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Autore: ester_potter    22/02/2023    0 recensioni
[Amy/Laurie] [Alternative Universe] [No Smut] [HG!AU] [CanonVerse!AU] [Western!AU] [Soulmates!AU]
5+1 things che in realtà è una 3+1 things, ma vabbè. Basically:
3 universi alternativi in cui Laurie ed Amy hanno quasi avuto un lieto fine + 1 in cui ce l’hanno fatta
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amanda March, Theodore Laurence
Note: AU, Movieverse, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Boulder, Colorado, 1880

 

 

Laurie si rigira fra le dita la collana Choctaw1, unico legame che lo tiene ancora in qualche modo ancorato al suo passato. L’unico legame che ha scelto di non recidere.

Protezione. Ecco cosa significa l’amuleto, secondo colui che gliel’ha donato. Gli mancherà Chashwi, il suo unico vero amico. Gli mancheranno il caldo e il Mississippi. Ma ha scelto lui di andarsene. Non si è mai guardato indietro, e non ha intenzione di farlo ora, arrivato a metà strada.

Seattle è ancora lontana, ma una volta arrivato potrà riposare per qualche giorno, prima di imbarcarsi. Per dove, non lo sa ancora. La prospettiva di non sapere in quale letto si sveglierà domani – né cosa mangerà, se mangerà, dove sarà di qui ad un anno – non lo spaventa minimamente. Niente lo spaventa.

Ha già vissuto l’incubo della guerra civile, costretto a combattere per una fazione di cui ha sempre odiato e ripudiato gli ideali – non gli è mai andato a genio il termine “ideale”, se riferito alla piaga della schiavitù –, così come ha vissuto l’incubo di appartenere a una società in cui non si rivede, in cui stona. A lui non interessa di portare avanti la tenuta dei Lawrence a Jackson, Mississippi, schiacciare i pochi afroamericani rimasti nel sud e finanziare spedizioni alla ricerca del petrolio e dell’oro a scapito delle popolazioni native. Quel mondo gli dà il voltastomaco.

E non si è mai sentito così vivo come quando, cinque giorni fa, è montato a cavallo e se n’è andato nella notte, come un ladro, senza salutare nessuno se non Chashwi. Un po’ prova vergogna, se ci pensa. Ma poi gli viene in mente che non deve niente a quella gente. I suoi genitori non lo hanno mai capito, non lo ha mai amato. L’unico a farlo era stato suo nonno, morto troppo presto per tubercolosi. Ma se anche fosse sopravvissuto abbastanza da vederlo crescere, Laurie se ne sarebbe andato comunque. Altrimenti sarebbe morto lui, suicida, come un uccellino in gabbia inizia a sbattere la testa per uscire.

Adesso, seduto al bancone di un saloon di Boulder il cui nome non ha neanche letto, è libero.

Ripone di nuovo la collana dentro la camicia quando il bicchiere di scotch che aveva chiesto gli viene appoggiato davanti con un rumore secco. Beve con avidità, tanto per brindare a sé stesso. Si guarda intorno a destra e a sinistra, aldilà delle spalle. Ci deve essere appena una dozzina di persone, lui incluso. Fuori è giorno, ma il locale è buio e le luci tenui. Gli unici rumori sono il chiacchiericcio, il tintinnio dei bicchieri e le risate sguaiate degli scommettitori intenti a giocare e delle loro donne. Non proprio il luogo in cui si sarebbe mai immaginato di finire. Se la sua famiglia lo vedesse ora, lo disconoscerebbe seduta stante – come se non l’avesse già fatto. Il pensiero lo fa ridere fra sé.

Ordina un altro bicchiere.

Getto un altro rapido sguardo alla sua destra. L’uomo seduto in un angolo al buio, con una sola bottiglia tutta per sé al tavolo, ha un’aria familiare. Non riesce a togliersi di dosso la sensazione di averlo già visto prima, sebbene sia certo che non sia possibile. Si darebbe un mandriano qualsiasi, a guardarlo. Eppure c’è qualcosa che gli sfugge...

Ci sta ancora rimuginando su, quando mette a fuoco la persona seduta da sola al tavolo a metà strada tra lui e il mandriano. Laurie strabuzza gli occhi: ecco, questa potrebbe essere facilmente la creatura più bella su cui abbia mai posato gli occhi. Dal suo portamento e dal vestiario, Laurie si domanda che accidenti ci faccia una come lei in un posto del genere, ma qualunque ragionamento in cui il suo cervello possa avventurarsi va a farsi benedire in favore di un’osservazione meticolosa del suo viso.

