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Autore: lolloshima    23/09/2023    1 recensioni
Questa storia partecipa alla challenge #12months indetta dal gruppo Facebook Non Solo Sherlock - Gruppo Multifandom.
Ho preso spunto da questa bellissima sfida per ripercorrere, mese dopo mese, il percorso e la crescita del nostro 'piccoletto' Hinata Shoyo, direttamente dal suo punto di vista.
Me lo sono raffigurato annotare su di un immaginario diario scolastico, tutti gli eventi importanti, le sue emozioni e i suoi progressi, non solo in ambito sportivo, ma anche - e sopratutto - personale. Con un occhio particolare al suo rapporto con Tobio Kageyama, suo alzatore, compagno di squadra e... molto, molto di più.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Karasuno Volleyball Club, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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AGOSTO - DIARIO D’ALLENAMENTO

Fa caldo. Tremendamente caldo. Un caldo da morire.

Cosa dovrei aspettarmi, visto che è il 10 di agosto, è mezzogiorno, sono in spiaggia e mi trovo in uno dei paesi più caldi del globo? Anzi, posso dire che nella mia personale classifica dei posti più infuocati e bollenti dell’universo, il Brasile è schizzato senza alcun dubbio al primo posto.

Ogni tanto mi chiedo cosa ci faccio qui, e se valeva davvero la pena scappare così lontano.

Sì, scappare. Credo sia la parola più giusta, per descrivere la mia scelta.

Ufficialmente sono venuto qui per imparare a giocare a beach volley e migliorare le mie prestazioni sportive, ed è certamente quello che sto facendo, mi sto impegnando tantissimo.

Ma, diciamoci la verità. Il Brasile? Per giocare a beach volley dovevo davvero arrivare fino a qui? Non si gioca a beach in Giappone? E’ vero, forse non ad alti livelli, ma cosa vogliamo dire dell’Australia? Non si gioca a beach lì? In un continente così immenso – e tutto sommato non tropo lontano dal Giappone – sul serio non ci poteva essere un campo da beach volley dove mi potevo allenare? E in Cina? O in Korea? Maddài, il mondo compreso tra Sendai e San Paulo è strapieno di posti dove avrei potuto imparare a giocare a beach volley e migliorare le mie prestazioni sportive! Eppure io ho scelto di venire qui, letteralmente dall’altra parte del mondo. Non ho trovato di meglio per strappare quel cordone ombelicale che mi legava al Karasuno e al suo palleggiatore geniale.

Proprio lui, Kageyama Tobio. La stessa persona che mi ha permesso di volare, che mi ha fatto scoprire di cosa potevo essere capace, ma allo stesso tempo mi ha tenuto legato, e ha governato ogni mia mossa. Proprio come succede ad un aquilone, che si libra in volo, ma resta sempre legato ad un filo.

Amavo volare, anche se legato ad una corda, anche se guidato da terra. Ma continuando così non sarei mai cresciuto come atleta, né come uomo. Per diventare grande, per realizzare il mio sogno, avevo bisogno di spezzare quel filo, di volare da solo.

Non bastava il Giappone, l’Australia, la Cina, non bastava nessun Paese che non mi consentisse di essere il più lontano possibile da lui. Anche se questo ha significato spezzare due cuori.

L’ultima volta che abbiamo fatto l’amore, Tobio non sapeva che sarebbe stata l’ultima, e che sarei partito. Io lo sapevo, ma non ho voluto dirglielo.

Non volevo che quel momento venisse velato da un addio, non volevo che la malinconia prendesse il sopravvento.

Per Tobio è stato come sempre. Ha finto di arrabbiarsi con me, accusandomi di non voler diventare più alto, mi ha preso in giro, ha detto che nel sesso sono scarso come a pallavolo, e che dovrei allenarmi molto, molto di più. E ha riso. Kageyama Tobio si è divertito, mentre facevamo l’amore.

Non sarebbe successo se avesse saputo che quello era il nostro ultimo incontro, almeno per molto tempo. Lui non sarebbe stato così sereno, avremmo passato tutto il tempo a discutere, o a dilaniarci dal dolore.

Invece ho preferito soffrire da solo, cercando di ignorare quella tristezza quasi palpabile che attanagliava ogni mia cellula. Ho vissuto ogni momento con una tale intensità, che ancora adesso, dopo mesi, posso sentire chiaramente il suo respiro sul collo, le sue labbra umide avvolte intorno alla mia lingua, le sue mani sulla schiena, i brividi che mi hanno scosso quando l’ho sentito dentro di me, completamente, fino in fondo.

Posso rivivere tutto, e questi ricordi mi tengono compagnia nella lunghe notti di solitudine qui in Brasile.

Per Tobio non è lo stesso, lo so. Non può perdonarmi per quello che gli ho fatto. Sono certo che mi odia, che non vorrà più pensare a me, e non vorrà più rivedermi.

