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Autore: edoardo811    24/07/2023    1 recensioni
La Foschia è svanita. I confini del campo sono scomparsi e ora tutto il mondo può vedere i mostri per quello che sono realmente.
DANIEL non è mai stato un ragazzo socievole, per un motivo o per un altro, si è sempre trovato meglio da solo, lontano da tutti, perfino dal Campo Giove. Nemmeno i mostri hanno mai provato ad ucciderlo, come se non fosse mai esistito realmente.
CAMILLE è un pericolo, per sé stessa e per gli altri, una figlia di Trivia abbandonata in fasce, indesiderata, costretta a convivere con un lato di sé che non vuole fronteggiare, per paura di quello che potrebbe scatenare.
KIANA è una figlia di Venere, orgogliosa e testarda, che dovrà fare i conti con le conseguenze delle sue azioni.
Tra auguri scansafatiche, eroici pretori e conflitti interiori nel Campo Giove, tre ragazzi diversi tra loro, tre nullità della Quinta Coorte, si ritroveranno con un obiettivo comune: imbarcarsi in un viaggio tra mostri, traditori, nuovi e vecchi nemici per impedire che il mondo sprofondi nel caos.
Genere: Avventura, Fantasy, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Dei Minori, Ecate, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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XXV

Clint Eastwood affronta l'Anti Ecate



Anche se il viaggio non fu molto lungo, Camille si addormentò di nuovo. Sognò quella che aveva tutta l’aria di essere una città fantasma dei film western, con case di legno, una cisterna d’acqua e un campanile, mangiatoie e abbeveratoi per cavalli, perfino un vecchio saloon. Doveva essere da qualche parte all’interno della Valle della Morte, a giudicare dal paesaggio desertico e roccioso tutt’attorno. E, soprattutto, era un covo di mostri. Erano ovunque, tra le strade di terra battuta, appoggiati contro le pareti, alcuni trasportavano carretti pieni di armi, altri divoravano cosciotti di carne, e Camille non voleva sapere se fosse animale o meno. 

Fuori dalla chiesa della città, un edificio molto più grosso e appariscente, di marmo bianco anziché legno, vide anche dei patiboli. E appeso a testa in giù ad uno dei cappi, c’era Shinjiro. Il suo vestito elegante era sgualcito, aveva i capelli sfatti e le borse sotto gli occhi. Non appena lo vide Camille sentì il petto stringersi in una morsa. Certo, sembrava sempre un Truffatore con la T maiuscola, ma l’aveva aiutata contro Lamia, ed era stato gentile con lei. Si era ritrovato coinvolto in quella faccenda che non lo riguardava e ne stava pagando le conseguenze più di tutti. Non sembrava aver perso la sua verve, comunque, perché continuava a chiamare tutti i mostri che gli passavano vicino, sfoderando il migliore dei sorrisi affabili che potesse permettersi in quelle condizioni e domandando loro di liberarlo in cambio di chissà quali ricompense. 

Se non altro era ancora vivo. E presto sarebbe stato libero.

La vista cambiò e si ritrovò all’interno della Principia, dove Elias, Marianne, Dante e diversi altri centurioni stavano discutendo attorno al tavolo, di fronte a una cartina del Campo Giove. Avevano segnato con delle X rosse alcuni punti attorno ai Campi di Marte, probabilmente luoghi da cui si aspettavano degli attacchi. 

Vedere Mary e Dante assieme a tutti gli altri la rincuorò. Elias era stato di parola, li aveva liberati, e non sembrava che ci fosse alcun astio tra di loro. O forse avevano deciso di lasciarlo fuori dalla porta in vista di problemi ben più grossi. Non sembravano nemmeno feriti, giusto un po’ scossi, soprattutto Dante. Non credeva di averlo mai visto così cupo e severo, sembrava tutta un’altra persona. 

Mentre parlavano di come allestire le difese, l’augure drizzò la testa proprio verso Camille. Corrugò la fronte e la ragazza rimase immobile, a ricambiare il suo sguardo. Non era sicura che avesse capito fosse lì, o che fosse lei tanto per cominciare, però sentì di nuovo il petto stringersi, questa volta in modo diverso. Il momento non durò molto, e Dante riportò la testa sul tavolo come se non fosse successo nulla.

Resistete” pensò Camille. “Presto riavremo la Foschia.”

La visuale cambiò ancora. Si ritrovò tra delle alte dune desertiche sotto un cielo pieno di stelle brillanti come diamanti. Come gli occhi di Notte. Sentiva che qualcosa non quadrava. C’era una forza che opprimeva l’aria, una mano invisibile che la stava schiacciando a terra dall’alto. Ed era molto familiare. Abbassò lo sguardo e vide che nella conca in mezzo alle dune c’era qualcosa che spuntava dalla sabbia. Era una specie di grosso rettangolo così nero da non riflettere la luce, perfettamente dritto. Sembrava che qualcuno l’avesse piantato lì. O forse, stava spuntando da sotto terra. Un brivido le percorse la schiena non appena ebbe quel pensiero.

Alcune delle cose che aveva sentito in quei giorni le balenarono nella mente. Kiana aveva sentito Periboia dire che la terra avrebbe rigettato tutto il suo male. Ecate aveva detto che “qualcosa” si stava aprendo. E per finire, quel lestrigone aveva menzionato la sua defunta moglie, con cui presto si sarebbe riunito. Si sarebbe riunito con lei eccome, ma Camille non pensava che intendesse quello.

Nel profondo le sembrò di sapere cosa stesse succedendo, ma la sua mente si rifiutava di collaborare con lei. Non poteva essere davvero così. Forse si stava sbagliando. Forse…

«Cam. Cam, sveglia!»

Il sogno cominciò a dissolversi, mentre la voce di Kiana la chiamava distogliendola da quei pensieri.

 

***

 

Stavano ancora galoppando quando si svegliò. Kiana la stava scuotendo per la spalla. «Ehi, va tutto bene?»

«S-Sì, sì…» riuscì a mugugnare in risposta. «Quanto… quanto ho dormito?»

«Qualche minuto. Abbiamo seguito la strada che ci hai detto, ma poi non hai risposto se era quella giusta.»

Camille tentò di fare mente locale. Poteva ancora percepire il legame. Vide il fascio di luce che proseguiva dritto di fronte a loro, in mezzo a delle montagne acuminate. Sembravano delle stalagmiti gigantesche. «S-Sì, è la strada giusta…»

«Sicura di stare bene?» domandò Kiana. Non si girò per guardarla, ma sentiva il suo tono di voce preoccupato.

«Me la caverò» rispose Cam. Forse aveva esagerato prima, quando aveva ordinato a sé stessa di dormire, ma se non altro era riuscita a trovare la strada giusta. Non avrebbe lasciato che quello la ostacolasse. «Ho… ho fatto un sogno.»

