, circondandomi i fianchi.
Mi rigiro nel suo abbraccio, incrociando lo sguardo con due occhi magnetici, felini: gli occhi di Magnus. 
Lui sembra quello di sempre, con i capelli neri tenuti dal gel, la pelle ambrata e il trucco perfetto, però la sua espressione ha qualcosa di diverso rispetto al solito, qualcosa di sinistro: le sue pupille verticali mi scrutano da capo a piedi, fameliche.
Provo a scostarmi dalla sua presa ma senza successo, le sue braccia sembrano volermi tenere ancorato a lui con tutte le forze.
Non faccio nemmeno in tempo a chiedergli di lasciarmi andare che lui preme la sua bocca sulla mia, con impeto e urgenza.
Le sue dita corrono alla zip della mia giacca, abbassandola con in un unico gesto per poi togliermi l’indumento con foga e gettarlo sul pavimento. Le mie braccia rimangono scoperte.
«Magnus-» Cerco di dire, sentendo le sue mani e la sua bocca ovunque. «Magnus, fermati.»
Lui interrompe il bacio e mi stringe il mento tra due dita, costringendomi a guardarlo negli occhi: sono lucidi dal desiderio.
«Fermarmi?» Ripete. Non l’ho mai sentito usare un tono così perentorio, se non durante gli allenamenti. «Se vuoi stare con me, non potrai mai chiedermi una cosa simile.»
Oh, penso, quindi è di questo che si tratta.
È la paura di non essere alla sua altezza, di non essere nulla in confronto a tutte le persone con cui è stato in passato: più che cieco terrore, questo ostacolo mi crea un’ansia incredibile.
Cerco di pensare a come superarlo, quando le mani di Magnus corrono alla fibbia della mia cintura e la sfila, gettandola a terra insieme alla giacca. Sento le sue dita lunghe e affusolate accarezzarmi la pelle nuda sotto la maglietta, la sua bocca famelica che bacia e morde ogni centimetro del mio collo. Sono scosso dai brividi.
Magnus mi fa indietreggiare fino al bordo del letto, costringendomi a sedermici con uno spintone. 
Sento che la simulazione sta prendendo il sopravvento su di me, e la visione di Magnus di certo non mi aiuta a concentrarmi. Non ho idea di cosa fare, sento il panico stringermi lo stomaco come una tenaglia e la testa girare.
«Un Intrepido affronta sempre il pericolo di petto.» 
Le parole di Magnus mi ritornano in mente all’improvviso, e sorrido: non credo che avrebbe mai potuto immaginare che i suoi stessi consigli sarebbero stati usati contro di lui. Mi risveglio dallo stato di paura e confusione in cui ero sprofondato, realizzando che davanti a me non c’è il vero Magnus come nell’ultima simulazione ma una proiezione della mia mente, un semplice ologramma con le sue fattezze. 
Mi rialzo in piedi e con un unico movimento lo blocco tra me e la colonna in legno del letto, tenendogli stretti i polsi dietro la schiena. Dalla sua espressione sbigottita, direi che l’ho colto di sorpresa. 
«Mi dispiace-» Gli dico, sentendo finalmente placarsi il mio battito cardiaco. Quasi mi viene da ridere nel vedere la sua espressione perplessa. «-ma temo che dovremo rimandare.» 
Ed è proprio in quel momento, quando finalmente riprendo il controllo della situazione e mi oppongo a lui, che tutto intorno a me svanisce un’altra volta. 
Mi tocco il viso e lo sento rovente dall’imbarazzo per ciò che ho appena vissuto: mi sento così sciocco a pensare che questa è una delle mie peggiori paure…
Con il cuore in gola, aspetto il prossimo scenario. Provo a muovere qualche passo, ma tutto intorno a me è vuoto e buio.
Poi lo sento: qualcosa di gelido si appoggia sulla mia nuca, un cerchio freddo che mi preme sulla pelle. La canna di una pistola.
Mi irrigidisco come una statua, incapace di voltarmi.
«Alexander.» È la voce di una donna, la voce di Camille. «Dov’è la tua famiglia?»
Non so cosa voglia da loro, ma di certo vuole fargli del male; quindi rimango muto senza emettere nemmeno un fiato, immobile.
