Disclaimer | I personaggi e i luoghi
descritti non sono frutto della mia fantasia, ma appartengono a quel genio
indiscusso che era la “zia” Jane Austen. Le vicende narrate nella seguente
storia sono invece frutto della mia mente malata, e io mordo.
Personaggi | Elizabeth
Bennet, Fitzwilliam Darcy
Disonorevole
Capitolo secondo.
Non sei di nessun altro e di nessuna io.
{ Tananai | Tango }
Pemberley, giugno
Scendendo per la colazione con il sole già piuttosto alto,
Lizzie si vergognò di essersi attardata tanto. Le confidenze scambiate con il
signor Darcy l’avevano agitata al punto da renderle difficoltoso
l’addormentarsi. Si era rigirata tra le coperte per quelle che le erano parse
ore intere, incapace di scrollarsi di dosso il senso di colpa per aver espresso
pensieri tanto puerili. A parole lui l’aveva rassicurata, ma pensava davvero
quanto aveva detto? O forse nella sua mente stava già ponderando un modo per
interrompere elegantemente il loro fidanzamento?
Smise di rimuginare entrando in sala da pranzo, dove le
sorelle la stavano attendendo in compagnia di Georgiana. «Buongiorno a tutte
voi» salutò cordialmente. «Perdonate il mio ritardo, dovevo essere più stanca
di quanto pensassi. Ho dormito più del necessario.»
«Mio fratello ha ordinato di lasciarvi riposare fin quando
ne aveste avvertito la necessità» sorrise Georgiana. «Sedete, dovete
assolutamente assaggiare questa torta. La signora Reynolds è sempre stata una
cuoca eccezionale.»
Lizzie prese posto sulla sedia rimasta libera, allungando un
braccio per servirsi un po’ di tè, mentre Jane le avvicinava un piatto colmo di
panini dolci. «Il signor Darcy e il signor Bingley sono usciti presto per
controllare alcune trappole. Un’invasione di talpe minaccia il raccolto»
precisò. «La signora Hurst e la signorina Bingley sono andate in città per
delle compere, rientreranno solo verso sera.»
«Avrebbero voluto che le accompagnassi» intervenne
Georgiana, «ma non potevo assolutamente
abbandonarvi qui! Quanto risulterei maleducata se abbandonassi i miei ospiti
durante il loro primo giorno a Pemberley?»
«Non dovreste darvi tanta pena per noi, signorina Georgiana»
rispose Lizzie sorseggiando il suo tè. «Vi prego di non considerarci un
intralcio ai vostri programmi.»
«Quale programma potrei avere più importante di voi? A Dio
piacendo sarete presto mia sorella, sarebbe un peccato mortale desiderare
un’altra compagnia.» La ragazza sorrise ancora, e nell’espressione gioiosa del
suo volto Lizzie lesse qualcosa di molto simile all’impazienza. «Ero indecisa
se parlarvene, ma ho consultato mio fratello e lui non ha posto obiezioni,
perciò…» Si schiarì la voce, raddrizzando la schiena. «Non avete ricevuto alcun
regalo di fidanzamento da parte mia, perciò vorrei rimediare, sperando non mi
consideriate troppo invadente.»
«Non potrei mai pensare questo di voi, Georgiana. Tuttavia
credo di non meritare alcun dono da parte vostra.»
«Oh, e invece sì! Volevo parlarvene dopo colazione ma non
riesco più a trattenermi. Ebbene, dovete sapere che alla morte della mia cara
madre ricevetti in eredità il suo abito da sposa.» Lizzie impallidì,
comprendendo quale piega avrebbe preso il discorso. «Per tanti anni l’ho
conservato tra i miei averi, ma più passa il tempo più sono certa che non sia
per nulla adatto alla mia figura. Perciò, sperando che il pensiero non vi
offenda, vorrei farne dono a voi. Sono certa che a voi calzerà a pennello.»
