Quinze
Suggerimento
musicale per voi qui
Tic. Tac.
Tic. Tac.
Il suono
ripetuto dell’orologio lo stava snervando. Erano ore che
alternava le torture
alla sua povera e innocente penna blu, mangiucchiando la e a tratti
sbattendola
sul banco. Persino quel secchione di Lasalle aveva chiuso
l’astuccio negli
ultimi cinque minuti che rimanevano. Finalmente quello strazio stava
per
terminare e lui e i suoi compagni avrebbero potuto fiondarsi nella
boulangerie
più vicina per ingozzarsi di dolci e poi cercare di comprare
in modo molto poco
limpido delle birre.
Era ormai
l’ultimo mese dell’anno, l’ottavo giorno
di dicembre, e Alain de Soissons quel
giorno compiva la bellezza di quindici anni. Quindici!
Ora era
ufficialmente il più grande dei suoi amici, quel cinque gli
conferiva il potere
di poter prendere le decisioni finali sulle questioni importanti del
loro
gruppo. Un sorriso beffardo gli si dipinse in volto, pensando a quanto
se la
sarebbero spassata quel pomeriggio, sperando che sua mamma non sentisse
l’odore
dell’alcol, ma la lezione tardava a terminare.
Uno sbuffo
insofferente, accompagnato da uno stiracchiarsi di braccia poco
educato. Era
stufo marcio di quel corso e di lei.
Quel corso
di matematica avanzata era la cosa più noiosa in assoluto
che avrebbe mai
potuto scegliere sulla faccia della terra, ma lui e i suoi amici erano
stati i
soliti idioti, dimenticandosi di scegliere e si erano ritrovati
lì a discutere
di teoremi e disequazioni.
Che palla
infinita.
Non aveva
mai amato studiare, tantomeno la scuola, la trovava noiosa e
ripetitiva. Non
andava male, perché alla fine quel poco che serviva lo
portava a termine senza
troppi sforzi. Gli insegnanti lo additavano come scansafatiche e poco
brillante, ma a lui poco interessava. Dopo il liceo voleva entrare in
qualche
corpo militare, magari in marina. Voleva intraprendere una carriera in
cui
poteva assicurare sua madre e a sua sorella una entrata senza pesare su
di
loro. Da quando il padre se n’era andato, diversi anni prima,
proprio il giorno
del suo compleanno, aveva sentito su di sé il peso di quella
posizione.
Sua madre
con il suo lavoro da sarta aveva sempre cercato di assicurare una vita
dignitosa a lui e a Diane, ma alla soglia dei suoi quindici anni
sentiva che
era arrivato il momento di prendersi le sue responsabilità e
smettere di
gravare sulle spalle di sua madre. Un pensiero che si potrebbe arrivare
a
definire forse retrogrado, patriarcale, ma se nessun padre si era
curato di lui
e della sua famiglia, non facendosi remore a formarsene
un’altra, lui stesso
sarebbe stato il padre di se stesso.
Un altro
sbuffo, più rumoroso del precedente, probabilmente con la
chiara intenzione di
far capire alla persona alla lavagna che era stufo marcio di quella
lezione.
La vide
voltarsi, facendo ondeggiare i lunghi capelli biondi e rivolgendogli
uno
sguardo poco amichevole.
Qualcosa non
va, Alain? Ti sei perso qualche calcolo?
Erano
settimane che doveva sorbirsi quelle spiegazioni fastidiosamente
dettagliate e
poco interessanti da quella strana ragazza dal nome maschile. Quando si
era
seduto in classe, qualche mese prima, sapeva che da quella porta
sarebbe
entrato uno studente da poco laureato che doveva fare esperienza. Un
pivellino
in pratica.
Lui e i suoi
amici avevano sghignazzato, ben consci che avrebbero reso un vero
inferno la
vita del povero malcapitato. Non solo si erano beccati il corso
più noioso e
sfigato di tutti, di per certo non avrebbero iniziato a studiare.
Persino
Lasalle, sempre composto ed educato (e soprattutto scarso in
matematica) non
aveva preso seriamente quel corso.
