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Autore: crazyfred    28/07/2023    2 recensioni
[FRANCESCO & EMMA] Non è proprio una storia continua ma una raccolta di one shot, dove alcuni capitoli potrebbero essere raccordati, altri meno, che raccontano la vita della nostra banda di matti andando avanti e indietro nel tempo, gironzolando attorno agli eventi della fanfiction "Noi Casomai". Una raccolta di piccoli quadri di vita più che di eventi in sé.
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Commissario Nappi, Emma, Francesco
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Uno sgradito ritorno

 

 

“Arrivo! Un attimo!”
Carlo sentì la voce di Emma rispondere da dietro la porta o comunque da qualche stanza più in là. Nel frattempo, aspettava pazientemente nello spiazzo davanti alla casa, una bellissima baita tradizionale ma rimessa a nuovo, era facile da intuire, da poco. Sulla porta della casa erano segnate delle lettere e dei numeri, gli pareva di ricordare di aver letto qualcosa a proposito di una tradizione legata ai re Magi.
Carlo aspettava e nel frattempo approfittava del tiepido sole primaverile, libero dalla cappa di smog e umidità a cui lui era abituato in città. Dal pendio di fianco alla casa si scorgeva, oltre gli alberi e le siepi, la valle con il piccolo paese, il campanile a punta della pieve e altri piccoli villaggi e frazioni nei pendii circostanti. Non era difficile capire perché Emma avesse scelto proprio quel posto per vivere.
“Eccomi! Ce l’ho fatta…buongiorno!” gli sorrise, aprendo la porta. Era davanti a lui esattamente come la ricordava, alta, bellissima, un raggio di sole nella nebbia milanese, eppure non era più lei. E l'uomo era conscio che, razionalmente, quel pensiero non aveva il benché minimo senso, ma era così che la percepiva. Certo era passato un po’ di tempo dall’ultima volta che si erano visti, tante cose erano successe, ma non pensava di trovarla così cambiata. In primis, c’era quella cosa …o meglio quell’esserino…che penzolava dal marsupio; non poteva avere più di un anno, spilungona ma paffutella, con dei folti riccioli color caramello e tenuti a bada da un fermaglietto e degli occhioni grandi e blu che viravano al grigio. Da come lo guardava, con un ditino in bocca e lo sguardo dubbioso, sembrava non fidarsi di lui. Come poteva? Era uno sconosciuto: praticamente era un miracolo che vedendolo per la prima volta non fosse scoppiata a piangere.
Poi c'era il suo look: Emma non era mai stata una che seguiva le mode e non era ossessionata dallo shopping come le altre compagne di corso, ma era sempre in ordine, i morbidi boccoli curati e un velo di trucco ad impreziosire la sua pelle di porcellana; ora invece i suoi capelli gridavano “datemi ora giornata libera”, impigliati in una crocchia spettinata, la felpa troppo grande per lei era rimboccata in dei jeans che aveva di sicuro messo solo perché c'erano degli ospiti in casa e non voleva farsi vedere in tuta; tuttavia, sebbene non ci fosse un filo di trucco sul suo viso, riusciva ad irradiare tutto intorno la sua luce interiore anche più di come ricordava.
“Buongiorno a te” rispose, ma si fermò lì: la presenza di quella bambina tra le braccia di Emma lo fece sentire a disagio, come se fosse capitato nel posto sbagliato e lui, lì, non c’entrasse nulla; quello però doveva essere un incontro di lavoro, tutte quelle pippe mentali non avevano ragione d'esistere. “Entra prego!” lo invitò, garbata come sempre, a differenza sua completamente a suo agio. “Mi devo scusare” esordì Carlo “so di essere in anticipo, ma lo sai che sono un imbranato con la tecnologia e mi perdo anche con il navigatore. Non volevo correre rischi” “Non ti preoccupare ma devo assolutamente far partire la lavatrice, altrimenti al prossimo rigurgito questa bimba non ha nulla da mettere. E non possiamo andare in giro in topless, vero Sole? Non siamo mica al mare qui” disse Emma alla bambina, che rideva di fronte alle smorfie e alla vocina leziosa “ma fai come fossi a casa tua. Poggia le tue cose nel tavolo del salotto e se vuoi un caffè vai pure in cucina, in fondo al corridoio. La macchinetta del caffè è già pronta sul fornello.” “Posso…posso darti una mano…” “Ma vah, è tutto perfettamente collaudato, io e Sole ce la caviamo benissimo, vero Fagottina?”