Lizzie tossicchiò appena, tentando di liberarsi la gola dal
tè che le era andato di traverso. Jane trattenne tra i denti una risata
divertita, impresa che invece non riuscì a Kitty. «Immagino, signorina
Georgiana, che mia sorella stia cercando di ringraziarvi per il vostro dolce
pensiero» espose la signora Bingley.
«Il vostro è davvero un pensiero molto dolce, ma non posso
accettare» intervenne finalmente Lizzie. «Se un giorno doveste pentirvene, io
non…»
«Non dovete preoccuparvi, davvero. Sono già molto diversa da
mia madre, non potrei indossare quel vestito a meno di compiere delle modifiche
che ne stravolgerebbero la bellezza. Vi prego di accettare, Elizabeth, o io… io
giuro… giuro che non verrò alle vostre nozze!» la minacciò bonariamente.
Pur certa che una simile circostanza non si sarebbe mai
potuta verificare, Lizzie decise di cedere. In fondo in altre occasioni Georgiana
si era già dimostrata molto assennata, perciò era certa che dietro quella
decisione doveva celarsi un’intricata rete di sagge riflessioni. «E sia, se
questo potrà rendervi felice accetterò il vostro dono.»
«Oh, meno male!» sospirò Kitty, fino a quel momento
concentrata su una fetta di torta. «Sarebbe stato molto scortese mandare via la
sarta, è già nel salotto di sopra a preparare tutto l’occorrente.» A quella
confessione Lizzie sgranò gli occhi, incontrando lo sguardo complice e
divertito di Jane.
«Ora vedo tutto estremamente chiaro, mio caro Charles»
sospirò Darcy, mentre poco lontano un paio di servitori controllavano l’esito
di una trappola. «Ho rimandato anche troppo a lungo, non posso costringerla ad
aspettare oltre. Non posso costringermi
ad aspettare oltre. È giunto il momento di renderla mia moglie.»
«Vi capisco bene. Dal momento in cui il signor Bennet mi
concesse la mano di Jane, ogni minuto d’attesa pareva un’eternità. Non si
dovrebbe mai rimandare quando si è certi delle proprie decisioni.»
«Otto mesi…» sospirò ancora Darcy. «Se l’avessi sposata
subito probabilmente starei quasi per diventare padre» scherzò.
«Dirò una cosa che vi sorprenderà, ma credetemi… a volte è
preferibile che un figlio non arrivi subito.»
«Signor Bingley, che cosa sentono le mie orecchie?» finse di
scandalizzarsi l’altro uomo. «Parlate così a vostra moglie?»
Bingley alzò le spalle con aria innocente. «Di certo non
quando altri gentiluomini e gentildonne possono sentire quello che diciamo.»
«Lizzie, sei semplicemente meravigliosa» sospirò Jane,
asciugandosi una lacrima con il fazzoletto. «Ma guardatemi, sono ridicola. Se
mi commuovo così adesso, che figura farò in chiesa?»
«Occorre solo stringere un po’ il giro manica qui e qui»
osservò la signora Michaels, la sarta convocata per l’occasione, prendendo il
segno con un piccolo pezzo di filo scuro. «Per il resto vi trovo perfetta,
signorina Bennet.»
«Non sono io ad essere perfetta, ve lo assicuro. Questo
abito farebbe sembrare meravigliosa qualsiasi donna.»
«Sembrate una principessa» sussurrò Georgiana con aria
sognante. «Se vi sposaste qui nella cappella di Pemberley l’incanto sarebbe
completo.»
«Non oso chiedere tanto, mi accontenterò di un abito da
favola.»
«Se non sapessi che potrebbe portare sfortuna andrei di
corsa a chiamare mio fratello. Sono certa che non attenderebbe nemmeno mezz’ora
pur di rispettare la sua promessa.»
«Sono certa che saprebbe dominarsi. E poi organizzare un
matrimonio non è cosa da poco, di certo non si può fare in una settimana.»
«Lo conosco meglio di chiunque altro, credetemi. Ne sarebbe
capace senza alcun dubbio.»