Raccontò brevemente tutto quello che aveva visto. Qualunque cosa significassero quei mostri e quella specie di lastra nel terreno, Kiana non sembrò avere teorie in merito. Ancora una volta non vide il suo volto, ma poté immaginare la sua espressione sollevata quando le disse che Marianne stava bene e stava collaborando con gli altri.

«Sbrighiamoci a finire questa storia» tagliò corto. «Sono stanca di questo stupido deserto.»

«Siamo in due» rispose Camille.

Sentiva gli occhi pesanti. Avrebbe davvero voluto tornarsene a Furnace Creek per una tisana e una dormita in uno di quei comodissimi letti. Avanzarono tra le montagne lungo un sentiero che portava verso l’alto. Galopparono a lungo accanto alle altissime pareti scoscese, finché il legame non si fece ancora più forte. Sbucarono in una grossa conca di roccia e terra, che sembrava perfino più sperduta e desertica di tutti i paesaggi che avevano visto fino a quel momento. Al fondo di essa, si trovava l’ingresso di una miniera abbandonata, con delle assi di legno marcio a bloccare il passaggio. Proprio come quello che aveva visto nella sua visione.

«Ferma» mormorò. «È qui.»

«È… tranquillo» commentò Kiana. «Non dovrebbero esserci dei mostri di guardia o…?»

«Tutte le loro risorse le stanno già usando altrove» rispose Camille, cupa, mentre pensava alla città che aveva visto in sogno. Si stavano preparando a invadere il Campo Giove, e forse dall’altra parte del paese stavano facendo lo stesso con il campo greco. «E comunque, qui c’è già Clizio. Penseranno che sia sufficiente.»

«Tsk. Hai detto bene, “pensano”.»

Kiana smontò da Penelope con la lancia tra le mani. Sembrava tesa, ma non poteva biasimarla. Anche lei lo era. Le sue gambe indolenzite per il viaggio protestarono a gran voce quando la raggiunse a terra.

«Io… ehm…» provò a dire Penelope, con lo sguardo incollato sulla miniera.

Camille posò una mano sul suo braccio, gentile. «Non serve che scendi con noi. Hai fatto fin troppo, Penelope.»

La centaura sembrò genuinamente sollevata. Un conto era scarrozzarle in giro, un conto era andare faccia a faccia con un gigante. Quella poveretta aveva rischiato già troppe volte di finire nel fuoco incrociato. «Rimarrò qua fuori ad aspettarvi. Voi però dovete promettermi che tornerete!»

La figlia di Trivia sorrise. «Certo che lo promettiamo. Vero Kiana?»

Kiana sollevò il pollice. «Rimani nascosta Penny. Torneremo il prima possibile. E vedi di non perdere i nostri zaini in giro!»

«N-No, certo che no!» assicurò Penelope, prima di trotterellare via. «Ci vediamo dopo!»

«Pronta?» domandò Kiana quando rimasero sole.

Camille inspirò profondamente, poi annuì. «Pronta.»

La figlia di Venere sollevò il mignolo e Camille glielo strinse. Nel bene e nel male, sarebbero rimaste insieme.

Cam non ebbe difficoltà a entrare nella miniera. Kiana invece faticò un po’ di più, per via della sua statura, ma tra un’imprecazione e l’altra riuscì a infilarsi tra le assi di legno.  

Non passò molto prima che la luce del mondo esterno si affievolisse e l’odore asfissiante della galleria cominciasse a impregnare l’aria. Era esattamente il tipo di puzza che ci si può aspettare da un luogo da cui non si ha certezza di fare ritorno: un pizzico di chiuso, un po’ di muffa e una lieve aggiunta di morte.

Lungo le pareti erano appese vecchie torce e lampade ad olio, ma erano ormai spente, o rotte, così Camille accese un fuoco nelle proprie mani per illuminare la strada. Avrebbe potuto fare luce anche con altre magie, ma il fuoco era la cosa che le riusciva meglio.

Passarono accanto ad alcuni carrelli minerari, dentro i quali, con enorme orrore considerando ciò che aveva tra le mani, trovò dei candelotti di dinamite ancora intatti. Si voltò verso Kiana e si accorse della suo sguardo interessato.

«No» le disse subito. «A meno che tu non voglia che questo posto ci crolli addosso.»

La sua amica fece un verso deluso, ma non discusse. Proseguirono seguendo i binari della miniera. Più avanzavano e più sentiva il cuore salirle nella gola. Le sembrava che Clizio si stesse annidando in ogni ombra, ogni nicchia, ogni cunicolo. Raggiunsero diverse biforcazioni, ma non ebbe problemi a orientarsi: il legame le mostrò la strada giusta per tutto il tempo.

Ben presto, i binari sparirono da sotto i loro piedi, rimpiazzati da nuda roccia e terra. E ben presto, nemmeno il legame le fu più necessario per percepire il buco nero di energia che era Clizio. Anche le fiamme nel suo palmo reagirono alla sua presenza, perché cominciarono a sfarfallare. Mantenne la concentrazione per non farle spegnere, e la cosa fu molto più difficile di quanto avrebbe potuto, o voluto, immaginare.

Kiana non aveva più detto una parola da quando erano entrate. L’unica cosa che proveniva da lei era il rumore dei suoi passi sul terreno scosceso della galleria e il suo respiro.

«Forza» sussurrò, più a sé stessa che a Kiana. «Ci siamo quasi.»

Dopo quelle che le parvero ore trascorse in quel labirinto di cunicoli e gallerie, si sentì come se si fosse schiantata contro un muro invisibile di energia. Il respiro le si mozzò e il fuoco tra le mani si affievolì come una candela al ruggito del vento. Nonostante questo, non piombarono nel buio: dal fondo della galleria proveniva una flebile luce.

Per alcuni istanti non trovò il coraggio di proseguire. Ricordava quella luce, era la stessa che aveva visto nel suo sogno, la prima volta. Al fondo di quella galleria c’era la sala in cui Ecate era tenuta prigioniera.

«È… è lì?» bisbigliò Kiana, come se le avesse letto nel pensiero.

«Sì.» Camille inspirò, poi marciò verso la luce. «Andiamo.»

Era tutto come lo aveva visto. Le torce appese alle pareti, i simboli incomprensibili dipinti su di esse… e la dea imprigionata proprio in mezzo alla stanza. Aveva la testa a penzoloni, gli occhi sigillati ed era perfino più pallida di quanto ricordasse, con la pelle così bianca da ricordare uno degli scheletri di Elias.

