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Autore: DISORDER    02/10/2023    1 recensioni
Mara e Serena hanno un mondo di cose da dirsi, ma non sempre riusciranno a dirle tutte. O almeno a dirle ad alta voce.
Mara e Serena si osserveranno da lontano, si avvicineranno, si allontaneranno di nuovo.
È difficile capire qualcosa di sé, ancor più capire l’altro.
E se il mondo avesse già scelto un destino per te? E se non ti avesse neanche lasciato lo spazio di esplorare i tuoi sentimenti? O almeno di vederne le infinite possibilità?
“Siamo in una piccola bolla, il mondo attorno sembra sfocato, anche la musica improvvisamente più bassa.
“Che vuoi da me?”
A mia giustificazione, devo dire che a parlare è la birra mixata alla coscienza.
“Domanda troppo generica. Non posso darti una risposta soddisfacente.”
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Mara 

 

Stefania dorme, è ancora presto e io non ho chiuso occhio. Il caldo mi ha tenuta sveglia tutta la notte. Osservo l’alba dal balcone della cucina, mi lascio cullare dal silenzio del mattino, sorseggio il mio caffè bollente spiluccando un biscotto al cioccolato.  Penso alle colazioni insieme, fino ad un anno prima, al risveglio in simbiosi, alle tenerezze quotidiane. Sento che qualcosa tra noi è cambiato, ma non saprei dire cosa con esattezza. Io mi sento più lontana che mai, le discussioni sono all’ordine del giorno (per il locale, per il matrimonio - che lei vorrebbe a tutti i costi celebrare -, per tutta una serie di cose minuscole che diventano giganti durante i confronti). Forse è vero che ad un certo punto l’amore finisce? Non ho una risposta a questa domanda, e non ho neanche una risposta dentro di me. 

La mattina presto è un momento di pace, un momento in cui posso stare per conto mio. E questi momenti me li ritaglio sempre, costi quel che costi, mi permettono di staccare e di ripercorrere i giorni, le settimane e i mesi passati. Penso fino allo sfinimento. 

Rientro in cucina e lavo velocemente la tazza usata, poi guardo un’ultima volta il sacchetto di biscotti. Un sorriso spunta in maniera del tutto inattesa e mi sembra di vedere quella ragazza un po’ strana, dai capelli ricci, e gli occhi verdissimi. Scuoto la testa e torno in camera da letto, Stefania apre un occhio, poi l’altro. Mi guarda con tenerezza, stiracchiandosi tutta, toccando con la punta delle dita il muro alle sue spalle. Mi siedo accanto a lei, Stefania percorre con i polpastrelli la mia schiena nuda.

“Buongiorno, amore.”

“Buongiorno a te.” 

Le bacio la fronte con delicatezza e la sento inspirare. Credo abbia deposto l’ascia di guerra per la discussione della sera prima. 

“Scusami per ieri, ho esagerato.” 

Lo dice guardandomi negli occhi, con un cipiglio serio, leggermente in tensione. E ha esagerato davvero. E per cosa? Per l’orario di apertura del locale (secondo lei dovremmo sperimentare anche le aperture al mattino) e per le spese sempre più alte. Come se dipendesse da me, o come se anche io non avessi il peso dei conti da far quadrare. 

“Tranquilla.”

Le accarezzo la testa, tentando di trasmetterle un pizzico di serenità, non ho voglia di discutere nuovamente. Stefania districa i suoi capelli biondi con le dita e si mette finalmente seduta. 

“Vieni qui.”

Mi tira per il braccio e in un attimo è sopra di me, a cavalcioni, le punte dei suoi capelli mi solleticano il viso. Il profumo della sua pelle, così familiare, mi accarezza le narici. Stefania porta le mie mani sui suoi fianchi e, senza lasciarmi il tempo di realizzare, mi bacia. Con foga. Con urgenza. Lo sento quel pizzico di rabbia e disperazione che la investe, sento come cerca di tenermi a sé e di non lasciarmi scappare. La stringo e la bacio, assaporo un po’ di lei e lei un po’ di me, ma è tutto strano, come sospeso, come se, in qualche modo, fossimo legate da un filo sottilissimo, prossimo a spezzarsi. 

Mi toglie l’ultimo strato e lo getta via in un angolo, si spoglia anche lei e siamo improvvisamente nude, pronte a riconoscerci ancora. E lo sento che mi vuole, che mi desidera, che non ha intenzione di aspettare neanche un minuto. E sono dentro di lei, avverto i suoi ansimi nel mio orecchio, ma ho gli occhi spalancati e mi muovo come se dovessi, come se un contratto inscindibile fosse lì sul comodino, a guardarmi minaccioso. E mi sento davvero una merda, ma non posso dirle di allontanarsi ché poi, magari, va a finire come ieri. 

Un grido strozzato e si lascia cadere su di me, ancora ansimante, i muscoli del corpo più rilassati. Un rivolo di sudore le attraversa la schiena. La stringo forte a me, le chiedo scusa con i polpastrelli, con il pensiero, perché le parole potrebbero inghiottirmi. E spero che lei lo senta, spero che riesca a leggere il mio stato d’animo, il mio tormento, il mio dispiacere. 

