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Autore: laisaxrem    28/05/2022    0 recensioni
Un gruppo di nukenin ha tentato di assassinare Gaara... due volte. Per catturarli prima che ci tentino per la terza volta, il Kazekage chiede supporto a Konoha. Kakashi decide immediatamente di mandare degli ANBU a sostegno di Suna ma, a causa della mancanza di un numero sufficiente di iryō-nin, è costretto a chiedere a Sakura di entrare temporaneamente negli ANBU.
Genere: Angst, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Genma Shiranui, Sabaku no Gaara, Sakura Haruno, Yamato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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- Questa storia fa parte della serie 'This Is Us'
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Domenica 17 Gennaio 1681

 

Il resto del viaggio procedette senza problemi (a parte le continue occhiatacce di Hinoto e Tatsu a cui ormai Sakura iniziava ad abituarsi).

Accelerarono un po’ il passo appena superarono il confine tra il Paese del Fuoco ed il Paese del Vento, sia perché si trovavano in terra straniera, sia perché trovare copertura in mezzo al deserto era ben più complicato che non in una foresta. Anche le ore di riposo vennero ridotte e finalmente, la terza sera, all’orizzonte comparvero le alte mura di roccia che circondavano Suna.

Era tardi, ben oltre l’orario in cui i normali visitatori attraversavano l’unico ingresso, ma le guardie sapevano del loro arrivo e li accolsero amichevolmente (diffidenti, certo, ma almeno non impugnarono le armi contro di loro). Vennero fatti accomodare in una stanza scavata nella roccia delle mura dove attesero e attesero, tenuti d’occhio costantemente da un paio delle guardie di turno. Mezz’ora più tardi Sakura percepì un nuovo chakra avvicinarsi, un chakra che conosceva, e la pesante porta di metallo si aprì a rivelare Kankurō.

Il fratello del Kazekage non indossava la solita divisa cui Sakura era abituata ed i suoi corti capelli castani erano ben visibili… così come il trucco viola che gli adornava il viso ed arrivava fino al collo, scendendo giù oltre l’orlo della maglia. Kankurō fece scorrere lo sguardo su ognuno di loro e Sakura sapeva che li stava valutando. Poi Yamato fece un passo avanti e comunicò di essere il capitano della squadra mandata da Kakashi. Un sorriso piegò le labbra di Kankurō che fece loro cenno di seguirlo.

Li condusse per le vie silenziose del Villaggio semi-addormentato e loro si mossero in silenzio, come ombre sulla sabbia, studiando i dintorni, finché arrivarono al palazzo del Kazekage. Sakura era già stata lì, anni prima, quando insieme a Kakashi e Naruto era corsa in soccorso di Suna dopo che Gaara era stato rapito dai membri dell’Akatsuki. Ma i ricordi erano vaghi ed in ogni caso non era mai stata nell’ufficio del Kazekage. Kankurō nemmeno bussò, quando si ritrovò davanti alla porta, ma si accomodò all’interno, facendo un paio di cenni ai due ANBU di Suna che facevano la guardia.

Gaara era seduto in una poltrona dietro una grande scrivania. Alle sue spalle piccole finestre rotonde lasciavano intravedere il Villaggio bagnato dalla luce della luna. Il Kazekage era piegato su una serie di volumi ed un plico di carte era ben impilato lì accanto. Alla loro comparsa, Gaara sollevò il volto e Sakura notò subito che le occhiaie erano più marcate rispetto all’ultima volta che l’aveva visto. Ed era pallido, molto pallido. Per un attimo rivide il ragazzo che l’aveva caricata su una nuvola di sabbia per tenere in vita Naruto mentre attraversavano in volo il campo di battaglia. Un brivido le percorse la schiena.

«Kazekage-sama», salutò Yamato – dannazione, Tenzō – con un breve ma profondo inchino, e Sakura e gli altri suoi compagni lo imitarono immediatamente. «Io sono Neko e sono il capitano di questa missione», continuò dopo aver raddrizzato la schiena. Poi si voltò appena per guardarli ed iniziò le presentazioni. Quando vennero chiamati, i suoi compagni chinarono di nuovo il capo. «Ed infine Tanuki, il nostro iryō-nin», concluse Tenzō, prima di voltarsi di nuovo verso Gaara.

«Ringrazio tutti per essere venuti», iniziò questi in tono pacato.

«In anticipo sulla tabella di marcia», borbottò Kankurō, che era andato a sedersi all’angolo della scrivania dopo aver spostato malamente una manciata di rotoli dall’aspetto piuttosto logoro.

Gaara lanciò un’occhiata al fratello ma poi tornò a dedicarsi a loro.

«Come concordato con Kakashi-sama, è stato preparato per voi un quartiere nel palazzo a vostro uso personale ed esclusivo», continuò il Kazekage.

«Il che significa che potete minarlo come volete», s’inserì di nuovo Kankurō, le labbra piegate in un sorrisetto. Con le gambe che ciondolavano giù dal bordo della scrivania, sembrava un bambino che avesse appena combinato una marachella.

