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Autore: La_Sakura    01/06/2022    6 recensioni
Alla vigilia del World Youth, un grave incidente costringe Tsubasa al ritiro dalla competizione e anche dal calcio giocato. Rimasto inspiegabilmente in Brasile, il giovane lascia andare i contatti con gli amici di sempre fino a far perdere le proprie tracce.
Sono passati cinque anni quando, da San Paolo, giunge una nuova notizia: Roberto Hongo ha perso la vita in un incidente d’auto. Gli amici della vecchia Nankatsu si radunano per recarsi al funerale, curiosi anche di sapere se Tsubasa sarà presente, ma la sua assenza fa sì che Yuzo decida di cercarlo, rintracciandolo finalmente a Santos. Ciò che troverà, sarà in grado di spiegare il passato?

«Dobbiamo essere veloci.»
«Veloci e furiosi.»

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Serie "VeF - Velozes e Furiosos"
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Nuovo personaggio, Tsubasa Ozora/Holly
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'VeF - Velozes e Furiosos'
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Velozes e Furiosos

Família

I rumori dell’officina erano ormai diventati consuetudine anche per lui, come tutto il resto: la colazione insieme al mattino, accompagnare Yuki a scuola, passeggiare per Santos, badare a Yuki nel pomeriggio. Visto dall’esterno, Yuzo avrebbe pensato di far parte di una comune, o di una famiglia.

Família.

Era la parola che meglio racchiudeva l’insieme che avevano creato Tsubasa e Keiko attorno a Yuki. Yuki dai grandi occhi curiosi, Yuki che gli aveva spiegato per filo e per segno il significato del kanji del suo nome – felicità – e tutte le varianti che i suoi genitori avrebbero potuto adottare ma non avevano scelto, Yuki che non era figlio di Tsubasa, e di questo Yuzo ne era certo. Non era un esperto di genetica, ma ne sapeva abbastanza da capire che un bambino coi tratti somatici misti non poteva essere figlio di due giapponesi puri come lo erano lui e Keiko. Yuki era un nissei, come Cristóvão, ci avrebbe messo la mano sul fuoco.

«Yuzo-kun, non sei per niente attento.» lo apostrofò il bambino, tirandolo per una manica.

«Scusa, Yuki-chan. Allora, stavamo dicendo?»

Il nanerottolo scosse il capo, quindi scese dalla sedia e si diresse verso il frigorifero, da cui estrasse una lattina di guaranà che gli porse.

«Tsubasa dice sempre che non c’è niente di meglio di questo per mantenere la concentrazione.»

Lo ringraziò carezzandogli la testolina mentre questi si rimetteva a sedere accanto a lui e riprendeva in mano il pennarello per colorare il disegno che Yuzo gli aveva fatto.

«Yuzo-kun, com’è il Giappone?»

La domanda lo spiazzò, e non tanto perché posta da un bambino di cinque anni, bensì per la nota malinconica che udì nel tono di voce.

«Come mai questa domanda?»

«Perché mamma non c’è mai stata, e non ci vuole andare, invece Tsubasa dice che dobbiamo andarci perché staremo meglio lì. Io però non ci voglio andare, perché zio Cris è qui e con zio Cris sto bene. Mi porta sempre a prendere il gelato, quando mi viene a prendere a scuola, però non lo diciamo alla mamma perché lei dopo dice che ci viene il mal di pancia.»

Rimasero in silenzio qualche istante, e Yuzo sperò che il piccolo avesse scordato la domanda che gli aveva posto: nel frattempo, però, aveva immagazzinato l’informazione che gli aveva involontariamente fornito su Keiko e Tsubasa. Non aveva dubbi che la donna avesse un forte ascendente sul suo ex compagno di squadra, e non ci voleva un genio per capire che i due fossero oltremodo legati, lo si capiva dai piccoli gesti, dalla complicità che avevano; rimaneva da sciogliere il dubbio sul motivo per cui uno volesse far ritorno in Giappone e lei fosse contraria, come se qualcosa la tenesse legata lì. Eppure, a quanto aveva capito, i genitori di Keiko non c’erano più da qualche anno, o comunque non intrattenevano rapporti con loro, dato che non venivano mai menzionati e soprattutto non facevano parte della vita del nipotino.

