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Autore: Chevalier1    04/12/2022    6 recensioni
Perdonatemi padre mio,
e se non potete perdonarmi - posso capirlo - almeno Vi supplico di trovare la pazienza di leggermi fino in fondo. È importante ed è la prima e l’ultima cosa che Vi chiedo, non negatemela. Non volevo lasciarVi con quelle sole due righe d’addio, senza provare almeno una volta ad aprirVi il cuore della figlia che è stata Vostra più delle altre, anche se ormai la sentite rinnegata: mi sarebbe sembrata una viltà.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Generale Jarjayes, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Parigi 13 luglio 1789

Perdonatemi padre mio,

e se non potete perdonarmi - posso capirlo - almeno Vi supplico di trovare la pazienza di leggermi fino in fondo. È importante ed è la prima e l’ultima cosa che Vi chiedo, non negatemela. Non volevo lasciarVi con quelle sole due righe d’addio, senza provare almeno una volta ad aprirVi il cuore della figlia che è stata Vostra più delle altre, anche se ormai la sentite rinnegata: mi sarebbe sembrata una viltà. Per questo Vi scrivo all’alba di questo giorno, senza sapere che cosa mi riserverà il destino, ma conoscendo tutti i rischi.

Stavolta ho scelto io, padre. Ho scelto tutto, me ne assumo la responsabilità. Non pretendo che mi capiate, ma almeno ascoltate il mio punto di vista perché non è stata una scelta impulsiva.

Vi devo delle scuse, padre, per come Vi ho messo in imbarazzo davanti al generale Bouillé presentandomi in uniforme, nemmeno di gala, al ballo in mio onore: avrei evitato volentieri un gesto così plateale, ma era l’unico modo che avevo per far comprendere senza possibilità di equivoci a Voi, ma soprattutto al generale Bouillé, al conte Girodelle e a tutta la corte che quella partita era per me irrimediabilmente e definitivamente chiusa.

Vedete, io sono sicura che Voi abbiate detto di sì alla proposta di matrimonio di Girodelle solo perché, avendo visto che i tempi si mettevano male, Vi siete preoccupato per me e avete provato maldestramente a “salvarmi” da quello che prima Voi e poi io e Voi insieme abbiamo fatto di me, cioè da quello che sono: una donna e un soldato fusi nella stessa persona, senza che queste due anime si possano più scindere. Ne sono sicura, perché non posso credere che abbiate davvero pensato che si potesse dividere l’indivisibile e cancellare una vita intera, tornando semplicemente al via, senza offendere la Vostra intelligenza e, se permettete, anche la mia. Il Vostro silenzio, dopo, mi ha confermato che non mi sbaglio e che lo sapete anche voi. Di quel rispettoso silenzio io ora Vi ringrazio, quello che sto per scriverVi sarebbe stato più difficile da dire a voce per me e forse anche da ascoltare per Voi.

La sera in cui la governante mi ha detto che sareste stato d’accordo di concedere la mia mano a Girodelle mi sono fatta una risata: per vent’anni sono stata il suo superiore gerarchico, mi ha conosciuta soltanto in servizio, in un contesto in cui da me non ha ricevuto altro che ordini. Siete un militare sapete meglio di me che cosa vuol dire, che genere di relazioni siano. Ammettiamo per un attimo che davvero si sia innamorato di me in quelle condizioni, perdonatemi la franchezza ma ci vedrei qualcosa di un tantino perverso. In realtà, se ripenso ai miei rapporti con Girodelle, alle situazioni vissute, sono più incline a vederci la rivalsa nei confronti della ragazzina che vent’anni fa gli ha soffiato il ruolo sconfiggendolo a duello in una radura, mentre si atteggiava a superiore dicendo di non volersi misurare con me perché: «Non c’è molto onore nel battere una donna». Più che innamorato di me, temo si sia, magari inconsciamente, in buona fede, invaghito dell’idea di mettere una donna che non è stata al suo posto finalmente sotto, in tutti i sensi. Non fraintendetemi, padre, non intendo essere volgare: sono un soldato, è vero, ma non mi sono mai concessa battute da caserma, le ho sempre e soltanto sentite e, come immaginerete, subite imparando presto a fingere di non aver udito o a prendere per il bavero chi si fosse permesso, secondo le circostanze.

