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Autore: Lamy_    02/10/2022    1 recensioni
Ariadne Evans è in gabbia, intrappolata in un matrimonio combinato e prigioniera di una madre dispotica. Il suo piano sin dall’inizio era quello di uccidere Mick King, aiutare i suoi fratelli e porre fine alla sua vita da criminale. Ma vuole anche vendicare la morte di Tommy, l’uomo verso cui ha un debito.
Tommy Shelby è un fantasma. La sua famiglia crede che sia morto e i Peaky Blinders sono allo sbando. La città è nelle mani dei nemici e Polly fa fatica a tenere duro. Tommy deve vendicarsi e per questo crea una falsa identità che lo porta a vivere a Londra nelle vesti di pescatore squattrinato.
Tutto cambia quando Ariadne e Tommy si rincontrano per caso. Nel momento in cui i loro sguardi si incrociano, entrambi capiscono che niente e nessuno potrà separarli.
Uniranno le loro forze e cercheranno in tutti i modi di liberarsi, arrivando addirittura a fare accordi con la banda più pericolose del Regno Unito pur di riuscirci.
“Tenendosi per mano, con passi erranti e lenti
attraverso l'Eden presero la loro via solitaria.”
(John Milton, Il Paradiso Perduto)
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thomas Shelby
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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9. EPILOGO

“Qui possiamo regnare sicuri, e a mio parere
Regnare è una degna ambizione, anche se all'inferno:
Meglio regnare all'inferno che servire in paradiso.”
(John Milton, Il Paradiso Perduto)
 
Due giorni dopo, Birmingham
Ariadne si lasciò alle spalle il cimitero Witton con le mani in tasca e il vento freddo che le soffiava sul viso. Dietro di lei c’era la sua famiglia che camminava in religioso silenzio. Si era appena concluso il funerale di Marianne ed era stata sepolta nella cappella di famiglia, accanto al marito che tanto aveva amato e per il quale aveva odiato la figlia.
Ad un certo punto Eric zoppicò verso di lei e la prese a braccetto. Ariadne gli toccò la mano e abbozzò un piccolo sorriso.
“Che farai adesso, sorellina? Sei libera.”
“Devo chiudere alcune questioni in sospeso a Londra, dopodiché credo che lascerò l’Inghilterra. Ho bisogno di una pausa.”
“Partirai da sola?”
“Sì, credo che partirò da sola.”
“Qualunque sarà la tua decisione, io e Julian ti sosterremo sempre. Per la nostra famiglia tu hai fatto l’impossibile, ti sei sacrificata e ci hai salvati. Ti siamo debitori.”
“Potete ripagarmi essendo felici. E’ questo che ho sempre voluto.” Disse Ariadne.
Dall’altro lato arrivò Julian a prenderla a braccetto e le fece l’occhiolino.
“Aria, grazie di tutto.”
Ariadne sorrise e si asciugò le lacrime di commozione. Finalmente era libera.
 
Tre giorni dopo, Londra
Ariadne parcheggiò nel vialetto e fece scendere i suoi ospiti. La villa in questione era quella di Mick e ora apparteneva a lei in quanto vedova. In verità, tutti i beni di Mick ora erano di sua proprietà.
“Perché siamo qui?” chiese Camille.
“Per iniziare la vostra nuova vita insieme.” Rispose Ariadne.
Roberto osservò l’imponente dimora e storse il naso, neanche se la ricordava quella casa dato che a sei anni era già stato spedito in collegio dal padre.
“Non capisco.”
Ariadne fece tintinnare davanti ai loro occhi le chiavi della villa.
“E’ casa vostra. Adesso i beni e le proprietà di Mick sono miei, ma ieri sono andata dal notaio e ho restituito tutto a vostro nome. Questa villa, le altre case, le auto e i soldi di Mick ora sono vostri. Siete stati separati per tanti anni, è tempo di recuperare. Inoltre, ho chiesto l’annullamento del matrimonio.”
Camille si mise a piangere di gioia e Robert l’abbracciò con un sorriso ampio.
“Grazie, Ariadne. E mi dispiace per quello che ti ha fatto passare mio padre.”
Ariadne accarezzò la guancia del ragazzo e mise una mano sulla spalla di Camille.
“Tutti noi possiamo ricominciare senza di lui adesso. Sfruttiamo al meglio questa occasione.”
 