«Mamma…» fu tutto quello che riuscì a dire Camille. Sua madre, la potente dea della magia, ridotta ad una pedina nelle mani dei loro nemici. Un ostaggio, un diversivo. Sentì la rabbia crescerle a dismisura nel corpo. E le cose non migliorarono affatto quando, dall’anfratto buio al fondo della stanza, comparve fuori quel gigante fatto di fumo dagli occhi di cristallo.

«Clizio» sibilò non appena lo vide.

Il gigante la scrutò dall’alto, stoico come una montagna. La sua aura opprimeva ogni centimetro di quella stanza, tanto che a Camille sembrava di sprofondare nel terreno, ma non avrebbe mai e poi mai mostrato esitazione o paura di fronte a lui. Sapeva che sarebbe arrivato quel momento, ed era pronta. Lo avrebbe sconfitto e poi avrebbe liberato Ecate. Non avrebbe fallito.

«Ciao sorellina.»

Quella voce la fece irrigidire. Arrischiò un’occhiata alle sue spalle: proprio in mezzo all’ingresso della stanza, c’era Ruby. «Ce ne avete messo di tempo.»

«Magnifico…» mugugnò Kiana, mentre l’empusa si avvicinava a loro.

Anche Clizio si mosse. Ben presto, si ritrovarono bloccate tra la padella e la brace. Camille strinse i pugni. Non si era affatto scordata quello che era successo in quella maledetta prigione.

«Dove sono Sapphire ed Encelado?» domandò alla sorella.

«Per sconfiggervi bastiamo io e Clizio.»

«Staremo a vedere. Kiana…» aggiunse Camille a bassa voce. «Tu pensa a Ruby. Io…»

«No, Cam. Tu pensa a Ruby.»

«Cosa? Ma…»

«Non posso affrontarla io» la interruppe Kiana, prima di schiarirsi la voce. «I… i suoi poteri… non riesco ad affrontarla.»

Camille ci impiegò molto più tempo di quanto avrebbe dovuto per capire di cosa stesse parlando. In effetti, anche la prima volta che avevano affrontato Ruby si era accorta di come Kiana avesse esitato.

«Ma… pensi di farcela con Clizio?» le domandò, ottenendo come risposta una strizzata d’occhio.

«Picchiare giganti stupidi è la mia specialità.»

Cam riuscì a sorridere. L’aveva già detto ma l’avrebbe ripetuto altre migliaia di volte: non poteva chiedere un’amica e un’alleata migliori di Kiana.

«Avanti, bestione» asserì la figlia di Venere marciando verso Clizio. «Tua sorella Periboia è stata una passeggiatina. Cerca di essere meno patetico!»

Clizio rispose con un mugugno. Dalle tenebre plasmò uno spadone grosso quanto un palo della luce, di Ferro dello Stige.

«Oh. Okay» mormorò Kiana. «Bene. Fatti sotto!»

La semidea si lanciò all’attacco, ma Camille non rimase a guardare. Spostò l’attenzione su Ruby, che nel frattempo si era avvicinata.

«Guarda, sorella» le disse, accennando con il mento a Ecate. «Nostra madre si credeva intoccabile. La dea della magia, un Titano, a detta sua. Osservala ora. Se siamo riusciti a imprigionare una dea potente come lei, cosa pensi che succederà a tutti gli altri? Combattere è inutile. Non avete speranze.»

«Hai detto le stesse cose anche a Lamia, quando l’avete imprigionata e imbrogliata?»

Ruby si irrigidì. «Lamia era solo un’ingenua. Pensava di poter avere la sua vendetta senza unirsi a noi. Alla fine ci sarebbe stata solo d’intralcio.»

«E quindi vi siete unite a Notte» proseguì Camille, la rabbia che le scorreva a mille nelle vene. «Pensi davvero che a lei importi qualcosa di voi? Vi sta solo usando. L’unica cosa che vuole è il controllo del mondo.»

«Ed Ecate che cos’ha fatto?!» tuonò Ruby. «Almeno Notte è stata onesta! Se la serviremo, lei ci proteggerà e ci darà una casa. Qualcosa che nostra madre ci ha tolto tanto, tanto tempo fa. A lei non importa di noi.»

«Ma a me importa!»

Camille strinse i pugni, mentre Ruby la osservava esterrefatta. Sentì gli occhi che faticavano a trattenere le lacrime e il petto che faceva male.

«A me importa di voi» ripeté, con un sussurro. «Non voglio combattere con te, Ruby. Né con Sapphire né con nessun’altra. Sei… sei mia sorella. E niente potrà mai cambiare questo. So che non ti fidi di Ecate, ma… ti prego, fidati di me.»

Tese una mano verso di lei. Non le importava se erano diverse, non le importava se erano schierate in fazioni opposte, non le importava se era un mostro: era sua sorella. Lei, che non aveva avuto nessun’altro in tutta la sua vita, ora aveva delle sorelle. E voleva conoscerle, e stare assieme a loro, ed essere loro amica, e avere tutto quello che non aveva mai avuto.

«Non dobbiamo combattere, Ruby. Io ti prometto che troverò una soluzione. Sistemerò le cose tra voi e nostra madre. Lo… lo giuro su…»

«No.» Ruby scosse la testa. Quando la guardò, non c’era più rabbia nei suoi occhi rossi, solo tristezza. «È troppo tardi, Camille. Non fare giuramenti che non puoi mantenere.»

«Ruby…»

«Basta. Combatti, o togliti di mezzo.»

Il braccio di Camille scivolò lungo il suo fianco. Osservò Ruby, poi Ecate, poi Kiana che combatteva contro Clizio con tutte le sue forze. Rotolava a terra per schivare lo spadone, si rialzava, colpiva con la lancia, poi ripeteva, in un circolo vizioso che, entrambe sapevano, non avrebbe avuto fine finché Ecate non sarebbe stata liberata.

«Non mi farò da parte» disse piano, tornando a guardare la sorella.

«Allora sarai distrutta.»

Il corpo di Ruby si coprì di fiamme, poi scattò verso di lei. Camille tentò di sollevare una barriera di energia, ma i suoi poteri non funzionarono. La presenza di Clizio annullava la sua magia. Strinse i denti e schivò l’attacco di Ruby con una capriola, poi sguainò la daga. Non era brava con quel tipo di combattimento, ma non aveva altra scelta. Vide delle fiamme saettare verso di lei e saltò all’indietro, tenendosene a distanza, ma subito dopo, tra le luci arancione, gli occhi rossi di Ruby balenarono assieme ai suoi denti affilati.

Indietreggiò, mentre la sorella l’attaccava con tutto quello che aveva. Non poté fare altro, l’empusa era molto più forte e veloce di lei. A tenerla viva furono l’addestramento romano e i suoi riflessi da semidea, che mai come in quel momento sembrarono così tanto vigili.