Intendevo dire che sappiamo tutti molto bene quale sia il posto di una donna nobile nel matrimonio: nella migliore delle ipotesi la promessa davanti a Dio e agli uomini, foglia di fico a coprire l’ipocrisia di un’infinità di amori clandestini, segna il passaggio di una dote e di un corredo al seguito di una bella bambola da agghindare ed esibire in salotti in cui si parla soltanto di frivolezze. Mi ci vedreste, padre? Ditemi che state ridendo, padre, Vi prego. A proposito, Vi siete chiesto quale corredo e quale dote mi avreste dato? Le uniche pietre preziose che possiedo sono incastonate nell’impugnatura dello spadino che mi avete donato il giorno del mio battesimo.

Non biasimatemi se mi concedo dell’ironia, ma proprio non riesco a prendere sul serio tutti quei cortigiani presunti pretendenti al ballo: erano lì soltanto per levarsi la curiosità morbosa di vedere il Colonnello De Jarjayes vestito come una bomboniera e farne oggetto di pettegolezzo e scherno a Versailles. Credete davvero che, potendo impalmare una quindicenne da plasmare a loro uso e consumo, verrebbero a prendersi una donna di 33 anni che si muove, ragiona, vive e litiga come un soldato? E che se volesse saprebbe pure passarseli uno a uno a fil di spada? Ve lo vedreste uno di quei damerini portarsi appresso per i palazzi di Versailles una moglie che fino al giorno prima ha bevuto e fatto a botte nelle bettole di Parigi – non ne vado fiera, ma ho fatto anche questo, padre - con tutta la corte che gli sghignazza alle spalle insinuando che non sia lui a portare i calzoni in casa? Del tutto inverosimile, converrete.

E a me, padre, non avete pensato?

A volte mi tornano in mente le Vostre parole di quel giorno nel Vostro studio, quando – mostrandomi una commozione che mi ha turbata - avete provato a convincermi ad accettare la proposta di matrimonio: «Ti prego di non dimenticare che sei una ragazza». Dovevate essere davvero tanto in ansia per me in quel momento se non avete colto la contraddizione: avete passato 33 anni a chiamarmi figlio, a rivolgerVi a me con il maschile contro ogni evidenza, ormai il solo a farlo da tempo immemorabile. Non Vi biasimo per questo, aveva una sua coerenza. Poi all’improvviso mi avete ordinato di truccarmi, di pettinarmi in modo più femminile, di cambiare i miei abiti, come se questo potesse bastare a fare di me di punto in bianco una donna come le altre. Per quanto paradossale possa sembrare, sarebbe stato solo, quello sì, un travestimento di facciata.

Vi ho obbedito sempre, padre. Ma quella volta non avrei potuto, neanche volendo. Il tipo di donna che in quel momento stavate cercando di tirare fuori da me non esiste più, padre. Mi correggo: non è mai esistita. Dal giorno in cui quella bimba è nata, l’avete addestrata a diventare altro, a rinnegare in sé tutto quello che poteva corrispondere all’apparenza e all’immagine esteriore di una bambina. Quante volte, padre, davanti all’accenno di una lacrima mi avete gridato: non piangere, comportati da uomo!

Ho imparato a farlo, padre. Ho imparato bene.

Eravate al mio capezzale quando mi hanno soccorsa dopo essere saltata da un cavallo in corsa per salvare la regina, non occorre che Vi dica quanto costi sopportare da soldato mentre vi suturano una ferita come quella, siete un generale lo sapete meglio di me, ci siete passato. Non occorre che Vi descriva che orrende cicatrici restano quando i lembi sono così frastagliati. Non è stata la prima, non è stata l’ultima. Guardate il palmo della vostra mano destra, padre: ci sono i calli dell’elsa della spada, è così anche la mia, padre. Non è il genere di mano cui quei damerini incipriati farebbero volentieri il baciamano.

Il mio corpo è pieno di cicatrici, padre. La mia anima, pure. Ma a me è andata bene così, davvero. Non sarei tornata indietro, neppure se avessi potuto.

