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Autore: summers001    10/09/2022    5 recensioni
Andrè&Oscar | E se… | riscrivo la conclusione
La tua vita, Justine, è una partita a dadi. Tu hai avuto una buona mano.
Cara figlia mia, la tua prima fortuna è stata avere tua madre e tuo padre come genitori. Quello che sei lo devi a loro. A dirla tutta, quello che sei lo devi a cinque persone, che hanno riscritto le sorti della Francia e le tue. E questa è la seconda delle tue fortune. Ma andiamo con ordine. Vuoi sentirla questa storia?
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Giugno 1795
 
Da quel giorno, cara Justine, fu difficile andare avanti. Ho creduto di non farcela così tante volte che neanche le ricordo tutte. Sono stato arrabbiato con lei, con i tuoi genitori, con la Francia e con la rivoluzione che mi aveva prima dato e poi tolto tutto. Era andata via da meno di un anno. Solo un mese dopo la sua partenza erano finiti quelli che chiamavano gli anni del terrore. Le notizie della sparatoria su Robespierre prima della cattura e della morte di Saint-Just ci avevano già raggiunti. Non ero certo ovviamente, ma leggevo nella fine di quella rivoluzione malata le gesta di Oscar. Credetti di poter smettere di aver paura e senza neanche quella a tenermi vivo mi lasciai andare. Fosti poi tu ad aiutarmi. Una mattina mi svegliasti e mi trascinasti qui. Reagisti prima di me, mi mostrasti la primavera, i fiori che sbocciavano, la vita che continuava rigogliosa e inarrestabile. Eri forte più di me, sei forte più di me. Rivedevo nella tua tenacia la stessa che c’era stata in Oscar. Dovevo imparare da te, da voi. Mi ricordasti il mio compito, perché ero rimasto: tu.
 
Un giorno, proprio in quel periodo, ricevetti una lettera di una persona che avevo conosciuto lungo il nostro viaggio. Era il dottore che curò Oscar il giorno della Bastiglia. Mi chiedeva solo di lei. Era andata via da appena un anno ed all’amarezza che stavo provando si aggiunse il disgusto al pensiero che un uomo, che si fregiava del titolo di dottore, se ne fosse fregato della salute di Oscar fino ad allora. Mi arrabbiai e non risposi subito. Passò un po’ di tempo, poi forse un presentimento ebbe la meglio. Imparai a fidarmi degli istinti come faceva lei.
 
Presi coraggio e gli scrissi. Gli spiegai che era stata meglio per un certo periodo: respirava, correva, nuotava e rideva tanto. Poi che la malattia era tornata e che da lì in poi le mie notizie si erano esaurite. Poco tempo dopo, con mia enorme sorpresa, mi rispose chiedendomi il permesso di pubblicare il suo caso sui libri di medicina. Mi spiegò che lo pneumotorace che casualmente aveva avuto con lo sparo doveva aver messo a riposo la malattia, aiutato il polmone sinistro a guarire. Ipotizzò che col passare degli anni la tubercolosi avesse avuto la meglio anche su quello destro. Questo però avrebbe aiutato altre persone, avrebbe potuto sperimentare quella come cura se non altro per far guadagnare tempo. Si cominciò a parlare di guarire i malati di tisi. E così non fu solo la vita di Oscar a salvare tanta gente, ma anche la sua morte. Pareva quasi che la provvidenza divina stesse intervenendo sulla storia tramite Oscar.
 
Nello stesso anno, qualche mese dopo, mi raggiunse Alain. Era settembre del 1795. Me lo trovai sulla porta, ti ricordi, c’eri anche tu. Quando fuggimmo da Parigi, Alain s’era rifiutato di venirci a salutare né aveva mai voluto sapere dove ci trovassimo. Ancora una volta aveva deciso di proteggere sé stesso da qualunque tipo di affetto. Sarebbe dovuta essere una sorpresa per me, trovarmelo davanti alla porta di casa, tuttavia così non fu. Mi parve quasi di averlo aspettato. C’era allora solo un motivo perché si trovasse lì: Oscar. Dovevano essersi incontrati. L’avrà cercato una volta a Parigi.
 
