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Autore: EmmaJTurner    12/08/2023    4 recensioni
Anja, botanica che sopravvive con la sua arte raccogliendo e vendendo erbe ai clienti più disparati nella regione fantastica di Zolden, stavolta ha scelto una missione pericolosa: raccogliere fiori di sambuco durante la luna piena. Anja assume quindi Riven, di professione ammazzamostri, per proteggerla dai licantropi.
Anja e Riven, all’inizio concentrati nel loro quieto vagabondare in splendidi boschi traboccanti di specie botaniche e creature fatate, capiranno presto di condividere un raro legale di sangue che per il loro bene - e quello di tutti - deve essere spezzato.
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
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Sambuco 

“Il sambuco è un albero protettore. Ha un tronco cavo, che risucchia gli spiriti maligni e li seppellisce sottoterra. Per questo motivo viene piantato un sambuco di fianco ad ogni nuova casa; per buon auspicio. Lo sapevi?”

Riv disse che non lo sapeva.

“Ci sono diversi tipi di sambuco, ed è essenziale sapere distinguere il Sambuco Nero, la varietà commestibile, dal Sambuco Ebolo, che invece è tossico. Fiorisce in primavera ed è meglio raccogliere i fiori appena sbocciati. Se raccolti in una notte di luna piena e poi immersi in una mistura di zucchero e aceto, i fiori si possono utilizzare per un decotto che allevia i sintomi più spiacevoli della licantropia. Ma se li secchi e li macini ci fai anche un’ottima farina per i biscotti.”

Anja avrebbe potuto continuare a blaterare di varietà botaniche fino alla meta, ma ebbe pietà del suo compagno di viaggio e si zittì.

Fu Riven a spezzare il silenzio. “Parlami dei licantropi”.

Anja apprezzò lo sforzo di fare conversazione. “Oh. Bè. Le persone che soffrono di licantropia - per essere politicamente corretta - cominciano a avere sintomi verso il venticinquesimo giorno del ciclo lunare. Nella notte di luna piena avviene la trasformazione completa che, senza nessun palliativo, rende la persona completamente fuori di sé. I sintomi sono peggiori nei periodi degli accoppiamenti: tarda primavera - cioè adesso - e inizio inverno. Ma è un periodo favorevole per me: i licantropi sono così presi dall’ingropparsi l’un l’altro - il che è abbastanza assurdo, visto che i licantropi sono quasi tutti sterili - che di solito mi lasciano lavorare in pace. Certo il rischio è comunque molto alto; ed ecco che qui entri in gioco tu”.

Entrambi si persero nei loro pensieri per un po’. Il sentiero che stavano percorrendo era piacevole, ampio e ombroso, fiancheggiato da alberi di noce e rigogliosi cespugli di more. Il sole filtrava su di loro in oblique lame di luce.

“Perché lo fai?”

“Cosa?”

“Questo lavoro”

Anja lo guardò in tralice con un’espressione che diceva ma secondo te?. “Per i soldi, ovviamente. E perché non mi piace passare l’inverno a chiedere l’elemosina sul sagrato del tempio. Questo è il lavoro più redditizio che so fare”.

Lui parve meditabondo. Anja non poteva perdere un’occasione come quella. Ormai era tradizione.

“E tu?”.

“Io cosa?”.

“Perché, tra tutte le cose che potresti fare al mondo, vieni a licantropi con me?”.

Come si aspettava, Riven non rispose. 

***

Arrivarono all’alloggio nel tardo pomeriggio. Era una locanda di seconda mano, con solo due camere, vicino ad un lago. Più che sufficiente per dormire un paio d’ore e poi raccogliere fiori di sambuco cercando di non farsi ammazzare da canidi in calore.

Lasciarono i cavalli davanti alla locanda e avvisarono il padrone del loro arrivo.

Anja si defilò veloce verso il lago e si tolse borsello, cintura, gonna, stivali, calze e corsetto, restando in camicia e sottogonna bianca. Si immerse nell’acqua gelida con un gridolino di gioia. Si strofinò via lo sporco alla meglio, fece alcune bracciate e uscì gocciolante, rabbrividendo soddisfatta.