Eppure, ciò
che si erano trovati davanti era tutt’altro che un pivellino
fragile. Il primo
giorno era entrata, con passo di marcia, una ragazza curata, ben
vestita, ma
soprattutto, bellissima. Aveva dei meravigliosi capelli color oro che
le
accarezzavano le spalle, gli occhi azzurri brillanti e
un’espressione
dura.
Ammazza, ma
quanto è bella?
Non lo so,
ma se vuole faccio le equazioni anche a comando.
I commenti e
le risatine serpeggiarono fino a quando lei aprì bocca.
Io
sono la dottoressa Oscar François de
Jarjayes, e sono la docente del corso di matematica avanzata. Aveva
percorso
l’aula con passo di marcia, scrutandoli uno ad uno. E se
sento di nuovo quei
commenti da bettola in questa classe giuro che vi sbatto dal preside,
sono
stata chiara?
Il silenzio
era calato improvvisamente fra i ragazzi e nessuno aveva più
voglia anche solo
di fiatare. Quelli che erano seduti scomposti si erano riposizionati e
i
quaderni si erano magicamente palesati sui loro banchi. Mancava
soltanto il signorsì
signora, e l’addestramento militare poteva prender
luogo, ma Alain mal
sopportava questo genere di comportamenti.
Scusate
mademoiselle, ma non prendo ordini da una donna.
I suoi
compagni si voltarono di scatto, aspettandosi la sua condanna in
contumacia ad
essere spedito dal preside De Bouille senza troppi preamboli, ma tutto
ciò
stranamente non accade. La ragazza strinse pericolosamente gli occhi in
due
fessure minacciose puntando il giovane.
Io non parlo
con chi non è capace di sedersi correttamente.
Alain la
guardò ancora, mascherando sotto i baffi un sorrisetto
divertito. Si rimise
composto, mantenendo la schiena dritta.
Avete
ragione, sono stato maleducato.
Il tuo nome.
De Soissons
Alain.
Rimase in
silenzio qualche secondo, incrociando le braccia, per poi afferrare un
gesso
che era stato abbandonato in precedenza da qualche insegnante
distratto, e con
una velocità straordinaria iniziò a scrivere alla
lavagna una serie di teoremi
e formule mai viste prima d’ora.
Una volta
terminato si diresse con poche falcate verso il banco del
ragazzo.
Molto bene
Alain. Visto che ti sei mostrato così pronto nella risposta
sono certa che
sarai in grado di risolvere ciò che ti ho lasciato alla
lavagna.
Alain sgranò
gli occhi, incredulo. Quella era totalmente svitata, fuori di testa. La
roba
che si palesava sulla lavagna era talmente lunga e complessa che non
aveva idea
di dove mettere mano. Si ricompose, nascondendo immediatamente
l’espressione di
sorpresa. Non le avrebbe dato la soddisfazione di vederlo in
difficoltà.
Afferrò in fretta in gesso, camminando lentamente verso
quella che appariva
come una vera e propria condanna a morte. Si era letteralmente fregato
con le
sue stesse mani, lui e la sua stramaledetta boccaccia con la lingua
lunga. Sua
madre glielo diceva sempre di darsi una regolata, ma lui era sempre
stato
troppo diretto, con troppi pochi freni e ora si ritrovava in quel
pasticcio.
Si voltò
verso i suoi compagni, che ora, pavidi, avevano il viso chinato sul
libro
mentre quella diabolica ragazza spiegava ciò che ritrovavano
su quella
pagina.
E va bene,
facciamole vedere chi comanda qua dentro.
Si strinse
le meningi fino allo sfinimento, piuttosto che dargliela vinta si
sarebbe fatto
incollare al pavimento tutta la notte. Era una cosa che non aveva mai
visto
prima d’ora, ma nonostante fosse una rompiscatole gli aveva
dato dei
suggerimenti sul dove partire e non ci aveva pensato due
volte.
Aveva
scritto e cancellato un’infinità di volte, non era
neanche del tutto certo che
quello che stesse scrivendo fosse corretto o matematicamente
accettabile, ma lo
tangeva molto poco. Doveva farcela.
Doveva
dimostrare a quella pallina gonfiata che lui, Alain de Soissons, non si
faceva
mettere i piedi in testa da nessuno, tantomeno da una ragazza.