Due giorni dopo, Londra, Camden Town
Ariadne parcheggiò nel posto riservato ai camion e attese qualche istante prima di scendere. In quei giorni si stava occupando dei suoi affari, stava chiudendo tutte le questioni prima di partire.
“Signorina Evans!” la salutò Jonah.
Ariadne gli strinse la mano e gli diede una pacca sulla spalla. Insieme entrarono nella panetteria e si diressero al piano dove veniva imballato l’alcol.
“Allora, il capo è tornato?” chiese lei.
“Il signor Solomons è già a lavoro da una settimana. Ha molto da recuperare. E soprattutto, deve assumere nuova gente fidata dopo Samuel.”
Alcuni uomini si tolsero il cappello per salutare Ariadne, del resto per quasi un anno era stata il loro capo. Camminare per l’ultima volta in quei corridoi era rassicurante, era la premessa ad una vita normale.
“Ah, ecco la mia colomba!” esclamò Alfie.
Era appena uscito dal suo ufficio, la cicatrice che gli tirava la faccia mentre sorrideva. Diede due baci sulle guance ad Ariadne e uno sulla fronte, poi la invitò a seguirlo.
“Alfie, ti trovo bene. L’aria di mare è stata utile.”
“E’ la morte che è stata utile. Mentre tutti credevano che io fossi morto, in verità stavo organizzando i miei affari e mi stavo preparando a tornare.”
“Quindi hai già in mente cosa fare?”
Alfie col bastone colpì la spalla di un ragazzo per farlo spostare. Stavano andando verso il caveau segreto della fabbrica, accessibile solo a lui.
“Beh, ho prelevato il Kirke di Birmingham. Dato che Byron Davis è fuori gioco, i Peaky Blinders mi hanno fatto l’offerta e ho accettato.”
“Adesso gestisce locali notturni, signore?” indagò Jonah.
“Nah! Voglio trasformare il locale in un deposito per le nostre merci per far sì che partano dal porto di Birmingham pagando Charlie Strong a buon prezzo.”
Ariadne aveva sempre ammirato la mente affilata di Alfie. Lui era un calcolatore, programma ogni mossa e sceglieva sempre le soluzioni migliori.
“Se hai tutto sotto controllo, perché io sono qui?”
Alfie inserì una serie di numeri, girò due volte la manopola e aprì la porta massiccia del caveau. Entrò e si mise a frugare in un cassetto mentre Ariadne osservava gli scaffali ricolmi di documenti, libri antichi e orologi preziosi.
“Sei qui per questa, mia colomba.”
Alfie sollevò il coperchio di una scatola e tirò fuori una lucente collana di smeraldi. La ragazza toccò ogni pietra con la punta delle dita, era estasiata da quel gioiello.
“E’ incredibile. Dove l’hai rubata?”
“Cosa ti fa credere che sia rubata?” replicò lui.
“Alfie.”
“Va bene, va bene. Questa collana apparteneva all’ultima zarina di Russia. Vorrei che l’avessi tu e che l’accettassi come un regalo di ringraziamento da parte mia per esserti occupata dei miei affari.”
“Non voglio questa collana, Alfie. Non saprei che farmene. E non devi ringraziarmi, è anche merito tuo se ho avuto la possibilità di liberarmi.”
Alfie le mise una mano sulla spalla e sorrise, la cicatrice che si contorceva come un serpente.
“Mia cara colomba, adesso puoi spiccare il volo. Libera da ogni gabbia.”
 
