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Autore: Manucom69    01/09/2022    6 recensioni
Questa storia nasce un po' per caso. Il primo capitolo doveva essere una one-shot, nata su un gruppo FB per ricordare la scomparsa di Oscar; poi la storia ha preso un po' la mano e ha voluto essere scritta su carta, dopo anni che era fissa nella mia mente. Nessuna pretesa, solo spero possa piacere anche a voi.
Genere: Avventura, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La luce calda del tramonto tingeva i muri di un bel color ocra e dalle finestre lasciate aperte entrava l’aria tiepida di luglio a riscaldare gli animi afflitti degli ammalati. E per un paziente in particolare, non vi fu balsamo migliore della vicinanza della propria amata. 
 
“André! Ti sei svegliato! Finalmente!”
“Oscar!”
“Oh André! Ho avuto così paura che non ti risvegliassi più!”
“Oscar… la mia Oscar. Ho avuto così paura che i fucilieri ti colpissero…” – le stava accarezzando il viso che lei aveva avvicinato per farsi vedere meglio.
“Come ti senti, André?” 
“Bene, ora che sei qui, con me… Ma dove sono?”. Oscar gli prese la mano fra le sue e ne baciò il dorso, facendola scorrere sul suo viso e cercando di trattenere le lacrime che invece spingevano per uscire. Provò ad inspirare ma il fiato le si spezzò. “Sei all’Hotel Dieu, ti abbiamo portato qui dopo che sei stato ferito… Oh André!” 
“Perché stai piangendo, Oscar?”
“Ho temuto così tanto di perderti…” 
“No, non potevo morire proprio adesso, ti pare? Ora che anche l’amore ci unisce…” E il suo occhio sembrava sciogliersi in quelli di lei che lo guardava con infinita tenerezza.
“Hai ragione, André… come sempre” – sorrise felice, lasciò che le lacrime scorressero libere e si allungò verso di lui, con la mano gli liberò l’occhio nascosto e la fronte andando a baciarli ora l’uno, ora l’altra sulla quale appoggiò la sua guancia – “Ma non farlo più!” – André rise di cuore, ma dovette fermarsi, perché un dolore acuto lo trafisse. “André, che succede?” – Oscar si alzò a guardarlo in viso allarmata. “Nulla, solo una fitta qui al fianco… va tutto bene, davvero” – la guardò per darle conferma che non le stesse mentendo solo per tranquillizzarla, poi ne cercò la mano e gliela strinse - “Dovrai raccontarmi tutto quello che è successo dopo…”
“Ma certo, avremo tempo! Tutto il tempo che vorrai, André…” Si portò le mani alla bocca e girò il viso dall’altra parte, non voleva farsi vedere così provata, voleva essere forte per lui, ma gli eventi di quegli ultimi giorni l’avevano sconvolta.
“Ora sarà meglio che vada ad avvisare il medico che ti sei svegliato!” – disse alzandosi e asciugandosi gli occhi.
Il dottor Desault fu molto sollevato dal fatto che André si fosse svegliato, lo visitò accuratamente e quando Oscar gli chiese quando avrebbe potuto tornare a casa, il medico le disse che sarebbe stato meglio per lui rimanere ancora qualche giorno in ospedale, almeno fino a quando non gli avessero tolto i punti. Oscar allora gli parlò dei problemi alla vista e il medico si procurò una candela e la fece passare davanti all’occhio di André, che riusciva a vederla, seppur sfuocata. Gli sembrava di vederci un po’ meglio, forse il riposo aveva giovato al suo occhio malandato. Il dottore gli disse che l’indomani avrebbero potuto fare un ulteriore controllo con un suo collega e invitò poi Oscar ad andare a riposarsi. Una sorella entrò poco dopo con un po’ di zuppa e di acqua per rinfrancare il corpo del ferito. 
Oscar e André si guardavano come se non si fossero mai visti prima, come se l’amore e la lontananza li facesse scoprire l’un l’altra per la prima volta, sempre gli stessi eppure rinnovati nell’animo e nel cuore; ora sapevano che non sarebbero sopravvissuti l’una senza l’altro, che un filo sottile, delicato ma infrangibile li avrebbe uniti per sempre. Oscar non voleva lasciarlo, ma il dottore era stato categorico, entrambi avevano bisogno di riposare e si sarebbero potuti vedere l’indomani. Così dopo che André ebbe terminato la sua cena leggera, furono costretti a separarsi dicendosi mille volte “a domani” e “buonanotte”, con il bisogno reciproco di tenersi e di non lasciarsi per paura che il domani potesse portare nuove afflizioni. 
