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Autore: Chevalier1    05/04/2023    2 recensioni
Il Generale man mano che si avvicinava notò che nella destra aveva qualcosa di bianco. Vide che lo sconosciuto, (ma lo era?) lo attendeva da solo, ben attento a tenere le mani sempre in vista. Quando il generale fu nelle vicinanze, l’uomo abbassò la destra giusto il necessario per tendergli, oltre le inferriate del cancello, una bustina che le dita avvertirono leggermente rigonfia.
Questa storia è il seguito di Natale 1789: un Natale troppo cupo per cui mi sentivo in debito con i personaggi e con i lettori. Provo a rimediare con due puntate pasquali, anche nello spirito.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, Altri, André Grandier, Generale Jarjayes, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3 Aprile 1790, Sabato santo

Il Generale Jarjayes, che ormai abitava da solo, in poche stanze (*) divise tra il suo studio e i suoi appartamenti, nel palazzo spoglio, come scarnificato dall’interno, si era da poco alzato dal suo frugale desco, servito come di consueto dalla piccola Josephine, l’unica rimasta con la madre, e con lo stalliere in servizio a ore, ad attendere alle faccende della casa: era una ragazzina, intelligente e piena di buona volontà, figlia di Jean Baptiste, un servitore da lungo tempo al servizio di palazzo Jarjayes che nella furia antinobiliare seguita al 14 luglio aveva perso la vita nel corso di un agguato teso al Generale.

Non potendo rimediare all’irreparabile il Generale Jarjayes aveva affidato il servizio della casa alla moglie e alla figlia di quell’uomo onesto e sfortunato, in modo da assicurare loro non soltanto un sostentamento ma un luogo in cui vivere e un’educazione per la giovinetta che, quando non serviva a tavola e non stirava panni, per ordine del Generale aveva libero accesso alla biblioteca di palazzo con la sola consegna a non servirsi che degli scaffali più bassi. A differenza della sala d’armi, la biblioteca non era stata svuotata per precauzione, perché poco esposta al saccheggio: troppo pochi erano in grado di valutare il pregio dei libri che vi erano contenuti e che, pertanto, erano assai meno appetiti e appetibili delle armi.

In quel luogo, al riparo dal mondo, il Generale trovava i pochi attimi di serenità che la vita ancora gli riservava, ma gli pesava non avere nessuno con cui condividere tanto sapere, anche per questo, non solo per risarcire un’orfana di padre a causa sua anche se non per sua colpa, occupava le ore lasciate libere dal comando a farle da precettore, sforzandosi di mitigare, non sempre con successo, la severità militare che ora rimpiangeva di aver usato troppo spesso con sua figlia Oscar mentre cresceva.

Josephine imparava con profitto e aveva sete di sapere, né sembrava spaventarsi troppo per le volte in cui al suo insegnante abituato a ben altri contesti scappava la pazienza: in questo, lei bruna con penetranti occhi scuri, gli ricordava il suo scricciolo biondo che non abbassava mai lo sguardo.

Quel pomeriggio - era il sabato di Pasqua- Josephine e sua madre erano andate insieme al mercato, accompagnate in calesse dallo stalliere che aveva finito l’orario di lavoro, non sarebbero rientrate che al tramonto.

Il Generale, affacciato alla finestra del suo studio, cercava di fugare nelle volute del fumo della pipa il peso dei ricordi e la malinconia supplementare dovuta alla festa imminente, cui non restava che il conto delle assenze.

Vide un giovane accostarsi al cancello, un uomo alto e robusto con un volto che pareva scolpito con la scure, un volto che da lontano gli parve d’aver già incontrato da qualche parte. Prudenza avrebbe suggerito di non mostrarsi in casa, di ignorarne la presenza. Non erano tempi facili e i nobili fedeli alla Corona non godevano in quel momento di buona reputazione, la notte di saccheggio costata la vita a Jean-Baptiste, mentre il Generale si trovava in missione, era un ricordo drammatico e recente.

Accostandosi da dietro la tenda alla finestra a lato del portone del palazzo per valutare, non visto, se dare fiducia a quel visitatore inatteso o ignorarne la presenza, il Generale vide che l’uomo restava con le mani ostentatamente in alto e stava dicendo qualcosa. Si risolse ad aprire il portone e ad andargli incontro verso la cancellata, non prima di aver nascosto un’arma tenuta a portata di mano per precauzione.