Deve avere circa la sua stessa età, o forse è poco più giovane. Capelli biondi, occhi azzurri che risaltano con il vestito azzurro che indossa, guance piene e naso all’insù. Aggraziata e composta, con la schiena dritta e lo sguardo algido, ma con un fondo di dolcezza nascosto – di quelli nascosti di proposito... Sguardo che ora è rivolto proprio verso di lui.

La donna lo guarda dapprima stupita, poi confusa, e infine seccata. Preso del tutto alla sprovvista, Laurie non può far altro se non distogliere lo sguardo in fretta e furia e portarlo ancora all’uomo seduto all’angolo. Lei se ne accorge, segue lo sguardo di Laurie fino al povero uomo vittima dei suoi sguardi indiscreti, e poi guarda di nuovo lui. Se non altro, sembra aver perso l’espressione di stizza di poco fa.

Laurie si aspetta di tutto, meno che si rivolga direttamente a lui:

“Sto forse ostruendo la vostra visuale?”

Laurie quasi sobbalza.

“No!” esclama, dopo qualche secondo di incertezza. “N-No, certo che no...”

Sente di aver attirato la sua curiosità, nonostante l’aria di superiorità che quegli occhi emanano.

“Vi prego di scusarmi” si decide a dire alla fine. “Vi offro qualcosa”

La donna sembra pensarci su, ma qualcosa gli dice che è tutta scena. In effetti, impiega molto meno tempo di quanto servirebbe a una qualunque signora d’alta società per valutare e accettare un invito del genere da uno sconosciuto in un saloon. Si alza e lo raggiunge sullo sgabello accanto al suo.

“È un vostro amico?” domanda con un vago cenno del capo verso l’uomo infondo all’angolo.

Laurie apre la bocca e indugia: a confonderlo la curiosa situazione in cui si trova, ma i penetranti occhi blu che minacciano di ingoiarlo per non risputarlo mai più fuori. Alla fine, decide di limitarsi a dire la pura e semplice verità:

“… Non ho proprio idea di chi sia”

La donna solleva le sopracciglia, ma non indaga oltre.

“Cosa prendete?” chiede Laurie.

“Whiskey con ghiaccio”

Laurie la guarda come se fosse appena caduta dal cielo accanto a lui. La donna rotea gli occhi.

“Oh, per favore” sbuffa. “Avete detto che mi avreste offerto qualcosa. I giudizi non sono compresi. Forza, sto aspettando”

Laurie non ci prova neanche a nascondere l’espressione scandalizzata che deve avere in volto: ingoia la saliva e obbedisce, ordinando lo stesso anche per sé. Da quel momento, nessuno dei due fiata più. Solo dopo i primi sorsi Laurie riesce ad aprire bocca di nuovo, quasi rinfrancato dall’alcol.

“Siete sola?”

Amy inarca un sopracciglio.

“Se dico di sì mi risparmierete la lezioncina sui pericoli che corre una donna sola in un posto del genere? Perché la mia famiglia me l’ha già riassunta alla perfezione in una lettera di cinque pagine”

Laurie reprime a stento una risata. “Non mi sarei mai permesso”

Lei sorride come a dire “sarà meglio per voi”, e prende un altro sorso di whiskey. Già che ha iniziato, Laurie decide di rischiare e proseguire

“Da dove arrivate?” domanda.

“San Francisco”

“E dove siete diretta?”

“Chicago”

“È lunga”

“Non così tanto. Sono più le soste ad allungare il viaggio. Senza quelle sarei arrivata in una manciata di giorni”

Laurie scuote la testa e aggrotta la fronte in un’espressione confusa, quasi non riuscisse a credere alle sue orecchie – e in effetti, un po’ è così. L’occhio gli cade sull’anello al suo anulare sinistro. Glielo deve chiedere.

“Non voglio ripetermi,” inizia, mettendoci tutto il tatto di cui è provvisto, “e sono consapevole che la cosa non mi riguardi, ma permettetemi un po’ di impertinenza: viaggiate da sola?”

“Mio marito è a New York per affari. Sarebbe stato uno spreco di tempo per me e di denaro per lui se fosse tornato a casa e poi fossimo partiti insieme per Chicago. E no, ovviamente non è contento della mia scelta, ma non gli ho lasciato molte alternative: gli ho scritto le mie intenzioni in una lettera e il giorno stesso mi sono messa in viaggio”

Laurie non sa se essere più colpito dal coraggio di questa donna che sembra un fiore del deserto, o dalla sconsideratezza che ha dimostrato intraprendendo un viaggio del genere, per di più sfidando l’autorità della sua famiglia e di suo marito. L’interesse che ha iniziato a nutrire nei suoi confronti fin dal momento in cui l’ha vista si fa indomabile ma, per fortuna, nonostante sia ormai un reietto, sa ancora come si comporta in società, e sa quando è il momento di tenere a freno la lingua.

