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Autore: Yrina    13/10/2023    0 recensioni
Nel tratto di strada tra un isolato paesino dell'entroterra e la città nella baia, Fernando e Amaranta si trovano attratti l'uno dall'altra in una torrida giornata tropicale.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La città trascorreva addormentata le ore più calde del pomeriggio, ma Amaranta era sveglia sul letto, con gli occhi fissi sul soffitto. La vergogna la investiva con ondate calde: si vergognava a morte della sua condotta irresponsabile con un uomo che poteva anche essere pericoloso, di cui aveva poche informazioni e anche contrastanti; doveva essergli parsa un’oca, una poco di buono che avrebbe cercato di nuovo quando fosse stato dell’umore di divertirsi e lei che avrebbe fatto contro uno che girava con una pistola e un machete? Umiliata da sé stessa si copriva istintivamente gli occhi con la mano e sospirava sopraffatta; all’improvviso però lo rivedeva in cucina contro il lavandino, occhi come i suoi non ne aveva mai visti e non poteva dubitare che non corresse alcun pericolo perché la sua impressione era di essere al sicuro. Ripassava mentalmente le linee del suo corpo nella penombra della cucina e nella piena luce della macchina, e allora si sentiva annaspare, si sentiva il sangue come acqua bollente e non riusciva a stare ferma, se si soffermava un po' di più sulle mani e sulla voce sentiva che il ventre vuoto le si contraeva con spasmi avari. Si alzò all’improvviso e si infilò un vestito nero e leggero, se ne andò in cucina e provò a scrivere qualcosa. In quello stesso frangente Fernando stava su una poltrona di cuoio, sudato e nervoso e ascoltava un tizio in piedi che parlava di variabili e spese necessarie. Fissava dritto davanti a sé e vedeva l’orlo del vestito bianco che si ritirava sempre di più, come le onde del mare prima che un muro d’acqua travolga la marina. E travolto Fernando lo era stato. Anche se l’istinto lo spingeva a precipizio verso la casa della buonanima di donna Teresa, Fernando si teneva stoicamente fermo sulla poltrona che lo stava facendo cuocere a fuoco lentissimo. Non è che non fosse certo che, se fosse andato da Amaranta, lei non lo avrebbe avuto nel suo letto, anzi; e lui più ci pensava più faceva fatica a trattenersi, però voleva anche che fosse altrettanto chiaro che non era per questo che la voleva. Non era il sesso, benché fosse convintissimo che, se quella donna aveva un talento più alto degli altri, doveva essere nel letto. Lui la voleva letteralmente, voleva essere certo di averla sempre con sé, dentro di sé, accanto al suo sé più intimo. Era quasi un bisogno cannibale e non aveva nessuna familiarità con la sensazione. Un uomo più giovane di lui gli sedeva di fronte e lo guardava sorridendo sotto i baffi perché vedeva che Fernando stava scegliendo la sua battaglia in silenzio. Manuel, l’uomo più giovane, credeva di sapere cosa stava capitando perché poco prima della riunione era passato dal barbiere a farsi regolare velocemente barba e capelli e questi gli aveva chiesto se sapesse chi fosse la donna che abitava in casa della vecchia donna Teresa, Manuel ovviamente aveva risposto che no, non lo sapeva e chiese perché solo per non addormentarsi mentre l’uomo lo pettinava con mani leggere e il suo barbiere, soddisfatto, gli comunicò che dopo pranzo avevano visto Fernando uscire istupidito da quella casa, mettere in moto e per poco non prendere la curva dritta per uscire dalla via. Manuel si strinse nelle spalle non credendo alla scena che il barbiere gli aveva descritto, ma adesso con Fernando davanti, assorto come una statua di un pensatore greco, il pettegolezzo era più che plausibile. Quando alle sei in punto la riunione finì Manuel si alzò con tutte le intenzioni di tormentare Fernando, la cui fronte aggrottata presagiva un grosso nervoso. “Nando, che muso triste. Dicci che succede.” Lo stuzzicò, ma Fernando fece finta di niente. Si alzò e aveva le spalle zuppe e la maglietta appiccicata addosso, l’afa era insostenibile e l’aria sembrava più satura d’acqua che non d’ossigeno, se possibile il caldo peggiorava. “Va