Lizzie guardò ancora il proprio riflesso nell’ampio
specchio, facendo scorrere lentamente le mani sui pizzi che ricoprivano il
corpetto. Nonostante non volesse accrescere la stima che Georgiana aveva di
lei, doveva ammettere che quell’abito esaltava in modo particolare la sua
figura. Sapere che la sola ad indossarlo prima di lei era stata la donna che aveva
dato alla luce il suo innamorato le riempiva il cuore di una fierezza mai
provata, quasi che la perfezione del modello sul suo corpo la investisse
ufficialmente del ruolo di signora Darcy.
Oh, quanto vorrei che fosse già il giorno
in cui vi dirò sì per la vita, pensò continuando ad ammirarsi. Trasse un
respiro profondo, recuperando la propria compostezza. Sapeva di doverlo fare,
di dover essere lei a riportare la faccenda sul piano della verosimiglianza.
Non avrebbe sposato Darcy quel pomeriggio e probabilmente nemmeno entro la fine
del mese, perciò avrebbe dovuto lottare a fondo per contenere i sogni romantici
delle donne che la circondavano.
Nel primo pomeriggio, quando tutti si ritirarono per un
breve riposo, Lizzie scelse di uscire a passeggiare nel parco, certa che un po’
di tempo trascorso in solitudine l’avrebbe aiutata a riordinare i pensieri.
Vagò tra i prati e gli alberi rigogliosi per qualche tempo, arrivando infine
nei pressi di una capanna abbandonata. Trovandovi una panchina decise di sedersi
un po’ prima di rientrare, per godere del tepore del sole. Qualche minuto più
tardi, un fruscio tra le foglie la avvertì che non era sola. Per un brevissimo
istante fu colta dal timore nel pensare ad una presenza sconosciuta, poi la
figura di Darcy fece capolino tra l’erba alta. «Però, è difficile trovarvi
quando decidete di stare sola.»
«Non è certo colpa mia se avete un parco così esteso.
Dovreste installare dei cartelli con le indicazioni, così ogni ospite potrebbe annunciare
la propria direzione ed evitare di smarrirsi.»
«Potrebbe essere una buona idea.»
«E comunque voi mi avete trovata in fretta.»
«Forse non desideravate nascondervi.»
«Voler passare un po’ di tempo da soli non significa per
forza volersi nascondere. Ma perché non sedete qui accanto a me? È un ottimo
posto per riposare. Il sole è estremamente gradevole oggi.»
Darcy rifletté per qualche secondo, indeciso sul da farsi.
Bramava la sua vicinanza come un condannato a morte la grazia, eppure allo
stesso tempo la ragione gli imponeva di mantenere le distanze. Dalla sera prima
lo tormentavano pensieri lascivi, quasi volgari, idee a dir poco disonorevoli
che alcune battute dell’amico Bingley non avevano fatto che alimentare. Un
gentiluomo come lui non avrebbe dovuto abbandonarsi a certe sordide fantasie,
ma la scena che aveva dinnanzi a sé non riusciva a spegnere il fuoco che
iniziava a sentire dentro: Elizabeth era là, seduta su quella panchina, la
schiena appoggiata alla parete della capanna e il petto inconsapevolmente
spinto in fuori, servito su un dolce vassoio di merletti; alcune ciocche di
capelli erano sfuggite all’acconciatura e danzavano pigramente nel vento,
incorniciando quel suo bel viso rotondo. Si chiese se fosse possibile che una
donna potesse essere tanto attraente quanto ignara di esserlo. Sarò dannato in eterno per quanto vi
desidero.
«Avete un volto estremamente serio» commentò la donna,
alzando lo sguardo. «Qualche brutto pensiero vi tormenta?»
«Un uomo nella mia posizione ha sempre dei brutti pensieri»
minimizzò lui, trovando finalmente il coraggio di sedersi accanto a lei. La
panchina era estremamente stretta, tanto che non poté fare a meno di sfiorarle
la gonna con la gamba. «Ma niente che non possa essere risolto con facilità,
non temete. Mi assicurerò che nessuna tragedia rovini la vostra permanenza a
Pemberley.»
