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Autore: Flitwick    28/08/2022    7 recensioni
1.“Come mai hai deciso di fare questo mega party? Tu detesti il tuo compleanno, e anche le feste. Cosa ti ha spinto a farne una così mastodontica lasciando carta bianca ad Alain?”
“Volevo creare un bel ricordo.”

[Oscar/André]
2. "Cosa facciamo adesso, Alain?"
"E che cosa vuoi che ne sappia?"

[Alain/André]
3."È per suo figlio?" [...]
"No mademoiselle, è per il figlio di una cara amica."
Avrebbe potuto essere suo figlio, ma lei aveva scelto lui.

[Victor/Oscar/André]
4. "Scusate mademoiselle, ma non prendo ordini da una donna."
[Oscar/Alain]
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Victor Clemente Girodelle
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Quinze

 

Suggerimento musicale per voi qui

 

 

 

 

Tic. Tac. Tic. Tac.

Il suono ripetuto dell’orologio lo stava snervando. Erano ore che alternava le torture alla sua povera e innocente penna blu, mangiucchiando la e a tratti sbattendola sul banco. Persino quel secchione di Lasalle aveva chiuso l’astuccio negli ultimi cinque minuti che rimanevano. Finalmente quello strazio stava per terminare e lui e i suoi compagni avrebbero potuto fiondarsi nella boulangerie più vicina per ingozzarsi di dolci e poi cercare di comprare in modo molto poco limpido delle birre.

Era ormai l’ultimo mese dell’anno, l’ottavo giorno di dicembre, e Alain de Soissons quel giorno compiva la bellezza di quindici anni. Quindici! Ora era ufficialmente il più grande dei suoi amici, quel cinque gli conferiva il potere di poter prendere le decisioni finali sulle questioni importanti del loro gruppo. Un sorriso beffardo gli si dipinse in volto, pensando a quanto se la sarebbero spassata quel pomeriggio, sperando che sua mamma non sentisse l’odore dell’alcol, ma la lezione tardava a terminare.

Uno sbuffo insofferente, accompagnato da uno stiracchiarsi di braccia poco educato. Era stufo marcio di quel corso e di lei. 

Quel corso di matematica avanzata era la cosa più noiosa in assoluto che avrebbe mai potuto scegliere sulla faccia della terra, ma lui e i suoi amici erano stati i soliti idioti, dimenticandosi di scegliere e si erano ritrovati lì a discutere di teoremi e disequazioni. 

 

Che palla infinita.

 

Non aveva mai amato studiare, tantomeno la scuola, la trovava noiosa e ripetitiva. Non andava male, perché alla fine quel poco che serviva lo portava a termine senza troppi sforzi. Gli insegnanti lo additavano come scansafatiche e poco brillante, ma a lui poco interessava. Dopo il liceo voleva entrare in qualche corpo militare, magari in marina. Voleva intraprendere una carriera in cui poteva assicurare sua madre e a sua sorella una entrata senza pesare su di loro. Da quando il padre se n’era andato, diversi anni prima, proprio il giorno del suo compleanno, aveva sentito su di sé il peso di quella posizione.

Sua madre con il suo lavoro da sarta aveva sempre cercato di assicurare una vita dignitosa a lui e a Diane, ma alla soglia dei suoi quindici anni sentiva che era arrivato il momento di prendersi le sue responsabilità e smettere di gravare sulle spalle di sua madre. Un pensiero che si potrebbe arrivare a definire forse retrogrado, patriarcale, ma se nessun padre si era curato di lui e della sua famiglia, non facendosi remore a formarsene un’altra, lui stesso sarebbe stato il padre di se stesso.

Un altro sbuffo, più rumoroso del precedente, probabilmente con la chiara intenzione di far capire alla persona alla lavagna che era stufo marcio di quella lezione.

La vide voltarsi, facendo ondeggiare i lunghi capelli biondi e rivolgendogli uno sguardo poco amichevole. 

Qualcosa non va, Alain? Ti sei perso qualche calcolo?

 

Erano settimane che doveva sorbirsi quelle spiegazioni fastidiosamente dettagliate e poco interessanti da quella strana ragazza dal nome maschile. Quando si era seduto in classe, qualche mese prima, sapeva che da quella porta sarebbe entrato uno studente da poco laureato che doveva fare esperienza. Un pivellino in pratica. 