“Allora, dov’è la mia nipotina?” Chiese non appena aprii la porta. Ti spaventarono i suoi modi di fare, coinvolgenti ed impulsivi, decisamente troppo per uno della sua stazza in paragone a te. Ti nascondesti dietro di me. “Ehi, Andrè, sei sicuro sia figlia vostra?” mi chiese. Non fu neanche necessario precisare figlia di chi credeva che tu fossi. “Voi” potevamo essere solo io ed Oscar.
 
“Molto sicuro.” Gli risposi distratto, mentre ti cercavo con le mani dietro alle mie gambe. Non sapevo cosa Oscar gli avesse raccontato, se tutto o solo la parte in cui io e lei stavamo crescendo una bambina, ma comunque dirgli di sì, che eri figlia nostra, mi sembrò anche la risposta più corretta. Fu strano dirlo a lui a voce alta. Fu come sentire la mia nuova vita in Provenza narrata a quella vecchia in caserma. Rese tutto così reale. “Saluta zio Alain.”
 
Uscisti allo scoperto e facemmo le presentazioni. Dopo una prima titubanza prendesti coraggio e vi stringeste la mano. Giocò con te, sembrava voler prendere tempo fino a che arrivò l’ora che dovemmo metterti a letto e mi disse tutto.  
 
Stavamo seduti al buio di una candela, fuori sentivamo i grilli cantare. Agitava continuamente il piede a terra, si sentiva quasi in colpa nei miei confronti. Mi chiese del mio occhio e fece qualche battuta nervosa. Alla fine disse che dovevo saperlo da lui. Oscar era stata a Parigi. L’aveva trovato che vagava per le taverne. Non era un bel periodo, non stava molto bene neanche lui, era ubriaco tutto il giorno, non sapeva mai cosa fare. Era finito come tutti a provare disgusto e vergogna per quello che la rivoluzione era diventata. Non gli piaceva la ghigliottina, non gli piaceva la facilità con cui veniva usata. Se ne rimase in disparte persino quando la usarono sui vecchi sovrani. Quando vide Oscar immaginò che avrebbero potuto insieme ribellarsi ai ribelli. Insieme scrissero la storia con grandi gesta, come era stato nel 1789. Non riuscivo ad immaginare altri al loro posto. Erano là quando catturarono Robespierre: la pistola che gli sparò alla bocca prima della cattura era di Oscar. Robespierre dovette portarsi dietro le stigmate del loro ultimo incontro fino alla ghigliottina. Provarono a salvare Bernard, ma negli anni era stato troppo vicino a Robespierre per farla franca e fu condannato qualche ora dopo. Mi disse che parlarono in privato, non sapeva di dire di cosa, io posso solo immaginarlo. Da padre, se avessi solo un’ultima ora da vivere parlerei di te o di lei. Qualche giorno dopo Oscar ed Alain catturarono anche Saint-Just, che morì di spada, in duello con lei, come aveva scelto. Riuscì quantomeno ad evitargli la ghigliottina. Ne rimase ferita e questa volta Alain non la aiutò, proprio come gli aveva chiesto quella volta. Rimase con lei fino alla fine.
 
Ora Alain, lo sai, coltiva quella terra che abbiamo riacquistato qualche anno fa. Non so perché ci mise più di un anno a raggiungermi. Per molto tempo, addirittura da prima della rivoluzione, ebbi il sospetto che la amasse. Fu un pensiero che non mi diede pena. Anzi sperai ci fosse qualcuno che tenesse a lei nei suoi ultimi momenti. Non ne parlammo mai, non ha molto senso. Immaginai che si sentisse in debito nei miei confronti per questo. Alla fine del racconto mi guardò come se stesse aspettando una reazione da me. Credo fosse pronto a vedermi arrabbiato, a sentire qualche sfuriata o a prenderle di santa ragione. Gli misi una mano sulla spalla invece e gli dissi “Grazie”.
 