Colpita da una sensazione ormai conosciuta, si voltò. Riven la stava guardando.

Lo fissò battagliera. “Cosa c’è?”.

Riven non rispose, ma Anja vide il suo sguardo scorrere dalle numerose contusioni viola che esibiva sulle gambe, ai tagli nuovi e vecchi sulle braccia, al sangue incrostato sulla fronte.

La sua espressione di biasimo era eloquente. Il guaritore-non-guaritore che era in lui soffriva a quella vista.

“So badare a me stessa” replicò Anja.

“Tendi a farti parecchio male, per essere una che sa badare a se stessa”.

Anja decise di non raccontare mai a Riven dell’incidente dentro il vulcano. “Sarei comunque sopravvissuta” rimbrottò, infastidita.

“Forse non al rosperonte”.

Anja ci pensò su. “Forse non al rosperonte” concesse. Si stese ad asciugare al sole, e guardò Riven che a sua volta si spogliava e si tuffava nel lago.

***

Anja si era appostata sotto i sambuchi più carichi di boccioli. Era nervosa. Il sole, una palla di fuoco arancione sull’orizzonte, era pronto a nascondersi dietro le montagne. La luna era già alta nel cielo ancora chiaro, perfettamente rotonda.

Quando avevano avvertito il proprietario della locanda dei loro piani per la notte, lui aveva berciato che erano dei pazzi furiosi e aveva reclamato i soldi in anticipo. Non poteva biasimarlo.

Anja giocherellò con la catenina d’oro che aveva al collo, il metallo tiepido estraneo sulla sua pelle. Riven gliel’aveva agganciata a tradimento, e al suo stupore aveva risposto solo “così saprò dove ti trovi”. Enigmatico figlio di buona donna. 

Anja si augurò che Riven fosse all’altezza della situazione, o quella sarebbe stata una brutta notte per tutti e due. Anja sentiva il suo sguardo dietro il collo e la pelle d’oca sulle braccia. Pensò che dal non guardarla mai neanche per sbaglio, adesso la fissava pure troppo; ma tutto sommato era piacevole, quindi non si lamentava.

Anja osservò le onde arancioni create del tramonto che si specchiava sul lago e ripensò a quella mattina al tempio, quando Riven l’aveva guardata negli occhi e aveva tradito per la prima volta l’intensità della sua magia. Non aveva mai sentito parlare di guaritori che facevano questo effetto con il solo sguardo. E non doveva essere un dono comune: le aveva detto che poteva essere un problema.

All’improvviso, con il lago davanti, le tornò alla mente che aveva già provato quella stessa sensazione. Occhi negli occhi. Leggerezza e pienezza insieme, la testa piena di luce. Gli stessi occhi verdi… in riva ad un altro lago. 

Oh, merda.

Il primo ululato la riportò al presente con violenza. Il sole era calato dietro le montagne.

Anja osservò il cielo indaco farsi sempre più blu. Era quasi l’ora. Lanciò un’occhiata a Riven, appostato su un albero poco lontano da lei, e annuì. 

Quando il primo raggio di luna accarezzò le foglie più alte degli alberi, Anja iniziò a staccare i primi fiori di sambuco. Altri ululati risuonarono nella notte. Lontani. Per ora. 

Anja si spostò all’albero successivo, raccogliendo i grossi fiori con entrambe le mani e infilandoli nel sacco di iuta che aveva assicurato alla cintura. I suoi movimenti erano rapidi e metodici. 

Aveva riempito il sacco per un terzo quando Riven schioccò la lingua. Anja si immobilizzò. Qualcosa di grosso si mosse alla sua sinistra, saltò un cespuglio e sparì nel buio. Anja attese un lungo momento prima di riprendere a staccare i fiori. Le mani le tremavano, ma nulla di grave.

Continuò a raccogliere sambuco fino a riempire la sacca. Rumori di foglie spostate e rami spezzati la circondavano nel buio. Gli ululati si facevano più frequenti e intensi.

Anja chiuse il sacco con un nodo. Con un fremito di speranza, si disse che ce l’aveva fatta. Esaminò le fronde nel buio per segnalare a Riven che potevano andare.