Lei spinge con più forza l’arma contro la mia nuca, ma io non mi sposto di un solo passo. Chiudo gli occhi, sento il sangue pulsare forte nelle tempie.
«Se non me lo dici, morirai.» 
Sento un suono metallico, il suono di un grilletto che sta per scattare. Non avevo mai visto la morte così da vicino, e fa paura. Fa dannatamente paura.
«Non saprai nulla da me.» La voce mi trema, ma non parlerò. Stringo i pugni così forte che sento le unghie ferirmi i palmi delle mani.
«Non hai paura di morire?» 
Si, ce l’ho. Ne ho così tanta che sento gli occhi pizzicarmi, ma non così tanta da mettere in pericolo le persone che amo. Sento il cuore calmarsi tutto d’un tratto, come se anche lui avesse accettato questo destino.
«No. Preferisco la morte, piuttosto che consegnarti la mia famiglia.» 
Il rumore di uno sparo esplode nell’aria. 
Come se mi vedessi da fuori, guardo il mio corpo cadere con un tonfo.
L’ultima cosa chriesco a percepire è il calore del sangue che comincia a impregnarmi i vestiti.
Poi, il buio. 



§



Quando riprendo conoscenza, il mio risveglio è così brusco che rischio di cadere dal lettino. 
Ho il respiro corto come se avessi corso per ore,  il sudore mi cola giù dalle tempie e la gola mi brucia terribilmente. Ho la pelle d’oca.
Intorno a me sento uno scroscio di applausi.
«Congratulazioni!» La voce dell’uomo che si occupa del macchinario riesce in parte a riportarmi alla realtà. «Hai superato il test, sei ufficialmente un Intrepido.» 
Scuoto la testa cercando di riprendere contatto con me stesso e il mondo che mi circonda: sono nella stanza del test, la platea di Intrepidi applaude. 
Sento i muscoli rilassarsi tutti insieme e mi lascio andare ad un sospiro. 
Ce l’ho fatta, è finita.
Realizzarlo mi da una scarica di adrenalina e la forza per scendere dal lettino e uscire da questo posto. 
Quando esco, ad accogliermi trovo gli applausi di tutti gli Intrepidi e gli sguardi angosciati degli altri Iniziati che ancora devono sottoporsi al test.
«Benvenuto negli Intrepidi, Lightwood.» Woolsey si congratula con me e mi fa cenno di poter andare. 
Poco distanti da lui, Tessa e Magnus mi guardano sollevati. Vedo le spalle di lui rilassarsi e accennarmi un sorriso, ma subito distoglie lo sguardo da me per iniettare il siero al prossimo Iniziato.
Non passa molto tempo prima che riesca a raggiungere Clary e i miei fratelli tra la folla: hanno dei sorrisi raggianti, gli occhi luminosi di chi vede finalmente il futuro spalancare le proprie porte.
Isabelle mi getta le braccia al collo, euforica, ed io la stringo forte a me a mia volta. 
Una sensazione meravigliosa di pace e sollievo mi si accende nel petto, scaldandomi.
«Abbiamo seguito la tua simulazione, sono così felice che ce l’abbiamo fatta!» 
Subito anche Jace mi da una sonora pacca sulla schiena a mo’ di congratulazioni, Clary sorride sprizzando allegria da ogni lentiggine. La loro allegria è contagiosa.
«Dunque ora non ci resta che scegliere cosa vogliamo fare.» Constata Izzy, passandosi una mano fra i capelli lunghissimi: anche dopo aver affrontato le sue peggiori paure, il suo aspetto è rimasto impeccabile e non ha un solo dettaglio fuori posto.
Presi a fantasticare sul futuro nemmeno ci accorgiamo che anche l’ultimo Iniziato conclude il suo test finale.
Fra le grida e gli applausi della folla, Woolsey riprende l’attenzione dei presenti riprende l’attenzione dei presenti facendo un lungo fischio.
«Intrepidi, annuncio ufficialmente concluso il test finale! In quanto capo, faccio personalmente i complimenti a tutti gli Iniziati che sono giunti fino a qui con impegno e perseveranza. Tra un paio d’ore, io e i miei collaboratori vi attendiamo alla mensa per il consueto banchetto che chiude il mese delle Iniziazioni. La classifica generale sarà presentata allora, e fino a quel momento vi invito a provare i cocktail del bar al piano superiore, perché sono davvero fenomenali. A dopo, e sempre potere agli Intrepidi!»