Troppi interrogativi, e ancora poco, pochissimo tempo: aveva ancora solo qualche giorno da trascorrere in territorio paulista, prima di dover far ritorno in patria per tornare alla vita di sempre, e lasciarsi alle spalle Tsubasa e tutto il resto. Controllò l’orario, e stimò che fosse l’ora giusta per la sua telefonata giornaliera: estrasse il cellulare dalla tasca e lasciò Yuki intento a terminare il suo disegno e si allontanò nella stanza accanto, tenendosi comunque a portata visiva per controllare il bambino.

 

 

Keiko era stata stranamente silenziosa per tutto il giorno, e anche quella sera non si era di certo profusa in chiacchiere: subito dopo cena si era ritirata in veranda, con un libro e una birra, ma solo la seconda era fissa tra le sue mani, mentre il quinto volume di Harry Potter non si era mosso dal tavolino accanto a lei.

Dopo essersi fermato a osservarla dalla soglia della porta, Tsubasa si risolse a raggiungerla: si sedette nella poltroncina accanto e, proteso in avanti, si limitò a fissarla.

«Yuzo ha prenotato il volo, dopodomani parte per tornare a casa.»

«Sono sollevata, e non per il motivo che pensi.» terminò la birra e la posò accanto al libro, prima di sporgersi a sua volta verso di lui «Una persona in meno a cui badare.»

«Forse ci siamo sbagliati. Magari Tanaka-san ha capito che…»

«Conosco Tanaka-san meglio di te, Tsubasa. Purtroppo.» scosse il capo e si passò la mano tra i lunghi capelli corvini «Non rinuncia così facilmente a qualcosa che gli spetta.»

«Hai idea a quanto ammonti questo debito?»

«Più di quanto possiamo guadagnare in una vita intera con l’officina.»

Si lasciò andare contro lo schienale, e rimase a fissare il riflesso delle stelle sulla Baia de Santos: il mare scuro era calmo, e se non fosse stato per il rumore della risacca che giungeva in lontananza l’avrebbe scambiato per un’enorme piscina.

«Tsu-chan… ho paura.»

Le prese una mano tra le sue, e la strinse: avrebbe voluto infonderle lo stesso calore e coraggio che lei era riuscita a dargli quando era stato lui a essere attanagliato dalla paura, quando il suo futuro era crollato miseramente come un castello di sabbia travolto dalle onde che invadono incuranti la spiaggia.

«Ce la faremo. Ce l’abbiamo sempre fatta, insieme.»

Kei annuì, sottraendosi al suo tocco e rientrando in casa: la vide affacciarsi alla camera di Yuki e sparire al suo interno. Sapeva che il sonno tranquillo del bambino era in grado di calmarla e cancellare qualsiasi ansia dal suo cuore, quindi non se ne stupì.

La sua unica preoccupazione, in tutta quella situazione, era di trovarsi obbligato a strappare il bambino dal suo habitat, dall’unico ambiente che aveva conosciuto, per sbatterlo in un paese completamente diverso che, benché lui fosse abituato a interfacciarsi con giapponesi, lo avrebbe additato immediatamente come hafu(1).

Si sarebbe strappato il cuore piuttosto che far vivere a Yuki quello che sia lui che Cris avevano sperimentato, seppur in contesti e in maniera differente. Aveva fatto una promessa, cinque anni prima, e l’avrebbe mantenuta a ogni costo, anche se questo avrebbe significato dover tornare in patria: la sua priorità era il benessere del bambino che portava il suo cognome e quello di Keiko.