Vi devo confidare una cosa: ricordate la sera prima che diventassi capitano delle Guardie reali? Avete chiesto ad André di convincermi ad accettare l’incarico, lo so perché stavo origliando la Vostra conversazione. Ebbene, non lo ha fatto. È stato più coraggioso di me, Vi ha platealmente disobbedito: invece di dirmi quanto gli avete chiesto mi ha detto quello che credeva meglio per me: mi ha gridato di fermarmi, di diventare definitivamente una donna.

Ed è stato lui, non Voi, proprio con quella frase a sciogliere tutti i miei dubbi, inconsapevolmente. Avevo 14 anni e in quell’istante mi si è spalancata davanti la strada segnata delle mie coetanee: un matrimonio imposto con un uomo più grande e sconosciuto, un destino subalterno, abiti e gioielli come unico orizzonte, e un marito da soddisfare, possibilmente garantendo eredi maschi: bambini affidati in fasce alle nutrici, e poi ai precettori, alle accademie o ai conventi secondo che siano maschi o femmine, figli sulla cui educazione con tutta la mia istruzione da donna non avrei in alcun modo potuto influire. Le madri nobili, in questa società, il più delle volte sono chiamate soltanto a metterli al mondo. Mi sono vista in salotti in cui non avrei saputo che dire, indossando abiti che non sapevo portare: sapevo discutere di arte, di musica, di letteratura certo, e ancor meglio di strategia militare, di armi, ma non sapevo niente di moda e meno me ne importava. Sono queste le gioie che allietano la vita delle altre donne che mi avete negato, padre, Vi ringrazio di cuore di averlo fatto. Non mi è costato rinunciarvi. La strada che mi si è aperta davanti con la frase di André non l’avrei voluta per nulla al mondo. Ho scelto l’altra. E Vi ho reso fiero, credo. O almeno lo spero. La Vostra scelta era diventata la mia. L’ho fatto perché non volevo perdere la libertà “maschile” che la mia vita mi dava e un po’ anche perché mi lusingava sentirVi fiero di me.

Non è stata una scelta senza prezzo, padre. Per anni, finché non sono stata adulta, ho avuto paura: non dello scontro fisico, non delle ferite, non della vita militare e dei suoi rischi, non della responsabilità che anzi mi piaceva e mi piace. Ve lo dico, scusate la franchezza, con un gergo da soldato: ho avuto una paura fottuta che il mio corpo, completando la sua crescita, mi tradisse. Mi svegliavo la notte preda di un incubo ricorrente: trovarmi all’improvviso nel corpo di una damina bassetta e tutta curve, con gli alamari dell’uniforme che saltavano, ridicola e disperata. Sognavo di trovarmi al Vostro cospetto e di sentirvi gridare: “Dov’è mio figlio? Chiudete in convento questa caricatura di soldato”. È una cosa che non ho mai confidato a nessuno.

Siamo stati fortunati, padre, io e Voi: la natura è stata clemente, il mio corpo adulto, alto e asciutto, e la mia voce non troppo acuta hanno ingannato a meraviglia anche un uomo di cui in passato mi sono innamorata. Ha visto in me il suo migliore amico, così al maschile: un uomo. Mi vien da arrossire ancora adesso. In questo, padre, ora posso dirVelo, il soldato perfetto che avete addestrato non ha mai dubitato del proprio essere donna, anche se ha provato a rinnegarla per paura di soffrire per amore: solo come una donna posso amare.

Al resto avete sopperito Voi, con il Vostro eccellente insegnamento, padre. È stata dura conquistarsi il rispetto dei soldati della Guardia, lo sapete. Ma alla fine ci sono riuscita. Con la lealtà e con l’onestà che mi avete inculcato, ma anche con il mestiere delle armi. Mi son dovuta battere con alcuni di loro, molto più robusti e rudi di me, per dar loro la dimostrazione di essere all’altezza del ruolo. Senza la Vostra sopraffina scuola, non ci sarei mai riuscita. E invece in quel momento sono stata fiera di me e di Voi: mi hanno seguita per stima. L’ufficiale che avete formato si è fatto trovare pronto nel momento della prova e la donna che avete cresciuto così è stata orgogliosa di essere com’è.

