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Autore: Dorabella27    25/02/2023    15 recensioni
Come mai Oscar non ha mai voluto farsi ritrarre sino alla tarda primavera, anzi, all’estate del 1789?
A parte il ritratto “d’ordinanza” nel bureau da comandante delle Guardie Reali che intravediamo nell’ep. 29 quando Oscar consegna la sua sciabola a Girodelle per l’avvicendamento al comando del reggimento, e un quadro che la raffigura e che intravediamo fuggevolmente nella camera della protagonista nelle prime puntate, non abbiamo tracce di ritratti ufficiali o solenni di Oscar.
Ecco una possibile spiegazione.
Racconto cross-over, in cui riconoscerete l’ispirazione di un grande classico della letteratura (con la speranza di non averlo troppo strapazzato), debitamente retrodatata e modificata per portare i suoi personaggi in Francia ai tempi di Oscar. Come sapete, mi piace cimentarmi sempre con qualche diversa declinazione del racconto; per cui, dopo il giallo, il racconto gotico (o pseudo-tale), il racconto natalizio a lieto fine, il giallo con protagonisti i nostri beneamati da bambini ... ecco qui un po' di mistero, con "Cortesie per l'ospite" (e che ospite!).
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Generale Jarjayes, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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2- Benvenuto, Lord Douglas Sholto!
2 -  Venne il mercoledì, e, con grande sorpresa, Oscar, al rientro dalla cavalcata mattutina, mentre saliva in camera per rinfrescarsi, seguita, sempre un passo dietro a lei, da André, incrociò il padre lungo lo scalone d’onore.
      “Padre, che piacevole sorpresa! Siete ancora a casa, dunque”. Come sempre, gli occhi di Oscar si illuminavano di una fiamma segreta quando incrociava il Generale, perché, nonostante gli innumerevoli scontri, le reprimende accompagnate da pesanti punizioni corporali per le sue ribellioni e colpi di testa, e l’educazione rigida e spartana impartitale, quella figlia adorava il padre, che rappresentava per lei un modello e cui, André se ne rendeva conto ogni giorno di più, somigliava moltissimo.
“Sì, Oscar. A causa del maltempo le esercitazioni militari sono state rimandate di un giorno, per cui potrò domani incontrare il giovane Lord Sholto: un vero piacere per me. Non mi sarei in fondo dato pace se non avessi almeno potuto dare un veloce saluto al figlio del mio antico amico”.
“Certo, Padre: ne convengo”. Il cenno del capo con cui Oscar annuiva alle parole del Generale, accompagnato da un lieve sorriso che pure l'aveva tutta illuminata, fu per André il momento apicale della giornata.
Il giorno dopo, dalla carrozza che, nel tardo pomeriggio, aveva varcato il vasto cancello di Palazzo Jarjayes, scese un giovane biondo, esile, dall’incarnato di rose e gigli, le guance fresche come quelle di un bambino e la bocca rossa e delicata come una fragola che invogli al morso. Vestiva un completo da viaggio di un sobrio color blu, che si intonava alla tonalità delle sue iridi, ombreggiate da ciglia folte e lunghe. Il ragazzo si diresse con un sorriso timido verso il Generale, che lo attendeva impettito a pochi passi dallo sportello della carrozza, e, inchinatosi con una grazia nativa, spontanea e irresistibile, salutò il suo anfitrione in un francese dove soltanto un lieve accento ricordava agli ascoltatori che chi parlava era nato dall’altra parte della Manica.
“Generale Jarjayes, è un autentico onore essere ospitato dall’antico amico di mio padre”.
“Lord Douglas Sholto, è un vero piacere accogliervi nel mio palazzo!”. Raramente la voce del Generale aveva avuto quel timbro di allegra esultanza. In un sussulto di espansività, non appena il ragazzo si fu rialzato dall’inchino, il Generale Jarjayes gli pose le mani sulle spalle, fissando negli occhi il giovane Lord.  E, subito dopo, ritrasse le mani, come se si fosse pentito di quel gesto espansivo così inconsueto per lui.
“Ma prego, venite, accomodatevi", continuò il Generale, facendo entrare l'ospite nel grande atrio, "Vi faccio strada, non prima di avervi presentato mio figlio, il Colonnello Oscar François, comandante delle Guardie Reali, e il suo attendente, André Grandier. In mia assenza, potrete fare riferimento a mio figlio, che vi farà da guida per il vostro soggiorno parigino e vi introdurrà a Corte”.
Il Generale era impallidito o era stata una impressione di Oscar? Eppure, anche ad André parve che avesse tolto le mani dalle spalle del giovane ospite un po’ troppo frettolosamente, e gli avesse volto le spalle per nascondergli una espressione lievemente rabbuiata. E quella ruga che si vedeva, chiarissima, alla base del naso, tra le sopracciglia, André lo sapeva bene, compariva solo nei momenti di forte preoccupazione.