Riven schioccò la lingua in contemporanea ad un ringhio basso che la ghiacciò sul posto. 

Anja si voltò con cautela. Riconobbe una femmina, più piccola e maligna dei maschi. 

“Non ucciderli, se puoi” aveva detto a Riven poco prima di appostarsi. “Senza luna piena sono persone con famiglia, amici e sogni. Non hanno colpe”. Sperò di non doversi pentire della sua generosità. Perché Anja sapeva che quella notte non poteva contare sulla generosità di nessuna di quelle creature. Non c’era pietà, né altro sentimento umano, in quegli occhi mutati scuri di sangue. 

Anja posò la mano sul piccolo pugnale che portava alla cintura e si mise in posizione.

La lupa, una bestia ossuta dalla pelliccia grigio-marrone, fece un passo verso di lei.

Anja indietreggiò facendo un lento mezzo giro.

La lupa specchiò il suo movimento, osservandola con curiosità minacciosa. Anja udì, impercettibile, il tendersi di una corda. Poi un ululato - vicino, troppo vicino - la fece fremere. Attratta dal richiamo irresistibile, la bestia la superò con un balzo e sparì nella vegetazione.

Anja tenne la posizione a lungo, ascoltando con attenzione i fruscii del bosco. 

Fece il segnale a Riven, che scese rapido dall’albero di posta. Aveva arco e frecce pronte all’uso; la spada al fianco.

“Possiamo…”

Ma Anja non seppe mai cosa potevano fare, perché in quel momento furono travolti da un gran baccano di ringhi e latrati. Un albero al loro fianco si sradicò e cadde con un gran fracasso; le radici una nera silhouette intrecciata contro la luna piena.

Tre enormi licantropi maschi si stavano azzuffando a meno di cinque metri tra loro. La bianca luce lunare rischiarava appena gli artigli sguainati e le zanne gialle luccicanti di sangue.

Anja indietreggiò, gli occhi spalancati nel buio. Questo non andava bene. Questo non andava bene per niente. 

“Via!” urlò Riven, spingendola lontano dalla colluttazione proprio mentre un secondo albero si abbatteva al suolo. Caddero e rotolarono entrambi. 

Uno dei lupi riuscì a affondare i denti sul collo del rivale e lo scaraventò nella loro direzione. Il lupo ferito si abbatté su di loro, schiacciandoli a terra. Uggiolava di dolore.

Riven spinse via la bestia di peso e si alzò. Anja si sentì tirare in piedi e seguì Riven in una corsa cieca tra latrati e suoni ripugnanti di carne strappata. 

Corsero fino ad uno spiazzo libero da alberi, dove si fermarono ansimanti. La luna piena brillava sopra di loro, beffarda. L’aria aveva un odore metallico. 

“Dobbiamo andarcene da qui”.

Anja non ritenne necessario confermare che era d’accordo. Il respiro le usciva tremulo e irregolare. I rumori della rissa bestiale erano ancora troppo vicini per i suoi gusti.

“Anja”.

“Cosa?”

Rumore di corda tesa. “Non ti muovere”.

Anja non ascoltò. Si voltò di scatto e vide un enorme ghigno giallo torreggiare su di lei. Sentì un sibilo e un rumore di impatto. La freccia si conficcò nell’albero alle spalle del mostro. Riven imprecò nel buio.

E poi la bestia le fu addosso. 

Con le fauci spalancate, il lupo mirò dritto al collo. Anja non glielo permise. Ficcò il coltello a fondo nel petto peloso e lo trascinò verso il basso, aprendo uno squarcio che la inondò di sangue. La bestia guaì e si ritrasse. Si udì un altro sibilare di freccia, e Anja ne approfittò per sferrare un calcio all'addome del lupo agonizzante.

L’animale, furioso, calò un'enorme zampa verso la sua faccia. Anja si diede una spinta all’indietro. Un dolore atroce le si aprì sul petto, poco sotto la giugulare.

Ci fu un suono di lama sguainata e il lupo cadde a terra, raggomitolandosi e ruggendo di dolore.

Riven le si fece subito accanto. Anja, ricoperta di sangue, vide il suo panico specchiato negli occhi di lui. 

