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Autore: nikita82roma    17/05/2023    5 recensioni
7 anni dopo. Qualcosa in più su quella mattina al loft in due capitoli
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Kate Beckett, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Era un martedì mattina che sembrava domenica.

[la sera prima]

Elizabeth, Richard e James, per tutti Lily, Reece e Jake, fecero i salti di gioia quando era stato detto loro che l’indomani non sarebbero andati a scuola, anche se all’inizio pensavano fosse uno dei soliti scherzi del loro padre burlone.
Invece era proprio così, Castle lo aveva confermato alla sua figlia maggiore quando la vide intenta a preparare diligentemente il suo zaino la sera precedente.
“Mamma è d’accordo?” Gli chiese dubbiosa.
“Lo sarà.” Le rispose dandole un bacio tra i capelli.
“Quindi non lo sa ancora.” Lo guardò dal basso all’alto con quello sguardo a metà tra il severo e l’interrogativo che aveva ripreso tutto da sua madre.
“Non ti preoccupare.” Le fece l’occhiolino cercando complicità, ma non sembrava cedere facilmente
“Glielo dirai?” Chiese ancora cercando rassicurazioni.
“Certo. Ma domani abbiamo una giornata speciale. Quindi con l’autorità di padre che mi è concessa ho sancito che domani tu e i tuoi fratelli non andrete a scuola.” Disse con una solenne voce impostata facendo sorridere sua figlia che a questo punto aveva abbandonato lo zaino per dirigersi a letto.
“Che vuol dire sancito?” Gli chiese mentre lui le rimboccava le coperte.
“Deciso.” Le sussurrò all’orecchio dandole un altro bacio mentre la sua piccola si ripeteva la nuova parola appena imparata. “Dormi bene piccola.”
Uscì da quella che un tempo era la camera di sua madre diventata ora la stanza di Lily per andare nella vecchia stanza di Alexis, dove i gemelli stavano, come al solito, facendo una lotta con i cuscini saltando da un letto all’altro.
Non si fermarono nemmeno quando l’imponente figura del loro padre fece capolino dalla porta schiarendosi la voce.
“Richard Johan Castle! James Martin Castle!”
Pronunciò i nomi dei suoi figli scandendo bene ogni sillaba e uno dopo l’altro si fermarono lasciando cadere i cuscini e continuando a molleggiarsi incerti sul materasso.
“È ora di dormire.”
“Niente scuola papà!” Disse Jake allargando le braccia a giustificarsi.
“A letto!” Replicò il genitore non facendosi intenerire dalla faccia malandrina del figlio.
Reece nel frattempo era sceso andando ad eseguire quanto chiesto dal padre, lasciando solo suo fratello a perorare la loro causa, ma dopo uno sguardo più severo anche Jake si lasciò convincere.
Così come aveva fatto con Lily, rimboccò anche a loro le coperte, baciando prima Jake e poi Reece che prima che se ne andasse gli prese la mano.
“Chiamiamo mamma?” Gli chiese con la voce tremolante e gli occhi che stavano per riempirsi di lacrime.
“Mamma adesso sta lavorando. Non possiamo chiamarla. Lo facciamo domani mattina, ok?” Passò la mano tra i suoi capelli e annuì, con poca convinzione. Reece tra tutti i suoi figli era quello che di più soffriva la mancanza di Kate quando non c’era. Lei gli diceva sorridendo che era colpa del nome e se Reece aveva preso tutto il lato del suo carattere romantico e il suo amore viscerale per Kate, Jake invece aveva tutta la sua sfacciataggine e intraprendenza che lo aiutava a celare spesso le sue emozioni. Il piccolo annuì e Rick rimase ancora un po’ con lui, prima di andare a salutare anche Jake che fantasticava raccontandogli storie apparentemente senza senso a cui Rick cercava, invece, di dare risposte sensate: in nessun modo avrebbe limitato la fantasia e l’immaginazione dei suoi figli. Quando li vide entrambi tranquilli e pressoché addormentati, abbassò la luce sul comodino lasciando appena un leggero chiarore e se ne andò chiudendo piano la porta. Se c’era una cosa che lo faceva ritenere molto fortunato era che i gemelli una volta addormentati non si svegliavano fino alla mattina successiva, persi in un sonno profondo, proprio come era lui quando era piccolo.