Uno degli artigli di Ruby riuscì a ferirla a un braccio, strappandole un grido, ma non si sarebbe mai lasciata fermare da qualcosa di così banale. In diverse occasioni riuscì a trovare delle aperture per contrattaccare, ma anche i suoi fendenti andarono a vuoto.

Sapeva che non avrebbe potuto continuare di quel passo. Era una schiappa a combattere e la fatica cominciava già a farsi sentire, mentre Ruby sembrava inarrestabile. Tuttavia, la sua mente iperattiva viaggiava alla velocità della luce, alla ricerca di qualsiasi modo per concludere quello scontro al più presto. Mentre indietreggiava, con le fiamme che danzavano attorno a loro, si accorse che l’empusa, dopo ogni sua artigliata, lasciava sempre un’apertura per contrattaccare.

Camille balzò all’indietro, rivoli di sudore che le colavano sulla fronte, sia per il fuoco che per la tensione, e attese il momento propizio. Ruby non si fece attendere. Ormai non c’era più nulla di umano nel suo aspetto: con gli occhi rossi, i denti affilati e le gambe da empusa pareva una mostruosità uscita da un libro dell’orrore.

Gridò e si fiondò su di lei lasciandosi dietro una scia infuocata. Camille piantò i piedi a terra e attese, consapevole di avere una sola possibilità. Il tempo sembrò rallentare, mentre pensava a tutto quello che c’era in palio. Se avesse fallito, nessuno avrebbe potuto salvare Ecate. Con un movimento fulmineo, si gettò di lato, schivando l'attacco di Ruby, e allo stesso tempo riuscì a colpire l'empusa sul fianco, tra le fiamme che la avvolgevano. Ruby emise un grido di dolore, il fuoco che la circondava si affievolì per un istante. Approfittando dell'apertura, Camille si lanciò verso Ruby con tutta la sua forza rimanente. Riuscì a infliggere colpi decisi, cercando di sfruttare al massimo quell'unico momento di vantaggio, ma malgrado le ferite, Ruby non si arrese.

Le due sorelle si scagliarono l'una contro l'altra in una furiosa lotta. Camille era guidata dalla sua determinazione, mentre Ruby cercava di recuperare dalla ferita subita. Ogni attimo era cruciale, ogni movimento contava. Mentre si muovevano tra le fiamme, l'energia e la volontà di Camille raggiunsero il loro culmine. Sentì qualcosa smuoversi nel suo petto, come se la magia rimasta assopita in lei si stesse risvegliando.

Quando fu Ruby a sottrarsi da lei, per colpirla con una palla di fuoco, la ragazza sollevò una mano di riflesso e una sfera ancora più grande di quella dell’empusa si propagò dal suo palmo. La stanza s’illuminò quando i due dardi si scontrarono tra di loro, per poi amalgamarsi in un unico proiettile incandescente che si precipitò su di Ruby.

Il mostro gridò per la sorpresa, ma non poté fare altro: le fiamme la investirono completamente, scagliandola a terra con un urto violentissimo. Ruby si premette una mano sulla ferita al fianco, annaspando, ma quando provò a rimettersi in ginocchio le gambe le cedettero.

Camille, sbalordita di quello che era riuscita a fare, per poco non crollò a terra a sua volta. Si sentiva svuotata, come se quell’unico sprazzo di magia le avesse prosciugato tutte le riserve di energia che le erano rimaste. Lottando contro la nausea, si avvicinò alla sorella con la daga stretta nel pugno. L'empusa era a terra, priva delle sue caratteristiche mostruose.

La ragazza sollevò la daga, ma si bloccò di fronte agli occhi della sorella, che la scrutavano rabbiosi, frustrati, e anche spaventati. Aveva perso, e lo sapeva. Nulla avrebbe potuto aiutarla, ormai.

«Avanti… fallo» le bisbigliò, mentre la ferita sul fianco gocciolava sul pavimento. «Che cosa aspetti?»

A un tratto, Camille non vide più Ruby, ma Lamia. Una semidea, divenuta mostro, che aveva perso ogni ragione per cui vivere quando i suoi figli erano stati uccisi. Una sorella abbandonata che non aveva mai avuto giustizia. Per Ruby le cose non potevano essere molto diverse. Ma sotto quella parte mostruosa, rimaneva comunque sua sorella. Ed era stanca di vederle morire.

«Basta, Ruby» sussurrò, mentre abbassava la daga con le mani tremanti. «Non voglio ucciderti. Voglio aiutarti.»

«Stupida!» esclamò Ruby. «Non l’hai ancora capito?! Non c’è niente che tu possa fare!»

«Ci devo provare.»

Ruby la guardò, gli occhi pieni di incredulità. «Io… tu… tu non puoi…»

Un urlo lacerò l’aria, interrompendola. Camille sentì il respiro mozzarsi. Si voltò, per poi trovarsi di fronte una scena che le trasformò le gambe in gelatina. «Kiana!»

La figlia di Venere era a terra, con la fronte che sanguinava e la lancia a qualche metro di distanza. Clizio torreggiava alle sue spalle. Camille strinse la daga e si fiondò verso di loro, senza nemmeno avere un piano preciso in mente, ma si bloccò quando il gigante sollevò il piede sopra il corpo di Kiana, abbastanza grande per schiacciarla completamente.

«Ferma dove sei, figlia di Trivia

A parlare non fu Clizio, ma Kiana. Proprio come quando l’Anti Ecate era apparso al campo Giove la prima volta e aveva usato Ashley come oratrice. La figlia di Venere muoveva le labbra nonostante fosse a terra priva di sensi, come se parlasse nel sonno. «O la tua amica muore.»

Camille sentì il cuore stringersi nel petto. Non poté fare altro che obbedirgli, oltre che incolparsi per non aver sconfitto Ruby abbastanza velocemente per poter aiutare Kiana.

«Deludente, Ruby. Ti sei fatta battere da questa insulsa semidea.»

«Sei tu che non hai annullato la sua magia!» sbottò Ruby inviperita, mentre Camille la sentiva rimettersi faticosamente in piedi.

«… ciononostante, hai fatto un pessimo lavoro. Non sarebbero dovute arrivare fin qui tanto per cominciare.»

L’empusa digrignò i denti, ma non disse altro. Camille poteva avvertirne la presenza alle sue spalle, ma non si voltò.

«Lasciala andare, Clizio!» esclamò invece. «Questa faccenda riguarda me e te.»

«E allora perché anche lei è venuta qui?» Clizio abbassò il piede fino ad appoggiarlo sulla schiena di Kiana, con un sorrisetto dipinto sul volto d’ebano. «Questo insetto ha cercato di interferire. Forse dovrebbe fare la fine che si merita.»