«Irmão(2)

Sobbalzò, il tono di voce basso di Cris lo aveva spaventato.

«Va tutto bene?» gli domandò, leggendo una nota di preoccupazione nei suoi occhi.

«Márcio non sa nulla.» mormorò, occupando la poltroncina che fino a poco prima aveva ospitato Keiko «Il che mi fa sospettare che ci sia qualcosa in ballo: nessuno muove un passo nel bairro, senza che Marcinho lo sappia.»

«Credi che dovremmo fare un salto là?»

«Io la penso come te: lasciamo dormire il tiranno, finché possiamo. Occupiamoci del problema se e quando si porrà. Ora che anche Morisaki parte, abbiamo una persona in meno a cui pensare.»

Gli scappò uno sbuffo divertito: Keiko e Cris erano sempre sulla stessa lunghezza d’onda.

«Credevo che fosse il tuo tipo.»

«Oh, puoi giurarci.» ridacchiò, divertito «Ma è un’anima troppo candida per sopravvivere a ciò che accadrebbe se Tanaka-san tornasse a reclamare ciò che gli spetta.»

«Quindi tu credi che sia giusto venire qui a imporci di ripagare un debito contratto da Hongo in passato, solo perché lui è diventato concime per margherite?»

«Non le faccio io le regole, Tsubasa.» Cris era diventato serio «La decisione finale spetta a te, sei il capo, noi ti seguiremo. Hai chiesto la mia opinione e te l’ho fornita, ora è tutto in mano tua.»

Tornò ad osservare il mare, che languido nella notte continuava la sua risacca perpetua: aveva scelto Santos proprio per l’oceano, per le emozioni che gli trasmetteva e per la calma che gli ispirava. L’odore di salsedine lo rinvigoriva quando passeggiava in spiaggia, all’alba o al tramonto, per schiarirsi le idee. Ma in quel frangente avrebbe dovuto rimettere in discussione la vita di altre persone, e non sapeva se era pronto a prendere quel tipo di decisione.

«Andiamo a dormire, meu irmão. Domani ci penseremo.»

 

 

L’ultimo giorno prima della partenza: Yuzo si sentiva con le spalle al muro, anche se la tensione diventava meno palpabile man mano che la minaccia velata di Tanaka-san si allontanava nel tempo. Kei, quella mattina, si era anche azzardata a piegare le labbra in un mezzo sorriso, quando si erano incrociati nel piccolo corridoio di casa.

«Sono felice di aver trascorso del tempo con te, Yuzo-kun.» Tsubasa gli passò un braccio attorno alle spalle e lo sospinse all’esterno dell’officina. Mossero qualche passo nel piazzale polveroso e lasciarono che il calore del sole li avvolgesse come un abbraccio materno.

«Parto con il cuore pesante, Tsubasa. Quello a cui ho assistito…»

L’amico gli diede una pacca sulla spalla, per interrompere il discorso, poi gliela strinse, il che lo fece voltare verso di lui.

«Non devi preoccuparti, so badare a me stesso.» gli strizzò l’occhiolino.

«Non lo metto in dubbio, ma non c’è da scherzare, quando si ha a che fare con gli yakuza.»

Si rese conto che Tsubasa aveva serrato la mascella e lo stava fissando con aria indagatrice: forse avrebbe voluto minimizzare, vedeva già il fumetto uscire dalla sua testa con scritto “Yakuza-chi?”. Qualcosa però lo aveva fatto desistere dal suo intento.

«Ripeterò a te quello che ho detto a Tanaka-san: non c’entro più niente con Roberto, non ho intenzione di accollarmi il suo presunto debito, per nessuna ragione al mondo.»

«Sai di che si tratta?»

Lo vide volgere lo sguardo all’orizzonte, verso l’inizio della strada: l’officina si trovava nella parte centrale dell’isola, ed era vicina a una delle arterie principali della città, anche se si trovava comunque in una zona un po’ defilata vicina alla municipalità São Vicente e dirimpetto alla zona collinare che fungeva un po’ da confine tra le due zone.

