Videogiochi > Tekken
Segui la storia  |       
Autore: Angel TR    27/03/2023    1 recensioni
I've had some trauma, did things I didn't wanna, was too afraid to tell ya, but now I think it's time
Billie Eilish - Getting Older
Long fic che segue la vita di Jin Kazama dai quindici anni fino al Terzo Torneo.
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jin Kazama
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Ashes denote that Fire was'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo III parte VI: Devil's Backbone


Estoy en un sitio que no te llevaría
Aquí nadie está en paz entre estrella' y jeringuilla'

Rosalía - G3N15


Il sangue gli ribolliva nelle vene.
Jin aveva avuto la possibilità di vedere ring di quel genere solo nella piccola TV in cucina, quando trasmettevano le repliche dei match della mamma e lui si tendeva sul divano, in quella postura scorretta che gli faceva guadagnare sempre un richiamo, gli occhi sbarrati e un barattolo di noodles da divorare.
Adorava lo stile preciso e pacato della mamma: non sembrava sforzarsi nemmeno per infliggere i colpi più poderosi, mantenendo sempre una calma ultraterrena, immersa nel momento. I suoi occhi scuri da cerbiatta, fissi sull'avversario, ne prendevano le misure in un baleno ma non si riempivano mai di superbia per la facilità con cui riusciva a trovare i suoi punti deboli. A ogni vittoria si inchinava, scambiava due parole con il suo rivale ed egli le rivolgeva lo sguardo di chi era stato benedetto da una dea della bontà. La mamma appariva intoccabile, inavvicinabile eppure vicina a chiunque avesse bisogno di aiuto.
E allora perché Kazuya Mishima, mamma?, chiese, varcando l'ingresso e preparandosi a percorrere il sentiero che portava al ring. Le luci forti lo accecarono.
La mamma non rispose.
Il pubblico chiamava a gran voce il suo nome pur non avendo la minima idea di chi fosse: Jin faceva parte della nuova generazione, in più era giapponese, e ciò bastava a farli fremere dalla voglia di vederlo in azione.
Quella caciara lo eccitava e lo intimoriva allo stesso tempo. Avrebbe voluto pregarli di zittirsi per favorire la sua concentrazione, salvo darsi dello stupido in seguito perché un vero esperto di arti marziali sarebbe riuscito a trovare la tranquillità dentro di sé senza aver bisogno dell'aiuto di nessuno, specialmente non di un pubblico assatanato. Il suo cervello era bombardato dagli stimoli, e le provò tutte per isolare il trambusto e rifugiarsi in una bolla di quiete dove potersi preparare all'incontro.
Salì sul ring, scavalcando le corde con un movimento fluido della gamba. Non sapeva cos'aspettarsi dal momento che Heihachi non aveva voluto che conoscesse il nome del suo avversario.
«Devi essere pronto a tutto. È già tanto sapere l'ora e il luogo dello scontro. O credi che Ogre si annuncerà prima di azzannarti il collo?» gli aveva detto, inarcando un sopracciglio, sarcastico.
Jin aveva teso i pugni, infastidito da quel costante modo di ridicolizzarlo, infantilizzarlo, ricordargli quanto fosse ingenuo e giovane.
Lo sei e questo scatena l'invidia dell'umano. Lui ha un piede nella fossa e non potrà mai raggiungere il tuo livello, non può nemmeno sperare di arrivarci. Certo, se solo mi lasciassi più spazio, potremmo fare grandi cose…, insinuò il demone nella sua testa.
Taci, impose Jin. Lasciami concentrare.
Percorse l'intero perimetro della struttura, intimando al suo corpo di fare respiri profondi. Sei un esperto. Ti sei allenato per anni. Devi farcela. Devi vincere!, ripeté a se stesso per infondersi coraggio.
L'uomo che si presentò davanti a lui aveva più del triplo della sua età e gli occhi coperti da un paio di lenti scure che gli impedivano di leggere la sua espressione.
Bene, si comincia, pensò Jin, poco prima che l'arbitro desse il via all'incontro.
«Sei il nuovo cagnolino di Mishima, eh?» lo provocò l'uomo, mentre, con un passo furtivo che gli ricordò qualcuno, ridusse la distanza tra di loro. Le sue labbra carnose erano contratte in una smorfia disgustata – era evidente che avesse un conto in sospeso con i Mishima.