bene, visto che siamo un po' taciturni ti propongo di accompagnarmi stasera all’Arco, mi hanno detto che ci sarà musica.” Fernando seppe che Manuel sapeva di Amaranta in qualche modo che non poteva spiegarsi perché il vecchio arco di trionfo francese, ricordo di quando la città era una colonia, era esattamente dietro la camera da letto di Amaranta. Si sentì costretto a far finta di niente: “Se mi offri da bere ci vengo” disse lapidario. “Ci vediamo alle nove al malecòn.” Concluse Manuel facendogli un occhiolino, poi raccolse il cappello da una sedia e se ne andò. “Manuel” abbaiò all’improvviso e quello si girò di scatto “non mi aspettare, non ci vengo” decise che i programmi se li faceva da solo e da solo avrebbe perso la faccia se era il caso. Manuel rise “Ay Nando che tipo!” e si girò per andarsene, camminando aggiunse “Nando l’amore stanca e noi domani lavoriamo”. Fernando si beccò l’affondo con grazia e si ricordò che Manuel l’archetipo del figlio di puttana. Amaranta alle sei stava seduta fuori con le vecchie della via. Si era alzata dal letto e si era messa a scrivere, però non riusciva a completare neanche una frase e allora si prese le chiavi e i soldi e uscì per comprarsi una bella scorta di sigarette. Passò davanti ad una donna tutta vestita di bianco che stava seduta su uno sgabellino con una cassetta di legno capovolta vicino ai piedi e che le offrì di leggerle il futuro nelle conchiglie, Amaranta le sorrise e le fece segno di no. Non è che non ci credesse, al contrario: era persuasa che chi avesse il dono potesse davvero rivelare il futuro della gente, ma lei il suo non voleva saperlo, soprattutto se non era come se lo immaginava. Sentì la musica delle prove sotto l’arco di trionfo e immaginò che ci sarebbe stata una festa. A casa sua non era mai andata a una festa in piazza da sola, in effetti non era mai andata nemmeno a pranzo da sola e qual era il punto di separare il futuro dal passato con un oceano se poi non si cambiavano certe cose? Così si decise a passare alla festa da sola se la serata lo avesse permesso. Amaranta però non si ingannava, alla festa ci sarebbe andata solo per vedere se ci fosse stato Fernando, e poi magari l’avrebbe visto con la mano sulla vita di una ragazza con dieci anni meno di lei e ci sarebbe rimasta troppo male per rimanere lì. Forse certe vecchie abitudini era meglio non cambiarle tutto sommato. Se ne tornò che le vecchie erano già in formazione semicircolare nella via, fumavano le loro pipe mentre il sole se ne scendeva sott’acqua e muovevano le mani ingioiellate nel fumo denso scambiandosi pettegolezzi e ricordi con le voci sguaiate. Una la chiamo e le indicò la sedia vicino a una porta. Amaranta non si fece pregare e accettò l’invito, a casa non sarebbe comunque riuscita a scrivere. “Che mi dice mio figlio mentre dormo dopo pranzo? Che Fernando esce da casa dell’italiana!” gridò una di loro, grassa e avvolta in un ampio vestito giallo-arancio con uno scampolo della stessa stoffa ad avvolgerle i capelli. Amaranta si imbarazzò da morire, però ne approfittò: “E’ vero sì, mi ha dato un passaggio e mi ha portato dentro la macchina da scrivere. Ho capito che è una persona importante, no?” Risero tutte insieme scintillando la paccottiglia appesa ai colli e alle dita come gazze ladre cariche di bottino e la donna di fronte a lei ciarlò: “Senti, senti, è l’uomo di ferro del governo Fernando. Lui passa e le brutte intenzioni tacciono. Se da qualche parte a qualcuno viene voglia di fare casino, lui gliela fa passare.” La donna non era stata rassicurante e dopotutto lei l’aveva visto armato, non a scrivere poesie. La donna giallo-aranciata commentò “Ay che vecchia vipera sei! Perché tormenti la ragazza? È italiana non stupida!” E si volse ad Amaranta che le sorrise con un viso pacificamente stupido “E’ un bravo ragazzo Fernando. Un monaco è quel Fernando, solo per il lavoro vive e lo Stato pure lo porta così” e fece un gesto con il palmo della mano destra rivolto in alto. La parentesi di Fernando si chiuse con sobrietà in quell’istante e fumarono insieme mentre le raccontavano episodi storici a cui avevano assistito e