«So solo che Roberto pensava di fare la cosa giusta, e lo era, forse. Peccato che per una sua decisione ci abbiano rimesso anche altre persone.»

«Il tuo incidente…»

«Bas!» Cristóvão li raggiunse correndo «Kei è impegnata con un fornitore, mi ha chiesto di andare a prendere Yuki a scuola.»

Proseguì la sua corsa fino al parcheggio antistante, dove salì sulla sua Skyline balzando all’interno dal finestrino aperto. Mise in moto e percorse il viale in terra battuta che collegava l’officina all’Avenida.

«Stasera prepariamo una cena tipica brasiliana, per salutarti a dovere. Domattina Cris si è offerto di accompagnarti in aeroporto, mi fido del fatto che arriverai in tempo.»

«Oh, non ho dubbi, ho già avuto modo di saggiare la sua guida.» ridacchiò «Credo che partiremo almeno mezz’ora prima, così sarò certo di non rimettere anche l’anima.»

«Guai a sporcargli i tappetini!»

«Credo che mi mancherà vederti aprire il cofano di un’auto per mettere le mani sul motore.»

«Ti mancherà anche vedermi tutto sporco di grasso dalla testa ai piedi.»

«In effetti ora capisco perché ti ostini a usare quella maglia logora.»

Tsubasa abbassò lo sguardo sulla maglietta senza maniche e Yuzo fu quasi certo che la osservasse con un sorriso nostalgico, come se quel pezzo di stoffa gli ricordasse qualcosa. O qualcuno.

«Coraggio, Cris tornerà a breve, ci prendiamo il pomeriggio libero per stare tutti insieme: Yuki ti adora, sarà difficile il distacco. Credo che ti toccheranno delle videochiamate, ogni tanto.»

«Beh, potresti sempre portarlo in Giappone, qualche volta: tua madre non l’ha mai conosciuto?»

Nonostante gli desse le spalle, percepì che Tsubasa si era irrigidito a quel commento, ed era convinto che sul suo volto si fosse formata quella ruga al centro delle sopracciglia che gli aveva visto anche nei giorni precedenti. Quando si voltò verso di lui, però, della ruga non c’era traccia, solo un sorriso amichevole solcava il suo volto.

«Mia madre non ha approvato certe scelte che ho compiuto, per questo non sono mai tornato. Lei e Keiko… non hanno mai legato molto, benché non si siano mai incontrare dal vivo. Kei non ha un carattere facile e mia madre non ha visto di buon occhio il suo subentrare a Sanae.»

Sentiva che quella sarebbe stata la confidenza più profonda che gli avrebbe mai concesso, così annuì con comprensione e si avviò al suo fianco: erano già all’interno dell’officina quando Cris arrivò alle loro spalle, derapando e sollevando un gran polverone. Il nissei scese dal veicolo lasciando il motore acceso e la portiera aperta, camminò verso di loro con lo sguardo serio e fissava un punto imprecisato alle loro spalle: Kei emise un grido che Yuzo non riuscì a interpretare, e gli corse incontro, iniziando a picchiargli i pugni sul petto, parlando in portoghese. L’altro cercò di abbracciarla e di farla calmare, mentre con lo sguardo cercava Tsubasa.

L’ex calciatore non emise un fiato: fissava la scena, gli occhi ridotti a due fessure, le mani serrate in due pugni e solo in quel momento Yuzo notò le nocche rovinate, domandandosi come avesse fatto a non notarlo prima.

«Kei.» la chiamò, la voce bassa e calma.

«Lo hanno preso, Tsubasa. Hanno preso Yuki.» urlò la giovane, rovinando a terra e piangendo disperata.