Lui e i suoi amici avevano sghignazzato, ben consci che avrebbero reso un vero inferno la vita del povero malcapitato. Non solo si erano beccati il corso più noioso e sfigato di tutti, di per certo non avrebbero iniziato a studiare. Persino Lasalle, sempre composto ed educato (e soprattutto scarso in matematica) non aveva preso seriamente quel corso. 

Eppure, ciò che si erano trovati davanti era tutt’altro che un pivellino fragile. Il primo giorno era entrata, con passo di marcia, una ragazza curata, ben vestita, ma soprattutto, bellissima. Aveva dei meravigliosi capelli color oro che le accarezzavano le spalle, gli occhi azzurri brillanti e un’espressione dura. 

 

Ammazza, ma quanto è bella? 

Non lo so, ma se vuole faccio le equazioni anche a comando.

 

I commenti e le risatine serpeggiarono fino a quando lei aprì bocca.

 

 Io sono la dottoressa Oscar François de Jarjayes, e sono la docente del corso di matematica avanzata. Aveva percorso l’aula con passo di marcia, scrutandoli uno ad uno. E se sento di nuovo quei commenti da bettola in questa classe giuro che vi sbatto dal preside, sono stata chiara?

 

Il silenzio era calato improvvisamente fra i ragazzi e nessuno aveva più voglia anche solo di fiatare. Quelli che erano seduti scomposti si erano riposizionati e i quaderni si erano magicamente palesati sui loro banchi. Mancava soltanto il signorsì signora, e l’addestramento militare poteva prender luogo, ma Alain mal sopportava questo genere di comportamenti.

 

Scusate mademoiselle, ma non prendo ordini da una donna. 

I suoi compagni si voltarono di scatto, aspettandosi la sua condanna in contumacia ad essere spedito dal preside De Bouille senza troppi preamboli, ma tutto ciò stranamente non accade. La ragazza strinse pericolosamente gli occhi in due fessure minacciose puntando il giovane.

Io non parlo con chi non è capace di sedersi correttamente. 

Alain la guardò ancora, mascherando sotto i baffi un sorrisetto divertito. Si rimise composto, mantenendo la schiena dritta.

 

Avete ragione, sono stato maleducato.

Il tuo nome.

De Soissons Alain.

 

Rimase in silenzio qualche secondo, incrociando le braccia, per poi afferrare un gesso che era stato abbandonato in precedenza da qualche insegnante distratto, e con una velocità straordinaria iniziò a scrivere alla lavagna una serie di teoremi e formule mai viste prima d’ora.

Una volta terminato si diresse con poche falcate verso il banco del ragazzo. 

 

Molto bene Alain. Visto che ti sei mostrato così pronto nella risposta sono certa che sarai in grado di risolvere ciò che ti ho lasciato alla lavagna.

 

Alain sgranò gli occhi, incredulo. Quella era totalmente svitata, fuori di testa. La roba che si palesava sulla lavagna era talmente lunga e complessa che non aveva idea di dove mettere mano. Si ricompose, nascondendo immediatamente l’espressione di sorpresa. Non le avrebbe dato la soddisfazione di vederlo in difficoltà.  Afferrò in fretta in gesso, camminando lentamente verso quella che appariva come una vera e propria condanna a morte. Si era letteralmente fregato con le sue stesse mani, lui e la sua stramaledetta boccaccia con la lingua lunga. Sua madre glielo diceva sempre di darsi una regolata, ma lui era sempre stato troppo diretto, con troppi pochi freni e ora si ritrovava in quel pasticcio. 

Si voltò verso i suoi compagni, che ora, pavidi, avevano il viso chinato sul libro mentre quella diabolica ragazza spiegava ciò che ritrovavano su quella pagina. 

 

E va bene, facciamole vedere chi comanda qua dentro.

Si strinse le meningi fino allo sfinimento, piuttosto che dargliela vinta si sarebbe fatto incollare al pavimento tutta la notte. Era una cosa che non aveva mai visto prima d’ora, ma nonostante fosse una rompiscatole gli aveva dato dei suggerimenti sul dove partire e non ci aveva pensato due volte. 