«Generale, vengo in pace. Procederò con le mani alzate, in modo che possiate sentirvi al sicuro, sono consapevole che in questi tempi bui sia necessario stare accorti», gli gridò per farsi sentire a distanza.

Il Generale man mano che si avvicinava notò che nella destra aveva qualcosa di bianco. Vide che lo sconosciuto, (ma lo era?) lo attendeva da solo, ben attento a tenere le mani sempre in vista. Quando il generale fu nelle vicinanze, l’uomo abbassò la destra giusto il necessario per tendergli, oltre le inferriate del cancello, una bustina che le dita avvertirono leggermente rigonfia.

«Mi chiamo Alain sono un ex soldato della guardia, molti mesi fa vi ho fatto recapitare l’ultima lettera (1) di vostra figlia Oscar François, il contenuto di questa bustina vi dimostrerà che non mento».

Il Generale aprì il piccolo involto senza riuscire a nascondere il tremito delle mani, non che gli importasse più di tanto di celarlo: si trovò tra le dita una sottile catenella d’oro e una minuscola medaglietta, sul recto c’era sbalzata un’immagine sacra, sul verso incisi lo stemma del casato, le iniziali di sua figlia e la data del suo battesimo, 15 gennaio 1756. Istintivamente si infilò le dita nel colletto della camicia tastando una medaglietta identica. Era stato lui a metterla al collo di Oscar con una catenella nuova, appena più robusta di quella che aveva portato da bambina, il giorno in cui lei aveva indossato la divisa per la prima volta e a insegnarle a non separarsene per nessuna ragione: «In battaglia non si può mai sapere».

Il Generale aprì il cancello e fece un cenno al soldato in borghese, per invitarlo a entrare senza curarsi di nascondergli le ciglia inumidite.

L’altro, sempre attento a tenere le mani in vista, gli diede il tempo di ricomporsi prima di dire qualunque cosa, ne aveva bisogno anche lui, non poteva dirgli che aveva amato sua figlia a senso unico nel segreto del suo cuore e che entrare in quella casa in quel momento per lui aveva il valore di un pellegrinaggio.

Quando fu certo di poter tenere la voce salda – erano ormai dentro casa – riprese a parlare: «Generale, non dovete temere nulla da noi. Nessuno di noi vi farà mai del male, la storia di vostra figlia è difficile da nascondere e tutti sanno che siete il padre di un’eroina della Rivoluzione, fosse anche vostro malgrado, da questa parte della barricata tutti sanno che le cose che sapeva le aveva imparate grazie a voi, è dai vostri che vi dovete guardare casomai».

«Dunque eravate con lei, siete uno dei 50 disertori. Come mai non portate l’uniforme, non siete entrato nella Guardia Nazionale?»

«Sì, ci ero entrato sulle prime come gli altri sopravvissuti e il Colonnello D’Agoult, ma poi mi sono congedato, non avevo più la forza di combattere, ora coltivo un campo. Vedete, Generale, non avrei mai sparato sulla folla in cui c’erano i miei amici, le loro mogli, i loro bambini, ma non mi piace la violenza che sta dilagando da ogni parte. Non era questa la Francia che sognavano André e Oscar, ve lo posso garantire. Nessuno di noi era un fanatico e men che meno lo erano loro due. Ho trascorso con lei la sua ultima notte, vegliando il corpo di André. Quella notte dal fondo della disperazione mi ha parlato anche di voi: “Mio padre, uomo severo e rigoroso con sé stesso prima che con gli altri, mi ha insegnato che i gradi e i titoli significano responsabilità, non ha mai difeso il privilegio dei nobili come fine a sé stesso, non ha mai abusato del proprio titolo e mi ha insegnato a non farlo. Non l’ho mai visto punire la servitù in modo arbitrario, non che non volassero gli schiaffi ma erano un’esclusiva riservata solo a me. A prendere André a mestolate, nel caso, lasciava che fosse sua nonna, la governante di casa della quale mio padre ha molto rispetto. La mia vita non è stata facile, ma non avrei voluto che fosse diversa, se mai ti toccasse consegnare a mio padre la lettera che ti ho dato faglielo sapere anche tu”. Le pesava non avervi salutato, non era voi che voleva tradire, per questo mi ha consegnato quell’ultima missiva (1)».