 

 

Nel salotto di casa Ozora era calato il silenzio, ora che Kei si era finalmente addormentata: Tsubasa era riuscito a calmarla dopo ore di pianto, grida, minacce urlate in entrambe le lingue, era addirittura arrivato a brancarla con la forza quando aveva afferrato le chiavi dell’auto ed era corsa fuori casa, diretta verso il garage.

Lui e Cristóvão non avevano parlato molto, in assenza dei padroni di casa, entrambi erano rimasti assorti nei loro pensieri: il nippobrasiliano era affossato nella poltrona, le braccia incrociate, lo sguardo fisso sul tavolino di fronte a lui, serio. Solo quando Tsubasa fece il suo ingresso nella stanza scattò in piedi.

«Io vado da Tanaka-san.»

«Ho appena convinto Keiko a non andare, non farmi ricominciare a elencare i motivi per cui non è una buona idea.»

«L’ha preso lui, Bas.»

«Credi che non lo sappia? È ovvio, ma cosa vuoi fare, presentarti da lui spalancando la porta a calci? Verresti fermato prima ancora di raggiungere l’ingresso.»

«Non se usiamo le armi.»

«Sono contrario, e lo sai.» Tsubasa si passò entrambe le mani nei capelli, fermandole alla base del collo e stringendo poi i gomiti davanti al volto «Non so che fare.»

«Facciamo quello che va fatto, Bas: andiamo a prenderci Yuki-chan.»

«In che modo lui fa parte del vostro debito?» Yuzo azzardò la domanda, nonostante comprendesse che non fosse il momento adatto.

«Non ne fa parte, è solo un modo per costringerci ad accettare il suo vile ricatto.»

«Bas...» a Yuzo sembrò che Cris avesse pronunciato il nome dell’amico con tono accondiscendente.

«Prepara l’auto, andiamo a San Paolo.»

Il meccanico espresse la sua gioia chiudendo la mano a pugno e tirandola indietro verso il fianco, facendo ondeggiare i bordi della camicia scozzese che indossava.

«Yuzo, tu stai qui con Keiko, e…»

«Perché non portarcelo dietro, invece?»

Sia lui che Tsubasa si voltarono verso Cris, con stupore. Il ragazzo si illuminò e portò le mani ai fianchi.

«Se andiamo al bairro da soli, desteremo sospetti, e neanche Marcinho ci dirà nulla. Ma se portiamo un ospite, e fingiamo che sia una serata tra uomini…»

A Yuzo non sfuggì il guizzo divertito nello sguardo del suo ex capitano: cercò di non badarci, seppure una parte di lui gli dicesse che non erano stati del tutto sinceri in quel frangente. Li seguì all’esterno e non discusse quando li vide salire entrambi sulla propria auto, anche se trovò assurdo usarne due: scosse il capo e si affrettò a salire con Tsubasa, che rise quando lo vide accomodarsi accanto a lui e assicurarsi saldamente alla cintura di sicurezza.

«Mi basta il viaggio di domattina.» si giustificò, alludendo al passaggio che Cris si era offerto di dargli per l’aeroporto «Anche se… posso rimanere, se vuoi.»

L’altro strinse il volante, mentre con l’acceleratore premette un paio di volte a vuoto per far ruggire il motore, ma non rispose: si limitò a un lieve cenno d’assenso che Yuzo pensò di essersi solo immaginato, da tanto che era stato impercettibile.

Il viaggio durò un’ora e mezza, durante la quale il suo sguardo vagò sui boschi che costeggiavano la rodovía, così verdi e lussureggianti di giorno, così scuri e ambigui ora che li osservava al crepuscolo. Il suo compagno di viaggio pronunciò la prima parola solo quando parcheggiarono di fronte a un locale, voltandosi verso di lui e facendosi serio.

«Non dare confidenza agli estranei, non accettare niente da bere, non lasciare che nessuno ti convinca ad appartarti.»