Ariadne si infilò in auto e sospirò. Salutare Alfie l’aveva commossa, del resto era stato grazie a Camden Town se era diventata forte tanto da poter sfidare le altre bande.
“Signorina Evans, permettete una parola?”
Jonah l’aveva seguita e aveva bussato al finestrino per attirare la sua attenzione. Ariadne abbassò il vetro e si sporse.
“Dimmi, Jonah.”
“Avete intenzione di lasciare Londra?”
“Ho intenzione di lasciare il paese. E tu? Hai progetti?”
Jonah arrossì, insolito per uno come lui che era sempre sembrato una statua di granito.
“Mi trasferirò a Birmingham e aprirò un ufficio da commercialista. Sono bravo con i numeri.”
“Da solo?” lo punzecchiò Ariadne.
“Ehm…beh, Lizzie… volevo dire che la signora Shelby ha accettato di essere la segretaria dell’ufficio.”
Ariadne ridacchiò e gli diede un buffetto sulla mano.
“Sono felice per te, Jonah. Lizzie è una donna straordinaria e merita un uomo gentile e onesto come te.”
“Vi ringrazio, signorina. Vi ringrazio di tutto.”
“Grazie a te per non avermi mai abbandonata. Sei stato un amico prezioso, Jonah.”
Jonah le strinse la mano e ne baciò il dorso, poi si portò la mano sul cuore e abbassò il capo in segno di riverenza.
“Le scriverò una lettera al mese, signorina. Non si libererà di me. Sarò sempre il suo fedele amico.”
Ariadne sentì le lacrime pungerle gli occhi ma si trattenne. Jonah era stata una delle persone che più l’avevano sostenuta, non l’aveva mai lasciata da sola e l’aveva sempre aiutata.
“Arrivederci, amico mio. E chiamami Ariadne.”
“Arrivederci, amica mia.”
 
Poche ore dopo Ariadne era seduta in una sala da tè in attesa della sua ospite. Si era cambiata, si era sistemata i capelli e aveva indossato una lucente spilla a forma di luna sulla giacca.
“Ariadne!”
Rachel la salutò dalla soglia della sala, consegnò il cappotto al cameriere e la raggiunse. Ariadne si alzò per abbracciarla.
“Rachel, che piacere! Prego, accomodati.”
Si misero sedute e ordinarono tè e pasticcini.
“Sei sparita. Dove sei stata?” iniziò Rachel.
“Ho concluso tutti i miei affari. Non ho più questioni in sospeso. Tra l’altro, ieri sono andata dal notaio e ho già preso la mia parte di soldi essendo la vedova di Mick. Il resto dei suoi beni l’ho lasciato a Camille e Leonard.”
“E’ un bel gesto. Anche io ho ricevuto una piccola somma, domandi andrò dal notaio a riscuoterla.”
Il cameriere interruppe la loro conversazione per lasciare il vassoio con le tazze e le paste; chinò il capo e sparì alla svelta.
“Volevo anche dirti che ho inviato una lettera al vescovo per annullare il mio matrimonio adducendo come causa la prematura scomparsa di Mick. Attendo risposta.”
Rachel ingoiò un pasticcino intero, era agitata e di solito mangiare la consolava.
“Quindi hai intenzione di scomparire dalla mia vita?”
Ariadne sorrise e scosse la testa, prese le mani di Rachel e le strinse appena.
“Noi siamo amiche, Rachel, e lo saremo sempre. Io sto solo conquistando la mia libertà da tutto e tutti.”
“Fai bene. Del resto, anche io lascerò Londra. Tornerò in India.” ammise Rachel.
“Insieme a Nadina?”
Rachel sputacchiò il tè e si pulì il mento col tovagliolo sotto lo sguardo divertito di Ariadne.
“Tu sai di me e Nadina?”
“Sì. E sono felice per voi, state bene insieme.”
“Non condanni questa… cosa?”
Ariadne sapeva meglio di tutti che l’omosessualità era un reato per la legge, anche Julian si era dovuto nascondere quando aveva frequentato dei ragazzi.
“L’amore è amore, punto e basta.”
Rachel sospirò di sollievo e si lanciò addosso ad Ariadne per abbracciarla.
“Grazie di esistere, Ariadne Evans.”
 