Emma sparì in men che non si dica con la bambina dietro una delle porte che affacciavano sul corridoio. Allora Carlo fece esattamente come gli era stato detto: poggiò le sue cose sul tavolo del salotto, una stanza dallo stile montano che assomigliava più una stube di un rifugio che una casa privata e poi se ne andò in cucina. Nel corridoio, l’attenzione di Carlo fu attirata da una serie di fotografie in bianco e nero. Emma sembrava ancora parecchio indaffarata a giudicare dalla telecronaca che stava facendo alla bambina e che arrivava dall’altra stanza e così si soffermo a sbirciare. Erano tre foto normalissime, di quelle che molto banalmente si trovano in tutte le case di famiglia: due sposi abbracciati, una foto con un pancione e una con la piccolina tra le braccia. In tutte queste foto c’era anche un maschietto, avrà avuto cinque o sei anni, ma le spiegazioni potevano essere mille. Carlo, del resto, di quell’uomo che aveva incrociato un paio di volte durante la sua unica visita tra quelle montagne non sapeva nulla.
“Allora, lo prendiamo questo caffè?” Emma e quella creaturina nel marsupio per cui la sua mente non riusciva ancora ad elaborare la parola figlia stavano in piedi sulla porta della lavanderia. Emma non sembrava infastidita ma lui comunque si vergognò come fosse stato un ladro colto in flagrante. “Sì, molto volentieri … allora, alla fine te lo sei sposato quel forestale” commentò cercando di puntare sulla nonchalance mentre si accomodava in cugina. A differenza del salotto, la cucina era luminosa, nonostante i soffitti bassi e il legno delle travi e del tavolo si sposava a meraviglia con il bianco dei mobili e delle pareti. Il profumo naturale del cirmolo che si spandeva per la casa e si mischiava ai profumi dolci di una colazione appena conclusa restituiva una sensazione di calma e familiarità, ma quest'ultima forse era anche colpa del seggiolino e dei giocattoli sparsi in giro. “Si chiama Francesco” rispose lei, e questa volta era invece abbastanza seccata. Emma non credeva ci fosse cattiveria nelle parole di Carlo, ma le sembrava di percepire comunque un tono di sufficienza – totalmente immeritata - nei confronti di Francesco. Gli diede un attimo le spalle per accendere il fornello sotto la moca ed Emma ne approfittò per prendere un lungo respiro e approfittare del suo calmante naturale: il profumo di sua figlia. Almeno c'era lei ad aiutarla a non perdere le staffe.

 

Quando il suo nuovo collega del progetto le aveva detto di aver rintracciato Carlo per una collaborazione, spiegandole che era uno dei più grandi etologi in circolazione e, in soldoni, un treno che passa una sola volta nella vita, Emma non aveva saputo spegnere il suo entusiasmo, né se l'era sentita di tirarsi indietro per via del loro passato; aveva semplicemente ammesso di aver studiato con lui all'Università e deciso di comportarsi da adulta. Non si aspettava però che lui avrebbe avuto quell'atteggiamento un po' immaturo.
“Meno male che non c’era nulla tra di voi” commentò Carlo, provando a buttarla in caciara ed esagerando con il tono scherzoso. “Perché era così, allora” spiegò Emma.“Però ci avevo visto giusto, no?” “Col senno di poi direi … direi sì” Lei aveva lasciato Carlo e Milano dopo la diagnosi di aneurisma perché sentiva di non meritarsi più una vita normale, perché la sua non era più una vita normale: doveva aspettare solo quel momento e per farlo doveva concentrarsi solo su sé stessa, senza coinvolgere nessun altro nel suo dramma. Non aveva fatto però i conti con quell'incontro sulle sponde del lago che le avrebbe stravolto ogni piano. Si era imposta di restare sola e aveva finito per scoprire l'amore della sua vita. La sua vita. “E l’altro bambino” indagò l'uomo “… quello che ho visto nelle foto… è suo figlio?” “Nostro figlio. Leonardo” lo corresse, la voce ferma “è in affidamento ma speriamo di poterlo adottare appena possibile” La legge e la burocrazia erano sempre troppo lunghe per qualcosa che il loro cuore aveva già stabilito.