“Ditemi almeno che siete in carrozza” tenta, quasi esasperato.

“In effetti stavo per farlo, avrei viaggiato più comoda” conviene lei con un sospiro. “Però no. Viaggio in treno. Almeno arriverò più in fretta. Ho preso una camera qui sopra, domattina partirò per Lincoln, Nebraska. Ultima tappa prima di arrivare a casa”

Laurie guarda fisso il fondo del suo bicchiere, muovendolo in cerchio sul bancone e lasciando aloni umidi sul legno ad ogni movimento. Questa donna non è reale.

“Soddisfatto?”

La sua voce lo riporta alla realtà e lo costringe a guardarla.

“Come?”

“Vi vedo abbastanza sconvolto. Ho risposto a tutto ciò che volevate sapere?”

Laurie si agita sulla sedia.

“Non volevo essere invadente…”

“Signore” lo interrompe lei in tono deciso ma morbido. Laurie si ritrova perforato dai suoi occhi, e all’improvviso, ha di nuovo dodici anni e sta arrossendo davanti alla sua compagna di classe delle medie per cui si era preso una cotta. “Scherzavo”

A quelle parole, il corpo di Laurie si rilassa. La donna ride. Ride e il tempo si ferma: cancella tutto con una risata, il passato e il futuro. Ci sono solo loro.

“Diamine,” esclama poi, “non solo non siete abituato a vedere donne che viaggiano da sole, ma neanche a donne che fanno dell’ironia! A questo punto mi costringere a domandarvi dove abbiate vissuto finora”

Laurie sorride.

“Ora che me lo fate notare,” concede, “devo avervi fatto l’impressione del petroliere sudista che non è mai uscito dal suo giardino dorato”

“E lo siete?”

“Non sono né un petroliere né un sudista”

Però è la prima volta che uscite dal vostro giardino dorato”

“Touché”

Lei gli porge la mano con il dorso verso l’alto. “Sono Amy Vaughn”

Amy. Amy. Amy. Ora che Laurie sa che è il suo nome, non gliene viene in mente nessuno di più adatto a lei. Ed è bellissimo. Le sfiora appena la mano con le labbra come si confà a un gentiluomo e, giusto prima di usare il suo vecchio nome – quello che si era ripromesso di non usare più, sia per liberazione personale sia per evitare di attirare attenzione su di sé, essendo la sua famiglia una delle più prestigiose del Sud... O almeno, così era prima della guerra –, riesce a fermarsi e correggersi.

“Sawyer” dice. “Sawyer Alcott2. Vengo da Jackson, Mississippi. E vado a Seattle”

“Santo Cielo, Signor Alcott” Amy assume un’aria esageratamente sconvolta e si appoggia la mano sul petto. “E viaggiate da solo?”

Laurie ride di cuore. “È una lunga storia”

Gli occhi su di lei lo fissano vispi, carichi di aspettative. Laurie sa cosa vogliono. Per fortuna, però, Amy non gli domanda altro.

“Un altro giro di whiskey?” propone invece.

Laurie sbatte le palpebre, a metà tra l’incredulo e l’oltraggiato, facendola ridere – deve essersi bevuto il cervello, ma giura di non aver mai sentito suono più celestiale di quello.

“Comincio a pensare che il problema non sia io, che non sono abituato alle donne come voi” borbotta, facendo cenno al cameriere di servirli di nuovo. “Siete voi che siete diversa dalle altre”

“Oh, no, sono molto ordinaria, invece. Se mi vedeste in società, non spiccherei per alcun particolare fisico o comportamentale. So qual è il mio posto e lo rispetto. Mi sto solo concedendo un po’ di spontaneità in assenza di conoscenti che possano malgiudicare il mio comportamento”

“L’opinione altrui è così importante per voi?”

“Non faccia il bambino” lo rimbrotta Amy. “Deve esserlo. Altrimenti sarei ancora a casa dei miei genitori a pasticciare con i pennelli, nubile, e povera”

“E sarebbe un male?”

“Per voi è facile, siete un uomo”

“E questo che c’entra?”

“C’entra, invece”

Lo sguardo di Amy si fa serio, ma non glaciale come Laurie si sarebbe aspettato. È solo triste.