Cercò di parlare, ma ne uscì un rantolo soffocato. La vista cominciava ad annebbiarsi. Pensò alla ragazzina sfregiata, ai suoi occhi bassi, al viso nascosto dai capelli. Combatté contro il buio che calava su di lei. No, cazzo, no. Anja aveva raccolto il sambuco e non aveva nessuna intenzione di morire quella notte.

Si attaccò al collo della camicia di Riven. 

“Riv. Portami via di qui”.

***

Erano riusciti ad arrivare al loro alloggio sul lago. Il proprietario li aveva guardati entrare in un misto di orrore e ve-l-avevo-detto-io. Poi si era messo a pulire il lago di sangue che avevano lasciato per terra, avvisandoli con un tono aggressivo che nessun medico o guaritore si sarebbe mosso quella notte. Erano soli.

Una volta in camera, Riven si era concesso esattamente sessanta secondi di panico. “Ti avevo detto che non sapevo tirare” le aveva farfugliato addosso inferocito.

“Quello che tu hai detto Anja aveva rantolato “è che non era la tua dote migliore. Se avessi saputo che eri una tale mezza sega, avrei organizzato questa cosa diversamente!”.

Poi Riven deglutì, sospirò, si passò una mano tra i capelli e tornò ad essere pragmatico ed efficiente.

Le tolse i vestiti insanguinati e lavò la ferita con acqua calda e una fiala di calendula. Su indicazione di Anja applicò un impiastro di achillea su una ferita probabilmente troppo grande per tutta l’achillea del mondo, ma entrambi finsero che andasse bene così. Poi recuperò delle garze dal bagaglio di Anja e eseguì un bendaggio che definire da principiante sarebbe stato un eufemismo.

“Questa ferita è al di là delle mie capacità” sentenziò, afflitto, osservando la benda impregnarsi di sangue.

Anja valutò di andare da Thalia all’alba. Lo disse a Riven. Ma era più di un giorno di viaggio di distanza, e non era nemmeno certa di poter stare in piedi, figuriamoci cavalcare.

Il respiro le usciva in rantoli irregolari. Chiuse gli occhi cercando di resistere al desiderio di vomitare. 

Poi le venne in mente una cosa importante.

“I fiori di sambuco! Vanno immersi in zucchero e aceto”.

“Mi prendi in giro?”.

“No! E se non lo faccio, sarà stato tutto inutile”.

La guardò come se fosse pazza.

“Per favore”.

Riven, borbottando scandalizzato, eseguì gli ordini della ragazza e, una volta finito, si sedette accanto a lei.

Anja respirava piano, combattendo le lacrime e il bruciore intenso. La ferita magica pulsava come una scheggia dolorosa, gonfia e grezza sotto la fasciatura.

Riven la stava fissando ancora; Anja percepiva il suo sguardo indugiare sulla benda ormai cremisi. 

“Starò qui stanotte” disse lui, cominciando a sfilarsi il farsetto. 

Anja spalancò gli occhi e lo guardò con un misto di preoccupazione e sorpresa.

 “Tu… io… mi posso fidare, vero?” gli chiese, una malcelata nota di paura nella voce. 

Riven si bloccò a metà del movimento. Fu come se gli avesse tirato uno schiaffo. “Stai scherzando?”

Lei non rispose, irrequieta. Lentamente, Riven distolse lo sguardo dal suo viso. “Non ti farò del male, Anja. Semplicemente, non posso aiutarti a distanza: la mia magia non è così potente. E se non facciamo nulla, con una ferita magica del genere… c’è una discreta possibilità che non arrivi a domattina”.

Anja lo fissò. Non più soggiogata dai suoi occhi, il dolore al petto tornò a morderla forte, ma poté analizzare la situazione con maggiore lucidità. Riven sembrava sinceramente preoccupato e, qualunque cosa lui fosse, aveva decenti poteri da guaritore. E, porca merda, lei rischiava davvero di non superare la notte.

Fece un flebile cenno di assenso. “Va bene”.

Riven finì di togliersi gli abiti più ingombranti e si sdraiò su un fianco accanto a lei. Con estrema delicatezza, posò la mano destra sopra la ferita. Anja sussultò di dolore. Riven cominciò a recitare incantesimi a bassa voce, la bocca contro i suoi capelli.