Poi alza il pugno in aria e la folla esplode in urla e applausi, qualcuno sbatte i piedi a terra per fare ancora più rumore.
Vedo Magnus dire qualcosa a Woolsey e lui lo liquida con un gesto disinteressato prima di andarsene, evidentemente preso da ben altri impegni.
Magnus si avvicina a noi con la solita andatura fiera, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni e una linea nera a contornargli gli occhi dorati. Mi sorprende come, ogni volta che li guardo, mi sembra di rivederli per la prima volta.
«Ci tenevo a farvi i complimenti.» Ci dice sorridente. «Superare le vostre peggiori paure non è certo impresa da poco. Posso rubarvi Alec per un po’?»
«Certo, vi lasciamo da soli.» Risponde Jace malizioso circondando le spalle di Clary con un braccio, portandola via in mezzo alla folla. Isabelle li segue borbottando qualcosa sul fatto che tutto questo zucchero le da la nausea.
Magnus posa il suo sguardo su di me, ed inclina un po’ la testa in un modo che trovo adorabile.
«Che ne dici se andiamo un po’ da me prima del banchetto? Così puoi riposarti un po’ e raccontarmi com’è andata.»
Annuisco, ma a questa sua richiesta un qualcosa di sconosciuto mi stringe un nodo allo stomaco. Ignoro questa strana sensazione e seguo Magnus fuori dal palazzo di vetro.



§



Entriamo nell’appartamento di Magnus e lui si sfila le scarpe e la giacca, rimanendo con una semplice maglia nera dallo scollo a V.
«Vuoi qualcosa? Un caffè, un po’ d’acqua?» Mi chiede.
«No, ti ringrazio» Tengo le mani intrecciate davanti a me, dondolandomi sui talloni in preda ad uno strano imbarazzo. 
«Va tutto bene?» mi domanda, sfiorandomi una guancia. Fa scivolare le lunghe dita tra i miei capelli, cullando il mio viso nella mano. Sorride e mi bacia, un calore s’irradia lentamente dentro di me insieme alla paura, che vibra come un campanello di allarme nel mio petto. Non riesco a togliermi dalla testa le immagini del Magnus della simulazione che mi spoglia e mi tocca ovunque.
Con le labbra ancora sulle mie mi fa scivolare la giacca giù dalle spalle, ed io sussulto quando la sento cadere a terra e spingo via Magnus. Non so perché mi sento in questo modo, come se improvvisamente il suo tocco bruciasse.
Mi copro la faccia con le mani.
«Cosa c’è che non va?» Chiede, scrutandomi.
Mi tolgo le mani dalla faccia e lo fisso. Il dolore che leggo nei suoi occhi e l’insicurezza nei suoi lineamenti contratti mi sorprendono. 
«Io…non credo di essere all’altezza.» sussurro, cercando di essere più calmo possibile. «Non so che cosa ti aspetti da me ma….» 
«Che cosa mi aspetto da te?» ripete lui, poi fa un passo indietro e mi osserva, scuotendo la testa. «Ma di cosa parli?» 
Io sostengo il suo sguardo ma non rispondo subito. Ho un groppo sulla gola che mi rende difficile parlare.
«Tu sei stato un ostacolo nel mio scenario della paura.» Confesso, il labbro inferiore che mi trema. 
«Cosa?» Sul suo volto appare un’espressione ferita che mi spezza il cuore. «Tu hai paura di me?» 
«Non di te» confesso, mordendomi il labbro per fermare il tremolio. «Di stare con te... con chiunque, in quel senso. Non ho mai avuto una storia prima e... tu sei più grande, non so quali siano le tue aspettative e...» 
«Alexander» mi blocca lui con tono serio. «Stai parlando di sesso? È questo che ti preoccupa?» 
Annuisco, in imbarazzo. Lui sembra rilassarsi e l’espressione ferita lascia spazio ad uno sguardo comprensivo.