“Non intendo certo che per voi uomini la strada sia tutta in discesa dal momento in cui nascete,” prosegue, “ma almeno non dovete preoccuparvi di elemosinare l’attenzione di sconosciuti sperando che restino affascinati da voi e pregando che la vostra dote, per quanto modesta, non sia un problema che gli impedisca di da prendervi in casa, sposarvi e mantenere voi e la vostra famiglia. Non dovete preoccuparvi di dare a suddetti sconosciuti degli eredi e rinunciare a qualunque sogno o ambizione per mantenere il vostro ruolo di moglie, relegata in casa ed esibita in società. Sempre gli stessi eventi, le stesse persone, le stesse chiacchiere insensate” Abbassa lo sguardo e velo che sembra senso di colpa le oscura il viso. “Non fraintendetemi, quando ero bambina amavo quel mondo… O almeno, credevo di amarlo. Finché non ho iniziato a farne parte”

Laurie resta di stucco. Si sarebbe aspettato un discorso qualunque, fatto di lamentele superficiali e infondate com’era abituato a sentirne a Jackson. Non ha mai, mai ritenuto le donne stupide o creature inferiori, ma ha avuto abbastanza occasioni di constatare quanto si costringessero ad abbassarsi di livello per non mettere in ombra i loro mariti, quanto si forzassero a mettere su una facciata che non stonasse con l’ambiente di cui si circondavano, tutto per assicurarsi di non essere mai niente di più di ciò che la gente si aspetta da loro.

Ma la cosa che più lo sconvolge è che, per la prima volta da quando ha lasciato Jackson – per la prima volta in tutta la sua vita –, si sente compreso da qualcuno.

Laurie si fa coraggio e si schiarisce la voce.

“Perdonatemi. Non pretendo di conoscere le sfide che vi si pongono davanti in quanto donne. Ma la routine, l’ipocrisia... Sono tutte cose da cui rifuggo anche io”

“Non l’avrei mai detto” confessa Amy, guardandolo piena di riconoscenza. “Ma grazie per avermi capito”

Laurie fa un mezzo sorriso. “Siete sposata da molto?”

“Appena un anno”

“E lo conoscete da?”

“Sei mesi”

“Perfino più della media” si complimenta Laurie. “La maggior parte delle coppie di mia conoscenza non arriva ai tre mesi”

Amy ridacchia. “Confermo. Anche da noi nel Midwest è così”

“E lo amate?”

Amy sembra accigliarsi, seppur con un ghigno ironico.

“Innamorata…” mormora.

Laurie sbatte le palpebre.

“Ammetto che non mi aspettavo una simile risposta,” confessa, “sebbene mi fossi già fatto l’idea di avere davanti una donna alquanto...”

Si interrompe, temendo di essere andato troppo oltre, ma Amy viene in suo soccorso.

“Cinica. Potete dirlo”

Laurie ci pensa un po’ su, prima di annuire con aria noncurante. Amy ride.

“Beh, signor Alcott,” annuncia in tono solenne, “sono convinta che, con una giusta frequentazione e una buona dose di autoconvincimento, si possa arrivare ad ottenere un legame saldo e duraturo, fatto di fiducia e rispetto. Ma credo anche che non sia impossibile ottenere più di così”

“L’amore non è contemplato nell’equazione?”

“No, davvero”

“E io che pensavo che esistesse, e soprattutto che fosse un sentimento spontaneo”

“Sì, magari nelle favole che ci raccontano da bambini!”

Con quelle parole, Amy sembra di perdere di colpo tutta la voglia di scherzare che sembrava avere. Si fa di nuovo seria, ma nel suo viso c’è un briciolo di incertezza. Guarda Laurie quasi come fosse disperata di ricevere una conferma a ciò che sta per dire.

“No, non è così. Non credo alle favole, a quel tipo di amore di cui parlano… Voglio dire, una cosa del genere non può esistere, giusto?”

Prima di rispondere, Laurie si prende il suo tempo. Vorrebbe poterle dire il contrario, ma in effetti non ha neanche idea di cosa sia l’amore familiare, figurarsi quello romantico.

“Non lo so” sospira. “Lo chiedete alla persona sbagliata. Credo di non aver mai amato nessuna donna in tutta la vita”

“Quindi mi date ragione”

“Sì, può darsi. Però…” La guarda di sottecchi. “Siete almeno felice?”

Amy alza un angolo della bocca.

“Sì” risponde sinceramente. “Sì, lo sono. Anche se... ammetto che avrei gradito un altro tipo di vita”

“Cioè?”

“Mi sarebbe piaciuto dipingere”

Dal modo in cui Amy aggrotta la fronte, subito dopo aver dato voce ai suoi desideri, si direbbe non sappia da dove le sia uscita una cosa del genere. Laurie sorride fra sé.