altri meno storici a cui giuravano che dei loro conoscenti avevano assistito, come il tizio che cercava il tesoro di du Plessis nelle grotte sulla spiaggia del nord e i serpenti dal nulla lo avevano aggredito ammonendolo di non toccare l’oro del capitano. Guai a dubitarne! Il buio stava calando lento sulla terra e sull’acqua intensificando il senso di oppressione di quella giornata infinita; le parve che l’aria stesse cambiando: spirava da mare un debole refolo fresco puntualmente strangolato dall’umidità sulla terra. Poco lontano dalle comari con cui stava seduta e che fumavano la pipa c’era un tavolino rotondo, sul marciapiede, con una zeppa sotto un piede e due uomini anziani che giocavano a certe. Si erano insultati per tutto il tempo, erano magri e nervosi ed avevano in testa gli stessi cappelli di paglia dei contadini, mezzi sfondati dall’uso senza requie. Amaranta e le altre donne non facevano caso a loro finché Amaranta non sentì uno di loro annunciare “Fernando caro, siediti! Beviti un bicchiere.” Col sangue gelato sentì una sedia strisciare i piedi sul marciapiede lastricato e poi la voce di Fernando “Chi vince?” Era allegro e disinvolto, lei invece si sentiva sull’orlo dello svenimento. Era terribilmente in imbarazzo e il pensiero che le vecchie sedute intorno a lei potessero accorgersi che sperava di essere il motivo di quella comparsata le faceva tremare il bacino. Iniziò a muoversi cercando di sistemarsi sulla sedia, si accese una sigaretta e si sforzò di fare finta di non essersi accorta di nulla perché fortunatamente lui era seduto alle sue spalle. “Ah, figlio mio non si vince più da un sacco di tempo. Perdiamo e basta” disse uno dei due vecchi e poi una sedia di nuovo trascinata sul lastricato: “Ragazzi dobbiamo organizzarci per una bella partita e l’alcol lo porto io” risero tutti e tre. Il semicerchio saturo di fumo era silenzioso e attento, ma Amaranta era così concentrata sulla voce di lui e sull’alternarsi di caldo e freddo che le procurava la tensione che si accorse tardi che la donna giallo-aranciata aveva avvisato impersonalmente che Fernando stava andando da loro. “Quanta bellezza in un posto solo, signore.” Rideva con gli zigomi alti che gli rimpicciolivano gli occhi scuri e felini. “Fernando, la tua fortuna è che sono una vecchia con le ginocchia storte e di vetro, altrimenti non saresti così allegro” Risero tutti, anche Amaranta che aveva la gola annodata. Io sono seduta davanti alla porta di casa mia, e se lui è qua per me ho tutto il diritto di non farmi venire l’asma, si disse. “Se siete d’accordo ragazze vi dò il cambio e per stasera la turista me la prendo io” e fece un occhiolino alla vecchia giallo- aranciata che rise di gusto e commentò “Figlio mio, quando hai finito vieni a dare il cambio a mio marito” risero tutti di nuovo e Amaranta gli chiese molto impersonalmente “Mi devo cambiare?”, lui le fece una smorfia di diniego, lei si alzò e lui accosto la sua sedia al muro: “Ragazze, raccogliete i panni, arriva la tempesta” e si lasciò dietro i commenti delle vecchie. Camminava di mezzo passo dietro ad Amaranta e teneva le mani in tasca. “Dove andiamo?” chiese lei “Alla macchina” rispose serio e le appoggiò la mano sulla vita per guidarla fuori dal vicolo, andando verso il malecòn. Amaranta si sentì come se le avesse toccato direttamente un polmone e d’istinto inspirò sonoramente, lui anziché togliere la mano indugiò e la spinse delicatamente verso di sé con poca pressione: “Amaranta” disse, “Amaranta, che cosa hai fatto?” Se per un solo attimo aveva creduto con arroganza di non essere poi così attratta da quell’uomo, Amaranta aveva peccato di un’innocenza inspiegabile alla sua età. La voce bassa di lui, il suo odore un po' amaro misto al tabacco e la strada buia la tolsero dall’impiccio dell’inibizione. “Io niente, tu invece? Non mi aspettavo di vederti oggi stesso.” A malincuore si divincolò e sentì l’aria fredda che veniva dal mare alzarle i brividi dove Fernando aveva tenuto la sua mano per qualche secondo. “E che ti aspettavi?” “Non saprei dire, ma più che altro niente, forse.” E così, in modo naturale, si era stabilito che, pur