Una settimana dopo, Birmingham
Ariadne bussò più volte finché Margaret non aprì la porta in vestaglia.
“Ariadne, sono le sette del mattino. Chi è morto?”
Si accomodarono in cucina e Margaret mise il bollitore sul fuoco, dopodiché recuperò tazze e biscotti.
“Non è morto nessuno. Anzi, porto belle notizie!”
“Quali?” chiese Margaret.
“Tu hai detto che vorresti lasciare Birmingham, giusto?”
“Sì. Perché?”
Margaret intanto stava versando il tè e il profumo si diffuse nella piccola cucina insieme al confortevole calore.
“Perché ho trovato il posto perfetto per noi. Potremmo trasferirci lì insieme, io, te e tua sorella.”
“Quale posto?”
“Potes, un paesino in Cantabria. In Spagna!” esclamò Ariadne entusiasta.
Margaret sbarrò gli occhi e fissò l’amica come se le fosse schizzato il cervello dal naso.
“In Spagna? Perché? E chi diamine lo sa lo spagnolo!”
“La lingua non è un problema, possiamo impararla direttamente sul posto. E poi la Spagna è bella, solare, è lontana dall’Inghilterra!”
“Ariadne, non ti sembra di esagerare? Per allontanarti non devi per forza trasferirti dall’altra parte del mondo.”
Il sorriso di Ariadne si spense. Lasciò la tazza sul tavolo e sbuffò.
“Io voglio tagliare i ponti con questa vita, con queste persone e con questa città. Potes è il posto giusto per iniziare da capo.”
“E come pensi di mantenerti?”
“Ho qualche soldo da parte per i primi tempi, poi ovviamente troverei un lavoro. Ti ricordo che pulivo i cessi in una bettola, la fatica non mi spaventa.”
Margaret si passò una mano sulla faccia e sospirò, mordendosi le labbra perché sapeva che stava per ferire la sua migliore amica.
“Non posso partire. Io e mia sorella abbiamo già ottenuto quell’ingaggio a Manchester di cui ti parlavo. Partiamo questa domenica.”
Ariadne rimase pietrificata. Non si aspettava quel rifiuto. Credeva – sperava – che Margaret sarebbe andata con lei anche sulla luna.
“Certo, capisco. Allora partirò da sola.”
“Ariadne…”
Ariadne si alzò di fretta e andò a passo svelto verso la porta, si sentiva mancare l’aria.
“Scusami, devo proprio andare.”
 