Per tutto questo, padre, occorre che Ve lo dica con onestà adesso, anche se non capirete, anche se potrebbe non piacerVi, conosco un solo uomo che potrebbe sposare la donna che sono ed è André. Reprimete la rabbia, padre, e lasciate che provi a spiegarmi: solo chi è cresciuto con lei, vedendo le ruvidezze della sua educazione, conoscendo l’origine dell’asprezza del suo carattere e insieme conoscendone, a una a una, tutte le fragilità potrebbe accettare di avere accanto una donna così, e sapete perché? Perché egli è l’unico uomo che non ha avuto bisogno di merletti e sottogonne per vedere in me una donna, l’unico che non inorridisce davanti alle mie cicatrici perché era con me quando mi sono ferita e tante volte mi ha salvato la vita mentre in quei frangenti la rischiavo; nelle taverne beveva con me; eravamo piccoli e si batteva con me; è l’unico a sapere che fare a botte è stato per anni uno dei miei modi per ricacciare indietro le lacrime e la paura. È l’unico che mi tiene testa con la sua forza tranquilla e per questo non ha bisogno di sottomettermi per amarmi ricambiato. Son convinta che per lui non sarebbe affatto un problema se anche l’abito bianco all’altare fosse l’alta uniforme candida delle Guardie reali, perché conosce davvero la donna che vi si nasconde senza bisogno di insegne esteriori, anche se per lui un abito semplice mi piacerebbe metterlo. E, se Dio vorrà, a lui dirò di sì e giuro che mi dispiace che non sarete Voi ad accompagnarmi.

Ma so di non poterVelo chiedere, ho fatto una scelta di campo incompatibile con il Vostro onore e il Vostro ruolo e mi fa male il fatto che abbiate a soffrire a causa mia: non avrei voluto arrivare a questo punto, ho provato a parlare con la regina prima che fosse troppo tardi, a suggerirle di ammorbidire le posizioni; anche a Voi tanto tempo fa avevo provato a raccontare la situazione dei contadini nelle tenute di famiglia, mi prendeste a schiaffi. Ho sbagliato padre quella volta, ho incassato lo schiaffo e non Vi ho contrastato oltre. Se avessimo litigato di più a parole, padri e figli, lealisti e aperti al cambiamento, in tutte le case nobili del regno, forse non avremmo lasciato che il fuoco covasse sotto la cenere così a lungo. Forse non saremmo arrivati alle armi. È il mio grande rimpianto.

Non è stato sempre facile seguirVi in questa avventura, padre, ma Vi ringrazio: questa vita complicata è stata anche un privilegio per me, da donna, e Ve lo devo: l’ho fatta mia e nel momento in cui Vi scrivo io, Oscar François, donna e soldato, sfioro per la prima volta qualcosa che si avvicina alla felicità completa, anche se in questo inferno ho paura solo di nominarla, e ci tenevo a dirVelo. Vorrei che sapeste che mi avete più dato che tolto.

Vi voglio bene, nonostante le mie scelte

Vostra figlia Oscar

Ps. Mio amato padre, se state leggendo queste righe significa che la donna che mi avete chiesto di non dimenticare di essere ha scelto di vivere e di amare come il cuore le ha suggerito, ma questo non ha impedito che il soldato che avete addestrato cadesse in battaglia.

- L’urlo straziato del Generale rimbalzò sulla porta del suo studio, chiusa a chiave dell’interno: «Oscar... Noooooo!». -

Stavo pensando che, in fondo, sono riuscita a obbedirvi persino nella torsione inverosimile che mi avete chiesto, benché in un modo diverso da come l’avevate immaginato. Perdonatemi, so che non è il momento di scherzare neppure amaramente, comprendo il dolore che Vi sto infliggendo e Vi giuro che mi dispiace. Non è stato facile nemmeno per me trovare il tono adatto, ammesso che io ci sia riuscita, per arrivare in fondo a questa lettera, franca come mai prima e dolorosa anche per me, ma brutalmente sincera.