giocando sul modello del metallo e della calamita, la costante tra Amaranta e Fernando era dire quello che pensavano. E dopotutto sono già vecchia per sedurre un uomo con i misteri delle mezze verità, si disse lei con un pizzico di superbia. Fernando la guardava perché si sentiva spinto a raccogliere ogni dettaglio e a tenerlo per sé. Non le rispose però perché, se fosse stata un’altra quella del passaggio in macchina quella stessa mattina, lui non si sarebbe davvero fatto vedere, lei non sbagliava a supporre che fosse quel tipo di uomo, ma non lo era con lei. Credeva di essere stato sempre sé stesso e sentiva che con lei poteva essere sé stesso nella versione che aspirava a diventare. Ma forse era solo l’effetto del caldo esagerato. Le aprì la portiera della macchina, lei salì e lui girò dal lato del volante, mise in moto e disse “Andiamo fuori città a vedere un bar simpatico.” “E la tempesta?” Chiese Amaranta un po’ preoccupata dal momento che tutti parlavano di queste tempeste disastrose e lei non ne aveva ancora vissuta una e non voleva fare l’esperienza nel mezzo di una strada sterrata in una scatoletta di lamiera. “Ci vorranno ore prima che arrivi” disse lui indifferente. “Amaranta.” Continuava a dire il suo nome perché sentiva che aveva una specie di ascendente su di lei e questo aveva di sicuro un ascendente su si lui. “Amaranta. Sei una donna istruita, attraente, che ha viaggiato per mezzo mondo e che sa come farsi ricordare da un uomo” Si girò a guardarla perché non voleva che la cosa la mettesse in imbarazzo o sulla difensiva, ma gli sembrò tranquilla e continuò “Posso chiedere dove hai imparato il trucco di oggi?” Amaranta rispose candida e divertita “Lo sapevo che saremmo arrivati lì. È stato un caso infelice, le mutande si sono sporcate, avevo paura che bagnassero anche il vestito e me ne sono liberata. Lo avresti fatto anche tu al mio posto.” Lui notò che aveva la tendenza a comportarsi con naturalezza, come fosse “uno dei ragazzi” e chiamava le cose col loro nome, senza sottigliezze da signorina: questo gli piaceva molto. Non parlarono più molto, ma la tensione di quella mattina cominciò a ricostruirsi nello stesso abitacolo dal momento in cui Fernando si accorse che alla caviglia destra di Amaranta era attaccato un filo d’oro che scintillava timidamente quando un raggio di luce solitario riusciva a raggiungerlo. Gli parve la cosa più sensuale che aveva visto. Amaranta dal canto suo era attirata dalla sua barba discretamente lunga, notò che non era molto folta se non sotto il mento, ma in Italia la tendenza era una rasatura perfetta tanto che alcuni uomini si radevano un paio di volte al giorno; perciò, la barba le rendeva il profilo di lui ancora più conturbante se possibile. “Perché sei venuta qua? Sull’isola dico.” Non l’aveva neanche sfiorato l’idea di porre la domanda più cortesemente o di supporre che forse non avesse voglia di parlarne con lui e Amaranta se ne compiacque molto perché era il sintomo evidente del suo interesse. “Mi ero innamorata di un uomo, eravamo molto amici, ma nulla di più. Un rapporto bellissimo, maturo e platonico. Un giorno arrivò e mi raccontò di come aveva deciso di sposare una donna all’opposto di me e per cui non avevo alcuna stima. Mi disse che ero la prima a cui lo diceva e che non sapeva come fosse stato possibile non accorgersi prima che lei era quella giusta. Piansi davvero molto, non immaginavo si potesse piangere tanto, però è successo anni fa e quando si è giovani si hanno ancora molte lacrime da piangere. Lo cercai e gli dissi quello che provavo e che non l’avrei più visto. Lui disse che era una scelta mia. Decisi che me la sarei fatta passare lì e poi me ne sarei andata dall’altra parte del mondo lasciandomi tutto alle spalle. Intanto morì mia nonna che lasciò a mio nome una piccola fortuna, abbastanza da permettermi di arrivare fin qui e provare a scrivere un romanzo, e se va male, lavorerò qui e continuerò la mia vita qui, ma non tornerò dove non c’è più niente per me.” Lo guardò dritto negli occhi e disse asciutta “E’ il tuo turno.” Lui sospirò e fu tanto asciutto e onesto quanto lei. “Avevo un’amica