«Alec…so di non avere una grande fama. Ma io non ho davvero alcuna intenzione di affrettare le cose, o di spingerti a fare qualcosa per cui non ti senti pronto.» Mi bacia sulla fronte e sulla punta del naso, poi appoggia delicatamente la bocca sulla mia. Sono teso: nelle mie vene scorre elettricità al posto del sangue: non è solo paura, è anche qualcos’altro. Desiderio. 
Voglio che mi baci, lo voglio sul serio, ma ho anche paura di dove i suoi baci ci porterebbero.
«Tu mi hai fatto scoprire un amore nuovo, Alec, che vale più di qualsiasi notte di sesso con chiunque.» Continua, con gli occhi lucidi. Non l’ho mai visto così fragile e vulnerabile come in questo momento. «Ho avuto storie con tante persone, è vero. Ma nessuna di loro mi ha mai fatto sentire come te. Tu sei così…puro e sincero, in tutto ciò che dici e che fai. E anche il tuo modo di amare lo è: sei il primo a non avermi guardato come se fossi una sorta di bizzarro mostro…ma come qualcuno da amare. Tu non hai mai avuto timore dei miei occhi come tutti gli altri.»
Appoggio la mia fronte alla sua, respirando il suo respiro.
«Non capisco perché ne abbiano» sussurro dolcemente. «Io ho adorato i tuoi occhi sin dal primo giorno…non ne avevo mai visti di così belli.» 
Lui sembra profondamente colpito dalle mie parole, tanto che lo vedo socchiudere le palpebre e guardarmi con una dolcezza infinita.
«Beh…potrei dire la stessa cosa di te.» Mi accarezza uno zigomo con il pollice. «Non credevo esistesse un azzurro così intenso, fino al giorno in cui non ti ho aiutato a scendere da quella rete e tu mi hai guardato con quegli occhi blu pieni di spavento e meraviglia.»
Sento le guance andare a fuoco, e lo sguardo mi cade sulla porzione di pelle ambrata che lo scollo della maglietta gli lascia scoperto. Ho voglia di toccarlo, ma ho paura della 
sua nudità, ho paura che anche lui voglia vedermi così. Lui sembra notarlo.
«Ti sto spaventando, Alec?»
«No» gracchio, per poi schiarirmi subito la gola. «Ho solo... paura di quello che voglio.»
«Che cosa vuoi?» I suoi lineamenti si fanno tesi. «Me?» 
Lentamente, annuisco.
Anche lui annuisce, poi mi prende le mani nelle sue, con gentilezza, e me le appoggia sul suo stomaco. Gli occhi bassi, mi spinge le mani su, sopra il suo addome e sopra il suo petto, e se le stringe intorno al collo. I miei palmi bruciano al contatto con la sua pelle, liscia e calda. Ho la faccia rovente, ma rabbrividisco lo stesso, sotto il suo sguardo. 
«Un giorno» sussurra «quando vorrai, quando te la sentirai, allora potremo...» Si ferma e si schiarisce la gola. «Potremo...» 
Sorrido un po’ e lo stringo tra le braccia prima che finisca la frase, seppellendo il viso nell’incavo del suo collo, e sento il battito del suo cuore contro la guancia, veloce come il mio. 
«Anche tu hai paura di me, Magnus?»
«Sono terrorizzato.» ammette lui con un sorriso.
Ci baciamo di nuovo, e questa volta mi sento a mio agio. 
So bene come si incastrano i nostri corpi, le sue braccia intorno ai miei fianchi, le mie mani sul suo petto, la pressione delle sue labbra sulle mie.
Probabilmente, se riprovassi ora il test, dovrei affrontare una paura in meno.



§



Dopo aver passato un paio d’ore a baciarci e tenerci stretti distesi sul letto di Magnus, ci siamo diretti al banchetto. Il palazzo di vetro sembra ancora un grande formicaio brulicante di Intrepidi su di giri.
La mensa è affollatissima e Magnus mi saluta per dirigersi da Woolsey e Tessa, intenti a prepararsi all’annuncio della classifica finale.
Da lontano vedo Jace sbracciare per attirare la mia attenzione e mi affretto a raggiungere il suo tavolo, dove ovviamente ci sono anche Clary e Isabelle. 