Non c'è qualcuno che non ce l'abbia con loro. Cos'hanno fatto di così grave?, si domandò Jin, prendendo le misure del suo rivale.
Le braccia dell'uomo si muovevano fluide, disegnando archi precisi per concentrare l'energia nei palmi delle sue mani e, di nuovo, Jin fu colpito da un dejá-vu. Dove aveva già visto quelle tecniche?
Heihachi gli aveva detto più di una volta che era importante riconoscere il prima possibile lo stile dell'avversario. «Prima lo capisci, prima individuerai i suoi punti deboli e i suoi punti di forza. In ogni caso, qualunque sia la sua tecnica, lo stile Mishima avrà la risposta adatta a distruggerlo» gli aveva spiegato.
Erano trascorsi solo pochi secondi dall'inizio dell'incontro eppure per Jin quei secondi scorrevano a rallentatore, lenti come ore. La gamba del rivale si piegò e, per qualche motivo buffo, la sua immagine si sovrappose con quella di Ling Xiaoyu. Ma certo, quello era kung-fu! Come aveva fatto a non capirlo prima? Una piccola parte della sua mente si chiese perché uno straniero proveniente da terre remote praticasse uno stile come il kung-fu, ma subito scacciò quel pensiero. Non era importante, ciò che invece contava era batterlo nel modo più veloce e indolore possibile.
«Mishima mi ha portato via tutto. Ora, io gli porterò via la sua chance di vincere il Torneo!» promise l'uomo, rivelando una chiostra di denti bianchissimi in quello che gli ricordò il ruggito di un leone messo alle strette.
Jin tese le braccia per parare i suoi colpi e non poté che sbarrare gli occhi quando lo colpì più la consapevolezza che non era l'unico a covare una sete di vendetta bruciante che il pugno in sé. Quei colpi erano dettati da un'ira che minacciava di buttarlo fuori dal Torneo al primo turno, e Jin capitombolò.
Si rialzò velocemente. «Mi chiamo Kazama Jin» si presentò, forse per smorzare quella rabbia mal diretta.
«Per me, sei solo la marionetta di Mishima» rispose sagacemente l'uomo.
«Heihachi mi ha allenato ma io non sono la sua marionetta» replicò Jin, piccato.
Era quello che tutti pensavano di lui? Che fosse il burattino di Heihachi? Inoltre, come aveva fatto l'uomo a scoprirlo così presto? Ne dedusse che l'aveva osservato attentamente, forse addirittura da prima che cominciasse il Torneo. Ma perché? Gli aveva rivelato che Mishima gli aveva portato via tutto… tutto cosa? Jin poteva pensare a una cosa soltanto che istigasse quella furia: la famiglia.
Anche lui aveva perso la sua famiglia, la sua minuscola famiglia, e solo lui era rimasto per poterla vendicare. Non erano poi così diversi lui e il suo avversario, ma c'era una differenza tangibile: Heihachi Mishima era lì presente e l'uomo poteva attaccarlo in qualsiasi momento; Ogre, invece, non sarebbe stato attratto da un ragazzino che perde al suo primo round. Ergo, Jin doveva vincere.
Fu quel pensiero a dargli la forza per bilanciare la furia del suo rivale; purtroppo, ancora una volta, aveva sottovalutato la determinazione del suo avversario. La sua giovane età lo portava a credere di essere l'unico al mondo con una storia sanguinolenta alle spalle e di essere l'unico mosso esclusivamente dal desiderio di vendetta. Quel giorno, afferrò definitivamente il senso delle parole che componevano il titolo del Torneo del "Pugno di Ferro". Nessuno si sarebbe fermato, nessuno si sarebbe risparmiato durante uno scontro, a costo di perdere la vita e quella consapevolezza lo fece tremare. Heihachi Mishima aveva ragione, allora? Avrebbe dovuto distruggere i suoi avversari senza alcuna pietà pur di vincere? Avrebbe dovuto uccidere?
Fino a cosa sei disposto a spingerti, umano?, chiese il demone nella sua testa, in un sussurro quasi sensuale.