Questa volta Gaara lo rimproverò per l’interruzione e Kankurō scrollò le spalle, sbuffando sonoramente e borbottando qualcosa che Sakura non sentì (e fu estremamente grata della maschera che le copriva completamente il volto perché non riuscì proprio a trattenere il sorriso che le piegò le labbra). Gaara scosse il capo e tornò a dedicarsi alle due squadre ANBU.

«Il meeting con il Consiglio e le squadre dei miei ninja è previsto per domattina alle 10», comunicò loro. «Sarete stanchi per il viaggio. Vi farò accompagnare nelle vostre stanze», aggiunse. Sakura percepì il suo chakra variare d’intensità e la porta alle sue spalle si aprì. Sakura si voltò quel tanto da poter tenere d’occhio la konoichi che si era affacciata. Era giovane, forse un paio d’anni meno di lei, aveva capelli color sabbia e sorrideva cordiale.

«Matsuri, accompagna i nostri ospiti», ordinò Gaara.

«Sì, Kazekage-sama».

«Grazie. Neko-taichō, vorrei che ti fermassi», aggiunse poi lui. E prima che Sakura potesse escogitare un modo per “farsi invitare nelle stanze private di Gaara”, per usare le parole di Kakashi, l’uomo la fissò e disse: «E Tanuki-san, posso chiedere la tua assistenza?»

Bè, dannazione, così era troppo semplice.

«Certo, Kazekage-sama».

Yamato fece qualche breve, discreto gesto che Sakura riconobbe come uno dei codici che le erano stati insegnati nei tre giorni precedenti; stava dicendo a Ichiro di prendere il comando e procedere a mettere in sicurezza il loro quartiere. Poi i loro sei compagni seguirono Matsuri e la porta si chiuse alle loro spalle, lasciandoli da soli con Gaara e Kankurō.

Il primo sospirò e scivolò impercettibilmente lungo la sedia. Poi guardò Sakura, gli occhi celesti senza pupilla che sembravano perforare la porcellana della maschera da ANBU.

«Kakashi-sama mi ha informato riguardo alla tua identità, Tanuki», iniziò piano, e lei s’irrigidì appena. «Sakura… ho bisogno di un favore», aggiunse, la voce un po’ più tesa rispetto a pochi secondi prima.

Sakura aggrottò la fronte e guardò discretamente Yamato che le fece alcuni rapidi gesti per comunicarle il suo assenso.

«Se è in mio potere, Gaara-sama», assicurò lei, togliendosi la maschera ma senza sciogliere l’Henge che le cambiava, tra le altre cose, il colore dei capelli.

Gaara nascose perfettamente la sorpresa alla vista del suo aspetto modificato. Kankurō non fu altrettanto bravo e il suo grugnito fu perfettamente udibile.

«Sakura, ti prego, “Gaara” è più che sufficiente», l’invitò Gaara, lanciando un’occhiata di sbieco a suo fratello.

Sakura annuì.

«Come posso esserti utile?»

«Durante l’ultimo attentato sono rimasto ferito».

Sakura sospirò. Stupidi, stupidi uomini.

«Sì, Kakashi ci aveva accennato la cosa…» disse, cercando di far trasparire una vena di rimprovero nella sua voce.

«Bè, qualunque cosa sia sta peggiorando ed i nostri medici non sanno che pesci pigliare», s’inserì Kankurō, saltando giù dal tavolo ed avvicinandosi al fratello. «Fagli vedere, Gaara», disse, e senza attendere un assenso afferrò l’orlo della maglia del Kazekage ed iniziò a sollevarla.

Gaara girò la testa di scatto e gli lanciò un’occhiata che a Sakura ricordò tremendamente il Gaara che aveva conosciuto durante il loro primo esame per diventare chūnin, uno sguardo assassino capace di gelare sul posto anche i migliori ninja.

«Faccio da solo», praticamente ringhiò, scostando il braccio per poi alzarsi ed iniziare a togliersi con cautela la maglia ed a Sakura non sfuggì il breve lampo di disagio che passò sul suo volto. La ripiegò con cura e l’appoggiò sulla scrivania, poi procedette a sfilarsi anche la maglia a rete fino a rimanere completamente nudo dalla cintola in su.

Sakura aveva visto innumerevoli ninja in vario stadio di nudità e tutti loro, persino i genin, avevano almeno un paio di cicatrici ed i jōnin avevano la pelle praticamente costellata di cicatrici. Gaara no. Una sola, piccola cicatrice gli decorava il lato sinistro del petto. Ma non fu quello a far sgranare gli occhi a Sakura, no. Perché il torace di Gaara era striato di nero e viola scuro. Le macchie si irradiavano per tutto il corpo (o almeno per la parte che le era visibile) ma erano più intense sul braccio sinistro, in particolare vicino al polso, e andavano via via assottigliandosi in modo graduale man mano che ci si allontanava da quel punto. Sakura non aveva mai visto nulla del genere.

«Cos’è successo?» chiese, piano.

Il suo istinto le diceva di correre da Gaara ed iniziare ad usare il suo chakra per capire che diavolo era quella cosa. Ma non si mosse perché dopotutto era una kunoichi di Konoha nell’ufficio del Kazekage e non voleva rischiare di scatenare un incidente diplomatico. Perciò attese, gli occhi fissi sull’uomo.