Ci stringemmo prima una mano e poi mi abbracciò. Le mani unite sul petto, spalla a spalla, a lasciar fluire lutto, riconoscenza e redenzione tra le lacrime. Mi sentii sollevato di un peso. Oscar poteva non esserci più, ma tutto di lei era stato epico ed eccezionale: il suo carattere e la sua intelligenza l’avevano portata dai rivoluzionari, segnando la fine della monarchia sotto la Bastiglia; il suo cuore a rinnegare titolo e rango per stare con me ed ad adottare una bambina che potevo chiamare mia; la sua malattia a scoprirne una cura; tutti gli allenamenti e la maestria con la spada e la pistola l’avevano portata da Saint-Just e Robespierre a segnare la fine del regime del terrore, che la stessa rivoluzione che aveva favorito. Fui così fiero di lei che non riuscirei ancora oggi ad esprimere a parole quanto fosse meravigliosa. La respiro nella storia, nel corso degli eventi, lungo le pagine dei giornali. Sono sicuro che un giorno studieranno di lei come si studia oggi Giulio Cesare.
 
La rivedrò un giorno. So che è con me, con noi e ci guarda. So che sarebbe fiera di te per la caparbietà con cui difendi le tue idee perfino contro di me. Un giorno la rivedrò e la ringrazierò per essermi stata comunque accanto tutto questo tempo, per non averci lasciato. Non le mentirò, le dirò che è stato difficile senza di lei, che la sua presenza faceva sembrare tutto più facile.
 
Vedi, Justine, ho perso mia madre e mio padre insieme alla stessa età che avevi tu quando Oscar ci ha lasciati. Ricordo a malapena i loro volti. Lo so come ci si sente: la rabbia che hai provato, il senso di abbandono, non sapere più chi sei, cosa avrebbero fatto loro al posto tuo, domandarsi come sarebbe stata la tua vita altrimenti. Io spero che sapere tutta la loro storia ti aiuti a sentirli più vicini, così che siano le scelte che hanno fatto tutti loro ad insegnarti ed a guidarti. E’ possibile, Justine, dando voce a quelli che furono gli ultimi pensieri di Oscar, che molto di quello che ti ho raccontato sia un abbellimento dettato dai miei sentimenti, ma la sua storia no. Non lo è.
 
***
 
Ottobre 1799
 
“No, papà.” Justine cominciò a pensarci. Poteva continuare ad essere arrabbiata per averla persa, per non aver mai conosciuto davvero sua madre, persino con sé stessa per non ricordarsi che faccia avessero entrambe. Poteva continuare a chiedersi “ed io?” davanti alla lista di tutte quelle persone che Oscar aveva aiutato. Oppure poteva ritenersi fortunata: fortunata di essere nata sotto quel tetto; fortunata che sua madre avesse così tanto affetto per la donna a cui l’aveva lasciata; fortunata di aver potuto godere della presenza di Oscar per quattro anni; fortunata di poter conservare tutti quei ricordi, impreziositi dalla maschera dell’infanzia. “Era Oscar.”
 
“Era Oscar.” Ripeté Andrè. Si morse le labbra per non piangere. Guardò lontano chissà dove, senza vedere niente realmente col vento che lo schiaffeggiò in faccia. “E così ora sai tutto.” Disse alla fine, concludendo il suo racconto “E’ stata la mia compagna da sempre. Persino a palazzo Jarjayes, se uno dei due si svegliava prima aspettava l’altro per la colazione.” Ripensò a quei momenti. Chiuse gli occhi come se potesse vederla, seduta al tavolino nella sua stanza a sorseggiare tè o cioccolata. “Eravamo parte di un tutto.” Si risolse.
 
Justine guardava persa suo padre. Si chiese come si potesse amare tanto, come ci si potesse sentire a condividere tutta la tua vita con qualcuno che poi scompare. Cominciò ad aver paura anche del futuro, domandarsi se sarà mai stato all’altezza del suo passato. Si domando quanto coraggio le ci sarebbe voluto per eguagliare le scelte di Bernard e Rosalie, di Oscar, di suo padre. Decise in quel momento di fare qualcosa di grande della sua vita. Non sapeva ancora cosa, ma l’avrebbe scoperto. Imparò quel pomeriggio il valore del coraggio, dell’amore e del sacrificio. Imparò che amare significa anche fare scelte difficili e che ti porti dentro sempre chi ti ama.
“E ora?” gli domandò, come se si trovasse davanti ad una pagina vuota da riempire, ad una storia da scrivere.
 