Quando il caffè fu pronto, Emma lo servi all'uomo senza troppi complimenti. Quel piccolo interrogatorio che forse per lui voleva essere semplice small talk le lasciò una sensazione di disagio addosso, come se lui stesse violando la sua privacy. Gli voleva bene, come se ne vuole sempre ad una persona con cui si è condiviso qualcosa, un dolce ricordo di anni bellissimi ma senza nostalgia, perché era pienamente soddisfatta del suo presente, non sarebbe mai tornata indietro. Tuttavia essere da sola con lui, che faceva parte del suo passato, lì dove viveva il suo presente pieno e gratificante, non lo sentiva giusto: non per sé stessa, ma per lui, che le restituiva la sensazione di non aver mai messo davvero un punto finale a quello che era successo tra loro. E su queste cose, le diceva sempre Valeria, lei aveva un sesto senso affinatissimo.
“Ho incontrato tuo padre tempo fa mentre ero in ateneo a Milano per una conferenza” le disse tra un sorso di caffè e l'altro “mi ha detto dell'operazione e sono stato molto felice di sentire che stavi bene” “Ti ringrazio” “Mi è solo dispiaciuto che tu non mi abbia detto nulla”
In quel momento, mentre Emma cercava delle parole per scusarsi, la serratura dell'ingresso scattò. Il passo pesante e un po' militaresco tracciato dagli scarponi di Francesco era inconfondibile per le orecchie di Emma, che istintivamente trattenne il fiato. Era contenta di quel diversivo, la infastidiva l'idea di dover dare spiegazioni ad una persona a cui sentiva di non doverne solo perché lei era fatta così.
“Amore non ci crederai ma ho lasciato il pranzo nel fri-” fermo sulla porta, Francesco di freddò a vedere Carlo seduto proprio al suo posto a tavola. Emma non gli aveva nascosto nulla, suo marito sapeva di quella visita e sembrava averla presa con grandissima filosofia, comportandosi, con grande meraviglia di Emma, esattamente come ogni mattina, con tranquillità. Troppa tranquillità in effetti: ma quel colpo di genio non lo aveva previsto nemmeno lei, nemmeno quando lo aveva visto armeggiare con il portapranzo pur sapendo che di solito la pausa la passava in foresteria insieme agli altri colleghi.
“No, no, ci credo ...” borbottò quasi, gli occhi al cielo “eccome se ci credo. Ti ricordi di Carlo?” “Come no...è un piacere rivederti” gli strinse la mano, con un sorriso tanto ampio quanto affettato, ma molto brevemente; la piccola Sole infatti reclamava l'attenzione del padre con veemenza, al punto che Emma temeva potesse strappare le cuciture del marsupio e cadere a terra. “Prendila prima che mi riempia di lividi” disse, proteggendo il volto dai pugnetti festanti. L'aveva portata in grembo per nove mesi, vomito, nausee, mal di testa, svenimenti, era diventata una mamma papera per quanto detestasse quel nomignolo, dolori atroci per partorirla e poi … occhi solo per il padre. Grazie tante, eh!
Francesco, innamorato pazzo, prese in braccio la sua principessa senza lesinare smancerie di fronte a quell'estraneo e la riempì di baci a cui la piccolina rispose attaccandosi letteralmente alla guancia del padre: ormai quel filo di barba che lasciava come unico vezzo estetico non era più un problema per la bambina.
“Avete una bambina bellissima, Francesco. Però mi dispiace dirti che non ti assomiglia per niente.” “Perché dovrebbe dispiacermi? È bellissima come la sua mamma, vero principessina?” “E poi non è vero che non somiglia il padre” lo riprese Emma “gli occhi sono tutti i suoi” E non potrei esserne più felice, aggiunse Emma tra sé e sé.
Francesco, con ancora la bimba tra le braccia che non voleva saperne di scollarsi, aprì il frigo e si nascose dietro l'anta, fingendo di cercare il lunch box che era in bella mostra sul primo ripiano, ma Emma con la coda dell'occhio lo vedeva gongolare tronfio. Missione compiuta evidentemente.