“È la prima volta che lo dico a qualcuno al di fuori della mia famiglia” osserva, confusa. In tutta la sua ingenuità infantile, Laurie non può fare a meno di sentirsi onorato. Ma invece di rassicurarla che può confessargli tutto, assolutamente tutto, e che sarebbe ben felice di farle da custode per sempre, decide di attenersi a quell’autocontrollo che gli è stato imposto sin da piccolo e appoggia un gomito sul tavolo, sostenendosi il mento con la mano.

“Andate avanti” dice.

Amy arrossisce appena. Guarda ovunque meno che verso di lui.

“Credetemi, so che è assurdo” inizia. “Però è così. Mi sarebbe piaciuto vivere di arte. Ma è complicato persino per gli uomini che hanno la fortuna di nascere in Europa, fra luoghi incredibili e pieni di storia, ritrovi con persone stimolanti e anime a loro affini... Io sono solo una donna. Di Chicago. Non avrei avuto possibilità comunque. E poi, per quanto mi secchi ammetterlo, mi mancava il genio”

Laurie aggrotta le sopracciglia. “Il genio?”

“Sì, quella scintilla, sapete? Quel qualcosa che ti rende superiore agli altri. Ecco, a me mancava. Avevo talento, ma non il genio. E non importa quanto una persona si impegni, certi risultati non si possono ottenere neanche con lo studio più duro e costante. È una dote innata. Perciò ho mollato”

“È davvero andata così?” domanda Laurie, quasi dispiaciuto. “Avete rinunciato al vostro sogno per questo? Solo perché... non avevate il genio?”

Amy alza le spalle.

“Non volevo essere la seconda” afferma. “O la terza. Voglio essere la migliore o niente3. Sarebbe bello avere un’indole più... pacifica, se così si può dire. Ma ahimè, non mi appartiene. Se non altro, diventando un ornamento per la società, supporterò la mia famiglia. Qualcuno deve pur farlo, dato che tutte le mie sorelle hanno sposato uomini con da una rendita misera”4

Il suo viso assume una sfumatura di mestizia. “Eravamo in quattro... eppure ho sempre saputo che la responsabilità sarebbe ricaduta su di me. Lo so da quando ho dodici anni”

Laurie reprime l’istinto di prenderle una mano.

“Conosco a menadito la pressione sociale che deve esservi stata imposta fin da piccola,” le confessa in tono rassicurante, “perché ci sono cresciuto anche io, seppur in modo diverso. Ma almeno siete stata coerente con voi stessa: piuttosto che vivere un sogno a metà, mai del tutto appagata, avete scelto di aiutare la vostra famiglia. Non tutti l’avrebbero fatto. Non c’è niente di spregevole in questo. Anzi, direi che è ammirevole”

Per un fugace secondo, gli occhi di Amy sembrano inumidirsi. Ma qualunque istinto primordiale l’abbia attanagliata, lei lo schiaccia. Non c’è da stupirsi che sia così forte. Deve aver imparato ad esserlo sin da piccola.

“Grazie, signor Alcott” dice, aprendosi in un sorriso lieve. “Mi piace parlare con voi”

Laurie rotea gli occhi. “Oh, lo dite solo perché vi sto lusingando”

“Ovviamente”

Ridono insieme. È una cosa da niente, ma ha un che di magico.

“Dico sul serio, però” insiste Amy tra una risata e l’altra. “Mi sarebbe piaciuto avere un fratello o un amico come voi a casa”

“Con le vostre sorelle non siete unite?”

“Lo siamo” precisa Amy dopo un ultimo sorso dal bicchiere. Si passa la lingua sulle labbra e continua: “Voi avete fratelli?”

“Purtroppo no. Ma mi sarebbe piaciuto averne. Forse mi sarei sentito meno solo”

Amy abbassa gli occhi, lo sguardo intenerito di chi sta rivangando fra i ricordi.

“Tra noi c’è un legame inspiegabile” mormora con fermezza. “Ma come ho già detto, abbiamo preso strade diverse crescendo. Con loro non posso parlare così. Sia chiaro, né io né mia madre ci siamo mai sentite di rimproverare Meg e Jo per le loro scelte. Hanno fatto ciò che dovevano per essere felici, punto”

“Credete non possano capirvi?”

“Credo possano malgiudicarmi”

“E perché lo dite a me?”

“Voi siete un estraneo”

Sembra che Amy voglia aggiungere qualcos’altro, ma si interrompe e ripiega su:

“E non mi date l’idea di un uomo che mi sta giudicando. A parte quando vi ho detto di essere in viaggio da sola, ovvio. In quel frangente mi avete dato mentalmente della folle e dell’irresponsabile”

“Assolutamente no”

“Oh, sì che l’avete fatto”

“Non mi permetterei mai!”

