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Autore: Lizzyyy02    01/10/2023    0 recensioni
«Ricordi le vecchie storie e leggende del nostro popolo che ti ho raccontato? Beh…ce n’è una che ti ho sempre tenuto nascosta. Centinaia di anni fa, il Clan delle Streghe Hwītan, era affiancato da un altro Clan. Le creature più vicine di tutte alla Luna. Erano i nostri servitori. Quando però salì al potere il tredicesimo Capoclan, si rivoltò contro il nostro popolo, uccidendone la maggior parte. Da allora, nonostante la Luna a legarci, siamo nemici mortali» Sua Nonna concluse quel racconto, lo sguardo carico di serietà, come quando lanciava un incantesimo, o lodava la loro Luna.
«Ealdemoder» La chiamò, nella loro lingua «perché non me lo hai mai detto?» Chiese, la curiosità a divorarla.
Sua Nonna alzò un braccio, ad accarezzarle i capelli «Perché sono pericolosi per noi, Lȳtele. Da quel giorno, sono i nostri nemici più mortali. Sono creature molto antiche, potenti»
«Di che Clan si tratta?» Chiese ancora. Si sentiva attirata profondamente da quella storia, senza capirne il motivo. Sua Nonna la guardò intensamente, sembrava non volesse rivelarglielo ma che, per qualche ragione, dovesse. «È il Clan dei Lupi Bianchi. I Wulphwīt»
Genere: Fantasy, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Katsuki Bakugou, Ochako Uraraka
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ochaco lasciò andare un lungo sospiro, stendendosi su quel morbido giaciglio. Si sentiva di nuovo in vita. Prima aveva seguito Mina dentro l’ennesima tenda collegata alle altre, ma non era una stanza, non propriamente. C’era una gigantesca vasca, candele aromatiche dappertutto e bottiglie di quelli che credeva fossero bagnoschiuma e olii profumati. Erano rimaste insieme, immerse in quella vasca, mentre Mina insisteva per insaponarla e lavarle i capelli. Alla fine, aveva ceduto, stremata.
«Prima o poi devi farmi vedere una magia!» Le aveva detto lei. Sembrava davvero una bambina curiosa. Le rivennero in mente le bambine del Villaggio a cui badava, che le chiedevano sempre di mostrarle incantesimi. Ochaco sorrise, unendo i polpastrelli, concentrandosi, e facendo levitare in aria una bottiglietta di olio, per poi farla scendere dolcemente al suolo.
«Wow!» Esclamò «incredibile»
«Voi siete incredibili. Quando ti sei trasformata…non potevo credere ai miei occhi, non ho mai visto niente del genere» Disse, sincera. Mina fece una smorfia saccente per poi ridere «È solo grazie al plenilunio, in un giorno qualsiasi di luna calante ci sarebbe voluta mezz’ora buona per cambiare forma completamente»
«Davvero!? Così tanto?» La vide annuire, per poi riprendere «Il plenilunio cambia tantissime cose»
«A proposito, riguardo il plenilunio…»
«Vuoi riprendere il discorso del sesso?» Fece, con nonchalance. Ochaco arrossì dalla testa ai piedi e Mina scoppiò a ridere, sbattendo anche una mano sull’acqua.
«N-no! Volevo chiederti se fate qualche rituale, visto che comunque è un periodo sacro…» Disse. Loro al Villaggio ne facevano tantissimi di rituali di Luna, quasi ogni settimana. Vide Mina annuire «Solo durante la notte di plenilunio, però. Anche se in questi giorni facciamo comunque delle festicciole, ma non sono proprio ufficiali, ecco…» Disse, ammiccando «Non so se hai notato le tuniche e i gioielli che portavano gli altri del branco. Li indossiamo spesso quando il plenilunio è vicino, sennò di solito non ci acchitiamo così tanto» Uraraka annuì. 
«E tu e Kirishima? Hai detto che è il tuo futuro marito, giusto?»
«Oh, sì! Dopodomani! Non vedo l’ora. Tu sei invitata, ovviamente» Ochaco spalancò la bocca «Non avevo capito fosse un futuro così…non futuro» Fece, facendo ridere l’altra.
«L’ho convinto io. Voleva aspettare fino a dopo al plenilunio ma il sesso in questo periodo non ha paragone. Gli ho detto “pensa farlo durante il plenilunio…da sposati” e si è arreso. Solo non potevamo certo fare la cerimonia la notte del rituale; quindi, lo abbiamo anticipato ancora di più e alla fine…dopodomani. Sei arrivata appena in tempo!» Rise lei, seguita dalla Strega. Mina era proprio uno spirito libero. Si chiese come fossero i matrimoni tra Wulphwīt, felice di poter vederne uno. Uscirono poi dall’acqua e Mina la cosparse d’olio. Aveva un profumo esotico, speziato.
«Questo comunque non coprirà il tuo odore buonissimo!» Fece la Wulphwīt alludendo ancora a quel fantomatico “odore”. Finalmente ora poteva chiarire quel dubbio.