Qualcosa dentro di sé scattò. Non sono disposto a barattare i miei valori, i valori che mi ha dato mia mamma, per i Mishima!, ribatté Jin, chissà se a se stesso o al demone. Avrebbe bilanciato la sua rabbia con la giusta dose di compassione e rispetto per il suo avversario o la sua vendetta sarebbe stata sporcata, immeritata, e la mamma non avrebbe apprezzato affatto.
Mise il suo avversario al tappeto con due calci così ben assestati che dagli spalti si levò un coro meravigliato. L'uomo cercò di rialzarsi ma crollò in ginocchio. Un rivolo di sangue scorreva lungo il suo mento.
«Resti giù, ha perso!» intimò Jin. Non era un ordine dettato dall'arroganza bensì dal timore che il suo avversario si ferisse seriamente.
Quello scontro lo stava drenando delle sue energie mentali, più che fisiche. Non aveva più la forza di pensare alle implicazioni di eliminare un uomo che, come lui, cercava di vendicare la sua famiglia uccisa proprio dai Mishima. In fondo, non era egli stesso uno di loro, un Mishima? "Sangue sporco, maledetto", così l'aveva definito Nina Williams.
Forse fu il ricorso a un tono formale e preoccupato che fece inarcare il sopracciglio dell'uomo e, per un attimo, Jin tirò un sospiro di sollievo. È finita, finalmente, pensò, socchiudendo le palpebre. E, invece, il suo rivale si sollevò e, nonostante fosse stremato, si scagliò contro di lui, spinto solo dalla rabbia cieca eppure ancora padrone dell'eleganza del kung-fu.
«Non mi fermerò mai!» sbraitò, puntando al suo collo.
Jin riuscì ancora a bloccarlo e a rimetterlo rapidamente al tappeto. Inspirò profondamente. Il suo rivale non si sarebbe mai arreso. Come poteva fermarlo senza troppi danni?
«Basta! Hai perso!» ripeté, sperando di farlo rinsavire, ma, con un urlo disperato, l'uomo si avventò nuovamente su di lui.
La coscia di Jin si mosse automaticamente.
Fu rapido.
Un momento prima, l'uomo era sul punto di avventarsi contro di lui; quello dopo, era a terra che rantolava e con la mano si teneva la gamba, chiaramente impossibilitato a rialzarsi in piedi.
Lo scontro era finalmente terminato. L'arbitro si avvicinò e afferrò il polso di Jin, sollevando il suo braccio per decretarlo vincitore dell'incontro. Lui gli diede giusto il tempo di annunciare la vittoria, prima di divincolarsi dalla sua presa e voltare le spalle al pubblico.
Aveva fallito.
Non aveva saputo gestire quello scontro, non aveva saputo gestire la sua forza, la violenza, la sua rabbia, niente. Aveva promesso alla mamma di sapere sempre quando difendersi e quando attaccare, ma quanto valeva quella promessa se il martellante mantra di Heihachi cominciava a penetrare nel cervello, incessante, bucando il ricordo del suo "Lo prometto"? L'aveva veramente detto o era frutto della sua mente? E la mamma l'aveva veramente ammonito riguardo alla lotta interiore con la rabbia?
Jin si passò più volte una mano tra i capelli fino ad arruffarli. I ricordi si confondevano tra di loro e il volto della mamma sfumava fino ad assumere le sembianze di quello di Heihachi.
«Non solo devi vincere, devi vincere come un Mishima» gli ripeteva. «Devi distruggere il tuo avversario».
E lui aveva obbedito. Aveva distrutto la gamba del suo avversario affinché non potesse rialzarsi.
Caracollò come uno zombie verso il bar riservato ai partecipanti al Torneo – perché Heihachi faceva le cose in grande. Si sedette sullo sgambello e appoggiò i gomiti sul bancone, la schiena incurvata a causa del peso dei sensi di colpa. Era l'unico cliente e fu servito immediatamente; alla sua richiesta, la barista, una straniera dalla folta chioma castana, inarcò un sopracciglio ma non disse nulla.
«Corriamo subito a bere, Kazama?» lo chiamò una voce che rimbombò nella sala vuota.
Jin si voltò appena per scoccare un'occhiataccia al nuovo arrivato. Da un lato, avrebbe voluto essere lasciato da solo per sbrogliare la matassa dei suoi pensieri in pace; dall'altro, era segretamente lieto della compagnia di Hwoarang, che avrebbe potuto distorglierlo da quel compito laborioso.