Il tappo dello champagne colpì il soffitto quando Julian stappò la bottiglia. Tutti i presenti schiamazzarono e batterono le mani.
“Julian, non è ancora il momento. Siamo soltanto all’inizio della cena.” Disse Rose.
“Ehi, bisogna festeggiare ogni momento!”
“Per te ogni momento è buono.” Scherzò Barbara.
Ariadne sorrideva mentre se ne stava appoggiata allo stipite della porta. Julian e Rose avevano preso in affitto una casa in un bel quartiere e avevano invitato la famiglia per l’inaugurazione.
“E’ proprio un bambinone.” Disse Eric.
Ariadne posò la testa sulla sua spalla e lui le baciò i capelli.
“Suo figlio sarà più maturo di lui sin da neonato.” Disse Ariadne.
“Oh, su questo non ho dubbi.”
“Voi due civette, venite qui!” li invitò Barbara.
Ariadne si sedette fra Eric e Julian, con Rose e Barbara di fronte; Agnes sedeva in braccio al padre e Emily sonnecchiava nel passeggino.
“Iniziamo dagli antipasti: gamberi in salsa di tè verde, mia specialità.” Disse Julian.
“Dai, diglielo!” disse Rose.
“Dirci cosa?” domandò Eric.
Julian finì di riempire i piatti di tutti, si pulì le mani e sorrise.
“Sono stato assunto come chef al The Paradise, il ristorante più esclusivo della città.”
Ariadne saltò in piedi e corse ad abbracciarlo e a stampargli baci sulla guancia.
“Jules, è fantastico! Sono fiera di te! Congratulazioni!”
Sapere che finalmente Julian aveva messo la testa a posto era un sollievo. Ariadne aveva sempre sperato che suo fratello trovasse la pace e ora la rendeva felice vedere che ci era riuscito.
“Complimenti, fratellino! A Julian!” disse Eric.
“A Julian!” dissero all’unisono.
Dopo quel primo brindisi la cena continuò in un clima sereno e festoso, fatto di risate, ricordi e lacrime di gioia.
Dopo il dolce Barbara e Rose si misero a sparecchiare. Julian ed Eric lavavano i piatti mentre Ariadne asciugava.
“Perché proprio la Spagna?” esordì Julian.
“Perché è lontana e non mi conosce nessuno.” Rispose Ariadne.
Eric le passò un bicchiere da asciugare e raccattò un altro strofinaccio per aiutarla con le posate.
“E hai intenzione di cambiare di nuovo nome?”
“Mi farò chiamare Aria, il cognome invece sarà noto a pochissime persone.”
“Hai pensato proprio a tutto.” Mormorò Julian.
“Sono anni che penso ad un piano di fuga.”
Eric zoppicò fino alla cristalliera e iniziò a impilare i patti. Ariadne recuperò i tovaglioli e li mise in ammollo in un secchio di acqua e detersivo.
“Hai detto a qualcuno che parti?” domandò Eric.
“Si sta riferendo a un certo belloccio con gli occhi azzurri…” suggerì Julian.
Ariadne si gettò lo strofinaccio sulla spalla e diede le spalle ai fratelli. Il solo pensare a lui la faceva stare male.
“Il signor Shelby non deve sapere della mia partenza.”
Non si erano più visti né sentiti dopo l’episodio a Dorset. Polly le aveva spedito un telegramma per farle le condoglianze per la morte della madre ma non c’erano stati altri contatti con gli Shelby.
“Aria…”
“No. Io voglio cambiare vita e questo include anche cambiare le persone che mi circondano.”
“Hai ragione. Discorso chiuso.” Disse Eric.
Julian lanciò un’occhiataccia al fratello maggiore, il quale gli fece cenno di stare zitto.
“E tu, Eric, che farai?” chiese Ariadne.
“Ho intenzione di fare ciò per cui ho studiato: lavorare in banca. Dopo che avrò fatto l’operazione, farò domanda di assunzione.”
“Operazione?”
“Aria non lo sa.” Ricordò Julian.
“Non te l’ho detto. C’è un medico a Liverpool che mi ha visitato e ha detto che c’è un modo per fermare l’infezione. Con l’amputazione della gamba posso salvarmi la vita.”
“A te sta bene perdere una gamba?”
“Ho una moglie e due figlie su cui fare affidamento, una gamba in meno non è certo un problema.”
Ariadne lo abbracciò con le lacrime agli occhi. Aveva visto Eric in punto di morte e sapere che si sarebbe salvato fu come tornare a respirare.
“Vi voglio bene, ragazzi.”
“Ti vogliamo bene anche noi.”
Anche Julian si unì all’abbraccio. Per la prima volta in vita loro furono una vera famiglia felice.
 
Due settimane dopo, Londra
Ariadne batteva il piede sull’asfalto della stazione mentre attendeva il suo treno. Erano le sette del mattino e c’era un viavai di lavoratori e viaggiatori. Ricordava che la prima volta che aveva preso un treno aveva quindici anni e scappava dopo aver ucciso suo padre.
Adesso, però, aveva venticinque anni e partiva per iniziare la sua nuova vita.
“Ariadne! Ariadne!”
Margaret e Cindy stavano correndo a perdifiato verso di lei. Ariadne posò la valigia e spalancò le braccia nella totale confusione.
“Che ci fate voi qui?”
“Partiamo con te.” Disse Cindy.
“Credevo andaste a Manchester.”
Margaret lasciò cadere le sue borse e fece un respiro profondo, la corsa le aveva mozzato il fiato.
“Le migliori amiche restano insieme, giusto? Non potevo lasciarti da sola.”
“Margaret…”
“Ascoltami. Tu sei stata la persona che mi ha aperto gli occhi sull’essere donna e sulla mia vita in generale. Senza di te oggi non sarei libera. Sono in debito con te, amica mia. Ma parto insieme a te perché ti voglio bene e so che insieme faremo grandi cose.”
“Anche io voglio partire per fare grandi cose!” aggiunse Cindy.
Ariadne abbracciò le due sorelle e stampò un bacio sulla fronte di entrambe. Sentiva il cuore scoppiarle di gioia.
“Chiamata per la Spagna! In partenza il treno per la Spagna sul binario due.”
“Che l’avventura abbia inizio!” esclamò Ariadne.
 