molto cara che voleva lavorare, frequentare un corso di segretaria, imparare la stenografia, mantenersi. Il padre non glielo permetteva, diceva che sarebbe uscita da casa sua solo per andarsi a sposare e io le proposi di sposarci. Ero uno studente universitario, ci volevamo molto bene e credevamo entrambi che fosse una specie di amore. Tutto bene i primi tempi, poi iniziammo a mal tollerarci, io la tradii molto e lei mi chiese il divorzio. Non ci amavamo però io lo vissi comunque come un fallimento anche perché non studiavo più e mi ero chiuso in me stesso. Mi feci un borsone e mi imbarcai. Ho lavorato su qualche nave e anche in qualche porto e quando sono arrivato qui ho deciso di rimanere.” Amaranta ebbe l’impressione che non si sarebbero mai fermati al bar simpatico, lui guidava convinto ma era chiaro che fossero semplicemente a zonzo. Fernando stese il braccio destro sullo schienale, dietro le spalle di Amaranta e iniziò a giocare distrattamente con la spallina del suo vestito, lei si accomodò avvicinandosi a lui e seguendo l’istinto gli posò la mano sinistra sulla coscia, la tenne ferma un attimo e poi la fece scivolare sul ginocchio spostandosi verso l’interno. Fernando, che non se lo aspettava, si sentì avvampare e smaniare e constatò che c’era un solo modo di far finire quello sfinimento e non aveva senso prolungarlo oltre. Attrasse con forza verso di sé Amaranta e dalla sua spalla scese con la mano sul fianco. Era una specie di lotta silenziosa in cui ogni tocco era un morso, un atto di conoscenza, l’acquisizione di un gusto nuovo. Non parlavano e quando Fernando fermò la macchina al lato del malecòn, dall’altra parte della strada di fronte alla porta della casa di donna Teresa, avevano il viso sconvolto dalla fame, gli occhi lucidi ed eccitati e le mani rapaci. Si sforzavano di tenere un contegno ma mentre attraversavano la strada tenendosi distanti cercavano in ogni modo una scusa per sfiorarsi. A pochi passi dal gradino davanti alla porta Fernando si fermò prendendosi una sigaretta e offrendola anche a lei. Accese per entrambi e la guardò sotto la luce soffusa con i capelli un po' in disordine, le guance rosse e gli occhi scuri e allungati che brillavano. “Entri?” gli domandò lei sottovoce. Lui si fece più vicino e la portò a indietreggiare verso il muro: “Sei sicura Amaranta?” Amaranta poteva non sembrare molto lucida, poteva non avere chiare alcune implicazioni, ma non era mai stata più sicura di nient’altro. “Io vorrei che tu entrassi.” Lo disse piano, guardandolo dritto negli occhi neri montati tra le sopracciglia scure e folte e gli zigomi alti; gli appoggiò la mano sul petto mentre parlava e Fernando non volle più sapere altro. Lei gli porse la chiave e lui aprì la porta con urgenza. La fece entrare per prima, sbattendo la porta dietro di sé e sollevandola sul piano in pietra del lavandino. Le posò le mani calde sulle cosce e le fece scivolare indietro l’orlo del vestito nero, Amaranta aprì le gambe e lui si avvicinò, la baciò piano all’iniziò e man mano che la foga aumentava le loro mani cieche imparavano a conoscere spazi nuovi. “Potrei voler rimanere” le sussurrò rauco all’orecchio e Amaranta gli rispose tirandolo verso di sé dopo avergli slacciato la cintura “Me lo auguro davvero”. Mancavano undici minuti a mezzanotte quando la tempesta liberò il vento sulla città coloniale francese e la pioggia frustò gli edifici dai colori pastellati che sembravano grandi biscotti da tè glassati, i più temerari cercavano riparo all’ultimo minuto ridendo sguaiati e i musicisti ritardatari si trascinavano bonghi e chitarre sperando di non bagnarli. La donna giallo-aranciata che abitava alla casa di lato ad Amaranta credette di sentire delle grida concitate, però soffriva d’insonnia e il suo udito non era più quello di prima. Poi però fu sicura di aver sentito bene perché colse qualcuno che gridava “Fernando” e allora sorrise tra sé e sé e sgomitò suo marito che russava accanto a lei al buio: “Lo vedi a che servono i temporali di notte?” Lui non la sentì ovviamente e lei bofonchiò “Ay, ma che ne sai tu”.
   
 
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