A quello sguardo rabbioso, Hwoarang alzò scherzosamente le mani in alto. «Ehi, calma, tigre» ridacchiò, avvicinandosi. «Cos'è quella schifezza che ti stai prendendo?» chiese, chinandosi su di lui per osservare la tazzina che reggeva tra le mani. Le ciocche rosse gli sfiorarono la guancia.
«Mitake¹. È uno shochu tipico di Yakushima» spiegò monocorde Jin.
Hwoarang piantò i suoi divertiti occhi nocciola in quelli cangianti di Jin. «E secondo te, io so cosa cazzo sono "shochu" e "Yakushima"?» ribatté, scoppiando in una risata. Poi, vedendo la sua espressione temporalesca, decise di prendere la situazione di petto e gli strappò la tazzina dalle mani. «Dammi qua!» sbottò – anche se se l'era già preso – e ingollò il liquido in un sol sorso.
«Però, non male! Niente a che vedere con il soju, comunque, eh» commentò, dopo aver assaporato il liquore.
Si appoggiò teatralmente al bancone, proprio affianco a lui, con una mano sul fianco. La giacchetta della divisa si aprì, rivelando gli addominali scolpiti. Quella posa sembrava avvisare Jin che da là non sarebbe scappato.
«Allora, Kazama, perché il muso lungo? Pare che hai perso» ruppe il ghiaccio Hwoarang, inarcando un sopracciglio e, per tutta risposta, ricevette l'ennesima occhiataccia della serata. «Che c'è? Ti fai venire i sensi di colpa adesso?» rincarò la dose, non contento.
Jin si girò verso di lui, come una furia, e qualcosa nei suoi occhi spazzò via la spavalderia dalla faccia di Hwoarang. «Non si sarebbe fermato!» sbraitò; la sua voce rimbombò tra le pareti del bar e Jin sbarrò gli occhi. Voltò il viso dall'altra parte per nascondersi da Hwoarang, ma incontrò gli occhi compassionevoli della barista; allora, per sfuggire al mondo, abbassò le palpebre e trasse un profondo respiro.
Hwoarang tacque per un istante, spiazzato da quell'intensità che Jin covava in sé, simile a una quantità ingente di acqua che ribolliva in una pentola troppo piccola per contenerla, e che prima o poi sarebbe schizzata fuori con la potenza di un geyser. Ecco, in quel momento Hwoarang aveva avuto un piccolo assaggio di quell'intensità. Si riprese subito, però, e lo scintillio birichino nel suo sguardo si riaccese in un un guizzo. Abbozzò un sorriso mesto.
«Beh, avresti potuto concluderla diversamente. Hai letteralmente distrutto la gamba del tipo!» gli fece notare, chiamando l'attenzione della barista per farsi servire un drink.
Jin ricambiò il sorriso mesto. «Falli male o loro faranno male te» rispose, in un filo di voce.
Una risata beffarda scappò dalle labbra di Hwoarang. «Oh, allora sei proprio un Mishima» sogghignò, annuendo.
A quelle parole, una sensazione di malessere si impadronì di Jin. Era bastata quella semplice frase per ribaltare tutte le sue certezze – poche e traballanti – e farlo ripiombare nel dubbio, scatenando l'ennesima crisi di identità. Guardò di sottecchi Hwoarang, così tangibile, sicuro di sé e lo invidiò.
«Non volevo ma…» iniziò, quasi sputando le parole tra i denti, ma si interruppe.
«Ma?» incalzò Hwoarang, inarcando un sopracciglio.
Jin ricambiò il suo sguardo. «Per qualche motivo, era personale per lui» spiegò.
Hwoarang non ne parve assolutamente impressionato. La sua boria scemò, come cancellata da un colpo di spugna.
«È personale per tutti, Kazama» mormorò. Di nuovo, quello sguardo velato da una malinconia che minacciava di far marcire qualsiasi cosa attorno a sé, uno sguardo che non si sarebbe mai associato a uno come Hwoarang.
E, di nuovo, proprio mentre Jin era sul punto di approfondire la questione, lo speaker annunciò il prossimo incontro e i due ragazzi si scambiarono un'occhiata: era il turno di Ling Xiaoyu.
«Beh, questa cheerleader va ad assistere» esordì Hwoarang, battendo una mano sul bancone.