Camille inorridì. «Fermo!»

Il piede non si mosse. La figlia di Trivia sentiva il cuore rimbombarle nel petto. «L-Lasciala stare. È me che vuoi. Eccomi, sono qui.»

Clizio la scrutò dall’alto come se davvero fosse stata un moscerino. «Ammetto che sei stata abile ad arrivare fino a qui. Ma immagino che sia tutto merito di tua madre» alluse col mento alla dea incatenata. «Ma purtroppo per te, i tuoi sforzi sono stati inutili. Avanti, Ruby. Finiscila.»

La figlia di Trivia sentì Ruby irrigidirsi. Si voltò appena verso di lei, in modo da avere ancora Clizio nella coda dell’occhio, e incrociò il suo sguardo. Nei suoi occhi, vide ancora una volta quel barlume di incertezza e paura.

«Ruby…» sussurrò.

Ruby si irrigidì ulteriormente. I suoi occhi rossi baluginavano tra lei e Clizio.

«Adesso, Ruby!»

L’empusa abbassò la testa. Strinse i pugni con forza. Poi, quando rialzò lo sguardo, sollevò entrambe le braccia e due sfere infuocate esplosero dalle sue mani.

Ma non andarono verso Camille.

Il grido furibondo di Clizio si propagò dalla gola di Kiana per un istante, prima che quel contatto con lei s’interrompesse del tutto. Il gigante barcollò all’indietro, le fiamme sull’armatura di Ferro dello Stige che si estinguevano, mentre l’empusa si fiondava su di lui.

«Libera Ecate!» ordinò a Camille. «Io lo trattengo!»

Camille non riuscì a trattenere un enorme sorriso. «Sì!»

Prima di correre verso sua madre, però, si ricordò di una cosa. Afferrò il ciondolo che le aveva regalato Elias e osservò Ruby affrontare il gigante, in uno scontro che non avrebbe mai potuto vincere. Avvertì un brivido lungo la schiena. Il pretore le aveva detto che anche lei poteva controllare gli scheletri, ma non c'aveva mai provato prima. Deglutì. Doveva tentare. Si chinò e piantò il dente a terra, implorando chiunque fosse là sotto di aiutarla. Sentì un brivido lungo il braccio, una scossa elettrica che dalla spalla scendeva fino al palmo, e l'oggetto affilato sprofondò nel suolo come un coltello che tagliava il burro.

Subito dopo, la terra si squarciò e un bagliore violetto si alzò in aria, mentre due file di dita bianche come il latte si aggrappavano al bordo. Dalla crepa spuntò fuori uno degli scheletri di Elias, forse un cercatore d’oro rimasto intrappolato nella miniera, con poche ciocche bionde che spuntavano da sotto il cappello da cowboy, una bandana nera attorno al collo e i vestiti logori. Aveva un vecchio revolver arrugginito nella fondina e un fucile a tracolla.

Camille lo squadrò incredula. Sembrava la versione zombie di Clint Eastwood, e non sapeva bene cosa pensare di ciò.

«Ti… ti prego, aiuta mia sorella!» e indicò verso Clizio e Ruby. «Non… farle del male, okay? Occupati solo del gigante!»

Zombie Eastwood osservò il bersaglio ed emise uno strano scricchiolio con i denti. Si avvicinò a Clizio ed estrasse la pistola, anche se Camille non aveva idea di come potesse essergli utile. Non credeva nemmeno che funzionasse ancora, rovinata com’era. Per un attimo pensò che Elias le avesse rifilato uno scheletro difettoso, ma quando quello premette il grilletto non solo l’arma funzionò, ma i suoi proiettili perforarono anche l’armatura di Clizio, strappandogli un grido muto.  

Il gigante, e perfino Ruby, osservarono il nuovo arrivato esterrefatti, prima che questo si sfilasse il fucile dalla tracolla e cominciasse a riempirlo di piombo. Clizio indietreggiò, perdendo la presa sullo spadone, che cadde a terra con un fortissimo clangore metallico. Ruby, realizzando che lo scheletro non aveva alcun interesse per lei, si unì all'attacco assieme all’improbabile alleato, scagliando palle di fuoco contro l’anti Ecate. Insieme, riuscirono a intrappolarlo in un vortice di attacchi dal quale non poteva difendersi.

Camille, scioccata e meravigliata, si sforzò di distogliere l’attenzione dallo scontro per precipitarsi da Kiana. Sapeva di dover liberare Ecate, ma non poteva lasciare l’amica così vicino a quello scontro mortale. Alcuni colpi di tosse provennero dalla figlia di Venere, mentre la trascinava faticosamente via.

«C-Cam?» le domandò, con espressione confusa. «Ma… ma cosa…?»

«Va tutto bene» rispose Camille, colma di sollievo. «Ruby è con noi adesso. E… anche quello scheletro.»

I colpi di fucile dello scheletro sembravano cannonate all’interno di quella stanza claustrofobica, mentre le palle di fuoco di Ruby lasciavano striature rossastre nella penombra. Sembrava uno spettacolo pirotecnico di luci e suoni.

Kiana sembrò accorgersi solo in quel momento di cosa stesse accadendo. «Ho… ho battuto la testa e ho le allucinazioni?»

«Se è un sogno, non voglio svegliarmi» ribatté Camille, prima di alzarsi in piedi. «Resta qui. Io libero mia madre!»

La figlia di Venere non rispose nemmeno, troppo presa da quella battaglia che aveva di assurdo e di incredibile al tempo stesso. Perfino Camille si sarebbe stranita se al suo risveglio si fosse trovata di fronte due dei suoi nemici che combattevano tra loro e Zombie Eastwood a fare il terzo incomodo.

Arrivò di fronte alla gabbia invisibile di sua madre e provò un tuffo al cuore. Vederla da così vicino di persona faceva tutto un altro effetto rispetto ai sogni.

Adocchiò la luce dorata che sfarfallava tra lei e la dea e i sigilli dipinti a terra. Ecate aveva creato quella barriera per proteggersi da chi l’aveva rapita, adesso però l’energia si era quasi del tutto esaurita. Superare la barriera non sarebbe stato un problema, ma non aveva idea di come spezzare le catene che la tenevano prigioniera. La sua magia sarebbe stata abbastanza potente?

C’era solo un modo per scoprirlo. Ruby e lo scheletro potevano tenere a bada Clizio ma non l’avrebbero mai ucciso. Serviva l’aiuto di un dio. La ragazza inspirò profondamente. Prima di spezzare le catene, doveva rimuovere la barriera che sua madre aveva creato. Avvicinò le mani alla luce e chiuse gli occhi, più per paura di vedere le sue dita ridotte in poltiglia che altro.