Me ne sono andato praticamente senza dirglielo, l’ho lasciato solo, senza tuttavia lasciarlo davvero. Non gli ho concesso neppure il beneficio di dire la sua, di convincermi a non partire.

Perché sì, sarebbe bastata una sua parola e io non sarei partito, non l’avrei lasciato mai.

Ma avevo bisogno di farlo, lo dovevo a me stesso, a tutti i miei sogni, lo dovevo al mio futuro.

E poi lo dovevo anche a Tobio, anche se lui non lo sa.

Lui avrebbe continuato ad alzare per me per sempre, avrebbe tirato fuori il meglio, e anche di più, dal suo schiacciatore. Ma sarei stato per sempre il suo aquilone. Un aquilone colorato e in grado di volare ad altezze impensabili, di fare evoluzioni e acrobazie. Ma pur sempre un aquilone.

Io voglio tornare da lui da persona adulta, indipendente, capace di camminare con le proprie gambe, di spiccare il volto e di restare in aria, da solo. Senza fili o condizionamenti. Una persona finalmente libera, nella testa, nel corpo e nel cuore.

Libera di amarlo e di affrontarlo da pari a pari. Non volevo più essere la sua ombra, non volevo rischiare che un giorno lui si stancasse di me e si accorgesse di quanto fossi inferiore, rispetto a lui.

L’ho capito al primo anno delle superiori, quando al torneo nazionale il mio fisico non ha retto, e sono crollato. E il Karasuno ha perso la partita. Lo so, me l’hanno ripetuto all’infinito, non è stata colpa mia, in squadra ci sono sei giocatori, e si vince o si perde insieme.

Ma Kageyama è rimasto in campo, lui non ha ceduto, lui ha vinto sulla fatica, sulla frustrazione, sulla necessità soffocante di giocare un’altra partita. Lui ha vinto su tutto. L’ho capito in quel momento, che non avrei mai potuto essere alla sua altezza. Almeno fino a quando non avrei trovato la forza di allontanarmi da lui.

I due anni che sono seguiti a quella sconfitta sono stati meravigliosi, intensi e pieni di traguardi e soddisfazioni. La squadra è cresciuta, io e Kags siamo cresciuti, la pallavolo ha continuato a nutrire le nostre aspirazioni e a divertirci.

Ma quella sensazione, quella consapevolezza che lui fosse ad un altro livello rispetto a tutti noi, e soprattutto a me, che lui tenesse sempre salda la corda del mio aquilone… beh, quella non mi ha mai abbandonato.

E quando ho potuto scegliere, ho scelto di mettere il maggior numero di chilometri tra me e l’unica persona che era in grado di farlo volare, quell’aquilone.

Lui mi manca da impazzire. Mi manca da fare male, a volte è come se mi mancasse l’aria da respirare, e allora arranco fino alla spiaggia a corro, corro anche se ci sono quaranta gradi, corro anche se piove a dirotto, corro finché i miei polmoni sono costretti a prendere aria dall’esterno, e io ricomincio a respirare.

Anche in quei momenti, non lo chiamo. Non ci ho mai neppure provato, a chiamarlo. Sono sicuro che non mi risponderebbe, o mi insulterebbe, e non riuscirei a sopportarlo.

Neppure lui, mi ha mai chiamato da quando sono qui.

Sono in contatto con molti dei miei ex compagni. Daichi, Suga, Ukai-san, persino Takeda-Sensei, mi chiamano spesso per sapere come sto e per raccontarmi di quello che succede a casa.

E chissà come mai, ognuno di loro, ad ogni telefonata, mi parla di Tobio. Perfino Tsukishima, quando mi ha chiamato per farmi gli auguri di buon compleanno, ha accennato al fatto che senza di me Kageyama si arrabbia molto meno.

Tutti mi dicono cosa fa, mi raccontano dei suoi successi sportivi (come se io non leggessi sulle riviste tutto quello che lo riguarda), e si sentono di dovere di dirmi che lui è sereno, nonostante tutto.

Nonostante tutto.

Nonostante me, e quello che gli ho fatto.

L’ho lasciato senza un apparente motivo, l’ho messo di fronte al fatto compiuto, al fatto che sarei partito. Non gli ho dato neppure il modo di arrabbiarsi, di disperarsi, di urlare o piangere. O magari di dirmi che era d’accordo con me, che mi avrebbe sostenuto.

Niente. Non gli ho dato la possibilità di fare niente. Solo di accettare, ed andare avanti.

Nonostante tutto.

Nonostante tutto, non ho mai smesso di amarlo.

Nonostante tutto, io lo so, lo sento, che lui mi ama ancora.

Nonostante tutto, ho il telefono in mano, e le mie dita conoscono bene il numero che sto digitando.

Nonostante tutto, anche se dall’altra parte del mondo è piena notte, suona libero.

Pronto?

Non sta domendo. L’ho svegliato?

Sono io. Sono Shoyo…

 

   
 
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