Aveva scritto e cancellato un’infinità di volte, non era neanche del tutto certo che quello che stesse scrivendo fosse corretto o matematicamente accettabile, ma lo tangeva molto poco. Doveva farcela. 

Doveva dimostrare a quella pallina gonfiata che lui, Alain de Soissons, non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, tantomeno da una ragazza. 

 

L’ora trascorse in fretta e la campanella suonò prima del previsto. Abbandonò in malo modo il gesso, mentre i suoi amici con occhi compassionevoli lo guardavano uscendo dalla classe. La vide scrutarlo in silenzio, per poi osservare i calcoli alla lavagna. Non aprì bocca prima di diversi minuti, per poi avvicinarsi a lui. Profumava di rosa e i suoi capelli erano ancora più dorati da vicino.

È praticamente tutto scorretto.

Un gemito sfuggì dalla sua bocca. Era fregato, ora sarebbe finito in punizione. I suoi occhi azzurri lo squadrarono da capo e collo, mentre le sue braccia snelle si incrociavano al petto.

Ma non so come hai utilizzato correttamente i teoremi, sbagliando solo i calcoli. Per stavolta puoi andare, ma impara a comportarti come si deve, la prossima volta ti sbatto dal preside.

Un ghigno gli attraversò il viso, anche stavolta l’aveva scampata bella.

 

No, è tutto chiaro.

Lei annuì, ritornando a parlare con Lasalle, quando finalmente anche l’ultima campanella suonò. Erano ufficialmente liberi! Poteva andare a festeggiare il suo benedetto compleanno lontano da tutti quei calcoli odiosi.

Buttò alla rinfusa tutto ciò che si trovava sul banco, per poi afferrare la giacca e dirigersi quasi correndo verso la porta.

Alain, aspetta ad andare, vorrei parlarti.

Uno sbuffo mal trattenuto gli fece guadagnare un’occhiataccia dalla ragazza che attese pazientemente che tutti i ragazzi uscissero dall’aula. Era sempre molto schiva e riservata, parlava poco, ma riusciva facilmente a mantenere il comando dell’intera classe. Chissà se aveva un fidanzato o una fidanzata? Doveva essere un tipo piuttosto paziente per sopportare una nazista come lei.

Tieni, questo è il tuo compito. Hai fatto davvero un ottimo lavoro.

Prese in mano delicatamente il foglio che gli stava porgendo, incredulo davanti a quel voto così alto. Forse si era sbagliata, o forse lo stava prendendo in giro.

Ma è veramente il mio?

La vide trattenere un sorriso, probabilmente conscia del suo ottimo operato fatto nella classe.

Sì, è il tuo. Sei stato veramente bravo. Hai mai pensato di seguire calcolo avanzato il prossimo anno?

Alain strabuzzò gli occhi. Lui? Calcolo avanzato? Il professore dell’anno scorso per poco non gli aveva dato del ritardato al corso base. Però a quanto pare lei aveva visto qualcosa di buono in lui, delle possibilità.

Non ci avevo mai pensato in realtà.

Pensaci, ne hai tutte le capacità.

Si alzò dalla sua sedia, riponendo con cura le sue scartoffie nella borsa.

Per quanto facesse la tosta si vedeva che si era affezionata a tutti loro. Non c’era stata lezione in cui non ci avesse messo della passione o della grinta e non aveva mai rifiutato a nessuno di dare aiuto.

Era giovane, forse troppo, però Alain doveva ammetterlo, era proprio una tipa tosta.

Grazie, ci penserò.

Sì, quel compleanno era decisamente speciale. Per la prima volta qualcuno aveva creduto in lui e quello era stato senza dubbio il regalo di compleanno migliore di sempre.

 

 

Orbene, finalmente mettiamo una fine a questa raccolta. Sono come sempre mostruosamente in ritardo, ma questa volta la vita ha voluto colpirmi prepotentemente nelle gengive da marzo. È forse la prima volta dopo mesi che sono vagamente serena, quindi eccomi qui a portarvi l’ultimo capitolo.

È senza pretese, senza neanche il romance, una cosina così, com’è uscita ve la riporto.

Grazie a tutt* per aver letto, spero di risentirci presto.

Bye

Flitwick

 

  
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