Tentò di canalizzare la magia come sempre, ma subito non ci riuscì. La presenza di Clizio offuscava ancora i suoi poteri, come un velo oscuro frapposto tra di loro. Frustrata, Camille serrò le palpebre e ci riprovò, tentando di richiamare a sé la magia che scorreva nelle sue vene, ma era quasi come se lei stessa si stesse rifiutando di seguire le sue indicazioni.

Avvertì una fitta di paura, al pensiero di non riuscire a liberare Ecate a causa della presenza di Clizio. Non riusciva a capire. Contro Ruby era riuscita a usare la magia, perché adesso no?

Un grido lacerò l’aria. Si voltò di scatto e vide la sua sorella empusa cadere in ginocchio con una brutta ferita sul volto. Lo scheletro ancora resisteva, ma aveva perso entrambe le armi e combatteva solo più con un falcetto arrugginito. Perfino il suo volto stoico sembrava provare paura di fronte a un avversario che non poteva essere sconfitto. Tentò di colpire Clizio a una gamba, ma il gigante lo scaraventò via con un colpo del palmo della mano, come per allontanare una zanzara. A quel punto, si voltò verso Camille e sogghignò. Prima che potesse fare altro, però, Kiana apparve dal nulla accanto a lui e gli conficcò la lancia nel fianco, facendogli inarcare la schiena per il dolore.

«Dove guardi, ciccione?!» lo provocò lei. «Io sono qui!»

Con un altro urlo muto, il gigante si concentrò su di lei. Per il momento aveva ignorato Camille, ma lei sapeva che non c’era più tempo. Doveva concentrarsi. Doveva usare la magia, per salvare tutti quanti.

Richiuse gli occhi e ci riprovò. Si connesse con l’essenza stessa della magia che scorreva in lei. Un vortice di luce e calore, un torrente inarrestabile pronto a essere scatenato. Era lì, doveva solo raggiungerlo, controllarlo.

Pensò ai suoi amici al campo, pensò a Kiana, pensò a Dante, pensò perfino a Elias e Daniel, non ai momenti difficili passati insieme, ma a quelli felici. Voleva vivere di nuovo quei momenti. Voleva tornare al campo, a casa, rivedere i suoi amici, vedere che tutto era tornato al suo posto. Tutti si fidavano di lei, sua madre inclusa, non poteva deluderli.

Non poteva.

Sentì un fuoco accendersi nelle sue vene. Ogni centimetro del suo corpo cominciò a bruciare come se del veleno scorresse in lei al posto del sangue. Avvertì gocce di sudore freddo scenderle lungo la fronte, ma non si fermò. Un brivido le percorse la spina dorsale e sentì la pelle arricciarsi. Digrignò i denti per lo sforzo di controllare tutto quello. Faceva male, ma il pensiero di vedere tutto ciò a cui teneva distrutto faceva ancora più male.

Invece di respingere quel potere travolgente che stava crescendo dentro di lei, lo abbracciò. La sua paura divenne coraggio e la frustrazione determinazione.

Lei era più forte di Clizio.

Canalizzò la magia attraverso di sé e un bagliore intenso le avvolse le mani. Nello stesso momento, la barriera tremò.

Avvertì qualcosa muoversi attorno a lei, non sapeva se fosse Kiana, o se fosse Clizio che si era accorto di cosa stesse accadendo, ma non poteva lasciarsi distrarre. Con un ultimo sforzo, sprigionò tutto quello che aveva.

Prima sentì il rumore di una crepa che si espandeva. Poi, vi fu uno scoppio, e una pioggia di scintille si disperse nell’aria.

La ragazza riaprì gli occhi, col fiatone e la fronte madida di sudore. Le sembrava di essere appena stata dentro una sauna. La testa le girava e si sentiva più leggera dell’aria. Per un momento, la stanza vorticò anche attorno a lei. Si accorse di Ecate, con la testa accasciata verso il basso, ma un sorriso presente sul suo volto. Aveva capito cos’era successo.

Anche Camille sorrise. Prima che potesse occuparsi anche delle catene, però, avvertì di nuovo qualcosa muoversi verso di lei e si voltò per vedere Clizio che, liberatosi di Kiana e dello scheletro, le stava correndo incontro con molta più rapidità di quanto ci si sarebbe potuti aspettare da un gigante come lui. Sembrava un camion lanciato a duecento all’ora.

Una coltre di fiamme lo investì prima che potesse sfiorarla e Ruby apparve di fronte a lei. «Veloce Camille! Prima che…»

Clizio ruggì e corse tra le fiamme, per poi sferrare un colpo poderoso all’empusa. Vi fu un rumore orribile, quello di cento ossa che venivano frantumate tutte insieme, e Ruby si accasciò a terra in una posizione scomposta senza emettere un suono, con gli occhi serrati.

La scena accadde a rallentatore di fronte agli occhi di Camille. Vide il sorriso di scherno crescere sul volto del gigante. Non poteva parlare, altrimenti sicuramente l’avrebbe fatto. Avrebbe detto qualche frase ad effetto, o qualcosa del genere. I mostri erano tutti uguali, dopotutto.

Ma la parola chiave era quella: “Avrebbe”.

Non appena si voltò verso Camille il suo sorriso svanì. La ragazza affondò le unghie nei palmi, mentre i capelli cominciavano a sollevarsi sulla sua testa e una forte corrente d’aria si scatenava tutt’attorno a lei.

Nemmeno lei disse nulla. Lasciò che fossero il suo sguardo e le sue azioni a parlare. Sollevò entrambe le mani e con un urlo assordante riversò sul gigante un muro di fuoco alto tanto quanto lui, che lo sovrastò completamente.

La magia scorreva dentro di lei con l’intensità di mille soli. Era un calderone di potere, un tripudio di forza ed energia inarrestabile, impossibile da contenere, impossibile da fermare, nemmeno dall'anti magia.

Clizio, Encelado, Notte, non aveva importanza: li avrebbe sconfitti, tutti, dal primo all’ultimo.

Le sue urla crebbero, assieme al muro di fuoco, che lanciava ombre minacciose sulle pareti scure della caverna. Il gigante venne scagliato all’indietro, contro la parete opposta, dove si schiantò con il fragore di una frana. La terra tremò pericolosamente e una pioggia di polvere scese dal soffitto.

«Cam!» la chiamò Kiana.

La figlia di Ecate vide lei e lo scheletro poco distanti, entrambi mal messi ma ancora tutti interi. La sua amica la fissava con un misto di paura e stupore. Camille resse il suo sguardo, col fiato pesante. Vide poi Ruby a terra, ancora del tutto immobile, e sentì il cuore stringersi in una morsa. Fu costretta a lottare con tutte le sue forze contro il desiderio di correre da lei e aiutarla. Clizio non sarebbe rimasto fuori gioco a lungo. Quella era l’ultima occasione che aveva per liberare Ecate una volta per tutte.