Alain alzò lo sguardo sull’uomo che aveva di fronte e che nel frattempo gli aveva fatto strada nel suo studio, vide che aveva gli occhi lucidi e che non osava replicare per non tradire il tremito nella voce. Alain, dal canto suo, era intimidito da quel luogo, provava a immaginare la vita dei suoi amici bambini, in quel grande palazzo austero che all’epoca, nell’unica volta in cui vi si era affacciato, ricordava con arredi sontuosi.

«Ora ricordo dove vi ho visto – nella mente del Generale la figura di qull’uomo si sovrappose alla figura di un soldato di cui all’epoca aveva notato soprattutto un certo modo trasandato di portare l’uniforme -. Siete già stato qui una volta, siete venuto ad annunciare l’ordine di sedare la rivolta a Parigi, l’ultima sera. Sapevate già?».

«No, signore. I miei compagni e io abbiamo avuto un colloquio tra noi soltanto quella notte e deciso di unirci ai rappresentanti del popolo perché ne facevamo parte, Oscar e André non erano con noi, l’avremmo comunicato al comandante quando fosse arrivata in caserma, accettandone le conseguenze. Solo all’alba quando lei e André sono arrivati dopo essere scampati a un blocco di non so quale reggimento e dopo aver trascorso la notte insieme vostra figlia ci ha comunicato la sua decisione di lasciare l’uniforme, unirsi ad André e al popolo rinunciando a titolo e grado, da quel momento non si è mai più presentata con il nome del vostro casato, sono convinto che lo abbia fatto non per rinnegarlo, ma per proteggerlo e per proteggere Voi oltreché sé stessa».

«Posso chiedervi una cosa indiscreta?».

«Dipende, Generale, vi risponderò se potrò».

«Pensate che Oscar e André abbiano fatto in tempo ad amarsi in quelle ore burrascose?».

Alain si stupì per la domanda ma capì dal tono che la risposta non avrebbe rinfocolato la rabbia e fu sincero: «Sì, signore, ne sono sicuro: perché quell’ultima mattina il Comandante quando espresse l’intenzione di lasciare l’uniforme e unirsi al popolo lasciandoci liberi di decidere ciascuno per sé si presentò come la compagna di André Grandier ed ero presente quando con André già ferito si sono promessi di sposarsi davanti a Dio se la vita avesse dato loro il tempo. Non so se ho fatto bene a dirvelo - rise Alain - Oscar mi ammazzerebbe se sapesse, riservata com’era».

Il Generale si diede il tempo di riprendersi da un momento di commozione e sorrise tra le lacrime: «Sì credo anch’io che vi farebbe fare una brutta fine, ma penso che, dal momento che ha reso ufficiale la sua relazione al punto da fare una scelta così radicale, fosse abbastanza intelligente da immaginare che la notizia prima o poi sarebbe giunta anche a me: ma se questo può sollevarvi dal peso di aver tradito un segreto, sappiate che da allora vivevo nella speranza che fosse andata come mi dite. Mi porto molti rimorsi, Alain, tra questi l’aver contrastato quella relazione tra due persone che si amavano e amavo. Ma, ditemi, perché avete atteso tanto a farmi avere questo segnale?»

«Perché adesso abito lontano e poi non volevo venire da voi portandovi solo notizie di morti. Permettetemi di mettere mano alla bisaccia per estrarre un’altra cosa che devo darvi».

Il Generale lo guardò con aria interrogativa e fece un cenno d’assenso. Il suo sesto senso di stratega gli disse che poteva essere un’imprudenza lasciargli nascondere le mani, ma si disse che se gli fosse accaduto qualcosa non avrebbe perso granché. Invece si vide recapitare un’altra busta di formato più grande.

«Queste sono notizie di vivi, Generale».

Il volto del Generale si rischiarò, impaziente.

«Vi lascio leggere, generale…» e fece per alzarsi.