L’ora trascorse
in fretta e la campanella suonò prima del previsto.
Abbandonò in malo modo il
gesso, mentre i suoi amici con occhi compassionevoli lo guardavano
uscendo
dalla classe. La vide scrutarlo in silenzio, per poi osservare i
calcoli alla
lavagna. Non aprì bocca prima di diversi minuti, per poi
avvicinarsi a lui. Profumava
di rosa e i suoi capelli erano ancora più dorati da vicino.
È praticamente
tutto scorretto.
Un gemito
sfuggì dalla sua bocca. Era fregato, ora sarebbe finito in
punizione. I suoi
occhi azzurri lo squadrarono da capo e collo, mentre le sue braccia
snelle si
incrociavano al petto.
Ma non so come
hai utilizzato correttamente i teoremi, sbagliando solo i calcoli. Per
stavolta
puoi andare, ma impara a comportarti come si deve, la prossima volta ti
sbatto
dal preside.
Un ghigno
gli attraversò il viso, anche stavolta l’aveva
scampata bella.
No, è tutto
chiaro.
Lei annuì,
ritornando a parlare con Lasalle, quando finalmente anche
l’ultima campanella
suonò. Erano ufficialmente liberi! Poteva andare a
festeggiare il suo benedetto
compleanno lontano da tutti quei calcoli odiosi.
Buttò alla
rinfusa tutto ciò che si trovava sul banco, per poi
afferrare la giacca e
dirigersi quasi correndo verso la porta.
Alain,
aspetta ad andare, vorrei parlarti.
Uno sbuffo
mal trattenuto gli fece guadagnare un’occhiataccia dalla
ragazza che attese pazientemente
che tutti i ragazzi uscissero dall’aula. Era sempre molto
schiva e riservata,
parlava poco, ma riusciva facilmente a mantenere il comando
dell’intera classe.
Chissà se aveva un fidanzato o una fidanzata? Doveva essere
un tipo piuttosto
paziente per sopportare una nazista come lei.
Tieni,
questo è il tuo compito. Hai fatto davvero un ottimo lavoro.
Prese in
mano delicatamente il foglio che gli stava porgendo, incredulo davanti
a quel
voto così alto. Forse si era sbagliata, o forse lo stava
prendendo in giro.
Ma è veramente
il mio?
La vide
trattenere un sorriso, probabilmente conscia del suo ottimo operato
fatto nella
classe.
Sì, è il
tuo. Sei stato veramente bravo. Hai mai pensato di seguire calcolo
avanzato il
prossimo anno?
Alain strabuzzò
gli occhi. Lui? Calcolo avanzato? Il professore dell’anno
scorso per poco non
gli aveva dato del ritardato al corso base. Però a quanto
pare lei aveva visto
qualcosa di buono in lui, delle possibilità.
Non ci avevo
mai pensato in realtà.
Pensaci, ne
hai tutte le capacità.
Si alzò
dalla sua sedia, riponendo con cura le sue scartoffie nella borsa.
Per quanto
facesse la tosta si vedeva che si era affezionata a tutti loro. Non
c’era stata
lezione in cui non ci avesse messo della passione o della grinta e non
aveva
mai rifiutato a nessuno di dare aiuto.
Era giovane,
forse troppo, però Alain doveva ammetterlo, era proprio una
tipa tosta.
Grazie, ci
penserò.
Sì, quel
compleanno era decisamente speciale. Per la prima volta qualcuno aveva
creduto
in lui e quello era stato senza dubbio il regalo di compleanno migliore
di sempre.
Orbene,
finalmente mettiamo una fine a questa raccolta. Sono come sempre
mostruosamente
in ritardo, ma questa volta la vita ha voluto colpirmi prepotentemente
nelle
gengive da marzo. È forse la prima volta dopo mesi che sono
vagamente serena,
quindi eccomi qui a portarvi l’ultimo capitolo.
È senza pretese,
senza neanche il romance, una cosina così,
com’è uscita ve la riporto.
Grazie a
tutt* per aver letto, spero di risentirci presto.
Bye
Flitwick