Preso il pranzo, Francesco tornò all'auto accompagnato da Emma che doveva recuperare la bambina dalle braccia del marito ma non voleva saperne di lasciarlo andare. “No, amore mio non piangere, sennò piange anche papà. Il pomeriggio arriva subito!” la consolò Francesco, passandola alla madre con molta fatica. Vedere la sua bimba singhiozzare non era per nulla divertente né ci faceva mai l'abitudine. “Lo sai che facciamo, Sole?” propose la madre “Oggi andiamo noi a prendere Leo a scuola e poi andiamo da papà al lago? Eh?” “È un'idea bellissima!” sancì il forestale; cinse la vita di sua moglie con un braccio e la strinse, posando un bacio lungo e appassionato sulle sue labbra. “Ehi!” protestò Emma, ritraendosi “La smetti di fare il gelosone?” “Non sono geloso” “Nooo, come lo chiami questo? Marcare il territorio?” “Lo dici sempre che sono un lupo...” commentò, strizzando l'occhio, sagace mentre saliva in auto. Da lontano, nel frattempo, un auto si avvicinava nel piazzale: erano gli altri partecipanti alla riunione, un rappresentante del consiglio comunale, che avrebbe dovuto aiutare a sbrigare tutte le questioni burocratiche e che da mesi stavano rincorrendo per dare una sede alla Scuola nel Bosco e il collega di Emma, Andreas, che Francesco detestava anche più Carlo.
“È meglio se vado, vah” commentò Francesco, vedendo uscire l'uomo dall'auto “altrimenti oggi non vado a lavorare” Emma rise sotto i baffi, mentre il marito premeva il piede sull'acceleratore e i suoi ospiti si avvicinavano. “Guten morgen und wilkommen!” li accolse, calorosa.

 

La riunione, proficua, si concluse nel primo pomeriggio, lasciandole tutto il tempo per preparare la bimba con calma senza dover uscire di fretta all'ultimo minuto sembrando una pazza totale. Carlo però se la stava prendendo con troppa calma. Approfittando del risveglio della piccolina dalla pennichella, e dovendo allattarla, riuscì a trovare la scusa migliore per liquidarlo senza sembrare maleducata. Lui però, mentre metteva a posto le sue cose, prese di nuovo la palla al balzo, tornando al discorso che quella mattina avevano lasciato in sospeso “Perché non mi hai detto niente dell'operazione, Emma? Io ci sarei stato” “Perché...”non voleva essere tagliente ma la stava costringendo. Fin da ragazzina, lei era sempre stata quella che si caricava le spalle del peso del mondo, ma per una volta nella sua vita non voleva essere la paladina degli oppressi. “Perché non fai parte della mia vita, Carlo. Ho bellissimi ricordi degli anni passati insieme, ma sono passati...appunto” lui ci sarebbe stato davvero, di questo ne era sicura, ma non era di lui che aveva bisogno in quel momento. Chi doveva esserci, c'era già. “È vero” continuò “quando ti ho lasciato e sono andata via da Milano l'ho fatto perché non potevo importi la mia malattia, ma quando ti ho rivisto ho capito che era finita davvero, aneurisma o meno” “E poi c'era Francesco” “No, Francesco non c'entra, non lo mettere in mezzo. È vero, provavo già qualcosa per lui, ma se io e te ci fossimo rincontrati mesi prima non sarebbe cambiato nulla”
Ecco, lo aveva detto chiaro e tondo. L'uomo allora prese a rimettere tutte le sue cose nello zaino che aveva con sé, a testa bassa, in fretta, come se volesse scappare. “Posso farti una domanda io, invece, Carlo?” Emma prese coraggio: era il momento degli addii, anche se si sarebbero comunque visti nei giorni successivi, ma non era giusto chiudere malamente quella giornata perché non c'era mai stato del male tra loro. “Dimmi” il tono della voce dell'uomo, stavolta, sembrava sconsolato, e verosimilmente le aveva dato il permesso di parlargli solo per cortesia. “Perché non riesci ad andare avanti?”
Quando si erano salutati, anni addietro, sulla terrazza della palafitta sul lago le era sembrato che la conversazione che avevano avuto servisse più a lui per voltare pagina che per capire cosa fosse successo davvero, ma si era sbagliata. “È difficile trovare qualcuno che sia alla tua altezza” dichiarò Carlo. Ma Emma scosse la testa, le mani conserte, ne aveva abbastanza di quelle stronzate: “Non devi sostituirmi, anche perché non sono niente di speciale. Devi innamorarti, sono due cose diverse” “Come tu ami tuo marito?” “Te lo auguro veramente, perché quando succede è la cosa più bella che possa capitarti. Ti cambia la vita” A lei, non l'aveva solo cambiata: l'aveva letteralmente salvata e da allora non c'era augurio migliore che potesse fare a chi la circondava, di vivere un'esperienza così totale come la sua.
