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Autore: Noskdresser    14/07/2023    1 recensioni
La storia riprende gli eventi di FMA narrati attraverso gli occhi di un giovane caporale con dei sentimenti contrastanti nei confronti del colonnello Roy Mustang
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio, Riza Hawkeye, Roy Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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Epilogo

 

Il sangue da lui versato nutrì la terra, dando luce a una moltitudine di fiori rossi che ne illuminarono il cammino. Vigorosa era la luce cremisi delle camelie.

Sebbene ancora lontano dalla fine del suo pellegrinaggio, il ragazzo pianse lacrime di gioia alla vista del sentiero irradiato dai fiori-”

 

“Mi scusi ma che vuol dire cremisi?” Uno dei bambini che circondavano il cantastorie alzò timidamente la mano, interrompendo il racconto.

“Cremisi significa colorato di un rosso vivo-”

Subito al seguito della prima, altre tre mani si alzarono.

“I fiori nascono dal sangue?”

“I fiori fanno luce?”

“E le ferite del ragazzo??”

La figura al centro dei bambini ridacchiò, chiudendo il libro.

“In un racconto fantastico possono succedere tante cose… in questo caso i fiori, il sangue, il cammino, sono tutte varie metafore per..”

Il ragazzo spostò i suoi occhi verdi dal libro al gruppo di bambini che sedevano comodi su dei cuscini attorno a lui. Sguardi confusi e dispersi.

“Forse avrei dovuto proporvi qualcosa di più semplice…”

Il giovane si alzò e ripose il libro nella grande libreria che torreggiava nella stanza, poi fece scorrere il suo dito metallico in cerca di una storia che potesse intrattenere i suoi piccoli ascoltatori. Ne poteva leggere i titoli a malapena, la luce della stanza era soffusa: sfuggiva a fatica dalle tende color pesca che coprivano le vetrate imponenti.

La sua ricerca fu interrotta dal brusco aprirsi della doppia porta in legno d’abete.

Senza nemmeno bussare, un ragazzo dalla folta chioma bionda entrò esuberante.

“È arrivato un pacco! Chi vuole aprirlo con me?”

I bambini furono subito travolti dalla sua eccentrica euforia, e un susseguirsi di “io!” accompagnarono la loro discesa nell’atrio della struttura, lasciando i due giovani adulti da soli nella stanza.

“Ti trovo in gran forma Keith. Vedo che ti piace lavorare qui...”

“Che ci puoi fare, questi pargoli mi adorano.”

“E tu adori loro.”

“Guh! È così evidente?”

“Sì.”

“Meglio se li raggiungiamo, non vorrei rompessero niente. Son arrivate… quelle

Il moro capì subito ciò che intese l’altro, e con passo svelto si precipitarono anch’essi nell’atrio.

L’atrio era un’ampia stanza luminosa col pavimento in granito. Era un punto d'accoglienza e ricevimento. Subito davanti alla porta, era stato lasciato uno scatolone sigillato di medie dimensioni. Alcuni bambini cercarono di sollevarlo, rimanendo sorpresi dal suo attuale peso.

Il ragazzo dalle braccia meccaniche avanzò e sollevò il pacco senza il minimo sforzo, la sua azione si guadagnò gli sguardi stupefatti e i commenti sorpresi dei bambini, mentre Keith sogghignò in un angolo.

“Forza ragazzi, tutti in sala didattica.” La sua voce gentile ristabilì l’ordine, e in pochi minuti tutti i presenti stavano assistendo all’apertura del pacco. Questo conteneva due macchine da scrivere nuove di zecca.

“Chi sa dirmi cosa sono?” Domandò il maestro.

Dopo alcuni secondi di esitazione, una ragazzina alzò la mano.

“Sono macchine da scrivere!”

“Esatto Amanda. Fin’ora vi ho sempre fatto esercitare con penne e matite, ma questi strumenti possono tornavi comodi se volete dare al vostro testo un’aria più uniforme e pulita…”

“In parole povere se avete una pessima calligrafia come il vostro maestro dovreste usarle.”

Alcune risatine interruppero la spiegazione. Nero tirò un’occhiataccia a Keith, che si sistemava i capelli con noncuranza.

“Beh… Keith non ha tutti i torti.”

Il suono delle campane riecheggiò per tutta la città. Era mezzogiorno in punto.

“Le proveremo dopo.” Concluse Nero.

“Già! Oggi si serve la specialità della casa, le polpette al sugo di Amon!”

il giovane Armstrong uscì dalla stanza di corsa, con alcuni orfani al seguito.

“Non correte nelle scale.”

Nero sospirò per poi raggiungere i suoi protetti.