Andrè si voltò a guardarla e le sorrise. “Ora tu sei la mia compagna.” Scherzò, sicuro che un giorno le incertezze di sua figlia si sarebbero risolte senza l’aiuto che solo in quel caso non poteva dargli, che avrebbe trovato la sua strada e l’avrebbe percorsa tenacemente fino alla fine. Le allungò la mano. Justine gli diede in cambio la sua. S’impresse nella memoria la mano ancora minuta, che doveva ancora crescere e diventare adulta, la mano che sarebbe stata capace di grandi cose. “Torniamo a casa.” Le disse, ed insieme lasciarono la radura.
 
Quella notte Andrè andò a dormire come sempre pensando a lei. Sogni e ricordi si confusero insieme. Chiuse gli occhi e si trovò di nuovo nella stanza di Oscar, quella che aveva occupato da quando era bambina. Lei era giovane e sana. Se ne stava davanti alla finestra illuminata dal sole. Sorrideva, era bellissima.
 
“Ti aspettavo.” Gli disse lei. Andrè la raggiunse, le accarezzò una guancia. La sua pelle era soffice, liscia, calda, piena. Si muoveva sotto il suo tocco esattamente come si ricordava, cercando di prolungare quel contatto ed offrirgli l’altra guancia da baciare. Con l’altra mano Andrè intrecciò le dita a quelle di lei, proprio come quella ultima volta. La guardò di nuovo e l’immagine che stava sognando si sovrappose ai ricordi. “E’ ancora arrabbiata con me?” gli domandò Oscar.
 
Andrè sorrise. La vita serena e spensierata che avevano vissuto negli ultimi anni gli si presentò alla memoria. La ragazza che aveva davanti divenne madre attenta e premurosa. “Non è mai stata davvero arrabbiata con te.”  Le rispose.
 
“Sei il migliore dei padri.”
 
Sorrise ripensando a Justine, alla spigliata e vivace giovane donna che stava diventando, all’impertinenza ed alla determinazione che sapeva da dove aveva imparato. “Ti somiglia così tanto che a volte credo di non farcela.”
 
La malinconia increspò il viso di Oscar, ma il sorriso non l’abbandonò mai. Una luce eterea che entrava dalla finestra la avvolgeva tutta. Fu il suo turno di accarezzargli una guancia, quasi preoccupata e dispiaciuta. Non disse niente.
 
Era bello quel sogno caldo, accogliete, ristoratore. Sarebbe voluto rimanere lì per sempre. Eppure c’era ancora tanto da fare prima. Ricordò come si sentì quella volta, con un bivio davanti ed una strada unica ed intrecciata sin dall’inizio indietro. “Non posso restare per sempre.” Le bisbigliò malinconico. “Mi dispiace.”
 
Oscar scosse il capo. No, non doveva dispiacersi. Non era colpa sua. “Lo so.” Rispose lei dolce e premurosa “Sarò sempre qui, dove sono sempre stata.” Gli disse e gli mise la mano sul cuore. “Ti amo.”
 
“Lo so.” Rispose facendo eco alle parole di lei. Oscar gli sorrise incoraggiante, fiera per quello che lui era riuscito a fare, orgogliosa, non s’aspettava niente di meno dal suo Andrè. Dietro di lui un muro di luce bianca che separava la realtà dal sogno stava per accoglierlo. Camminò all’indietro non distogliendo lo sguardo dalla sua amata, che lo guardava con amore. Le mani di entrambi si allungarono man mano che la distanza tra loro aumentava: prima i palmi erano intrecciati, poi le dita ed alla fine si sfiorarono appena con i polpastrelli.
Prima o poi si sarebbero rivisti, le loro strade si sarebbero riunite.
 




Angolo dell'autrice
The end! Ora siete autorizzati ad uccidermi se volete xD scherzi a parte, spero vi sia piaciuto. Fatemi sapere. 
Sentirete di nuovo parlare di me ;) a presto
  
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