“Spero che sia come dici tu” in questo era sincero. Aveva visto interagire Emma e suo marito e ne era stato immediatamente geloso: no, non di Emma, ma di quello che avevano tra loro, sembrava davvero unico.

 

A fine estate, specialmente quando la stagione era stata particolarmente calda e soleggiata, il lago cambiava completamente volto. Dello specchio cristallino e profondo che si era risvegliato a primavera e aveva accolto le acque del disgelo dopo il lungo inverno, restava poco. Le acque si erano ritirate, scoprendo le sponde e lasciando all'asciutto anche i piloni della casa sul lago. Era un paesaggio quasi desolante, ma non meno affascinate. La gente del posto, che raccontava storie e leggende sul lago, diceva sempre che i selvaggi che avevano creato il lago, in questo periodo provavano a riprendersi il tesoro nascosto nelle sue acque, prima che le piogge e le nevicate tornassero a rinvigorire il bacino.
Racconti fantastici a parte, quello era in assoluto il periodo preferito dell'anno per Francesco: i turisti abbandonavano i sentieri e la natura poteva tirare un sospiro di sollievo dopo l'invasione dell'alta stagione estiva, e lui, che ne era il guardiano, insieme a lei. E poi quei colori lo rapivano, ogni singola volta: aspettava con ansia il momento in cui i primi larici iniziavano ad abbandonare il loro colore verde scuro per passare al rossastro o al dorato e poi il castagno maestoso davanti casa che iniziava posare le sue foglie sul prato, che era ancora verde e brillante. Era tempo di Törggelen, nelle osterie e nei masi, dopo una lunga passeggiata: castagne, vino nuovo e i dolcetti della festa. Erano davvero giorni di festa, ma non c'entravano solo la fine dei raccolti o il ritorno del bestiame dagli alpeggi: quelle, per il forestale, alla fine, erano solo manifestazioni da controllare come facevano i colleghi della polizia; per lui, invece, era tutta una questione privata: l'anniversario di nozze, nel compleanno della sua bambina che a breve avrebbe spento la prima candelina e l'anniversario di quel giorno meraviglioso in cui Emma aveva vinto la sua battaglia più grande. L'autunno per la gente del posto era una stagione d'oro, Goldener Herbst lo avevano ribattezzato, e per lui lo era veramente.
Emma aveva mantenuto la promessa: uscito dalla caserma, l'aveva trovata ad aspettarlo vicino alle scuderie, con Leonardo arrampicato ad una staccionata – tanto per cambiare – e Sole che dormiva nel passeggino. “La macchina ha colpito ancora?” “Come sempre” rispose Emma, lieta per quell'arma in grado di mettere k.o. Sole di tanto in tanto. Luna, che quella mattina aveva accompagnato Francesco al lavoro, era corsa ad annusare i suoi fratelli a due zampe, istintivamente attenta in particolar modo a che Sole non si svegliasse. Con Leonardo invece si permetteva di essere più espansiva: fin da subito, l'ometto di casa Neri si era dimostrato per lei il perfetto compagno di giochi.
La famigliola iniziò a fare il giro del lago in tranquillità, approfittando della pace che il posto aveva riguadagnato senza gli avventori estivi. Leonardo e Luna potevano correre tranquilli e indisturbati, nonostante le lamentele di Francesco perché il bambino non scavasse nel terriccio imitando la lupacchiotta di casa. Emma alzava gli occhi al cielo e, di nascosto, strizzava gli occhi al figlio perché continuasse senza problemi “Ho le salviette, non ti preoccupare” gli sussurrava all'orecchio “divertiti”.
Beneficiando del sonno della piccoletta, anche lei si mise a raccogliere qualche foglia e pigna: non avrebbe potuto, in realtà, ma avere un marito forestale aveva i suoi vantaggi e poi le sue attività con i bambini della scuola erano sempre la scusa perfetta. E poi Francesco era in modalità relax che non lo avrebbe infastidito nulla in quel frangente, impegnato solo a spingere il passeggino della sua bimba con cautela.