Sei mesi dopo, Potes, Spagna
Il cinguettio degli uccelli era uno dei suoni che Ariadne aveva imparato ad apprezzare. Ogni mattina alle sei usciva di casa munita di album e matita per sedersi in riva al lag a disegnare. Trasferirsi a Potes era stato un toccasana per la sua arte: era tornata a disegnare e a dipingere finalmente. Aveva una vita tranquilla e stabile, una vita di cui andare fiera.
Margaret aveva trovato lavoro in una pasticceria e Cindy faceva la sarta nell’unica boutique del paese. Ariadne, invece, lavorava nella mensa della scuola e nel pomeriggio dava lezioni private di disegno ai bambini. Nel fine settimana, dopo la messa della domenica, dava lezioni gratis ai bambini che non potevano permettersi di pagarla.
Ogni due settimane riceveva lettere dai fratelli e da Rachel, e nel corso dei mesi aveva anche ricevuto diverse lettere di Jonah e una lettera da Polly. In una delle ultime lettere Julian annunciava la nascita della piccola Caroline, mamma Rose stava bene e lui era al settimo cielo.
Chica, la colazione è pronta.” La richiamò Cindy.
Il lago si trovava a poca distanza da casa loro, era facile raggiungerlo a piedi e ancora in vestaglia da notte. La loro abitazione era semplice e piccola, le due sorelle dormivano insieme al piano di sopra e Ariadne dormiva sul divano. Semplice e modesta: la vita che lei aveva sempre desiderato.
Margaret stava sistemando la tavola per la colazione quando Ariadne rincasò.
“Ariadne, stasera potresti accompagnare Cindy dalla signora Rodriguez? Abita fuori paese e tu sei l’unica che sa guidare.”
“Sì, ci penso io. La signora Rodriguez ha sempre delle ottime caramelle al limone.”
“E infatti l’altra volta te le sei divorate.” Disse Cindy ridendo.
Ariadne fece spallucce e fece l’occhiolino alla ragazza, erano complici quando si trattava di infilarsi in tasca quelle squisite caramelle.
“Io oggi pomeriggio ho una lezione alle quattro, dalle cinque in poi sono libera.”
“L’appuntamento è alle sei e mezza, ce la facciamo.” Disse Cindy.
Le tre si misero sedute e iniziarono a fare colazione fra chiacchiere e cucchiaini che tintinnavano contro le tazzine.
Ariadne osservò la scena e la impresse a fuoco nella memoria. La sua vita stava davvero prendendo la giusta piega.
 