Il pasto era, come sempre, delizioso. Dopo pranzo vi furono le prime prove con la macchina da scrivere, poi la giornata iniziò a scivolare via. Verso la sera si respirava un’aria di pace e libertà. Nero non avrebbe mai voluto cambiare niente di ciò. Il suo quadro perfetto di un orfanotrofio ideale era quello dove le giornate andavano vissute in armonia, sotto tutela dagli irti pericoli del mondo. Era una figura sia autoritaria che amorevole, che voleva veder crescere quelle giovani speranze sane e prospere di amore, per se stesse e per gli altri.

A notte inoltrata, Nero camminava per il primo piano, dirigendosi verso la propria stanza. L’unico suono era quello dei suoi passi sulla moquette, che producevano un rumore sordo.

Ma tutto d’un tratto, un altro suono raggiunse le sue orecchie. Era un ticchettio secco e perpetuo. Incuriosito, il ragazzo aprì la porta della sala didattica, e sulla scrivania vide un’ombra in prossimità della macchina da scrivere.

“Amanda?”

La ragazzina fu colta di sorpresa, balzando per lo stupore.

“Che stai facendo? Sai bene che alle dieci passate è preferibile stiate tutti in camera vostra.”

“Mi… Mi dispiace. È che-”

Nero si avvicinò, e l’orfana abbassò la voce.

“È da quando ci avete fatto provare le macchine che sto cercando di scrivere una lettera ai miei genitori… ma non riesco proprio… non so nemmeno da dove cominciare…”

Una piccola lacrima scese sulla sua guancia, il maestro si chinò e avvicinò con gentilezza le sue dita d'acciaio al volto di Amanda. Un movimento tenero e dolce spazzò via la sua lacrima.

“È tutto ok. Posso aiutarti io, però poi devi promettermi che andrai a dormire.”

“S-sì… grazie mille.”

Nero prese posto vicino a lei. Questa svuotò il suo cuore dei suoi sentimenti più intimi. Nelle sue parole, era afferrabile l’impotenza che la piccola sentiva nei confronti della morte prematura dei suoi genitori, Nero fece del suo meglio per rendere quel foglio una tela colorata di tutte quelle emozioni. Infine, il suo indice meccanico premette l’ultimo punto.

“Ecco qui. Che ne pensi?”

La giovane orfana afferrò la lettera con delicatezza, poi la strinse al petto, come abbracciandola.

“Grazie. Dal profondo del mio cuore.”

Sollevato, Nero sorrise. Amanda si alzò e corse verso la porta, ma prima di uscire pose un’ultima domanda al suo aiutante miracoloso.

“Lei non ha nessuno a cui scrivere una lettera?”

La domanda colpì il ragazzo come una pugnalata. La sensibilità della ragazzina non conosceva limiti, tant’è che le bastarono pochi minuti di intimità per mettere Nero allo scoperto.

“...C’è qualcuno che da tempo attende una mia lettera. Ma ne parliamo un’altra volta, dai, è tardi.”

Amanda sorrise e poi si diresse verso la sua stanza.

Nel buio della sala didattica, l’unica fonte di luce era il fioco splendore lunare riflesso sui banchi e sulla macchina da scrivere. Nero conosceva quell’oscurità, ma aveva imparato a conviverci.

Mise un foglio nella macchina da scrivere e iniziò a battere.

Caro Roy Mustang…”

 

-

 

“Ehi Nero, Nero!”

Una mano toccò con insistenza la nuca del ragazzo. Questo si era addormentato sulla macchina da scrivere, diversi fogli accartocciati vicino a lui. Quando alzò il suo capo intorpidito, incrociò lo sguardo di Amon, che trattenne una fragorosa risata alla vista dei segni a forma di lettere che erano rimasti impressi sulla guancia di Nero.

“Son le nove passate bella addormentata, hai saltato la colazione con i ragazzi.”

Nero sbadigliò stiracchiandosi.

“Scusa, è che…”

Si soffermò a osservare il foglio rimasto nella macchina da scrivere, e poi lo estrasse.

“E questa cos’è? Hai finalmente trovato il ragazzo?”

“Non direi… Amon, mi serve un favore.”

 

-

 

Quartier Generale di Central City, mattina inoltrata.

L’accecante sole estivo irradiava l’imponente struttura accentuandone il pallore.

Come contromisura al caldo, l’ufficio dell’ora generale Mustang fu lasciato in penombra grazie all’ausilio di un tendaggio blu oltremare.

Sparse per il suo ufficio, ancora più scartoffie dei tempi che furono.

Una cosa rimase uguale: I costanti pisolini di Roy e la sua tenente che lo rimproverava per il suo ciclo del sonno mal curato.