La barchetta di legno era rimasta sull'arenile, a causa del livello dell'acqua sceso sensibilmente nelle ultime settimane di caldo senza piogge. Leo corse verso la barca, salendo a bordo insieme a Luna e fingendo di remare. Francesco prese anche la piccola dal passeggino, che finalmente si era svegliata, e la fece sedere su una delle panche della barca. La piccola sembrava pensosa, incuriosita da quel posto strano dove il papà l'aveva messa. In effetti, nata a fine estate e cresciuta nel maso, era la sua prima volta nell'imbarcazione. Volle presto scendere dalla panca e, con solo i calzettini ai piedi provò a dare qualche passetto appoggiata al bordo della barca, poco più basso di lei, aggrappandosi forte. Era da un po' ci provava ma era la prima volta che da sola, senza che nessuno la incoraggiasse, si metteva in piedi. Non c'è che dire: era proprio figlia di quelle acque, per Emma non era affatto un caso.
La donna prese repentinamente il telefono dalla tasca della giacca e si mise a scattare qualche foto per immortalare quel traguardo speciale. Era adorabile: i calzini bianchi leggermente penzolanti, la salopette a fiorellini che si gonfiava sul sederino per via del pannolino e il cappellino da sole sulla testolina ancora leggermente grande; con le manine tastava la superficie lucida e liscia della barca, ma non poteva sapere che era stato proprio il suo papà a metterla a nuovo, e ogni tanto, con il nasino all'insù si guardava attorno, un po' per essere rassicurata, un po' per cercare da dove provenisse il cinguettio degli uccellini che le piaceva tanto.
“Papà!” domandò Leo. “Sì?” “Possiamo andare sull'acqua? Non ci sono più i turisti!”
Francesco d'estate evitava di usare la barca il più possibile, soprattutto privatamente: aveva posto il suo veto ad un pontile per le barche di cui aveva fatto richiesta un rifugio nella zona, mettendosi anche contro il comune e doveva evitare ad ogni costo che i turisti richiedessero questo servizio; così si limitava ad andare da solo con la scusa di controlli e pattugliamenti che ci stava sempre bene: una volta aveva persino beccato degli americani a tuffarsi da scogliere alte e pericolose.
“No dai, giocate qui a riva...altrimenti poi vuole venire anche Sole con noi” “E la facciamo venire...ci vuoi venire in barca con noi, Sole?” domandò Leo, chinandosi sulla sorellina; la piccola fece un urletto: era difficile dire se avesse compreso davvero la domanda del fratello o se semplicemente era solo una risposta all'attenzione ricevuta, ma sembrava veramente entusiasta all'idea. “Ha detto sì!” dichiarò Leonardo, soddisfatto. “Ah non sapevo parlassi bambinese...” esclamò sottovoce Francesco, sarcastico. “Dai amore, che ti costa?!” intervenne Emma “Se ti fa stare più tranquillo, vengo anch'io” “Eh certo...” si lagnò il forestale, gli occhi al cielo “ti pareva che non dovessi fare la parte del genitore permissivo?” “Non l'avevamo stabilito già da un po'? È per controbilanciarti, amore” dichiarò la donna, posando un bacio persuasivo sulle labbra del marito.
Ad Emma piaceva andare in barca, ma per un motivo o un altro contava quelle gite sul lago sulle dita di una mano: c'era quando la stava restaurando ma non aveva mantenuto la promessa di inaugurarla con lei; non era colpa di nessuno, ma comunque si era fatto perdonare il giorno delle nozze e quello era stato ancora più speciale.
“E sia!” Non le sapeva dire di no, nemmeno ci provava ad opporre resistenza. “Ma dovete promettere tutti che state fermi e buoni. Sono stato chiaro?” chiese perentorio. “Signor sì, signore” lo prese in giro Emma, facendo un saluto militare. Anche Luna, quasi lo capisse, abbaiò affermativamente.
