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Autore: Milly_Sunshine    22/10/2023    3 recensioni
Kay è una giornalista radiofonica affermata e conduce un programma di cronaca, accerchiata da un entourage di fedelissimi, il marito Anthony, a sua volta giornalista, il loro collega Samuel e l'assistente Theresa. Fissata con i crimini irrisolti, matura un'ossessione insolita nei confronti dell'omicidio di un'anziana locandiera che le costa a sua volta la vita. Kay si ritrova a sua volta vittima di un delitto, lasciando le persone che le stavano intorno, oltre che la collega Rebecca, con la quale aveva una feroce rivalità appianata soltanto nelle sue ultime settimane di vita, a interrogarsi su chi l'abbia eliminata e perché, su chi fosse la femme fatale che si aggirava presso la sede della radio il giorno prima del delitto, oltre che sulle ragioni per cui fosse così in fissa con lo specifico caso della locandiera assassinata. // Long fiction scritta nel 2015 sulla base di un'idea già in parte sviluppata cinque anni prima, unisce elementi del giallo classico e del thriller.
Genere: Mistero, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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«Cerca qualcuno?»
Samuel non si era accorto di Veronica Freeman che tornava al quarto piano.
Per un attimo rimase fermo, a guardarla, senza dire nulla.
La signora Freeman sorrise.
«Non si aspettava di trovarmi qui?»
«No» ammise Samuel.
La Freeman sospirò.
«Nemmeno io mi aspettavo di trovarla qui. Cercava il signor Carpenter, per caso?»
«No, non cercavo il signor Carpenter» le assicurò Samuel, convinto che quelle parole bastassero per liberarsi di lei.
«Infatti non è in ufficio, oggi pomeriggio» lo informò Veronica. «Se invece stava cercando qualcun altro...»
Tanto valeva metterla al corrente, dato che non c’era nulla di segreto.
«Stavo cercando Anthony. Ho saputo da Theresa che ha bisogno di vedermi.»
«Lo trova in archivio.»
Samuel raggelò.
«In... archivio?»
«Sì, sono entrata a dare un’occhiata e ho visto che stava rovistando tra le carte che ci sono nell’armadio.»
«Oh...»
Samuel si rese conto che quell’esclamazione avrebbe potuto essere interpretata nel modo sbagliato, ma non se ne curò.
Di fronte a lui, Veronica Freeman parve esitante.
Samuel le domandò, più gentilmente che poteva: «Ha bisogno di qualcosa?»
«N-No...» La segretaria dell’azionista di maggioranza non sembrava molto convinta. «Beh, sì, in realtà...» Abbassò lo sguardo, come se fosse imbarazzata. Samuel ne era certo: stava fingendo, per non fare la parte dell’impicciona. «In realtà devo ammettere che vedere il signor Hunter in archivio, proprio dove è morta sua moglie, mi ha fatto uno strano effetto.»
Certo, Samuel non aveva dubbi. A Radio Scarlet tutto faceva uno strano effetto, per chi voleva vedere oltre la realtà.
«Per caso ha pensato al fatto che, nei romanzi polizieschi, spesso gli assassini tornano sul luogo del delitto?» azzardò Samuel. «In effetti è una riflessione piuttosto accurata. Mi sono sempre chiesto, appunto, perché dopo avere commesso un omicidio sentano la necessità di tornare indietro. Che cosa ne pensa?»
La signora Freeman alzò gli occhi.
«È strano che lei mi faccia questa domanda.»
«Sì, è strano.» Samuel non era più sorpreso da quanto si abusasse di quel termine. «In effetti ne sono sicuro, che non se lo aspettasse.»
«Non credevo che arrivasse a ipotizzare che il signor Hunter...»
Samuel la interruppe: «Le faccio notare che, in nessun momento, ho mai espresso la mia opinione in proposito. E poi Kay si è suicidata.»
«Ne è convinto?»
Samuel sospirò.
«Ci sono forse dei dubbi?»
«Tecnicamente no» ammise Veronica Freeman, «Ma mi è parso di capire che Hunter ne sia tutt’altro che convinto... e che non sia il solo.»
«A volte le convinzioni sono dettate da quello che, dentro di noi, desidereremmo che fosse vero. Magari le nostre sono solo illusioni.»
«O forse sono qualcosa in più. La prego, Jeffrey, faccia attenzione. Un cadavere a Radio Scarlet basta e avanza.»
Samuel aggrottò le sopracciglia.
«Mi sta suggerendo di fare attenzione ad Anthony?»
La Freeman scosse la testa.
«Le sto suggerendo di fare attenzione, in generale, senza entrare nello specifico. Penso che, nel proprio intimo, ciascuno di noi sappia da chi si deve guardare.»
Samuel ridacchiò.
«Lei da chi si guarda, signora Freeman?»
La donna avvampò.
«Da nessuno.»
«Deve essere molto sicura di sé.»
«Semplicemente non ho scheletri nell’armadio.»
«Nemmeno io» le assicurò Samuel. «Da questo punto di vista penso di poter essere al sicuro.»