Diede le spalle a tutti quanti e tornò da sua madre. Osservò le catene. Erano di Ferro dello Stige e poteva avvertire solamente guardandole la magia nera di cui erano intrise. Tentò, come aveva fatto in quella prigione, di congelarle e poi spezzarle, ma tutto fu inutile. La sua magia era completamente inefficace contro qualcosa di così oscuro.

Si morse un labbro, poi si osservò le mani. Forse doveva guardare la situazione da una prospettiva diversa. Tutto a un tratto ebbe un’idea, ma le sembrava assurda, e se avesse fallito allora non ci sarebbe stato più nulla da fare.

Scosse la testa per scacciare quel pensiero, inspirò di nuovo profondamente, e afferrò la catena più vicina, quella che teneva bloccata la gamba destra di sua madre. Sentì una scossa scorrere attraverso il suo braccio e tutte le sue energie venire prosciugate. La magia oscura cercava di avvolgerla, di consumarla, ma lei non avrebbe ceduto. Tremando per lo sforzo, esclamò: «Rumpo vinculum

Fu come se un incendio le fosse appena esploso nel petto. Le si mozzò il respiro e per poco non crollò in ginocchio. La mano con cui stringeva la catena bruciò così tanto che per un attimo fu tentata di lasciarla andare, anche se sapeva di non poterlo fare. Quella era l’ultima opzione che le restava. Non poteva arrendersi.

Richiamò a sé tutta la magia che scorreva nel suo corpo, ancora in fermento dopo ciò che aveva fatto a Clizio, e sentì la forza oscura della catena cominciare a venir meno. Stava funzionando.

La catena si sciolse in una pozza nera e un arto di sua madre fu finalmente liberato. Camille si sentì svuotata di ogni energia, ma prese una boccata d’aria e ripeté la stessa operazione anche con le altre tre. Ogni volta, dovette ripetere la stessa battaglia logorante, tuttavia, man mano che le catene si spezzavano, sentiva la determinazione crescere. Ce l’avrebbe fatta. Avrebbe liberato sua madre. Avrebbe riportato la Foschia e sarebbe tornata a casa con le persone a cui voleva bene.

Infine, l'ultima catena cadde. Camille crollò in ginocchio, lasciandosi scappare un verso esausto. Non si sentiva più il braccio con cui aveva toccato il Ferro dello Stige e credeva di poter vomitare da un momento all’altro.

Tuttavia, una luce accecante la abbagliò, e un calore intenso carezzò ogni suo lembo di pelle, facendola sentire subito meglio.

«Brava, Camille.»

Ecate era in piedi di fronte a lei, i capelli biondi che scendevano rigogliosi lungo le spalle, il volto dalla bellezza regale completamente composto, la testa alta, il vestito intatto, ma soprattutto gli occhi neri che brillavano d’orgoglio. Era come se, una volta libera dalla sua prigione, la dea fosse rinata, e ogni traccia del suo aspetto vulnerabile e sofferente fosse svanita senza lasciare traccia. Nel vedere quella dea con l’aspetto che le si addiceva di più, fiero, regale, potente, Camille si sentì come se qualcosa di sbagliato nel mondo fosse stato corretto. Osservò la madre dal basso, lasciando che il calore che emanava risanasse il suo corpo martoriato. Incrociò il suo sguardo e nulla le impedì di sorridere.

Aveva sognato tanto quel momento. Avrebbe voluto alzarsi e abbracciarla, avrebbe perfino voluto piangere per la gioia, ma non riuscì in nessuna di queste cose, per paura, per vergogna, o forse solo perché non voleva rovinare quel momento.

Lo sguardo di Ecate, così orgoglioso, rivolto verso di lei, valeva più di ogni altra cosa al mondo. Era quello, ciò che aveva voluto, ciò che aveva sempre desiderato.

Un rumore di detriti che cadevano catturarono l’attenzione di entrambe. Clizio si stava rimettendo in piedi, ancora del tutto ignaro di cosa fosse appena accaduto.

«Ci penso io ora» disse Ecate, dando le spalle a Camille.

La dea puntò un palmo verso di Clizio. Prima di fare quello che aveva in mente, però, si fermò. Abbassò la mano e lanciò un’altra occhiata verso Camille, prima di sorriderle. «È giusto che tu conosca l’altra me.»

Distese le braccia e gettò il collo all’indietro. Il suo vestito lungo e scarlatto cambiò, trasformandosi in una tunica bianca. I capelli divennero neri, decorati da una corona dorata, e, per alcuni istanti, il suo aspetto sfarfallò, lasciando credere che accanto a lei ci fossero due copie di aspetto identico al suo. Nelle sue mani apparvero due daghe d’Oro Imperiale, scintillanti alla luce delle fiaccole.

«Wow» sussurrò Kiana all’improvviso e solo in quel momento Camille realizzò che lei era ancora lì. Rivolse un sorriso alla sua amica e lei, dopo un attimo di incertezza, lo ricambiò. Neppure la figlia di Venere sembrava in grado di credere che tutto quello stesse accadendo veramente.

«Clizio» sentenziò Ecate. Anzi, Trivia. «Avete tentato di distruggere l’altra me. Preparati ad essere distrutto a tua volta.»

Clizio, ancora annerito dopo le fiamme scagliate da Camille, emise uno strano sbuffo, seguito da un ghigno. Recuperò il suo spadone di Ferro dello Stige e fece cenno alla dea di farsi avanti. Trivia non si fece attendere.

Con un balzo più rapido di un lampo, Trivia si fiondò sul gigante e gli aprì almeno mille squarci con le daghe lungo tutto il corpo. Il gigante spalancò la bocca, senza riuscire nemmeno a sollevare lo spadone per difendersi. Più che un vero scontro, fu un massacro a senso unico.

«C-Camille…» sussurrò una voce all’improvviso.

La figlia di Trivia si accorse di Ruby, ancora a terra, che la stava chiamando.

«Ruby!» Si precipitò da lei senza pensarci due volte. Le si inginocchiò accanto e si accorse delle sue condizioni. Aveva le labbra spaccate e il petto si alzava e abbassava a fatica, come se non riuscisse a respirare. I suoi occhi fiammeggianti ora erano a malapena un fuocherello tiepido.

«Ce… ce l’hai fatta…» bisbigliò. «B-Brava sorellina…»

«Ruby…» Camille sentì le lacrime agli occhi. Un colpo come quello che aveva ricevuto avrebbe dovuto polverizzare qualsiasi mostro all’istante. L’empusa era ancora viva, ma solo perché stava lottando con ogni fibra del suo essere per restarlo. Doveva costarle uno sforzo incredibile. «Mi dispiace» bisbigliò incapace di fare altro.