Francesco fece salire tutti e, tolte le scarpe, spinse la barca a largo quanto bastava per poter salire anche lui e usare i remi. Luna, che non era la fan più accanita dell'acqua, presto si rintanò tra le loro gambe sotto le panche dell'imbarcazione, nonostante Leonardo avesse provato ad incoraggiarla a venire fuori e a godersi la gita. “Non insistere Leo, non si deve agitare” lo riprese la madre, che era permissiva ma non incosciente “ora vai al tuo posto” “Va bene...però dopo guido io” Il bimbo, arreso, andò a sedersi, o per meglio dire quasi a distendersi, panca a prua, alle spalle di Francesco, giochicchiando con l'acqua che fendevano avanzando. “Certo che guidi tu” rispose il padre, tentando di trattenere un sorriso.
Emma invece, tenendo Sole stretta stretta seduta sulle sue gambe, si lasciava guidare dal suo bel marinaio, approfittando di quel bel pomeriggio di sole d'autunno, che non era né troppo caldo, né troppo freddo né ancora troppo freddo. Francesco la guardava, rilassata, serena e non poteva fare a meno di chiedersi come si era conclusa la riunione in casa sua con quel Carlo tra i piedi: si fidava di sua moglie, ma non si fidava di lui.
“Com'è andata stamattina?” “Bene” rispose Emma, tranquilla, con gli occhi chiusi e il naso all'insù mentre godeva di quell'arietta leggera che soffiava dalle montagne intorno al lago. “Bene...o bene bene?” Emma aprì gli occhi e squadrò suo marito, seria e inquisitrice. “Vuoi sapere di Carlo …” sondò “proprio non ce la fai...?!” “Non ci vedo nulla di male, è un tuo amico...non lo vedi da anni...” minimizzò; non l'avrebbe data a bere a nessuno, figurarsi a Emma che lo conosceva meglio di quanto si conoscesse lui stesso.
La donna sospirò, arrendendosi all'idea che Francesco fosse fatto così, che non l'avrebbe cambiato: era geloso, sì, ma di quella gelosia buona e piccante che poteva rincuorarla del fatto che non la desse mai per scontata, ma che non le impediva mai di esprimersi o realizzarsi come meglio riteneva.
“Innanzitutto ti manda i suoi saluti” esordì, mentre con lo sguardo andava oltre il marito per tenere d'occhio Leonardo “e poi dice che nei prossimi giorni lui e Andreas possono continuare a lavorare da soli” “Che gli hai detto?” domandò l'uomo e Emma non poté fare a meno di sorridere di fronte a quell'espressione compiaciuta che era nata sul viso del marito. “Niente...” “Dì la verità ...lo hai asfaltato per bene” “Ma neanche per idea, che ti viene in mente!” esclamò, indignata … quello era un trattamento che riservato solo a lui, lo custodiva per le occasioni davvero speciali “gli ho solo detto che deve andare avanti, che non vale la pena restare ancorati al passato” “Giusto così” In fondo, non gli aveva detto nulla che non applicasse anche a loro stessi: quante volte aveva lo aveva spronato ad andare avanti a non guardare più indietro se significava farsi solo del male e restare impantanati.
“E poi per me...non ne valgo la pena” “Ehi ehi! Signora Neri!” la sgridò suo marito “tu ne vali sempre la pena, ricordatelo” “Sì, lo so” affermò, sorridendo soddisfatta “ma solo e soltanto per te”
Emma si sporse leggermente per avvicinarsi a suo marito, facendo attenzione a Sole tra le sue braccia e Luna ai suoi piedi. “Vorrei ben vedere” sussurrò Francesco, smettendo di remare, trovandosi le labbra della moglie ad una distanza molto ravvicinata e volendo eliminarla definitivamente. Prese il collo di Emma tra le mani, accarezzandole la nuca leggermente e finalmente posando un bacio su quelle labbra che erano l'unico posto in cui si sentiva veramente a casa. E lo stesso poteva dirsi per Emma: solo tra le sue braccia si sentiva completamente al sicuro e anche quando osava o superava i suoi limiti, lo faceva solo nella certezza di avere Francesco, il suo uomo, al suo fianco.
“Adesso però tocca a me!” esclamò Leonardo, incurante del momento di intimità dei suoi genitori: per lui, così abituato a quelle smanceria, una in più o in meno non faceva differenza. Francesco, strizzando l'occhio a sua moglie, complice, occhiolino che sapeva tanto di riprenderemo più tardi e anche meglio, fece accomodare il bambino tra le sue gambe, aiutandolo a destreggiarsi con i remi per virare e tornare verso la palafitta.

   
 
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