Arrivò a casa Chatelet quasi senza accorgersene, i suoi pensieri erano tutti rivolti a lui e come tutti gli innamorati passava dalla felicità allo sconforto, presa da pensieri cupi, per poi tornare a volare… non pensava a ciò che sarebbe stato, le bastava sapere che André era vivo! Vivo! 
Alla piccola compagnia si era aggiunto anche Alain, che indossava la nuova divisa della Guardia Nazionale. 
“Comandante!” – esclamò lui appena la vide
“Comodo Alain… non sono più il tuo Comandante… puoi chiamarmi anche solo Oscar…” – lui la guardò di sottecchi, un po’ rassegnato, un po’ a disagio per la situazione che si era venuta a creare fra i soldati. I suoi commilitoni avrebbero tanto voluto che Oscar fosse rimasta con loro, ma sapevano che sarebbe stato impossibile, prima di tutto per lei… ormai, anche fra loro, la sua malattia non era più un segreto. Anche il Colonnello D’Agoult non aveva ripreso servizio. Annuì. “Che notizie ci portate?” – chiese poi. 
“André si è risvegliato!” – sorrise anche con gli occhi. 
“Allora dobbiamo festeggiare!” – disse Alain. “Bernard, Rosalie, avete del vino?” Rosalie si affrettò alla dispensa. Aveva una bottiglia di buon Borgogna e la portò in tavola. Fu un momento di pura convivialità, Oscar si sentì felice, serena, come non le capitava da diverso tempo ormai. Il calore di quel momento le fece dimenticare le tribolazioni che ancora la aspettavano, per quella sera il pensiero del futuro poteva essere accantonato, ben sapendo che presto sarebbe spuntato nella sua testa come un tarlo; ma contrariamente al suo essere, quella sera era solo per loro quattro. Fra battute, risate, ricordi, racconti della giornata, le ore scivolarono via in fretta. Alain fu il primo che, a malincuore, si dovette ritirare, ché l’indomani lo aspettava una giornata di addestramento. “Mi manca la vostra pazienza, com… Oscar” – arrossì leggermente nel pronunciare il suo nome - “Ma farò tesoro dei vostri insegnamenti”. 
“Sono sicura che sarai un ottimo Comandante anche tu, un giorno” – gli rispose dandogli una pacca sulla spalla. 
Oscar andò a letto col cuore leggero, con una nuova speranza nel cuore. Si svegliò di buon’ora, Rosalie le fece trovare tutto pronto, medicine comprese, che le fece mandar giù nemmeno fosse stata una bambina piccola, chiacchierarono del più e del meno per ritardare il momento dei saluti, poi Oscar le chiese dei cavalli e seppe che il Generale li aveva portati con sé per accudirli: anche loro avevano combattuto una dura battaglia. Alla fine si salutarono, con la promessa di rivedersi prima che lei lasciasse il Paese e la ringraziò per tutto ciò che aveva fatto per lei. Oscar si incamminò a cercare una carrozza a nolo che la riportasse a palazzo Jarjayes, ma non prima di recarsi a salutare André. Dovette aspettare fuori dalla porta, in attesa che uscissero i medici, o gli inservienti, o le suore che prestavano le prime cure, insieme ad altre donne venute anche loro a trovare i propri cari; la guardavano di nascosto, curiose nel trovarsi accanto ad una figura così singolare. Non le era mai capitato di sentirsi a disagio, donna fra altre donne, eppure tutte distinguibili, nei loro abiti femminili, mentre lì, con tutti quegli occhi puntati addosso, le prese un leggero imbarazzo: si guardò, indossava la camicia di cotonina bianca e leggera per l’estate (quella che teneva sotto l’uniforme), i suoi pantaloni blu fermati al ginocchio da un nastro di tonalità appena più scura, calze di seta bianche nascoste nei suoi stivali, bianchi anch’essi… davvero un’insolita mise per una donna, pensò qualcuna, di questo passo dove andremo a finire, pensò qualcun’altra, altre invece erano troppo impegnate a pregare per i loro cari, per badare a lei.
Finalmente le porte si aprirono, ne uscirono un paio di medici seguiti da altrettante suore che avevano portato la colazione ai pazienti, pronti ad andare nelle stanze attigue. Oscar riconobbe il medico che le aveva parlato il giorno prima e volle avere notizie. “Vostro marito sta bene. Più tardi lo visiterà anche un mio collega per vedere se si può fare qualcosa per quell’occhio, come mi avevate chiesto, anche se mi sembra di capire che sia piuttosto malandato.” 
“Vi ringrazio dottore” – si salutarono con un cenno e Oscar entrò.