«Ne sono lieta. Penso che l’ultimo anno per me e la mia
famiglia sia stato sufficientemente colmo di tragedie.» Tornò a voltarsi in
avanti, riappoggiando la testa alla parete e chiudendo gli occhi per non farsi
disturbare dalla luce. Darcy si morse un labbro, continuando a fissare con
ingordigia la linea dritta che dal collo scendeva senza freni fino al solco tra
i suoi seni. Per l’amore del cielo,
Darcy, datti un contegno!, si ordinò senza successo. Come ogni altro uomo nella
sua posizione aveva già conosciuto le gioie della camera da letto, perlopiù
esercitandosi con donne di malaffare debitamente nascoste agli occhi del mondo.
Sapeva bene quanti e quali piaceri potesse suscitare la vicinanza con il corpo
di una donna, e ancor di più sapeva quanto maggiore potesse essere il piacere
se per quella donna si provava un sincero trasporto. Da quando aveva incontrato
Elizabeth non c’era più stata un’altra donna. Anche da prima di offrirle il suo
cuore aveva rinunciato a qualsiasi altra figura, respingendo persino le
maldestre profferte amorose di Caroline Bingley, che tanto a lungo aveva
sperato di poter diventare la nuova signora Darcy. Da quando aveva conosciuto
Elizabeth, c’era stata soltanto lei.
Di tanto in tanto, incapace di trattenere oltre le proprie energie, si era
concesso un passatempo solitario, ma sempre indugiando col pensiero su una
figura del passato, una donna senza volto il cui unico scopo era stato di
aiutarlo a rendere l’atto meno meccanico. Ma quella notte per la prima volta si
era sorpreso ad esplorarsi con in mente un volto definito, un viso rotondo
contornato di ricci scuri, un viso dagli occhi così brillanti e intelligenti da
poter illuminare una stanza per l’intera sera. Per la prima volta si era dato
piacere immaginando che ad accarezzarlo fossero le mani di Elizabeth,
fantasticando di alzarle le gonne per scoprirle le cosce bianchissime, sognando
di spingersi nel suo ventre con tutta l’intensità concessagli dal proprio
fisico. Al solo ricordo di quelle sensazioni sentì le proprie carni
inturgidirsi, senza riuscire a controllarsi. Un gentiluomo nella vostra posizione dovrebbe sapere quanto sia
disonorevole, Darcy.
«Sposatemi, Elizabeth» sputò fuori in fretta, senza nemmeno
tentare di frenare le parole. «Oggi stesso, o domani se preferite. Ma sposatemi,
vi prego.»
Lizzie riaprì gli occhi con enorme sorpresa, voltando di
scatto la testa. «Forse avete preso troppo sole, non è affatto da voi parlare
in questo modo.»
«Non fingetevi sorpresa, siete stata voi stessa a dire che
abbiamo aspettato troppo. Ci ho pensato e sono d’accordo con voi. Facciamolo,
il prima possibile.»
Lizzie si alzò dalla panchina e si allontanò di un paio di
passi, tentando di raccogliere le idee. «Signor Darcy, lo sapete che non amo
che ci si prenda gioco di me» scandì con estrema chiarezza. «Avete rimandato
per otto mesi e nel volgere di una sola notte è esplosa in voi questa grande
urgenza di rendermi vostra moglie? Devo aver perso tutto il mio acume, perché
non riesco affatto a vederne la logica.»
«Elizabeth» replicò in fretta l’uomo, alzandosi per
raggiungerla. «Io… oh, che io sia dannato per quanto sto per dire… Elizabeth,
vi prego di non pensare male di me, ma io…» Chiuse gli occhi e sospirò,
riguadagnando la propria calma. «Da quando siete arrivata qui ieri, io… la
vostra vicinanza mi sconvolge. Non riesco
a pensare chiaramente quando mi siete accanto. Pur se si tratta di un
comportamento assolutamente disonorevole, io devo confessarvi che… che…»
Deglutì vistosamente, cercando le parole giuste. «Insomma, Elizabeth, io vi desidero» confessò.