«Non ne sono del tutto sicuro», confessò lui, la mano che andava a massaggiare leggermente una striscia particolarmente scura sul bicipite sinistro. «La barriera di sabbia… Non è stata intaccata, durante l’ultimo attacco».

«Ma qualcosa ha superato le tue difese, è evidente», sottolineò Sakura. Più fissava quelle macchie viola e nere più un campanello nella sua mente suonava impazzito. Doveva capire. «Posso…?» chiese, incrociando lo sguardo ceruleo del Kazekage.

Lui annuì e Sakura si avvicinò mentre Gaara girava attorno alla scrivania, poi gli posò le mani sulla parte alta del braccio sinistro ed iniziò a far scorrere lentamente il chakra sotto la pelle diafana. Le ci volle solo qualche secondo e poi…

«Merda», sussurrò a denti stretti.

«Cosa c’è?»

Sakura contemplò per un secondo, solo per un secondo, di non dire a Gaara ciò che aveva scoperto per evitare di mandarlo in panico o, peggio, di minare la fiducia di Suna nei confronti di Konoha. Ma scacciò quel pensiero all’istante perché non c’era alcuna possibilità che gli tenesse nascosta una cosa del genere. Dopotutto era lì per aiutare, non certo per lasciare che il Kazekage morisse in modo lento e doloroso.

«Sono insetti velenosi del clan Aburame».

«Capisco», disse con calma Gaara, il volto che non lasciava trasparire nessun genere di emozione. «Puoi estrarli? O ucciderli?»

Lei scosse il capo.

«Solitamente cercare di estrarli con la forza è la scelta peggiore», spiegò. Avrebbe voluto estrarli, davvero. Lasciarli lì era un rischio enorme per la salute di Gaara. Ma cercare di farlo sarebbe stato un rischio ancor più grande, un rischio che non era assolutamente disposta a correre, non se c’erano altre alternative. Ed in questo caso specifico avevano delle alternative, grazie agli dei. «Scriverò a Kakashi in modo che mi metta in contatto con qualcuno degli Aburame. Per ora li terrò in ibernazione usando il chakra».

«Funzionerà?»

«Se smetterai di usare completamente il chakra e seguirai altri accorgimenti che ti darò, allora sì», assicurò, Sakura, sorridendo un po’. «Devi sapere che si nutrono di chakra. È per questo che più passano i giorni più il disagio aumenta», aggiunse, perché davvero, poteva funzionare solo se Gaara avesse rispettato pedissequamente le sue istruzioni. Se l’avesse fatto avrebbero guadagnato il tempo necessario a Sakura per capire come intervenire. Se non l’avesse fatto… bè Gaara doveva capire che non c’era una seconda possibilità.

«Lo stanno mangiando dall’interno…» sussurrò Kankurō, e l’orrore era evidente nella sua voce e sul suo volto come il sole nel deserto.

Sakura gli lanciò un’occhiataccia.

«Grazie al cielo non sei un medico».

Kankurō lanciò un’occhiata a suo fratello e per un attimo parve mortificato.

«Scusa, Gaara, io –»

«Come ha fatto il mio medico a non accorgersene?» l’interruppe il Kazekage con un gesto della mano.

Sakura scrollò le spalle. Solo un paio d’anni prima avrebbe cercato di giustificare l’iryō-nin ed al contempo avrebbe sminuito le sue abilità. Anni di condizionamento da parte dei suoi genitori l’avevano spinta a ritenere che ogni sua conquista, ogni sua abilità, erano dovute non al suo impegno ma alla fortuna o all’aiuto degli altri. Le ci era voluto quasi un decennio (ed una Guerra) per capire che non era così.

«Tsunade-sama mi ha addestrata bene», si limitò a dire con una scrollata di spalle.

Dopo qualche secondo Gaara annuì e le chiese di procedere.

Le ci vollero poco più di dieci minuti per ibernare ogni insetto ed altri cinque per scandagliare attentamente ogni millimetro del corpo di Gaara per assicurarsi di non averne scordato nemmeno uno. Quand’ebbe finito chiese carta e inchiostro e scrisse alcune istruzioni (cibi da evitare, esercizi per il controllo del chakra, ore di sonno, eccetera).

«Sono seria, Gaara. Chakra al minimo», ribadì infine, cercando di mettere nella voce tutta la serietà di cui era capace.

«Non ti preoccupare, Sakura-chan, farò in modo che rimanga a riposo», s’inserì Kankurō passando la maglia a Gaara. «E aumenterò gli ANBU di guardia, in caso di attacco».

«Non sarà necessario».

«Zitto un po’, Gaara».

Sakura sorrise.

«Bene, se non c’è altro allora noi andremmo», intervenne Yamato in tono tranquillo.

Gaara annuì. «Grazie Sakura», disse poi, con un breve inchino del capo.

Lei scrollò le spalle, tornò accanto a Yamato ed insieme s’inchinarono per poi lasciare l’ufficio. Avevano dei piani da mettere a punto.

  
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