«No, aspettate, permettetemi di offrirvi qualcosa da bere, e se ne avete concedetemi ancora un poco del vostro tempo per condividere con me alcuni dei vostri ricordi. Vedete, sapere non dà pace al dolore, ma macerarsi nell’incertezza impedisce anche di cercargli un senso».

L’altro annuì: «Con piacere, Generale, per quanto possa far piacere condividere memorie dolorose. Fa bene anche a me, anch’io mi porto dentro domande e rimpianti e più di voi oggi sono un uomo solo».

«Credete che abbia sofferto?». In un soffio il generale diede voce alla domanda che con urgenza gli premeva dentro dal giorno in cui aveva ricevuto il biglietto di Alain e l’ultima lettera, postuma, di Oscar, che gli aveva confermato quello che aveva sempre saputo ma che nessuno aveva osato dirgli ufficialmente e cioè che era davvero Oscar l’ufficiale disertore che, corrispondente alla descrizione di sua figlia, aveva guidato l’assalto alla Bastiglia. Lo chiese senza premurarsi di esplicitare il soggetto della domanda certo di essere compreso.

«Credo di no, Generale, non in quel momento: sono arrivati talmente tanti colpi che penso che non abbia fatto in tempo ad avvertire quanto accadeva. Ma niente avrebbe potuto farla soffrire più di quanto non avesse già fatto la morte di André avvenuta davanti a lei il giorno prima».

«Credete che si sia esposta intenzionalmente?»

«Non sono in grado di dirlo, signore, ma credo che non abbia più importanza».

Alain de Soisson vide le mani del generale tremare stringendo la catenina e senza alzare lo sguardo si alzò fingendo di guardare una carta geografica appesa alla parete per alleggerire dal peso del suo sguardo la pena del suo interlocutore.

«Grazie, soldato, non è facile – capirete - fare i conti con tutto questo anche a distanza di tempo, ma mi consola il fatto che non abbia fatto in tempo a sentire la vita mancare. So che non me ne voleva per la vita che le ho imposto, è stata lei a dirmelo, era una donna fortissima, ma uno dei sensi di colpa che mi porto è averla consegnata a un’esistenza che l’ha esposta a un rischio fisico con cui una ragazza non avrebbe dovuto confrontarsi e alla sofferenza fisica che questo comporta e, per allenarla a questo e al resto, di averla forgiata con un’educazione di una durezza eccessiva».

«Generale, non fatevi questo cruccio, era un ufficiale con tutti i crismi- capace, corretta, coraggiosa – e ne era perfettamente consapevole, penso anche fiera di esserlo. Credo di poterlo dire perché all’inizio sono stato uno di quelli che non le ha fatto sconti e ha contribuito a renderle la vita dura».

Un’ombra scura di preoccupazione attraversò lo sguardo del generale.

«Dura quanto? Se siete un uomo rispondetemi con sincerità, è importante per me saperlo. Vi do la mia parola che non me ne vendicherò».

«Abbiamo messo alla prova in tutti i modi, senza riguardo alcuno, l'ufficiale, Generale, mettendone in discussione l'autorità anche in quanto donna per saggiarne l'autorevolezza, le capacità, la tempra, la prestanza fisica. Ma, se è questo che mi state chiedendo, non abbiamo mai mancato di rispetto alla donna, mai. Ve lo giuro sul mio onore». Disse solenne, poi si lasciò attraversare da un sorriso ironico che il Generale accolse con uno sguardo capace di incenerire.

«Non fraintendetemi, Generale, non volevo scherzare su una cosa così seria, perdonatemi se il mio sorriso vi ha offeso, mi è venuto da ridere pensando che se mai uno avesse osato mancare di rispetto a vostra figlia anche solo col pensiero, con Grandier nelle camerate, non sarebbe arrivato al giorno dopo. Gran bravo ragazzo, molto pacifico, ma guai a toccargliela».

Un sorriso, di sollievo, ma amaro, contagiò il Generale: «Avete ragione, Alain, ne so qualcosa anche io. Ma abbiate la bontà di non chiedermi oltre. Non sono momenti», riprese incupendosi, «che ho voglia di ricordare».