Due settimane dopo
Ariadne depose l’ultimo piatto nello scaffale e si appoggiò al bancone con uno sbuffo. La mensa aveva chiuso da un pezzo e lei aveva impiegato due ore per pulire il pavimento e asciugare le stoviglie. Era assurda la quantità di piatti e posate che dei bambini delle elementari riuscivano a sporcare.
“Señora, yo terminè.” Disse Ariadne.
Il suo capo, una signora robusta e con le mani grosse, annuì e le fece un cenno di saluto con la testa. Ariadne si inifilò la giacca e oltrepassò il cancello della scuola.
La giornata proseguì come stabilito: dopo pranzo, fece lezione a due bambine e alle cinque accompagnò Cindy dalla signora Rodriguez per un lavoro di sartoria.
“Ti aspetto qui?”
“Va a farti un giro. Qui ci metterò almeno due ore.” Rispose Cindy.
“Allora ci vediamo dopo. Buona fortuna!”
Cindy ridacchiò, le diede un bacio sulla guancia e scese dalla macchina. Era la ragazza più dolce e gentile che Ariadne avesse mai conosciuto.
Decise di andare a fare visita al rudere di un vecchio castello ottocentesco. Secondo la leggenda, lo spirito della regina vagava ancora in quelle aree e la sua presenza era udibile nel fruscio del vento.
Si sedette su un mucchio disordinato di paglia e si mise a contemplare la vasta pianura che si scorgeva da quel punto. Trascorse almeno un’ora in totale silenzio, avvolta dalla natura e dalla sua magia.
“E’ un bel posto.”
Ariadne sentì il cuore schizzarle in gola. Il sangue scorreva così forte da rimbombarle nelle orecchie. Si voltò lentamente, la paura che le attanagliava lo stomaco.
Ed eccolo lì, mani in tasca, occhi azzurri e capelli neri. Tommy Shelby in persona.
“Tom…ma che…”
Lui sorrise. Quanto era bello, un diavolo prima della caduta. Una bellezza infernale.
“Sei andata via senza salutare. Che maleducata.”
“Non c’era motivo di salutarti.”
“Ah, no?” fece lui.
La verità è che Ariadne non aveva avuto il coraggio di affrontarlo, di dirgli addio, quindi aveva preferito scappare.
“No. Siamo tornati entrambi alle nostre vite, non ci lega più niente. I nostri affari sono conclusi.”
“Tra noi non si è mai trattato di affari.” disse Tommy.
“Tom, lascia perdere. Torna a Birmingham.”
Ariadne gli diede le spalle nella speranza che lui si arrendesse subito e se ne andasse.
“A Birmingham non c’è più niente per me. Mi sono ritirato dalla banda e dal Parlamento. Adesso è Polly il capo dei Peaky Blinders. Io e Lizzie abbiamo divorziato, lei merita di poter stare con chi vuole.”
“Non mi interessa. Allora torna dove ti pare!”
“Io sono esattamente dove voglio essere.” Disse Tommy.
Ariadne non disse nulla, letteralmente le mancavano le parole. Controllò l’ora, era troppo presto per andare a recuperare Cindy, ma decise di avviarsi verso la macchina per prendere le distanze da lui.
“Ariadne, fermati. Per favore.”
“Non abbiamo niente da dirci. Torna alla tua vita, Tommy Shelby.”
“La mia vita potrebbe essere qui, se tu mi volessi.”
La ragazza si fermò di colpo, quasi come colpita da una secchiata di acqua ghiacciata.
“Tu davvero hai rinunciato a tutto per venire qui da me?”
Tommy fece un mezzo sorriso, poi tornò serio e si avvicinò per guardarla dritto in faccia.
“I mesi vissuti a Londra nei panni di un pescatore di nome Tom mi hanno fatto capire che sono stanco e che la vita di Tommy Shelby non fa più per me. Questo paesino mi sembra un bel posto in cui vivere.”
“E i tuoi figli? E Charlie?”
“Charlie vuole restare con Ruby, quindi vivranno entrambi con Lizzie. Io tornerò a Birmingham ogni due settimane per stare con loro.”
“Tom, ne sei sicuro?”
Tommy le scostò un riccio dalla fronte e si perse qualche secondo ad ammirarla.
“Io ti amo, Ariadne Evans.”
Ariadne abbassò gli occhi e sorrise, era tanto che aspettava di sentire quelle parole. Era tanto che desiderava quell’amore.
“Ti amo anche io.”
 