 
La carrozza la stava lentamente riportando a palazzo Jarjayes, Oscar teneva gli occhi chiusi, pensierosa; temeva il momento in cui avrebbe varcato nuovamente la porta di casa, dopo che se n’era andata quasi come una ladra, lasciando quel laconico biglietto… cosa avrebbe detto a sua madre? A Marie? E suo padre? Sarebbe stato lì ad accoglierla? Scosse la testa per allontanare tutte quelle domande, sentiva salire l’ansia e strinse i pugni dicendosi di rimanere calma, che tutto sarebbe andato bene; sorrise al pensiero che la nonna la stesse aspettando col mestolo in mano per tirarglielo in testa! Quell’immagine ebbe il potere di tranquillizzarla, sapeva che la stavano attendendo con gioia. 
La carrozza si fermò davanti al cancello in ferro battuto che recava lo stemma della casata dei Jarjayes su entrambi i battenti, scese e si rese conto che non aveva soldi con sé, quindi chiese al cocchiere di aspettare e si avviò verso casa, ma non fece in tempo a fare due passi che venne travolta dall’abbraccio della sua governante. “Oh bambina! Bambina mia! Sei tornata finalmente! Siamo state così in pena!” E la voce le si spezzò in un pianto disperato. Ben presto altro personale della servitù si radunò fuori. Oscar tentò di liberarsi dall’abbraccio della nonna che quando si riprese, bofonchiò qualcosa ad una delle inservienti che corse a prendere il denaro per pagare la corsa. Ma fu il richiamo di sua madre che la fece girare e fattasi largo la raggiunse. Non avrebbe mai pensato di essere così felice nel rivederla: aveva anche lei il viso provato da quei giorni di attesa angosciante, il non sapere l’aveva prostrata più del ricevere una cattiva notizia, fino a quando il generale Jarjayes le aveva rassicurate entrambe e che presto sia lei che André sarebbero tornati. “Madre!” – Oscar la guardava con gli occhi lucidi, bloccata dalla timidezza e dalla reverenza. Fu Madame a fare il primo passo, prendendole la mano fra le sue e guardandole quel viso scarno e stanco, provato da quei giorni e dalla malattia. “Oscar!” – e allora come un richiamo ancestrale la donna più giovane le si buttò fra le braccia e la strinse, la strinse cingendole le spalle e abbandonandovi il capo. “Sei tornata, sei tornata!” – e Madame fece una cosa che non aveva mai fatto, che non aveva mai potuto fare in trentatré anni: le prese il volto tra le mani e le diede un bacio in fronte, delicato e leggero, che fece arrossire la figlia, ma che le fece bene al cuore; poi la invitò ad entrare in casa. Oscar si guardò intorno come se non mettesse piede in quel luogo da anni, tutto le sembrava nuovo e antico al tempo stesso e lei non poteva fare a meno di sentirsi quasi un’estranea. Tutto quel lusso, nonostante non fosse sfacciato, ma piuttosto semplice per il suo rango, le sembrò di troppo, la metteva in soggezione e ripensò invece con calore alla piccola casa di Rosalie e Bernard, al lettino che la aveva ospitata e che presto avrebbe avuto come ospite un esserino ben più piccolo di lei, a quell’intimità così riservata che le aveva procurato sollievo e tenerezza. Le venne servito un tè caldo “per rinfrancarti lo spirito” – le aveva detto Marie – con qualche biscotto e subito il pensiero corse all’infanzia, ai giochi, agli allenamenti con suo padre e poi con André e, nel chiudere gli occhi, una lacrima scappò sulla guancia. 
“Avremo tempo per parlare bambina mia, ora vai a riposare, sembri davvero molto stanca”
“Dov’è mio padre? Pensavo l’avrei trovato qui…”
“Tuo padre è dovuto partire con urgenza per Arras… ci sono stati disordini fra i contadini, ma ti fa sapere che sta pianificando il tuo… viaggio” – madame non riuscì a pronunciare la parola esilio -  “e tornerà in tempo per accompagnarti.”