«D-Di cosa?» Ruby scosse la testa. «Sono io… che devo chiederti scusa. Per… per Lamia. E per tutto il resto. P-Prometti… prometti che lo farai. Prometti… che parlerai con nostra madre. I massacri... devono finire.»

«Lo prometto.» La figlia di Trivia annuì, soffocando il proprio pianto.

Ruby annuì lentamente, poi sollevò il braccio e stirò le labbra in un sorriso stanco. «Non fare quella faccia… sai che mi riformerò.»

«Sì… è vero.» Anche la ragazza riuscì a sorridere e afferrò la mano dell’empusa, stringendogliela forte. Era soffice, e calda. La mano di sua sorella.

«Ci vediamo, sorellina.»

Il corpo dell’empusa cominciò a dissolversi sotto gli occhi tristi di Camille. Nel giro di poco tempo, non rimase altro che polvere, e un piccolo oggetto nero sul pavimento. Camille lo prese e realizzò che era un rossetto nero. Non riuscì a trattenere una risatina nervosa. Forse sua sorella le stava suggerendo un restyling.

Una mano si appoggiò sulla sua spalla, e Kiana si inginocchiò accanto a lei. Non disse una parola, ma il suo sguardo fu sufficiente. Camille strinse il rossetto con forza, sentendo le labbra tremolare.

Vi fu un tonfo improvviso. Clizio cadde in ginocchio con un grugnito, centinaia di tagli da cui sgorgava sangue dorato lungo il corpo e le zampe squamose, e Trivia in piedi dietro di lui, con gli occhi che scintillavano e la daga sollevata proprio dietro al suo collo.

«Riferisci a chi ti ha mandato che questo è il destino di chi si oppone agli dei.»

La dea mulinò la daga. Un istante dopo, la testa di Clizio rotolava per terra, separata dal resto del corpo.

«Porca… vacca!» esclamò Kiana. Se Mary avesse visto il modo in cui stava guardando Trivia, probabilmente le avrebbe rifilato uno scappellotto. E anche Camille stava pensando di farlo.

La dea le strizzò l’occhio, poi si voltò, incredibilmente, verso Zombie Eastwood, rimasto immobile come una statua. Si avvicinò a lui e gli toccò la fronte. «Puoi riposare adesso. Ti siamo grati per il tuo aiuto.»

Lo scheletro emise quello strano rumore di denti che battevano, e una specie di sorriso inquietante prese forma sul suo volto. Sprofondò nel suolo come un sub che faceva un’immersione.

Infine, la dea si voltò verso sua figlia. Adocchiò prima lei, poi i resti di Ruby e il rossetto stretto tra le mani della ragazza. Nonostante fosse stata proprio lei a salvarla, Camille si sentiva comunque insignificante al suo cospetto. Si alzò in piedi, a testa bassa, in silenzio, in attesa che lei dicesse qualcosa per prima. Non riusciva a non pensare a Ruby. Nel profondo, credeva che avrebbe potuto fare di più.

«Testa alta, Camille» sentenziò Trivia.

La ragazza obbedì, e si rese conto che sua madre stava sorridendo calorosamente. Le appoggiò una mano sulla guancia. «Tieni sempre la testa alta.»

Camille, rigida per quel contatto inaspettato, serrò le labbra. Annuì soltanto, facendo nascere un sorriso più grande sul volto della madre. «Sei stata brava. Sono fiera di te.»

Udendo quelle parole, finalmente anche Camille riuscì a sorridere. Lei stava bene. Kiana stava bene. Sua madre era salva.

Era finita. Ce l’aveva fatta.

«Devo andare adesso. Devo ripristinare la Foschia, prima che i mortali impazziscano del tutto.»

«M-Madre…» disse Camille. «Quello… quello che Ruby…»

Trivia l’accarezzò lungo la guancia, un gesto dolce, ma allo stesso tempo deciso. «Lo so» disse la dea, semplicemente. Nei suoi occhi baluginava una strana luce, che Camille non riuscì a decifrare. «Sistemeremo tutto. Adesso, però, dobbiamo occuparci delle cose più importanti.»

Camille batté le palpebre. «Ma… ma Ruby… anche lei era importante. E anche Lamia, e…»

«Certo.» Trivia annuì, interrompendola. «È vero.» Le rivolse un altro sorriso, ma questa volta Camille notò qualcosa di diverso nella sua espressione. «Devo andare adesso. Ho molto da fare per sistemare il caos che i nostri nemici hanno creato. E lo stesso vale per te e la tua amica. Il vostro viaggio, temo, non è ancora finito.»

La lastra nera che Camille aveva visto in sogno le balenò nella mente. I loro nemici si stavano preparando per qualcosa di grosso. Il rapimento di Ecate era solo l'inizio. «Madre, che... che sta succedendo?» domandò. «Qual è il piano di Notte?»

Trivia serrò le palpebre. «Tornate a Furnace Creek. A suo tempo, ogni cosa vi sarà chiarita.»

Allontanò la mano da Camille e fece qualche passo indietro, troncando la discussione. Distese le braccia e il suo corpo cominciò a illuminarsi. Sul suo volto, balenò un ultimo sorriso. «Sarai una grande eroina, Camille.»

La ragazza distolse lo sguardo, il calore sprigionato dalla dea che le inondava il corpo. Subito dopo, Trivia era scomparsa.

Camille rimase a lungo a osservare il punto in cui fino a un attimo prima si trovava sua madre. Nonostante tutto, sentiva un retrogusto amaro in bocca. Trivia le aveva detto di essere fiera di lei, che a conti fatti era ciò che aveva sempre voluto, eppure le sembrava che tra di loro ci fosse stato qualcosa di non detto. Il modo in cui aveva liquidato il discorso su Ruby l’aveva lasciata di sasso.

Forse aveva ragione, forse quello non era il momento migliore per parlarne, tuttavia Camille non ne era così sicura.

«Camille?» la chiamò Kiana. «Stai bene?»

«S-Sì, sì…» rispose lei, tornando alla realtà. «Sto bene. Forza, torniamo a… torniamo… a…»

Tutto a un tratto, parlare le sembrò impossibile. La caverna cominciò a vorticare attorno a lei. Cadde in ginocchio, sentendosi svuotata di ogni energia.

«Cam!»

«S-Sto bene» ripeté la figlia di Trivia, sforzandosi di tirare fuori le parole di bocca. «La magia… mi ha prosciugata. Mi serve… solo… un momento per… per…»

La testa le ciondolò in avanti. Gli occhi si sigillarono. E la gravità trascinò il suo corpo a terra.

  

 

 

 

   
 
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