«Ma che intendi? Anche prima lo avete detto ma…non capisco a che ti riferisci»
«In realtà non ne ho idea. Anche nel bosco, quando ti abbiamo incontrata, l’ho fiutato subito, ma non ne ho proprio idea. Forse è il tuo sangue di Strega…» Ipotizzò Mina.
«Ma…se così fosse allora dovrebbe disgustarvi…» Ragionò lei. Mina fece un’alzata di spalle «Pensala così, non ti servirà il profumo!»
«Strano, me ne stai mettendo un quintale» Fece ironica, scoppiando a ridere insieme a lei.
Riaprì gli occhi, risvegliandosi da quel flashback di pochi minuti fa. In un gesto istintivo sfiorò con dolcezza la collana collegata a quella di sua nonna, e i suoi polpastrelli percepirono anche altro sotto le dita. Sì, perché Mina aveva insistito per farle indossare la tunica tipica del branco, quella di cui le aveva parlato, bianca per le femmine, rossa per i maschi, e collane e bracciali d’oro. A nulla erano valsi i suoi tentativi di farla desistere.
Fece per toglierli, abbandonandosi al sonno su quel giaciglio comodissimo, quando il suo sguardo fu catturato da quella luce così intensa, proveniente da fuori. Era come un richiamo, un istinto naturale, un bisogno insopprimibile. La ragazza si alzò, ponendosi in mezzo al fascio di luce che filtrava dall’ampio foro, fissando la Luna che sembrava sorriderle. Sorrise di rimando, la voglia di uscire che aumentava secondo dopo secondo. Unì i polpastrelli, e con poche parole nell’antica lingua, iniziò a sollevarsi lei stessa, raggiungendo quell’apertura che faceva da finestra nella tenda, passandoci attraverso con facilità, e atterrando poi dolcemente al suolo.
Iniziò a camminare, diretta chissà dove, guidata solo dall’istinto e dai suoi sensi irretiti dalla Luna, così maledettamente vicina in quelle Montagne, tanto che la sua luce illuminava tutto intorno a lei. Decise di seguire un sentiero abbastanza largo, sicuramente percorso tante volte visto quanto era ben battuto, allontanandosi dal campo. Sapeva bene che stava rischiando parecchio ad aggirarsi in territorio sconosciuto da sola, ma in quel momento l’istinto era più forte di qualsiasi altra cosa. Sorrise quando scorse delle lucciole rincorrersi. Le seguì, e lo spettacolo che le si parò davanti un attimo dopo le fece perdere un battito: un laghetto in mezzo agli alberi, se ne stava lì placido, illuminato dalla luce lunare. Uraraka si riempì gli occhi di quella meraviglia, avanzando, volendo saggiarne l’acqua tra le mani, ma una sagoma sconosciuta e buia la fece arrestare sui suoi passi. 
La figura era immersa nell’ombra, appoggiata a un albero, le mani nelle tasche. La ragazza ne distingueva solamente i contorni. Rimase lì ferma immobile, non conoscendo le intenzioni di quel tipo.
«Chi sei?» Provò a chiedere. A rompere il silenzio intorno a loro solo i rumori soffusi della foresta e dell’acqua del lago.
«Che ci fai qui» La ragazza spalancò gli occhi. L’aveva già sentita quella voce prima, nella sua stessa testa. Improvvisamente riuscì a scorgere qualcosa che prima non aveva notato: due occhi di rubino, luccicanti, predatori.
«Bakugo» Sussurrò, ricordando il cognome della Capoclan, e, ovviamente, di suo figlio.
«Allora?» Insistette lui, sempre con quel tono. Graffiante, rauco, pregno di rabbia ingiustificata.
«Volevo solo sgranchire le gambe. È stata una giornata lunga» Disse, ancora ferma.
Lui invece si staccò da quell’albero, iniziando a uscire dall’ombra. 
Non appena la luce della Luna lo colpì, Uraraka ingoiò un groppo in gola. Avrebbe riconosciuto in lui quel lupo che l’aveva atterrata anche se non avesse saputo prima la sua identità: i capelli chiari dello stesso colore del suo manto, il fisico forte e asciutto fasciato da pantaloni larghi stretti in vita da una fascia e maglietta termica. E poi c’erano quegli occhi, gli stessi che aveva visto appena arrivata nelle Montagne. Gli stessi che ora la fissavano con la medesima furia del predatore in lui. 
La raggiunse in poche energiche falcate, e Uraraka indietreggiò d’istinto, poi bloccata dal tronco dell’ennesimo albero. Lui la sovrastò, ma senza avvicinarsi troppo, le mani strette in due pugni «Come faccio a sapere che non stai tramando qualcosa? Hm?» Ringhiò rauco, a poco più di un palmo da lei. Uraraka strinse gli occhi. Voleva che lo temesse? Stava proprio sbagliando persona. Lei non si sarebbe sottomessa, nemmeno a lui.