Non comprendendo il perché di quelle raccomandazioni, si sporse per leggere il nome del locale. Il Café Central non aveva l’aria né di un locale a quattro stelle, né di una bettola, ma si uniformava con l’aspetto generale del quartiere.

«Sto iniziando a preoccuparmi.» deglutì rumorosamente, maledicendosi per non essere rimasto a casa, benché fosse solo l’atteggiamento di Tsubasa a metterlo nel panico.

«No, solo se tu fossi omofobo o di mentalità poco aperta dovresti farlo.» replicò l’altro, scendendo dall’auto, pero poi voltarsi e chinarsi nell’abitacolo «Non hai nulla contro gli omosessuali, vero?»

«Oh beh, io…»

Scese dal veicolo e lo raggiunse, girando attorno all’auto.

«Vuoi dirmi che tu…» ma non poté terminare la frase perché Cris li raggiunse in quell’istante, e aveva l’aria di uno che si era appena divertito parecchio, ma non comprese il senso delle frasi che stava pronunciando perché erano tutte in portoghese. Capì solo che stavano parlando di lui quando li vide parlottare fitto fitto e voltarsi di tanto in tanto nella sua direzione, poi fu Cris ad affiancarsi a lui e sospingerlo verso l’ingresso, posandogli una mano alla base della schiena.

«Coraggio, ci meritiamo un aperitivo, ma al ritorno devi promettermi di farmi compagnia.»

L’interno del locale era piuttosto buio, e gli avventori erano pochi: un ragazzino che, al banco, sorseggiava svogliatamente una birra, un paio di ragazze in abiti succinti sedute a uno dei tavoli tondi che fronteggiavano il bancone e un gruppo di uomini che giocavano a biliardo nella stanza attigua, separata dalla loro solo da un paio di colonne.

«Olá Marcinho

Tsubasa aveva salutato in maniera molto espansiva il ragazzo dietro al bancone intento ad asciugare dei bicchieri: i due si erano scambiati una stretta affettuosa, e il barista aveva subito tirato fuori tre birre in bottiglia dal frigo alle sue spalle.

«Sai giocare a biliardo?» gli domandò Cris, dandogli di gomito.

«No, io… non ho mai provato.»

«Vieni, ti spiego le regole.»

Raggiunsero il gruppo di uomini e Yuzo si rese subito conto del perché Tsubasa gli avesse posto la domanda sull’omofobia, poiché si sentì come mucca pronta a essere macellata. Tutti i presenti interruppero le loro attività per voltarsi verso di loro, e se a Cris riservarono un’occhiata veloce, con lui si presero tutto il tempo per squadrarlo.

Uno degli avventori, che stava ingessando la stecca, gli strizzò l’occhio e socchiuse le labbra, come ad allungargli un bacio: Yuzo si irrigidì, e Cris dovette notarlo perché pronunciò una frase in portoghese, che venne accolta con un coro di borbotti, e la ripresa delle loro attività.

«Che gli hai detto?»

«Che sei già impegnato.» cinguettò, posandogli un braccio sulla spalla «Così non ti daranno troppo fastidio.»

Si voltò di scatto verso di lui e se lo ritrovò per la seconda volta a pochi centimetri dal naso: gli occhi di Cris, iridi scure screziate di verde, un colore che raccontava molto del dualismo che albergava in lui, lo osservavano divertite, come se sapessero già qualcosa che nemmeno lui era ancora riuscito a spiegare, o spiegarsi. Il suo cuore ebbe un tuffo, lo sentì rivoltarsi nel petto come se stesse ballando il samba, il che si addiceva molto alla situazione. Il momento si interruppe quando sentirono un rumore alle loro spalle, proveniente dalla zona bar.

«Cristóvão!»

L’urlo di Tsubasa fece scattare il nissei, che corse nella sua direzione: gli vide infilare la porta, e capì in quel momento che il rumore che avevano udito era lo sgabello su cui era seduto il ragazzino. Era caduto? Era fuggito?

