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Autore: wanderingheath    19/08/2023    0 recensioni
Nella vita di Martina l'unica certezza è il suo gruppo di amiche, che la accompagna fin dall'infanzia.
Adesso, però, che qualcosa si è inceppato, nulla è come prima. Le ragazze che sono state il suo mondo, di colpo non lo sono più e la tagliano completamente fuori.
Serena sembra riuscita a realizzare il proprio sogno, non quello del grande amore. Ilaria, invece, follemente persa in una relazione non si accorge della vita soffocante che le è stata imposta. Infine, Emma è ancora alla ricerca di se stessa e pende da un'illusione non corrisposta.
Intanto Martina, con una vita sentimentale disastrosa e una carriera ancora peggiore, si mette a caccia di una coinquilina e di un lavoro stabile, anche se sente che la propria vita non prenderà mai una forma. Quando la sua occasione arriva, però, il costo è davvero alto e Martina dovrà decidere cosa sacrificare: le sue ambizioni o le sue amiche.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
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2. Il bicchiere mezzo pieno 

All’estate al Circeo aveva ripensato migliaia di volte. Ci aveva ruminato e ruminato, senza spiegarsi cosa potesse essere andato storto.
Era ospite in casa di sconosciuti – naturalmente non l’aveva venduta così ai suoi genitori – che erano amici più grandi di alcuni compagni di classe. Una villetta a due piani, come tante che si trovano su quel pezzo di litorale. I ragazzi festeggiavano la maturità appena passata, i sessanta afferrati per miracolo e stretti con i denti.
Con lei e con gli altri sedicenni avevano in comune solo qualche professore e di quello avevano parlato per tutto il tragitto in macchina. L’unica del suo gruppo di amiche storiche ad accompagnarla nella folle impresa era stata Serena, perché Ilaria e famiglia erano già partiti per San Martino, mentre a Emma la prospettiva non allettava affatto. In effetti, ripensandoci a posteriori, Martina riconosceva che quella non era stata la sua idea migliore: cinque giorni in compagnia di un gruppo di sconosciuti, con percentuale maschile dominante.
Per lei non era un problema, cresciuta a stretto contatto con due fratelli maschi, ma Serena oppose qualche resistenza.
«Non lo so, Marti. Dividere il bagno con i ragazzi…» le aveva detto prima di partire.
«Lo fai di continuo, con tuo fratello.»
Lei aveva sbuffato, in quel modo divertente che ricordava un vaporetto.
«Che c’entra? Lui è un bambino.»
Alla fine, però, l’aveva seguita in quell’avventura.
La seguiva sempre in tutte le avventure.
Martina sospirò, scrollando con svogliatezza i contenuti del telefono. Evitò le cartelle con le foto, perché il livello di amarezza per quella sera era già sufficientemente alto; si concentrò, invece, sulle chat aperte. Quella di Serena era ferma a maggio.  
L’ultimo messaggio consisteva in una serie di emoticons, quasi tutta la situazione fosse un enorme scherzo. Serena le aveva inviate in risposta a un link ricevuto – quasi sicuramente un meme con degli animali. Dalla reazione, Martina avrebbe giurato che avesse gradito e invece, dopo, il nulla siderale.
Martina controllò il proprio bicchiere: del cocktail era rimasto poco o nulla.
Fece sparire il resto del Vodka Lemon, gettando la testa all’indietro. Un brivido le percorse la pelle nuda della schiena, visibile attraverso l’oblò del suo top nero. La musica del locale l’assordava, spegnendo l’eco dei suoi pensieri. Qualcuno, tuttavia, rimbombava con maggiore prepotenza.
«Ti sei scolata una birra?»
Sentiva ancora la voce di Serena, quella benedetta estate, mentre sgranava gli occhi da cerbiatta che gli occhiali tondi le evidenziavano ancora di più.
Lei aveva aperto lo sportello del frigorifero, per porle un’altra bottiglia fresca. Sapeva che ogni loro movimento era monitorato dai “ragazzi più grandi”.
Ormai aveva dimenticato i loro nomi, ma era convinta che anche all’epoca non ne avessero: erano solo queste mitologiche, inverosimili creature, simili ai dinosauri.
«Sei triste?»
Qualcuno, adesso, le si era avvicinato. Era un ragazzo sulla trentina, i capelli rasati, il pizzetto da finto giovincello. Martina lo catalogò in cinque secondi: camicia hawaiana appena sbottonata, un piercing spillato sul sopracciglio.
«Come?»
Glielo aveva urlato, offrendogli l’orecchio e una possibilità di redimersi dall’approccio di merda. Chissà perché i ragazzi usavano quelle penose frasi ad effetto, convinti di brandire una tattica di rimorchio infallibile.
«Ho detto: sei triste?»
Con qualche decibel in più, era ancora più fastidioso.
Martina trasse un sospiro. Poteva scegliere di giocare la carta della principessa in difficoltà o quella dell’animale da festa. Diverse modalità, stesso risultato.
Ci stava riflettendo, ma evidentemente si prese qualche secondo di troppo, perché lo sconosciuto speronò di nuovo: «Una ragazza bella come te non merita di essere triste».
Quindi, avvenenza equivaleva a felicità. Cazzo, avrebbe dovuto giocarselo anche sul suo ultimo posto di lavoro. Si immaginava al negozio di giocattoli che sbatteva un peluche a forma di gattino contro il suo ex capo, mentre la licenziava, gridando: «Io non merito di essere triste! Sono troppo sexy per questo».
Martina glissò sul tentativo del tipo di provare a consolarla. Cambiò del tutto registro e, guardandolo dritto negli occhi, gli disse: «Mh, mh. Tagliamo corto. Bagno?»
 