Castle scese le scale del loft dopo aver controllata ancora una volta che tutti i suoi figli dormissero tranquilli. Era un padre a tempo pieno impegnato e preoccupato di assicurare a tre piccoli Castle tutto quello di cui avessero bisogno, con lo stesso entusiasmo che aveva avuto con Alexis e in più la consapevolezza di un’età più matura e anche la fatica che questo comportato. Tutto moltiplicato per tre.
Ma non era solo questa volta. C’era Beckett con cui condividere tutte le gioie e le preoccupazioni. Perché lei c’era sempre, anche quando non era a casa. Passavano ore al telefono a parlare di loro e dei loro figli, per decidere ogni aspetto della loro vita e della loro educazione, dalle piccole alle grandi cose: Kate non voleva perdersi nulla a Rick faceva in modo che non accadesse.
“Mi manchi”. Le scrisse di getto un messaggio mentre attraversava il loft, dove pupazzi, giochi e peluche avevano preso il sopravvento su tutto il resto. Guardava la spunta che non diventarono due. Sapeva che non poteva leggere, ma aveva bisogno in quel momento di scriverglielo, voleva che fosse la prima cosa che avrebbe letto quando avrebbe acceso di nuovo il suo telefono.
Raccolse alcune delle macchine dei gemelli lasciate pericolosamente in mezzo alla stanza e le mise nella cesta con gli altri giochi, spostò tricicli e monopattini appoggiandoli vicino al grande orso appoggiato alla libreria, controllò l’ora, era sono le nove di sera, mancavano ancora almeno 4 ore prima che Kate sarebbe tornata. Andò a sciacquare le tazze lasciate sul tavolo, pulì le tracce dei biscotti che erano rimaste in giro e quando stava per sedersi sul divano vide la luce dello schermo del suo telefono accendersi. 
Pensò che fossero i ragazzi del distretto che gli chiedevano qualche consulenza, come ancora ogni tanto facevano e invece trasalì nel vedere che era sua moglie.
“Anche tu. Anticipato il volo. Atterrata adesso. Tra poco arrivo.” Sorrise per il suo modo sempre più contratto di scrivere per la fretta con cui faceva tutto, ma non si piegava a mandare quei messaggi audio che tanto odiava.
Sentì le farfalle nello stomaco come un adolescente ai primi appuntamenti. Aveva più di 50 anni, era sposato da otto e aveva tre figli. L’amava come il primo giorno, forse di più. 

Avevano continuato a mandarsi messaggi per tutto il tragitto di Kate dall’aeroporto a casa. Come due ragazzini si scrivevano cose stupide e sdolcinate, aggiornandosi su quanti minuti sarebbero passati prima di vedersi.
“Sto scendendo dall’auto” gli scrisse e lui si precipitò dietro la porta del loft che aveva socchiuso, ascoltando nel silenzio della notte ogni rumore che proveniva da fuori. 
Sentì l’ascensore arrivare al piano e scostò appena la porta per guardare fuori. Non c’era bisogno che la vedesse, riconosceva perfettamente il rumore dei suoi tacchi nel corridoio che si mischiava a quello delle ruote del trolley che strusciava e appena la sentì ferma davanti all’entrata fu lui ad aprire la porta cogliendola di sorpresa.
La avvinghiò in un abbraccio possessivo trascinandola dentro. Riuscì a chiudere la porta senza fare troppo rumore e appena dentro Kate abbandonò la presa dal suo bagaglio per ricambiare anche lei l’abbraccio del marito. 
“Mi sei mancata terribilmente” le disse tra un bacio e l’altro mentre la teneva appoggiata con le spalle alla porta.
“Anche tu, amore mio.” Ricambiò i suoi baci accarezzandogli il volto fino a quando non divenne più audace, scendendo a baciarle il collo, lì dove sapeva essere più sensibile. “Castle…” sussurrò scossa da un brivido.
“Dormono tutti e tre.” La tranquillizzò prima che potesse chiedergli altro, già sapendo cosa gli avrebbe chiesto.

Le labbra e le mani divennero sempre più intraprendenti mentre erano ancora all’entrata di casa. Era sempre uno dei loro posti preferiti, come la prima volta, come ogni volta.
Senza mai separarsi arrivarono in camera da letto dove i vestiti divennero presto di troppo tra loro ed il letto il loro rifugio dove lasciarsi andare, dove erano solo marito e moglie, amanti, Rick e Kate, Castle e Beckett. Dove erano solo loro, con i loro baci, le carezze, i sospiri, i gemiti, i corpi che si intrecciavano, l’odore che si mischiava e il sapore che si confondeva sulla labbra. E tutto il mondo fuori, mentre abbracciati respiravano affannati ancora attraversati dal piacere.

Non si erano addormentati subito. Kate era stanca del viaggio, del fuso orario, di quei 5 giorni di lavoro intenso dall’altra parte del paese che si erano aggiunti ad altrettanti a Washington, di incontri, comizi e tutto quello che proprio non riusciva a farsi piacere del suo lavoro di senatrice. Ma si stava impegnando per fare la differenza, per fare del bene e nonostante tutto si sentiva appagata. Kate era stanca, ma non abbastanza stanca per privarsi di quei momenti con suo marito, di quegli abbracci, di poter essere cullata sul suo petto che si alzava e abbassava, di ascoltare il suo respiro e il battito del suo cuore. Era lì che era a casa, tra le sue braccia.

   
 
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