Anja si irrigidì e pensò che non avrebbe mai potuto rilassarsi in una situazione del genere, con un ammazzamostri praticamente sconosciuto che le sussurrava addosso formule magiche e una ferita da licantropo aperta e pulsante poco sotto la giugulare.

Ma piano piano sentì i battiti del cuore rallentare, i muscoli distendersi, e una tranquillità pigra discendere su di lei. Suo malgrado, il calore di Riven al suo fianco la faceva sentire al sicuro. 

Anja chiuse gli occhi e si addormentò.

***

Quando si svegliò il mattino dopo, fu sinceramente colpita di essere ancora viva. Non ci avrebbe scommesso. 

Riven dormiva al suo fianco, il respiro lento e regolare contro la sua tempia. La sua mano era rimasta stabile sopra la ferita, che doleva sotto le bende. 

Anja si sentiva debole e senza fiato come dopo una lunga febbre. Si mosse piano cercando di capire se poteva alzarsi.

Riven fece un mugugno assonnato e aprì gli occhi. 

Anja si voltò e lo guardò da sotto in su. La forza del suo sguardo verde la colpì come un ariete. Sentì la testa vorticare e richiuse gli occhi. 

“Scusa, mi hai colto di sorpresa” mormorò lui, la voce impastata dal sonno. Tolse la mano dalla ferita e si sedette sul letto. “Come ti senti?”

“Stordita” rispose lei, le palpebre ancora serrate, al sicuro.

“Poteva andare peggio” disse lui.

“Potevo morire” disse lei.

“È esattamente quello che intendevo”.

Anja fece un flebile suono di gola, la cosa più vicina ad una risata che aveva la forza di fare.

Riven si alzò, lasciando un freddo vuoto al suo fianco. Anja provò una spiacevole sensazione di abbandono, e fu sorpresa dalla tentazione di chiedergli di rimettersi giù con lei. Per ragioni strettamente mediche. 

Lo guardò rivestirsi. Riven colse il suo sguardo; non gli piacque quello che vi lesse dentro. Anja scattò a fissare il soffitto, imbarazzata dei suoi pensieri e con il ragionevole dubbio di esservi stata colta in flagrante.

Lui finì di allacciarsi il farsetto. “Riesci ad alzarti?”.

“Credo di sì”.

Anja si mosse cautamente nel letto, facendo scivolare le gambe fuori dal bordo e poi sollevando il busto. Aculei di dolore esplosero dalla ferita, facendola sussultare. Si morse il labbro per non frignare. Appoggiò una mano al muro e si alzò sulle gambe. Gambe che ressero per esattezza tre secondi prima di piegarsi e cedere, facendola capitolare di nuovo sul materasso imbottito. Anja vide le stelle e gemette piano.

Riven torreggiò nel suo campo visivo con espressione corrucciata. “Credo che abbiamo un problema” sentenziò.

“Credo che ne abbiamo più di uno” replicò lei, cercando di suonare arguta.

Riven la fissò con attenzione. Anja si sentì ancora più frastornata.

“Dobbiamo andare dalla tua strega” disse infine lui.

***

Ci volle un intero giorno di cavallo per arrivare a Oswald. Anja si sentiva svenire a intervalli regolari, e perse il conto delle imprecazioni lanciate da Riven mentre le impediva di cadere dall’arcione. La ragazza cercò di dare indicazioni più precise possibili per arrivare alla dimora della strega, ma continuava a sbagliare, confusa di febbre. Anja sentiva spilli di dolore diramarsi dal petto e attraversare tutti i nervi del corpo. Ansimava e schiumava dalla bocca quando Riven la tirò giù da Miles e la trascinò a forza verso una casetta di mattoni rossi che, grazie a Dio, conosceva bene. Erano nel posto giusto.

Ci fu un veemente ringhiare e menare alla porta, e il viso pallido e cauto di Thalia sbucò da dietro il battente di legno scuro. La strega guardò entrambi, prima con sorpresa, poi con crescente sgomento. Anja, per nulla rassicurata, svenne.

   
 
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