Alain si domandò divertito se quell'acqua cheta del suo amico André avesse osato sfidare apertamente il Generale, ma convenne tra sé che non fosse il caso di domandarlo.

«Sbagliandomi sul suo conto», continuò Alain, «per un mio pregiudizio, l’ho anche sfidata in malo modo a duello con la spada, con una malacreanza di cui mi sono scusato in seguito e di cui ancora mi vergogno. Pensavo che ne avrei avuto ragione facilmente, contando sulla mia superiorità fisica e sul fatto che ero il miglior spadaccino del reggimento, ma era più abile di me. Ha accettato la sfida con un coraggio che ancora le ammiro e mi ha battuto davanti a tutti sul campo. – Dentro di sé il Generale che, immaginandola in duello con quel marcantonio aveva avuto un brivido retroattivo, ebbe un attimo di compiacimento - Avrebbe potuto spedirci tutti davanti alla Corte marziale per insubordinazione e invece ha avuto l’intelligenza e l’abilità strategica di conquistarsi la nostra stima. Posso dirvi con assoluta certezza che non ha mai perso, neppure nei momenti più ingrati, il controllo della situazione né sul campo, né fuori. Eravamo abituati a comandanti autoritari quanto incapaci ed eravamo pieni di pregiudizi, ce li ha smontati uno a uno senza sbagliare un colpo. Io ho visto l’ufficiale, solo su questo posso testimoniare, e vi garantisco che non ho mai avuto così tanto da imparare da un mio superiore. Ma se il cuore del mio amico Grandier, che l’ha conosciuta certo meglio, ha qualche voce in capitolo, direi che avete cresciuto una grande donna non solo un soldato – passatemi l’espressione – con gli attributi».

Il gergo non proprio forbito strappò al Generale, che aveva pratica di caserme, un sorriso di finto rimprovero: in realtà quel giovane, con la faccia da schiaffi e lo sguardo malinconico, gli suscitava per la sua franchezza un’istintiva simpatia, al punto da fargli superare e infine passare in secondo piano la cattiva impressione che sempre gli faceva la trascuratezza nel vestire: dopo una vita di forma e di etichetta e mesi di solitudine, anche il Generale sentiva il bisogno di spazi di autenticità.

«Grazie, Alain, non vi chiedo il vostro cognome perché ignorarlo tutela entrambi nei rischi imprevedibili di questo tempo confuso, aspettatemi un istante…».

Tornò con una bottiglia pregiata che recava in etichetta l’annata: 1755.

Il soldato fece un’espressione che lasciava intendere che aveva letto e compreso.

«So che sapete leggere, Alain, dal giorno di quel biglietto del quale vi ringrazio... (1)».

«Sì, signore, quand’ero bambino abitavamo in campagna e mio padre, anche se eravamo poveri, ha voluto che frequentassimo le scuole rurali rese obbligatorie nel 1698 da Luigi XIV, capisco che vi stupiate: era ed è un obbligo alquanto disatteso per chi deve procurarsi il pane. Era difficile anche per noi, ma mio padre ci teneva. Ho lasciato quando è morto, avevo 12 anni».

«Permettetemi di donarvi questa in cambio di quello che mi avete portato, ne ho messe da parte alcune la notte in cui la mia ultima figlia è nata...». Con un tagliacarte tolto dalla scrivania prese a raschiare via dall’etichetta lo stemma di famiglia.

«No, Generale, che fate?»

«È più prudente che non vi trovino addosso questo stemma, questo graffio vi ricorderà questo giorno e questa casa».

Un po’ frastornato dalla recrudescenza di sentimenti nascosti che il generale non poteva conoscere, Alain accettò il dono e si congedò, lasciando il Generale comprensibilmente ansioso alla sua lettera.

Mani febbrili impugnarono il tagliacarte e lacerarono la busta chiusa da un sigillo sconosciuto.

(continua)
(*)Questa storia presuppone Natale 1789. In una piccola chiesa https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=4042927&i=1

(1)La lettera corrisponde a un’altra storia di questo fandom: Chevalier1, Le parole che non Vi ho detto.https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=4041144&i=1

(1)La lettera corrisponde a un’altra storia di questo fandom: Chevalier1, Le parole che non Vi ho detto.

   
 
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