“A voce forse no, ma dentro di voi...”

“Oh, Santo Cielo…”

Ridono ancora, ma stavolta ad interromperli c’è il rumore delle ante in legno che si aprono. Laurie si gira d’istinto verso la porta e vede entrare un uomo alto e robusto, che si siede lontano dal resto della clientela senza ordinare nulla, il cappello a coprirgli la faccia. L’attenzione di Laurie viene di nuovo rapita dalla voce di Amy.

“Però, davvero” sta dicendo, facendo ruotare la fede intorno all’anulare, “malgrado tutto, sono felice. Fred è un amico. Mi rispetta, mi tratta bene. Si prende cura di me. E soprattutto, chiede sempre la mia opinione. Credetemi, non è scontato in un matrimonio”

Laurie non ha certo bisogno che sia lei a dirglielo: basta la memoria degli scambi fra i suoi genitori – i pochi a cui ha assistito prima di imparare a chiudere le orecchie e fingere di non essere in stanza con loro.

“Già” mormora, scacciando quei ricordi dalla sua mente. Guarda Amy, girata di tre quarti verso di lui nella flebile luce del locale, gli sembra quasi di conoscerla. Una sensazione di déjà vu tale da provocargli le vertigini.

“Voi ve la caverete” afferma con convinzione. Non sa da dove gli venga una certezza simile, ma sa che deve pronunciarla, o passerà il resto della vita a pentirsene. “Starete bene”

“Come fate a saperlo?”

“Perché voi…”

Già. Voi cosa? La conosce da dieci minuti. Cosa potrebbe mai dirle per convincerla di ciò che sente nel profondo. Impiega decisamente troppo tempo a cercare le parole giuste, ma Amy non li mette fretta alcuna – si limita a guardarlo con una vulnerabilità che non credeva gli avrebbe mai mostrato, ed è proprio questo ad aiutarlo a trovarle.

“Mi date l’idea di una persona che potrebbe fare tutto ciò che vuole nella vita, e potrebbe farlo bene”

Amy ammutolisce, lo sguardo fermo sul suo – dietro di lei, sullo sfondo, il mandriano sembra tutt’a un tratto animarsi e guardarsi intorno con fare agitato, ma in tutta onestà, a Laurie non potrebbe importare di meno.

“Vi ringrazio” La voce di Amy è un soffio.

Un ultimo dubbio si intrufola insidioso nella mente di Laurie. Decide che sarà l’ultima domanda con cui la assillerà, ma all’improvviso ha bisogno di saperlo.

“Miss Vaughn” chiede, piano. “Perché state tornando a casa con questa fretta? Cos’è successo di così importante... da farvi decidere di attraversare sette stati da sola, senza aspettare il ritorno di vostro marito e farvi accompagnare?”

Le lacrime che si erano affacciate in precedenza fanno ritorno, ma stavolta Amy non trova la forza – la voglia – di ricacciarle indietro. Ingoia rumorosamente e stringe le labbra.

“Vi ho detto che eravamo in quattro” butta fuori con voce debole e tremante. “Io e le mie sorelle”

Eravamo in quattro... eppure ho sempre saputo che la responsabilità sarebbe ricaduta su di me

Così gli ha detto Amy poco fa. Però, parlando dei loro matrimoni, ha nominato solo due di loro. Di una terza sorella, neanche l’ombra. Non ha bisogno di aggiungere altro. Si lascia andare ad una smorfia di dolore e soffoca un singhiozzo con una mano davanti alla bocca.

 “Oh, Signore, scusatemi...” piagnucola, agitandosi sullo sgabello in cerca di un fazzoletto mentre le lacrime le inondano le guance. Laurie tira fuori il suo dal taschino e glielo porge. “Non avevo idea... Di solito non piango mai…”

“Avete perso una sorella” obietta Laurie con delicatezza. “Mi sembra reazione più che normale”

Amy si prende il suo tempo per ricomporsi. Tira su col naso un paio di volte.

“Non avevo ancora pianto da quando me lo hanno detto” tenta di giustificarsi ancora. “Mi dispiace che sia toccato a voi assistere a un simile spettacolo…”

“Miss Vaughn” la interrompe Laurie, afferrando la mano all’improvviso, senza più un briciolo di paura. “Amy. Puoi piangere”

Amy lo fissa sconcertata. Realizzano nello stesso momento quanto i loro visi si siano avvicinati man mano, ma nessuno dei due sembra intenzionato ad allontanarsi. Restano fermi a guardarsi per quella che a Laurie sembra un’eternità. In questo momento, è convinto che potrebbe aprirsi una voragine a pochi passi da loro e inghiottire parte del saloon; lui non se ne accorgerebbe comunque.