Se state leggendo, vuol dire che non è toccato a Voi lavare con il sangue l’onta del mio tradimento, ci ha già pensato qualcun altro e voglio che sappiate che sono felice che almeno questa lacerazione contro natura Vi sia stata risparmiata. Il resto dell’amaro calice purtroppo no, ma c’est la vie.

Mi prendo l’ardire di chiedervi l’impossibile: per questa volta sola, accettate di invertire i ruoli, obbedite Voi a me, dato che, se state leggendo, sarò già dove si giunge soli e nudi senza titoli né gradi o gerarchie con le sole proprie miserie al cospetto di Dio. Lasciamo decidere a Lui se avrò violato il quarto comandamento e quanto, per il resto temo che mi chiederà conto più della sofferenza che ho seminato che del poco amore che sono riuscita donare: mala tempora currunt, padre, se siete in tempo prendete la madre, le sorelle, i loro mariti, i nipoti, la governante e lasciate il Paese. La nuova Francia sarà partorita con il dolore di tante persone, compreso il nostro: non posso risparmiarvi quello che già vi sto dando, non cercatene altro. Portate una carezza alla madre e alla nonna di André per me, confortatele come potete. Salvate almeno loro, se non potete andarvene Voi. Siete un generale, sono stata un colonnello e Vi capisco se il dovere Vi trattiene, il non voler abbandonare i miei uomini ha avuto un peso nelle mie scelte.

Fatemi un’ultima cortesia, cercate il dottor Lassonne: Vi spiegherà perché non dovete addossarvi indirettamente tutte le colpe della brevità di questa mia intensa vita, perché se Vi conosco so che in questo momento siete tentato di pensarlo: Vi dirà una verità cruda che a me ha cercato di dire con maggiore garbo. Ditegli, da parte di mia, che se non ho ascoltato il suo consiglio di lasciare l’uniforme è stato solo perché sapevo, come lo sapeva lui, che la sua era solo una mezza pietosa bugia, ma ditegli che ho apprezzato il fatto che mi abbia detto abbastanza da permettermi di non lasciare niente di non fatto e di non detto dietro di me. Questa lettera la dovete in parte anche alla sua chiarezza nei miei confronti.

So che è sale sulle Vostre ferite, ma se un po’ Vi conosco sono certa che non avreste preferito non riceverla.

Solo dopo aver finito di leggere il Generale, ormai travolto dalle emozioni, notò che nel doppio fondo del plico che conteneva la lettera e che gli era giunto da mani sconosciute c’era un biglietto.

«Egr. Generale Jarjayes,

vostra figlia ha messo questa lettera nelle mie mani la mattina del 13 luglio con l’ordine di consegnarvela se le fosse accaduto qualcosa. Era il mio comandante, voglio che sappiate che è stata il miglior comandante che io abbia avuto: il più leale e il più corretto, ma anche il più preparato e il più coraggioso. Anche se voi e io combattiamo su barricate opposte penso che sia merito vostro e volevo dirvelo.

André Grandier era il mio migliore amico, è caduto la sera di quello stesso giorno. Vostra figlia l’ha seguito il giorno dopo, facendosi onore sul campo nonostante la disperazione. Non era più nel vostro campo, Generale, ve lo ha scritto lei di sicuro, ma posso testimoniare che il suo valore non è cambiato. Sono notizie che non avrei mai voluto darvi. Ho sperato, fino all’ultimo suo respiro, di trovarmi nelle condizioni di stracciare questa lettera e poter attendere che ve ne giungesse un’altra più avanti con più liete novelle. Purtroppo il destino ha deciso diversamente.

Un soldato della guardia

Ps. Non vi dico il mio nome, non sarebbe prudente per me, ancor meno per voi. Quando la pace tornerà se la vita permetterà, ad Arras in cima a una collina troverete due semplici croci».

- «Figlia mia, so che ammetterlo adesso è troppo facile e troppo tardi ma è solo merito tuo se sei riuscita a fare di te stessa una persona migliore di quella che mi sono illuso di poter plasmare a mia immagine. Sono fiero di te, anche se le tue scelte non sono le mie... Perdonami, Oscar, perdona tuo padre...E anche tu, André...». -

   
 
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