«Già. Vengo anche io» si accodò Jin, e la questione terminò lì.
Si separarono una volta saliti gli scalini che portavano agli spalti: Hwoarang si unì al gruppetto formato da Paul Phoenix, Lei Wulong, Julia Chang e Marshall Law, mentre Jin si diresse da Heihachi, pronto a esprimere tutto il suo dissenso riguardo alla partecipazione di Xiaoyu al Torneo.
Heihachi non lo degnò di uno sguardo pur percependo la sua presenza.
«Non avresti dovuto lasciare che partecipasse. È solo una bambina» protestò il ragazzo, tenendo d'occhio i movimenti fluidi di Xiaoyu mentre lei scartava il suo avversario, volteggiando qua e là, senza mai fermarsi, simile a un instancabile colibrì.
Un ghigno si fece strada sulle labbra di Heihachi e Jin capì di essersi tirato la zappa sui piedi da solo. «Ne deduco che tu, invece, sei un uomo adulto, Jin» lo schernì, fissandolo dritto negli occhi senza nascondere il guizzo derisorio che li accendeva.
C'erano solo tre anni di differenza tra lui e Xiaoyu; se riteneva che il Torneo fosse troppo pericoloso per lei perché era solo una ragazzina, beh… il discorso valeva anche per lui. E per Hwoarang. E per Julia Chang. Jin strinse i pugni, ancora una volta messo a cuccia dalla zampata della tigre.
Ma Heihachi non aveva ancora finito con lui. «La differenza tra voi due è che Xiaoyu passa più tempo a elaborare la propria strategia che a piangersi addosso» disse, mentre osservava le piroette della sua ultima allieva. «Un combattente esperto avrebbe già capito che l'obiettivo di Xiaoyu è far stancare la sua rivale. Vedi, la strategia compensa la sua piccola statura e la poca potenza» spiegò.
Gli rivolse un altro sguardo derisorio mentre lo squadrava da testa a piede. «Mi chiedo quale sia il suo piano per batterti» fece, pensieroso, vibrando la sua stoccata finale.
Jin non poté far altro che subire in silenzio, a denti stretti, l'ennesima cocente umiliazione.
Non dovrebbe essere così, sai? Non capisco perché ti fai trattare in questo modo dall'umano, commentò il demone, sfruttando il suo nervosismo per intrufolarsi tra le pieghe del suo cervello.
Ogni volta che Jin allentava la presa sulle proprie emozioni, lasciando che affiorassero sulla pelle, il demone ne approfittava per sbucare dai meandri reconditi della mente e dargli pessimi suggerimenti, la sua voce un rollio sensuale che ricordava pericolosamente quella di Jin. Era un gioco pericoloso, quello. Quanto sarebbe durato?
Solo fino alla fine del Torneo, si ripeté Jin, nel patetico tentativo di convincersi.
Alla fine, Ling Xiaoyu emerse vittoriosa da quell'incontro e Jin si unì a Hwoarang per farle le congratulazioni, tagliando corto la conversazione con il demone e fingendo di non avvertirne il respiro sul collo.


Du bist den Neid und den Hass gewohnt
(You're used to envy and hatred)
Aber du hast Herz, wann wird das belohnt?
(but you have a heart, when will that be rewarded?)
Bushido - Alles wird gut


-------
¹Liquore dolce. Da come ho capito, típico di Yakushima. Chi sa, mi corregga!


N/D: il modo in cui, da brava delulu, in una rivisitazione di Michelangelo, inserisco il mio cameo nelle storie è da far analizzare a uno psichiatra. Lol mi sono presa una o due libertà perché non sapevo se volevo introdurre un personaggio che è in realtà di T7 ma alla fine ho deciso di seguire bendata la strada dell'anime, giusto qualche accorgimento qua e là. Mi manca l'ultima parte, lo scontro con Ogre, e lì credo che mi avvicinerò un po' di più alla versione originale perché il fatto che tutti assistano alla scena di Heihachi che spara al nipote non è per niente sensata lol
Il povero Jin ha le crisi di identità. Sarà sempre peggio!
E I TANTO STA ARRIVANDO L'WVO JAPAN É IO URLO

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Tekken / Vai alla pagina dell'autore: Angel TR