A pranzo ci servono ogni ben di Dio, fiumi di cibo attraversano la mensa e i tavoli degli Intrepidi: dagli hamburger al pollo arrostito, dalle verdure fritte alla pizza farcita, teglie stracolme di pasta e riso con ogni genere di condimento. Le bottiglie di vino e birra sembrano susseguirsi all’infinito. 
Devo ammettere che dopo aver affrontato le nostre peggiori paure, un pranzo simile è il minimo che ci meritassimo.
Da qualche parte si diffonde un rumore stridulo, così forte che devo coprirmi le orecchie con le mani. Woolsey è in fondo alla sala, in piedi su un tavolo, che picchietta le dita su un microfono. Finita la prova audio, la sala si fa silenziosa, e lui si schiarisce la gola prima di parlare.
 «Comincia un anno nuovo e abbiamo un nuovo gruppo di Iniziati che da domani faranno ufficialmente parte della nostra società.  A loro facciamo le nostre congratulazioni.»
Alla parola “congratulazioni” la sala esplode, non in un applauso, ma in un boato di pugni battuti sui tavoli. Me li sento vibrare nel petto, e sorrido.
«Noi crediamo nel coraggio. Crediamo nell’azione. Crediamo nel superamento delle paure e nella possibilità di espellere il male dal nostro mondo, così che il bene possa fiorire e prosperare. Se anche voi credete in queste cose, vi diamo il benvenuto.»
Espellere il male dal mondo. Era una delle frasi slogan di Camille negli articoli in cui giustificava gli arresti di massa delle scorse settimane. Cerco di ignorarare lo strano presentimento che sento in fondo allo stomaco.
«Senza molti altri giri di parole, vi presento la classifica finale.»
Gli oggi di tutti si puntano sullo schermo alle sue spalle, dove ogni nome viene accostato alla foto del futuro Intrepido: Jace è di nuovo in cima alla classifica, battendo Jonathan per la seconda volta.
Da distante lo vedo battere un pugno sul tavolo dalla rabbia.
Scorrendo trovo anche il nome mio, di Izzy e di Clary: siamo tutti ufficialmente Intrepidi.
Jace e Clary si baciano in modo appassionato, mentre Isabelle mi abbraccia ridendomi nell’orecchio. Vorrei davvero che questo momento durasse per sempre.
Ma, come tutte le cose belle, purtroppo la mia allegria dura meno di quanto avrei voluto.
«Prima che andiate, c’è una cosa che dovete fare.» Annuncia Woolsey, mentre gruppo di Intrepidi entra nella mesa trasportando delle grosse casse di metallo. 
Il Capo-Fazione ne apre una e ne tira fuori una grossa siringa, piena di uno strano liquido blu. Da distante vedo che solo in quella cassa ce ne saranno almeno una ventina, tutte rigorosamente sistemate nelle proprie custodie.
«Questo è un ultimo ritrovato della tecnologia, un omaggio degli Eruditi: sono dei geolocalizzatori che ci permetteranno di trovarvi se andaste dispersi o vi dovesse succedere qualcosa.»
Magnus si volta verso di lui, un’espressione di rabbia e sospetto sul volto. Anche Tessa lo guarda confusa.
«Cosa significa questo Woolsey? Non l’abbiamo mai fatto prima d’ora.»
Lui lo squadra con la siringa ancora stretta nelle mani.
«È una decisione del tuo Capo-Fazione, Magnus. Se non vuoi obbedire puoi sempre cercare rifugio dagli Esclusi stanotte.»
Lui, messo a tacere, cerca il mio sguardo tra la folla. Sono terrorizzato.
Non posso permettermi che mi iniettino qualcosa proveniente dagli Eruditi, magari da Camille in persona, ma nessuno di noi ha scelta: disobbedire al Capo è sinonimo di tradire la propria fazione. Anche Jace Clary e Izzy si guardano tra di loro, perplessi e irrequieti.
Gli Intrepidi si dispongono in file ordinate, seppur poco convinti, pronti a ricevere ognuno la propria dose di siero. 
Vedo Magnus che con l’orgoglio ferito mostra il collo a Woolsey e lui, con un ghigno, vi fa affondare l’ago.
Deglutisco, in attesa del mio turno. 
Non sono ancora fuori pericolo.
 

   
 
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