Quattro mesi dopo
Tommy tracciava segni immaginari sulla schiena nuda di Ariadne. Era l’alba, dalle persiane filtrava una luce dorata che invadeva di calore la stanza.
Adesso aveva una casa tutta loro in paese, a venti minuti da Margaret e Cindy. Era piccola, dotata di sole due stanze, ma a loro bastava. C’era una modesta veranda su cui Ariadne aveva montato il cavalletto per quando aveva voglia di dipingere.
“Tra due settimane Ruby compie cinque anni. Vorrei portare lei e Charlie qui per festeggiare.”
“E’ una bella idea. Ma sei sicuro che loro accettino la nostra relazione? Non deve essere facile vedere il padre insieme ad un’altra.”
Tommy baciò la spalla della ragazza e le sfiorò la pelle con la punta del naso.
“Loro già sanno di noi. Gliene ho parlato l’ultima volta che sono tornato a Birmingham. Charlie ha fatto un po’ il muso, ma dice che sei simpatica e che va bene.”
Ariadne sorrise e si girò fra le braccia di lui, posò la fronte sul suo petto e gli accarezzò il polso.
“Sono simpatica, eh? Conquisto tutto gli uomini Shelby.”
Tommy rise e la strinse più forte. Fece scivolare la mano fra i ricci rossi e le fece inclinare la testa indietro per baciarla.
“L’importante è un solo uomo, giusto?”
“Sei troppo divertente quando sei geloso.”
Ariadne lo spinse sul materasso, si mise a cavalcioni su di noi e ripresero a fare l’amore.
 
Un anno dopo
“Com’è?” domandò Charlie.
Ariadne inforcò gli occhiali da vista – dato che la sua vista era peggiorata – e avvicinò il disegno di Charlie alla finestra per esaminarlo. Si trattava di un paesaggio di montagna sui toni del verde e del marrone.
“E’ davvero bello, Charlie. Migliori sempre di più. Questo disegno è da lode!”
Charlie battè le mani tutto soddisfatto. Mentre Ruby preferiva correre e andare in bici, Charlie amava la lettura e l’arte; lui e Ariadne passavano ore a disegnare quando i bambini stavano col padre.
“Chi piange?” fece Charlie.
Ariadne aprì la porta nel momento in cui Tommy entrò con Ruby in braccio che piangeva. Era caduta dall’altalena e si era sbucciata le ginocchia.
“Ehi, piccola, non piangere. Adesso curiamo le ferite.” La consolò Ariadne.
La bambina si accoccolò contro il padre mentre Ariadne con l’alcol le disinfettava le lesioni. Charlie l’aiuto con i cerotti e poi diede un bacio sulla guancia alla sorella.
“Anche io cado sempre, Ruby. Non succede niente. Stai tranquilla.”
“Charlie ha ragione. Domani starai già bene.” disse Tommy.
Ruby annuì, scese dalle ginocchia del padre e il fratello la aiutò a raggiungere il divano. Poi Charlie le mostrò il disegno e lei pian piano smise di piangere.
“L’arte aiuta sempre.” Mormorò Ariadne.
Tommy le cinse la vita con un braccio e le diede un bacio sui capelli. Si rese conto solo allora che era felice per la prima volta in vita sua. Era una felicità pura e sana, fatta di un lavoro onesto come guardiano di cavalli, fatta di una piccola casa accogliente, fatta di una compagna solare che amava con tutto se stesso.
Aveva quello che da sempre aveva desiderato: una vita serena.
 
Ariadne adorava sedersi in veranda a guardare il tramonto. Il sole che calava e la luna che emergeva, la luce che si inabissava nel buio, il chiaro che diventava scuro. La natura era la perfetta arte.
Tommy stava mettendo a letto i bambini poiché l’indomani sarebbero partiti per tornare a Birmingham, e lei si era ritagliata un momento per sé dopo aver dato loro la buonanotte.
“Disturbo?”
“Vieni. Siediti qui.”
Tommy si accese una sigaretta e si lasciò cadere sulla panca accanto a lei. Ariadne posò la testa sulla sua spalla e lui le accarezzò i ricci rossi.
Era tutto perfetto. Niente più vita criminale. Niente più affari. Niente più battaglie.
“E’ una bella vita, Tom. Vero?”
“Sì, è una bella vita.”
 
Salve a tutti! ^_^
Eccoci qui alla fine di questa storia.
Ariadne e Tommy si sono ritrovati alla fine e possono vivere la vita che hanno sempre sognato. Ho voluto regalare loro un po’ di pace.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
 
Grazie a tutti voi per aver letto e commentato la storia, per aver fatto con me questo viaggio.
Un grande abbraccio,
la vostra Lamy__
  
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