«Yuzo, andiamo!» lo esortò Tsubasa, al che si riscosse e lo seguì.

Montarono sull’auto e partirono all’inseguimento di Cris che, a sua volta, stava pedinando una moto. Non riusciva a vederla bene, ma gli sembrava di piccola cilindrata, scura e senza targa.

Al secondo semaforo bruciato, Yuzo fu tentato di saltare giù dal veicolo: la guida di Tsubasa era perfetta, ma troppo spericolata per i suoi gusti. Oltre a essere passati più volte col rosso, stavano facendo lo slalom tra le vetture, rischiando di fare un frontale con quelle che arrivavano nel senso di marcia opposto.

«Non credi che dovresti frenare un po’?»

«Quel filho da puta sta andando da Tanaka-san a dirgli che siamo in giro a fare domande. Se non lo fermiamo, sarà la fine.»

«Cosa può essere peggio di morire in un incidente stradale!» gridò Yuzo, cercando di aggrapparsi con la sinistra al sedile per evitare di essere sbalzato fuori all’ennesima curva in derapata.

«Non morirà nessuno, Yuzo, so quello che faccio.»

Doveva riconoscergli la fermezza: nonostante la situazione fosse delicata, Tsubasa continuava a guidare con gli occhi incollati alla strada, scalando continuamente le marce per mantenere la velocità costante e non subire contraccolpi.

«È in questo modo che sei rimasto ferito?» gli domandò, cercando di recuperare una posizione sicura.

«No.» la risposta era stata decisa «Io ero l’inseguito.»

«Che cosa!?»

«Merda.» Tsubasa afferrò un microfono da ricetrasmittente che era appoggiato sopra il cambio «Cris, il ponte sul fiume è crollato, rallenta.»

Il CB gracchiò appena, poi la voce di Cristóvão giunse chiara.

«L’ho quasi raggiunto, ce l’ho!»

«Hai lui ma non hai il ponte! Lui può anche saltare, ma tu finisci a salutare i pesci. Fermati!»

La radio gracchiò nuovamente, ma la risposta si perse. Man mano che si avvicinavano al ponte, le imprecazioni di Tsubasa aumentavano: la zona era un cantiere aperto, piena di camion e gru per la messa in sicurezza del ponte. In un attimo, videro la moto salire di spinta su un ribaltabile per prendere velocità e lanciarsi dall’altra parte. Le luci posteriori della Skyline di Cris si accesero, a indicare la frenata, quindi l’auto piegò a destra e si fermò a pochi centimetri dallo stesso camion. Tsubasa inchiodò a sua volta e scese al volo, imprecando in portoghese.

Yuzo non si mosse, aveva il cuore in gola e l’adrenalina a mille: non poteva tornare a Nankatsu e raccontare quello che aveva appena vissuto, lo avrebbero preso per pazzo visionario e nessuno gli avrebbe mai creduto.

 

1 hafu: dall'inglese half, metà, è un termine giapponese usato per indicare i figli di unioni tra giapponesi e stranieri. Dovrebbe avere un'accezione neutra 

 

2Irmão: fratello.


Ed eccola, la bomba che esplode! 

Come mi è stato fatto notare, non mi piace lasciare i personaggi troppo tranquilli, ma in fondo hanno avuto i cinque anni precedenti per rilassarsi ^^ *ride* 

Yuzo inizia a farsi delle domande su Yuki, ma non fa in tempo a esporre i suoi dubbi perché proprio il bambino scompare - che crudeltà. 

I nostri amici tornano finalmente a San Paolo dopo tanto, il bairro (no, non è un errore di battitura, in portoghese si scrive proprio così) li accoglie malamente, direi. 

E adesso che succederà? Il ragazzo sulla moto è sfuggito e non ha dato modo a Cris e Bas di "intervistarlo". La vita di Yuki sarà davvero in pericolo? 

Che pathos *blink*

Um abraço 

La Sakura 

 

   
 
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