“Capisco…” – Arras! Avrebbe tanto voluto potervi tornare. Lei e André vi avevano trascorso estati felici e spensierate da quando erano bambini. Spesso si svegliavano presto per poter guardare sorgere l’alba e lei era sempre la prima a svegliarsi, presa da un’incredibile agitazione e correva in camera di André a svegliarlo, mentre lui, pieno di sonno, si girava dall’altra parte, fino a quando lei non cominciava a saltargli sul letto… e allora lui, vinto da quel turbine biondo, si doveva arrendere e si alzava, spinto fuori dalla camera. Ma che soddisfazione poi rientrare in casa con il profumo del pane appena cotto e dei biscotti caldi e friabili tuffati nella tazza del latte! Qualche volta erano anche andati nei campi a raccogliere il fieno, o a correre per i prati a piedi scalzi, a giocare nel ruscello e provare a prendere i pesci con le mani e la sera rientravano stanchi, bagnati e a volte sporchi di fango, affamati e con i piedi rotti, che la nonna doveva rimettere in sesto senza far loro mancare loro i suoi rimbrotti e indirettamente, anche al Generale che aveva permesso che una bambina si comportasse in tal modo! Ma lui, invece, approvava. Oscar doveva imparare a comportarsi come un ragazzo e poi come un uomo e la vicinanza di André la aiutava molto. Condivideva quella libertà e quei giochi, perché tutto la fortificava e apprendere fin da piccola il lavoro duro non poteva che giovare al giovane rampollo. Oscar sorrise fra sé, per poi rabbuiarsi subito al ricordo dell'ultima volta che vi era stata... quanto tempo era passato? Un'eternità, pensò. E la mente andò alla povertà che vi aveva trovato, al piccolo Sugane... chissà quanto era cresciuto! Ormai era sicuramente un giovane uomo... e chissà che ne era stato di tutti loro? E ora? Cosa poteva essere successo? Scosse la testa, si sentì nuovamente impotente, come allora. Lì non avrebbe potuto fare nulla e solo il ritorno di suo padre le avrebbe dato risposte.
 
“Ecco, tieni… tuo padre ti ha lasciato questo biglietto”. Madame Jarjayes le allungò un foglio, scritto con la grafia che lei ben conosceva, piccola, ferma, tutta inclinata verso destra e con ben pochi svolazzi, che si concedeva solo nella firma.
Oscar, figlia mia, se stai leggendo questo biglietto, vuol dire che sei tornata e non posso che esserne felice. Sono dovuto partire in tutta fretta perché ad Arras sembra che i contadini stiano cercando di ribellarsi ai loro padroni. Non so cosa troverò, spero di poter rimettere le cose a posto e in fretta. In ogni caso tornerò in tempo per accompagnarti a Ginevra da tua sorella Victoire. Le ho mandato una lettera per avvisarla. Tuo padre.
In poche righe le aveva già pianificato (ancora una volta! – pensò lei) il futuro. Ma in quel momento non aveva voglia di discutere, forse suo padre aveva scelto per il meglio… Ginevra, appena al di là del confine, sul lago Lemano. Buffo… era la patria di Rousseau, uno degli autori che suo padre detestava, chissà se lo sapeva!
“Grazie madre. Ora, se non vi spiace, andrei a riposare un po’…”
“Ma certo cara. Oscar…”
“Sì?”
“Spero tu non sia arrabbiata con tuo padre, per aver deciso un’altra volta al posto tuo… sembra che non possa fare a meno di considerarti ancora una ragazzina…” – le sorrise dolcemente.
“No, madre… a dire il vero non avevo ancora pensato al da farsi. Ne avrei voluto parlare con lui, ma, per il momento non credo di essere in grado di decidere alcunché. Perciò… va bene così”. Madame Jarjayes sembrò sollevata da quella risposta. “Sai” – aggiunse “l’ho rimproverato per questa sua decisione, avrei voluto che ne parlasse prima con te”.
“Grazie madre” – e si accomiatò. Raggiunse la sua camera e si fermò davanti alla porta appoggiandovi la fronte: era emozionata e le tremava la mano, poi si fece forza ed entrò. Tutto era rimasto come l’ultima volta che l’aveva lasciata, sicuramente suo padre ne aveva proibito a chiunque l’ingresso: il letto ben fatto, la sua camicia e i pantaloni sul manichino e là, in fondo, vicino alla vetrata che dava sul balcone, i suoi amici: il pianoforte e il suo violino. Si avvicinò e alzò il coperchio, con la mano destra cominciò a sfiorarne i tasti con gli occhi chiusi, prese un bel respiro e si sedette e cominciò a suonare, prima come se dovesse riprenderne confidenza, come se, dopo diverso tempo, lui fosse diffidente e non volesse lasciarsi avvicinare troppo, poi via via, dopo essersi annusati a vicenda, le dita cominciarono ad essere sempre più veloci e la melodia andò perfezionandosi spandendosi in tutta la casa. E la casa si fermò ad ascoltarla. Dopo giorni di angoscia, di dubbio, di tensione, di occhi bassi, di passi veloci e silenziosi, finalmente si tornava a sorridere, a respirare, a guardarsi negli occhi; qualcuno osò anche fischiettare, mentre chi si incontrava si faceva un cenno d’intesa. Tutti sapevano che sarebbe stato per poco, sapevano che poi il silenzio sarebbe tornato, ma non così greve come in quei giorni, dove il tempo sembrava non passare mai, dove si sperava non dovesse passare mai, per la paura di qualcosa di ineluttabile; ci sarebbe stato, il silenzio, ma sarebbe stato un po’ più leggero, si sarebbe avvertita meno la fatica perché le cose sarebbero andate avanti, come sempre…
   
 
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