O almeno, è questo che pensa finché non coglie con la coda dell’occhio un movimento fulmineo dietro di Amy. Il mandriano, fino a quel momento seduto all’ombra in disparte, senza fiatare con nessuno, si è alzato in piedi con uno scatto: Laurie ringrazia Dio, la Vergine Maria e tutti gli angeli e i santi del paradiso per i suoi riflessi, che gli permettono di afferrare Amy per le spalle e buttarsi a terra con lei mentre il mandriano tira fuori la pistola dalla cintura e spara proprio nella loro direzione. Qualcuno – sicuramente lo sceriffo – risponde al fuoco dalla parte opposta, mentre le urla si levano da tutte le direzioni e i vetri scoppiano da dietro il bancone.

Il tutto dura una manciata di secondi, dopodiché Laurie sente un tonfo. Alza piano la testa, quel tanto che basta per vedere il corpo del mandriano a terra, contorto dal dolore. Si guarda intorno: nessuno sembra essere rimasto ferito, e l’intera clientela esce di corsa urlando. Amy alza la testa a sua volta, e la prima cosa che vede sono gli occhi preoccupati di Laurie.

“State bene, vero?”

Troppo sotto shock per riuscire a parlare, Amy si limita ad annuire, mentre lascia che Laurie la aiuti ad alzarsi prendendole entrambe le mani tremanti; si guarda intorno stralunata a bocca semi-aperta, come se temesse di vedere qualcun altro armarsi e ricominciare a sparare. Laurie si rimette il cappello che aveva abbandonato il bancone, afferra il soprabito di Amy che era finito a terra e se lo sistema sul braccio.

“È tutto a posto” le dice. “Venite, andiamocene”

Escono dal saloon di corsa. Laurie constata con immensa gratitudine che il suo cavallo non si è lasciato spaventare dal rumore, ed è rimasto dove l’aveva legato. Si volta istintivamente verso Amy. Non ha ancora lasciato la sua mano. Lei sembra aver recuperato un minimo di controllo sul suo respiro, sebbene le mani le tremino ancora.

Ha lo sguardo carico di gratitudine e, masochista com’è, a Laurie viene in mente di fare qualcosa affinché quella gratitudine svanisca – ma forse è solo la voglia improvvisa di farsi conoscere davvero da lei, che lo spinge a vuotare il sacco:

“Il mio nome non è Sawyer Alcott” butta fuori. “Mi chiamo Theodore Lawrence”

La gratitudine in effetti se ne va, ma non del tutto: Amy lo guarda come fosse un angelo sceso in terra e un imbroglione della peggior specie al tempo stesso.

“Mi avete mentito”, la sua non è una domanda o un ringhio di rabbia, ma una constatazione.

“Vi ho anche salvato la vita, ma di quello non mi sembra vi stiate lamentando”

A quel punto, si aspetta uno schiaffo: Amy lo stupisce ancora, per l’ennesima volta, incassando il colpo senza alcun capriccio.

“Non mi chiamo Amy Vaughn”

Oh.

“Vaughn è il cognome di mio marito. È March”

E gli stringe la mano. Il calore che Laurie sente allo stomaco minaccia di inghiottirlo. Forse è perfino arrossito, ma non può e non vuole saperlo.

“Dovete andare” dice, invece.

“Cosa?”

“Quello era John Ruth”5

Lo sguardo totalmente perso e confuso di Amy lascia intendere che non abbia idea di chi sia, cosa abbastanza prevedibile, in effetti.

“Un cacciatore di taglie” spiega. “Avete appena assistito alla cattura… All’uccisione di un ricercato. Resta il fatto che fra poco arriverà lo sceriffo. Domani ne parleranno tutti i giornali, dalla costa ovest a quella est. E se dovesse uscire il vostro nome sui giornali sarà uno scandalo”

Mentre Laurie si preoccupa di lei e di come possa essere ricevuta in società dopo una storia simile – sempre ammesso che qualcuno si prenda la briga di riceverla –, con una sola occhiata ad Amy e capisce che sta pensando alla sua famiglia, ma soprattutto a Fred, e alle cattiverie che i giornali direbbero su di lui. Lo accuserebbero di essere un eunuco sprovvisto del benché minimo potere su sua moglie, lasciata libera di girovagare per il west senza nessuno a proteggerla. Il loro matrimonio diverrebbe una beffa, e lei non se la sente di fare questo a Fred. Ha già sfidato abbastanza la sorte scegliendo di partire da sola; non può permettersi anche di umiliarlo così.