Nel frattempo, dalla carrozza era sceso anche quello che doveva essere il tutore del giovane aristocratico, Lord Henry Wotton: una figura leggermente appesantita, ma che in gioventù doveva essere snella e insieme muscolosa, sobriamente abbigliata, con un completo da viaggio scuro, e che teneva davanti al naso una boccetta di profumo per difendersi, evidentemente, dai miasmi incontrati in quel lungo viaggio in carrozza. Lord Wotton si guardava attorno, con occhi attenti e insieme impenetrabili, sino a quando il Generale non si rivolse a lui, facendolo oggetto della sua accoglienza, e incaricando i due valletti accorsi in tutta fretta di scortare gli ospiti verso gli appartamenti che erano stati loro destinati.
“Ma, veramente …”, obiettò Lord Douglas Sholto, alzando, come dubbioso, la mano destra, il dito indice levato, quasi a sollecitare l’attenzione dell’anfitrione.
“Sì, Lord Sholto? Dite pure”, rispose il Generale, scioltamente, avendo recuperato la padronanza di sé che solo per una frazione di secondo si era incrinata.
“Generale Jarjayes, Vi chiederei che, insieme al piccolo baule con i miei effetti personali di uso più immediato, venga immediatamente portata nella stanza che mi è stata destinata anche questa”, e indicò, con gesto grazioso dell’indice sinistro, levato verso l’alto, una cassa di legno, lunga e piatta, che era stata fissata con ogni cura, sopra i bagagli più pesanti, sul tetto della carrozza.
“Ma certo, ma certo!”, rispose senza indugio il Generale, facendo un rapido cenno a Nanny, discretamente presente sui gradini dell’ingresso fin all’arrivo della carrozza degli ospiti, perché la governante andasse a richiamare altri due servitori per il trasporto. Quindi, si mosse, seguito dai due valletti che portavano il piccolo baule di Lord Sholto e la borsa da viaggio di Lord Wotton, ma ebbe la sorpresa, dopo pochi passi, di rendersi conto che né il giovane ospite né il suo tutore avevano mosso un passo, e che ancora si trovavano accanto alla carrozza.
Raramente il Generale Jarjayes lasciava trapelare la sua costernazione: ma questo era uno di quei casi.
“Vorrete scusare il mio giovane pupillo”, prese la parola Lord Henry, con fare leggero e mondano, “ma nella cassa vi è un ritratto di sua madre, morta nel darlo alla luce: è forse il solo ricordo che questo giovane dabbene possieda di chi gli ha dato la vita, ed egli, comprensibilmente, non se ne separa mai, né”,  aggiunse con sguardo diventato improvvisamente freddo e penetrante, rivolto ai due servitori che, chiamati da Nanny, stavano accorrendo, quasi ad avvertirli, “Lord Sholto apprezza che il quadro sia esposto alla luce del sole, ma gradisce che esso sia sempre protetto da questa cassa: sapete, venne dipinto niente di meno che da Sir Joshua Reynolds, e assomma in sé un grande valore affettivo, come vi ho detto, ma anche un enorme valore artistico, e i colori sono molto delicati, per cui potrebbero rovinarsi con l’esposizione ai raggi solari”.
“Naturalmente, naturalmente”, convenne il Generale, tornando sui suoi passi.
Poi, quando i due servitori ebbero recuperato la cassa, fece nuovamente strada al piccolo corteo che guadagnava l’ingresso di Palazzo Jarjayes, scusandosi, con i due illustri ospiti, per la sfortunata circostanza che gli imponeva di lasciare la tenuta prima di cena, per raggiungere il suo reggimento con cui sarebbe partito la mattina dopo da Parigi.
Mentre lasciava che gli ospiti salissero lo scalone d’onore, il Generale si rivolse brevemente a Nanny, al capocameriere sopraggiunto nel frattempo e ad André, poi, col suo attendente, che già aspettava accanto all’ingresso, si avviò verso le scuderie per predisporsi alla partenza.
“André, che cosa vi ha detto mio padre, prima di andarsene?”, chiese Oscar, salendo a sua volta le scale con André per prepararsi alla cena.
“Nulla di importante, Oscar. Soltanto, come sempre, tiene molto al buon nome del casato, e ci ha pregato, di fronte agli ospiti, di rivolgerci a te con il tuo titolo di Conte, e rigorosamente al maschile, come sempre fa lui”. Oscar sospirò: un sospiro lieve, che non alterò quasi il ritmo del suo respiro, ma che André, da sempre abituato a cogliere ogni minima variazione nei movimenti e nel tono di voce di lei, non poté non cogliere.
   
 
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