«Mi credi ancora una minaccia?»
«Io ti credo una minaccia. Punto»
«Non lo sono, e tu lo sai» Fece, sicura. Non aveva paura di tenergli testa.
«Non posso saperlo!» Disse più forte, scoprendo i canini pronunciati
«Lo sai!» Ribatté lei, con lo stesso impeto.
Il Wulphwīt a quel punto schiantò le mani di fronte a sé, ai lati della sua testa «Dimmi come faccio a saperlo» Esalò, il tono basso. Uraraka sospirò. Iniziava a sentirsi strana. Le risultava sempre più difficile parlare, guardarlo negli occhi.
«Perché lo senti» Fece, di getto «So che lo senti. Che non sono una minaccia. Che non sono qui per far male al tuo branco. Farò in modo che possiate fidarvi» Vide i suoi occhi luccicare, ma un’ombra ci passò subito sopra. Scoprì di nuovo i canini «Non mi fiderò mai di te»
«Te lo dimostrerò» Ripeté, decisa.
Di colpo una folata di vento li colse, scostando i capelli scuri di Ochaco e facendola stringere leggermente nelle spalle. Quella tunica era decisamente troppo leggera. 
Lo vide aggrottare le sopracciglia e chiudere gli occhi sussurrando un «Maledetta» stretto tra i denti, quasi stesse soffrendo. Riaprì gli occhi rossi, puntandoli nei suoi confusi.
«Che incantesimo è?» Disse, in tono accusatorio.
«Che?» Fece lei, senza capire.
«Ti ho chiesto come fai a farlo» I suoi occhi, sempre più furiosi.
«Che cosa!?» Stava realmente perdendo la pazienza, iniziava a capire cosa intendesse la Capoclan. 
Lui fece una smorfia di rabbia «A emanare questo…odore» Ringhiò infine, lasciandola attonita. Ochaco sentì una fitta attraversarla. Non aveva idea di cosa le stesse prendendo. 
Lui non sembrò attendere davvero una risposta. Si avvicinò di più, chinandosi nello spazio tra il suo collo e la spalla lasciato scoperto dalla tunica. E lì, inalò a pieni polmoni dalla sua pelle. Ochaco sentì un brivido attraversarla, la pelle d’oca riempirle le braccia. Avrebbe dovuto allontanarlo, magari con uno spintone, ma proprio non riusciva a farlo. Una forza magnetica la teneva ancorata lì, ferma. 
Sentiva i suoi respiri pesanti sulla sua spalla, risalire fino al collo, raggiungendo il lobo. Non riuscì a rendersi conto di quanto tempo rimasero così, immobili contro quell’albero, finché lui non fece qualcosa che la spinse a guardare in alto, verso la sua Luna, come a cercare uno sprazzo di lucidità che sentiva di star piano piano perdendo. La leccò: sentì prima la punta umida della sua lingua lambire la pelle in un tocco quasi impalpabile, poi…osò andare più a fondo. Iniziò a lasciare scie umide sulla sua pelle liscia, prima sulla spalla, poi sulla clavicola, infine risalì il collo. Proprio lì indugiò più a lungo, ritirando la lingua umida e iniziando a passarci le labbra chiuse. Uraraka non capiva più niente, la sua mente e il suo corpo erano un turbinio di emozioni che non aveva mai provato. Teneva gli occhi puntati sulla Luna, le unghie incistate nel palmo. Poi Bakugo aprì piano le labbra, schiudendole, lasciandole piccoli baci umidi sulla pelle del collo, dietro l’orecchio. Catturò il lobo, mordendolo, tornando sul suo collo e mordendo anche lì, facendola sussultare, di sorpresa e dolore. 
Il suo scatto sembrò risvegliarlo. Si staccò bruscamente, quasi si fosse reso conto in quel momento cosa avesse fatto. Gli occhi erano lucidi, le labbra bagnate della sua stessa saliva. La fissò, abbassando gli occhi in una mezzaluna, e passando il pollice sulle sue labbra, schiudendole. Uraraka non connetteva più, qualsiasi lucidità, remora, completamente volatilizzate. Si lasciò accarezzare le labbra da quel dito ruvido, chiedendosi come sarebbe stato se avesse annullato le distanze. Anche lei abbassò piano le palpebre, fino a chiudere gli occhi.
«Cazzo» Lo sentì mormorare, prima di percepire uno spostamento d’aria e di nuovo il gelo su di lei.
Quando riaprì gli occhi era sola. Si guardò intorno. Niente. Si era completamente volatilizzato. La ragazza fece un sospiro tremante, portando una mano al cuore impazzito.
Inalò a pieni polmoni l’aria fredda per calmarsi.
Aveva fin troppe cose a cui pensare, adesso, dubbi da sbrigliare…ma per ora avrebbe fatto meglio a tornarsene in tenda.
   
 
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