Non so se la nostra storia d’amore è finita, so soltanto che io, quel brivido, non riesco più a trovarlo. E lo cerco, tutti i giorni, disperatamente, ma fallisco. E ci provo, giuro che ci riprovo. 

 

*

 

Il giorno di chiusura del locale è un giorno in cui, in genere, investo il mio tempo nelle cose che mi piacciono. E di solito lo faccio con Stefania. Stefania, però, ha deciso - senza consultarmi - di raggiungere la famiglia in serata per una pizza e di propormi una tavolata di improbabili discussioni, richieste di un futuro matrimonio, figli, auto, viaggi, fogli di giornale. Sospiro mentre picchietto con le dita sul tavolo della cucina, cercando in tutti i modi di evitare il suo sguardo e di trovare le parole giuste per dirle che no, proprio non voglio passare una serata con la sua famiglia, non così, non in questo momento. Stefania ha le mani sui fianchi, i capelli biondo cenere le cadono composti sulle spalle, e mi fissa con un cipiglio quasi scocciato, un po’ incredulo.

“Che hai intenzione di fare?”

Cosa voglio fare? Non lo so, un viaggio in Colombia, un tuffo dove l’acqua è più blu.

“Pensavo di andare al cinema all’aperto, stasera.”

Lo dico velocemente, come se mi aiutasse a far digerire il boccone, ché qua gli equilibri sono già precari, manca un’altra discussione e poi kaput. 

“Ho detto ai miei che…”

“Non me l’hai chiesto, Stefania.”

Lei sbuffa e alza gli occhi al cielo, non sa come prendermi, so già che vorrebbe scuotermi per le spalle e farmi ragionare. Semplice, come bere un bicchier d’acqua: una serata in famiglia, come ce ne sono state tante. 

“Davvero vuoi lasciarmi andare da sola?”

Sospiro di nuovo. Mi sento nuovamente in colpa per i miei pensieri da stronza, ma tant’è, non posso farci molto. 

“Perché non vieni tu con me, al cinema?”

Comincia a camminare per la cucina, ispezionando con una certa attenzione le mattonelle, non mi guarda neanche per sbaglio.

“Che palle, Mara. Pare che fai sempre il contrario di tutto.”

Faccio di tutto per non perdere la pazienza, un po’ è pure colpa mia, non ho il diritto di fare anche il bello e il cattivo tempo. E allora cerco di essere comprensiva, quantomeno ragionevole. 

“Mi dispiace. Non riesco ad esserci stasera. Possiamo semplicemente fare quello che ci va e non pensare troppo?”

Stefania non mi risponde, va in camera da letto e la sento maneggiare con la borsetta, le chiavi di casa, le chiavi della macchina. Nel frattempo sbuffa, fa più rumore possibile, piccola strategia per comunicare il suo disappunto. Mi passo una mano tra i capelli corti, ancora umidi per la doccia di poco prima, e accendo una sigaretta. Al diavolo, smetterò domani, ora no, ora non è possibile. Inspiro una generosa dose di fumo e la ributto fuori, cercando di calmarmi. 

Stefania riappare in cucina, gli occhi leggermente truccati e ridotti a fessure così piccole da scomparire. 

“Vado, allora.”

Mi alzo in piedi di scatto, indecisa se salutarla come sempre o restare al mio posto, ma alla fine un piccolo passettino lo faccio. È lei a mettere le mani avanti e a voltarmi le spalle. Questa volta, vicino alla porta, mi guarda un po’ più a lungo.

“Buon film, divertiti.”

Porta che sbatte. E quel divertiti ha il sapore di un macigno, una minaccia più che una raccomandazione, una parola astiosa nelle intenzioni, l’eco di una delusione lontana. E comunque non posso restare qui tutta la sera, a piangermi addosso. Un minimo di tregua la merito anche io, magari davvero la notte porterà consiglio, o com’era il proverbio? Se non un consiglio, almeno un piccolo suggerimento? Piccolo piccolo? Pure insignificante, ma che almeno faccia luce sul sentiero da percorrere. 

E allora mi preparo sulle note di una canzone, alzo il volume perché non voglio sentire altro, peccato per la vicina, già mi/ci odia. Due donne insieme, da sole, in una casa (non sorelle!): è il suo incubo peggiore, forse lo sogna durante la notte, rimpiange i bei vecchi tempi in cui tutto questo non c’era - nella sua testa, povera illusa.

Questa sera così dolce che si potrebbe bere

Da passare in centomila in uno stadio

Una sera così strana e profonda che lo dice anche la radio

Anzi la manda in onda

Chissà se questa è la sera dei miracoli anche per me. Mica chiedo troppo?

Guardo la mia immagine riflessa nello specchio, sorrido. Ho quella strana adrenalina addosso che non so spiegare, ma è lì. Come a sentire un pizzico di libertà che può portarmi chissà dove, verso sentieri inesplorati o forse già visti. 

Lontano una luce diventa sempre più grande

Nella notte che sta per finire

È la nave che fa ritorno

Per portarci a dormire

  
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