Tutto accadde proprio durante uno dei suoi sonnellini mattinieri. Riza entrò dentro l’ufficio del suo superiore, svegliandolo con un finto colpo di tosse.

Mustang si strofinò gli occhi ancora per metà nel mondo dei sogni. Ma una volta vista l’espressione della sua tenente, si ricompose in un battibaleno.

“Che succede?”

“Vi è stata recapitata una lettera… ma…”

La donna posò la busta sulla scrivania del generale, la faccia di quest’ultimo si fece indecifrabile. Avanzò la sua mano verso la lettera, sigillata col marchio dell’orfanotrofio del distretto est, una camelia. Era una struttura recente di cui Roy aveva sentito parlar bene.

Ma la fonte del suo turbamento, era data dal nome del suo emittente.

Un nome che non sentiva da tempo, risuonò nella sua testa come il fruscio del vento.

“Ho già fatto trattenere l’uomo che la portava, ed è disposto a vedervi.”

“Capisco. Puoi lasciarmi qualche minuto?”

“Sissignore.”

Una punta di tenerezza contaminò il tono frigido e professionale di Riza. Rimase giusto fuori dall’ufficio. Sebbene in ambito lavorativo, l’assoluto supporto emotivo che dimostrava per Roy non aveva bisogno di parole.

Da solo nella sua stanza cupa e disordinata, il generale camminava attorno alla lettera sulla scrivania indeciso sul da farsi.

Finché non decise di tagliare dritto al sodo. Afferrò la lettera, ma prima di aprirla, estrasse da una tasca della sua uniforme un pendente con un opale di fuoco. Sospirò e poi strinse la pietra preziosa sopra il suo cuore, in paesi e culture lontane lo avrebbero definito una specie di gesto da preghiera.

Il sigillo fu spezzato, e con uno sguardo determinato, il generale iniziò la sua lettura.

 

Caro Roy Mustang,

Conoscendoti, potresti pensare che questo sia uno scherzo di pessimo gusto.

Conoscendoti, potresti dar fuoco a questa lettera con uno schiocco ancor prima di aprirla.

La scelta è tua, del resto son sparito per due anni, dato per morto, avrei potuto contattarti più volte e non l'ho mai fatto. Perché ero colmo di rancore. E detto francamente, potrei esserlo ancora.

Ma se ora stai leggendo, significa che nelle profondità del tuo cuore l'assurda speranza di credermi vivo non si è mai estinta del tutto.

E questa è una cosa che voglio riconoscerti. Tu mi hai voluto bene, e anch'io.

Ti ho amato.

Ma sappiamo entrambi che quell'amore era il frutto delle parti peggiori del nostro rapporto. Destinato a marcire da acerbo. Ho tagliato quel frutto, l'ho calpestato.

Ho tagliato via te, solo così son potuto andare avanti.

Arrivati a questo punto, ti chiederai quali siano le mie intenzioni.

Vorrei rivederti.

Il 17 alle 22:00 sotto la fontana di Central.

Il tuo ex caporale, Nero Adler.

 

-

 

“… Haah…”

Senza nemmeno rendersene conto, il volto dell’uomo grondava di lacrime. Le sue sopracciglia contorte in un’espressione di agonia, ad ogni singhiozzo ancor più lacrime sgorgavano dai suoi occhi neri. Avvicinò la lettera al suo viso.

Poteva sentirne l’odore.

L’odore del suo figlio perduto.

Alla fine Roy decise di accogliere l’uomo che recapitò la lettera.

Questo entrò nel suo ufficio. Avevano all’incirca la stessa età, lui con la carnagione mulatta e una piccola cicatrice sullo zigomo.

Nell’istante in cui mise piede nella stanza, Roy sentì tirare una brutta aria. Amon era bravo a nasconderlo, ma Roy conosceva quegli occhi. Nel suo ambiente lavorativo saper leggere le persone poteva essere un fattore determinante, quindi lo capì in un millesimo di secondo: Quell’uomo non provava alcuna stima nei suoi confronti.

“Ti ringrazio, profondamente.”

Lo sguardo di Amon si ammorbidì. Il dissapore era vivido, ma non era un mostro. Poteva percepire l’ingenuità di tutte le emozioni che si agitavano nel cuore del generale in quel frangente. Quindi, mosso più dalla pietà che dall’antipatia, gli chiese:

“Cosa farai?”

Mustang alzò gli occhi, stanchi per il pianto.

“Lo incontrerò.”

In vista dell’evento, la notte avanzò incombente. Gli abitanti di Central City tornavano alle loro abitazioni, chi chiudeva le persiane, chi spegneva le luci, rendendo il piazzale lentamente sempre più buio e fermo nel tempo. Ma nel silenzio, la fontana continuava a pompare acqua fragorosa.