 
Il trentenne che voleva “salvarla” si rivelò tutt’altro che il principe azzurro.
Dal momento che i servizi del locale erano entrambi occupati e una coda di mezz’ora non andava a genio a nessuno dei due, la portò sul retro: un vicolo illuminato a intermittenza da un lampioncino scassato, ingombro di sacchi dell’immondizia, sebbene ci fossero dei secchioni poco più in là.
Si erano scambiati un’occhiata veloce, prima di scegliere il muro. Rispetto all’ultimo sconosciuto con cui era stata, il turista hawaiano – le piaceva immaginarlo così – era molto più impetuoso. L’aveva scaraventata contro la parete del locale e avviato una pomiciata che Martina aveva trovato nauseante. Odiava quando le ficcavano la lingua in bocca in quel modo, sottintendendo una subdola dominazione.
Per risposta, lo afferrò per il colletto, spingendolo verso il muro. Riuscì ad invertire i ruoli e gli stava slacciando i pantaloni, quando il cellulare squillò nella borsetta.
Una, due, tre volte. Al quinto squillo, Martina s’interruppe per rifiutare la chiamata.
Chiunque la stesse cercando, però, non si fece scoraggiare.
Alla terza telefonata, Martina si staccò dal muro ed estrasse il telefono.
«Che fai?» ansimò il ragazzo, basito.
«Scusa, è il mio coinquilino. Se non rispondo, mi rovina la serata.»
Camicia hawaiana si mostrò risentito: «Beh, te la sta già rovinando».
«Come se te ne fregasse qualcosa» lo zittì. «Dai, non frignare. Ci metto un attimo.»
Purtroppo, sapeva di mentire a se stessa, perché con Filippo la conversazione non si esauriva in “un attimo”, ma solo quando lui si riteneva soddisfatto.
«Che c’è, Fil?»
«Dove cazzo sei?»
Sussurrava, ma solo per celare una rabbia che lei riconobbe subito. Doveva aver dimenticato di fare la spesa o qualcosa di simile. Quella sera era impegnato in una delle solite sessioni da invasati con i suoi amici e lei gli aveva finito le patatine.
«Fuori» tagliò corto. «Senti, sono nel bel mezzo di… qualcosa. Se permetti, ho fretta.»
«Allora porta in fretta il tuo culo qui.»
Martina si passò una mano sul volto, massaggiandosi la guancia. Tra lei e Filippo correva ottimo sangue, motivo per cui gli permetteva di parlare in quel modo. Ora che ci pensava, era l’unica persona al mondo a cui fosse concesso il privilegio di insultarla.
«Mi dici cosa c’è?»
«C’è la tua amica. Qui, in salotto, da circa un’ora. Ecco cosa c’è» sbottò lui, sforzandosi di canalizzare l’urlo in un bisbiglio. «E io ho finito le idee per intrattenerla. Smettila di scopare e vieni a darmi una mano!»
Oddio. Il colloquio.
Se ne era completamente dimenticata.
«Da quanto tempo hai detto che è lì?»
«Sbrigati!»
Le riattaccò in faccia. Martina appoggiò la testa contro il muro, socchiudendo gli occhi. Dal suo cantuccio, il cavaliere senza macchia e senza paura le domandò se stessero per riprendere o meno. Nel caso, si sarebbe rituffato dentro il locale, in cerca di qualche altra preda per la serata.
«Sono davvero tentata,» ridacchiò lei, «ma ho un colloquio con una possibile coinquilina. Scusa, ma il caro affitti…»
Lui la mandò al diavolo, dicendo di inventarsi una scusa migliore per la prossima volta. Condì il tutto con un pesante insulto sessista e sparì nella macchia del club.
«Davvero un principe» sussurrò lei, chiamando un taxi.
 
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Spazio autrice

Salve, salve. 
Una scena un tantino più frizzante per Martina, che da questo capitolo inizia a rivelare il proprio caratterino. 
Che ne pensate? Vi è facile immedesimarvi oppure secondo voi è un'esaltata? 

Sono curiosa di scoprire come ve la immaginate in azione. 

A presto, 

Heath 


 
   
 
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