“Prendete il mio cavallo” dice. “E andatevene”

“E voi?”

“Sarò lontano da qui. Non preoccupatevi”

Amy sembra sul punto di dissuaderlo, ma evidente deve leggergli la mente, perché sembra capire all’istante che non ci riuscirà. Quel briciolo di speranza che albergava sul suo viso si dissipa. Il cuore di Laurie si stringe.

“Come posso ringraziarvi?” gli domanda.

“Arrivate a casa sana e salva. Ne sarei molto felice. Anzi…”

Si sfila la collana Choctaw senza pensarci troppo e gliela porge. “Prendete questo. È di un popolo di nativi delle mie parti. Vi proteggerà”

Amy lo guarda ammaliata senza prenderlo per qualche secondo.

“Tenetelo voi” dice infine. “Ho la sensazione che ne avrete più bisogno di me”

Beh, su questo non può darle torto. La aiuta a salire a cavallo, le affida le briglie e si sofferma a guardarla.

“Siete proprio sicuro” domanda Amy con un respiro profondo, “di non voler venire?”

Laurie fa un ghigno.

“Ho imparato a mie spese la follia di cercare di entrare in quel mondo”

“Pensateci” insiste Amy, con una punta di disperazione. “Non dovete tornare a casa. Potreste fermarvi a Chicago. O dove vi pare” Tentenna, come se temesse di andare troppo oltre. “A me sembrate uno che se la caverebbe, sapete? Un po’ pigro, certo… E indolente” sottolinea in tono severo, facendolo ridere. “Ma se vi impegnaste, se vi metteste in gioco davvero… Potreste essere qualunque cosa. Potreste fare qualunque cosa. E potreste farla bene”

Laurie riconosce il tono e le parole che lui stesso ha usato poco nei confronti di Amy e, adesso più che mai, riesce a vedersi proiettato nel futuro insieme a lei. Li vede insieme, sposati e con una famiglia – sa che Amy non gli sta affatto proponendo questo, ma la visione esplode lo stesso nella sua mente –, e non gli sembra né folle né ridicolo. Ha senso, immaginarsi così con lei. È giusto. Sente che lo è e basta.

Ma non è la verità.

Laurie scuote la testa, le prende la mano e ne sfiora il dorso con le labbra. Se non la lascia andare ora, non lo farà più.

“Miss March” dice, con voce più decisa di quanto si sarebbe aspettato. “È stato bello conoscervi”

Il viso di Amy cambia: non sa se più offesa dal suo rifiuto o da come ha scelto di salutarla. Sembra quasi deluso, come se si aspettasse di più. Ma forse è solo la parte più ingenua di Laurie che lo induce a pensare questo, credendosi più importante di quanto in realtà non sia, per lei. Amy lo guarda dapprima indignata, poi furiosa e poi, con tutta la disciplina che ha imparato a usare in società, azzera tutto trasformandolo in un’indifferenza così fredda da gelargli il sangue nelle vene.

“Ossequi, signor Lawrence”, è tutto ciò che gli concede, prima di scuotere le briglie e andarsene al trotto. Laurie resta impalato a guardarla finché non sparisce dalla sua visuale.

Sente lo sceriffo e i suoi arrivare al galoppo dalla parte opposta, gli indica l’interno del saloon con un cenno del capo e si siede sui gradini fuori. Si accende un sigaro e lascia che il fumo gli bruci la gola.

 

 

 

NOTE

1 I Choctaw sono un popolo di nativi americani originari del sud degli USA

2 Per il nome fittizio di Laurie ho scelto il cognome di Louisa May Alcott (pensavo fosse carino farle una specie di “tributo”), mentre per il nome mi piace pensare che Laurie abbia letto Le Avventure di Tom Sawyer (pubblicato nel 1876) e abbia scelto il nome del protagonista

3 Citazione dal film del 2019 di Greta Gerwig. Ho sempre trovato geniale questa battuta, rende Amy ancora più Amy

4 In questo universo Meg ha sposato John come nel canon, mentre Jo è rimasta a Berlino per Friedrich, si sono sposati lì e lavorano come insegnanti nello stesso istituto, ma non hanno figli

5 Altro tributo, stavolta a Quentin Tarantino e al suo The Hateful Eight, fra i cui personaggi c’è appunto un John Ruth che fa il cacciatore di taglie (era dovuto, dato che è uno dei miei film preferiti non solo fra la sua filmografia, ma in generale nella vita)

   
 
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