Una presenza enigmatica attendeva seduto con quel perpetuo muro d’acqua come sfondo.

Somigliava a un dipinto.

I suoi capelli neri, come sempre folti e scompigliati, si perdevano nel cielo notturno. Gli occhi, verdi, ingannavano la sua impazienza e tensione.

Indossava una camicia bianca dal tessuto leggiadro e soffice che creava un bizzarro contrasto con le sue mani d’acciaio.

Con un profondo respiro assaporò l’aria fresca della notte. Ormai era questione di pochi minuti.

La luce dei fari di una macchina catturò la sua attenzione, questa accostò vicino alla fontana e poi si spense. La portiera si aprì, lasciando scendere un uomo dal lungo cappotto e lo sguardo di chi guardava un sogno materializzarsi davanti a sé.

Il ragazzo si alzò dalla fontana. L’uomo d’impulso, sarebbe voluto correre verso di lui e stringerlo tra le sue braccia, senza lasciarlo andare mai più.

Ma ciò che accadde, è che questo camminò verso di lui a testa alta.

I minuti in cui esplorarono l’uno gli occhi dell’altro volarono. Poco dopo Mustang abbassò lo sguardo, notando le mani meccaniche di Nero. Alla realizzazione che il ragazzo perse entrambe le braccia, il suo cuore si strinse. Con l’amaro in bocca, proferì parola.

“Nero… Sei davvero tu. Posso… Posso toccarti?”

Il ragazzo fece cenno di sì con la testa.

La mano del suo ex colonnello toccò la sua guancia. Era grande, calda, rassicurante. L’altra toccò il suo fianco, scorrendo sulla sua camicia. Infine, entrambe afferrarono le sue mani argentate.

“… Posso… abbracciarti?”

Lo sguardo del ragazzo si intristì, ma fece nuovamente cenno di sì.

La figura più grande propese verso di lui, accogliendolo in una malinconica stretta. All’uomo sembrò di abbracciare una statua, e sentendo i suoi automail, iniziò a versare lacrime mute. Erano lacrime di gioia e tristezza.

Quello che avrebbero potuto avere, quello che hanno perso, quello che sono stati. Era tutto contenuto nel suo affanno.

Ma al contempo, forse ad aver la meglio fu la felicità. Del resto, per qualche miracoloso intreccio del fato, stava di nuovo stringendo Nero tra le sue braccia.

Il ragazzo non serbava più odio. Il suo rancore si era tramutato in apprensione. L’ansia, il nervoso e lo stress che in altri tempi avrebbe avuto alla sola presenza di quell’uomo, la stessa tensione che provava pochi minuti prima, si erano finalmente placati dentro di lui. Fu l’incontro che sancì in definitiva la strada che avrebbe percorso d’ora in poi.

“Nero, mi dispiace, mi dispiace… mi dispiace, mi-”

La voce dell’uomo si ruppe, mentre continuava come un disco rotto. Il ragazzo non lo fermò.

“Non chiedo il tuo perdono, non son così sfacciato da chiederti nemmeno di farmi restare nella tua vita. Concedermi di vederti un ultima volta, farmi sapere che sei vivo, è stato già davvero tanto per me.”

Le sue parole scorrevano insieme al suo pianto, ma rimbalzavano contro il silenzio assoluto del ragazzo.

“Non so quanta importanza abbia dirtelo ora, ma io sono fiero di te, e ti vorrò bene. Per sempre.”

Una singola lacrima si fece strada tra il cuore intrecciato del giovane. Le memorie migliori di quell’infanzia turbolenta ricomparvero come una lunga mostra di vecchi quadri appesi.

“Roy…”

L’abbraccio venne interrotto.

“Nonostante tutto, grazie. Non ti dimenticherò mai.”

L’uomo si strofinò la faccia asciugandosi le lacrime, e poi la sua bocca si curvò in una smorfia agrodolce. Avrebbe voluto solo un po’ di tempo in più, ma ormai il ragazzo aveva iniziato ad allontanarsi. Ad ogni passo, usciva sempre più dalla sua vita.

Era giusto così, e lo sapevano entrambi.

“…”

Malgrado ciò, si ritrovò a chiamare il suo nome.

“Nero!”

Questo si fermò, voltandosi curioso.

 

Il tono di Roy riacquistò fermezza, facendo le veci del padre per l’ultima volta.

 

“Nero, sei felice?”

 

Il giovane adulto chiuse gli occhi e donò all’uomo il sorriso più bello del loro vissuto.

 

“Sì.”

 

   
 
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