Ogni istante di attesa era deleterio, Anthony lo sapeva. La sua mente non era altro che un cumulo di riflessioni senza né capo né coda, in cui allo sfondo verde di Wordpower si mescolavano il passato di Theresa e il modo in cui Rebecca era stata messa da parte dopo l’assunzione di Kay a Radio Scarlet.
Nel grande armadio davanti a lui, in cui non c’erano scaffali, vecchi documenti ingialliti erano accatastati l’uno sull’altro quasi disordinatamente.
Anthony aveva finto di esaminarli, quando Veronica Freeman si era affacciata alla porta. Aveva udito i suoi passi in anticipo, quindi aveva avuto tutto il tempo di inscenare quella commedia. In realtà, nell’attesa di Samuel, si era semplicemente portato avanti con il lavoro, perché non intendeva far sfigurare Rebecca e, in realtà, non intendeva sfigurare nemmeno lui stesso, qualora si fosse presentata l’occasione di intervenire in trasmissione.
Sentì qualcuno passare, in corridoio.
Forse era colui che stava aspettando.
Anthony si avvicinò alla porta e si affacciò.
Era lui.
«Samuel.»
L’altro alzò gli occhi.
Sembrò avere un lieve fremito, nel notare che Anthony era proprio in archivio.
“Perfetto. Tutto sta andando come doveva andare.”

A quanto pareva, la sua ricerca si era conclusa.
Anthony stava già rientrando nell’archivio, per cui Samuel si affrettò a raggiungerlo. Non chiuse la porta alle proprie spalle. Sperava di averne per poco, dal momento che non intendeva rimanere a lungo in quella stanza.
«Ti ho cercato per tutta la radio» puntualizzò. «Avresti potuto riferire a Theresa dov’eri.»
«Magari» obiettò Anthony, «Preferivo non informarla. Dopotutto stiamo pur sempre parlando del luogo in cui mia moglie è morta.»
«Appunto» confermò Samuel. «Non capisco perché tu abbia voluto vedermi proprio qui. Suppongo che la cosa non sia stata casuale.»
«Volevo un luogo riservato.»
«Ho incontrato la Freeman, mentre ti cercavo. È stata lei a dirmi dove potevo trovarti. Credo che le tue teorie a proposito di luoghi riservati siano da rivedere.»
Anthony ignorò la sua osservazione.
«Hai un’idea anche solo vaga del motivo per cui ti ho chiamato qui?»
«No.»
«Apprezzo la tua sincerità.»
Lo sguardo di Samuel si posò sull’armadio, alle spalle di Anthony.
«Cos’è quella roba?» domandò. «Veronica mi ha detto che eri alla ricerca di qualche vecchio documento e...»
Anthony lo interruppe: «Per favore, Samuel, fai finta che Veronica non esista. Fai finta che non esista nemmeno questo armadio, se ci riesci. Per il resto non ho idea di quando sia stata portata qui questa roba.»
«Quindi» non poté fare a meno di osservare Samuel, «Può darsi che questo armadio sia anche stato vuoto, qualche tempo fa.»
«Sì, vuoto o quasi.»
Samuel rifletté.
Non aveva mai pensato a quel dettaglio.
Anthony non gli lasciò il tempo di continuare a concentrarsi su quel mobile.
«John Brooks è morto.»
«Lo so perfettamente» precisò Samuel. «Ne abbiamo già parlato. In realtà è da giorni che ne parliamo. Ti assicuro che non mi è mai sembrato che fosse un uomo sul punto di suicidarsi. Non avrei mai creduto che...»
«Appunto» confermò Anthony. «La teoria del suicidio è ridicola. Quell’uomo sapeva qualcosa che noi ancora non sappiamo.»
«Mi ha confermato che quell’Albert Wilkerson...»
Anthony lo interruppe: «Parla piano, Samuel. Qualcuno potrebbe sentirti... a meno che tu non sia perfettamente sicuro che, anche se qualcuno dovesse sentirti, tu abbia comunque il culo parato. Magari è davvero così...»
Samuel aggrottò la fronte.
«In che senso?»
Anthony si allontanò di qualche passo dall’armadio, lasciandogli una visuale perfetta.
Samuel si stava lasciando distrarre ancora una volta, ma la voce dell’amico lo riportò alla realtà.
«Tu lo sapevi.»
«Che cosa?»
«Che qualcuno voleva uccidere Kay. Magari hai anche collaborato. Tutto mi porta a pensare che sia andata proprio così.»
Samuel spalancò gli occhi.
«Non ho idea di che cosa tu ti sia messo in testa, ma...»
Anthony lo interruppe: «Basta! Mi sono rotto le palle di questa stupida commedia. Sei andato ad Ambermount a cercare John Brooks, l’hai convinto a venire qui a Scarlet Bay...»
«Sì, certo, come no. L’ho invitato qua, l’ho convinto a seguirmi sul cavalcavia, gli ho dato una botta in testa e, una volta che ha perso i sensi, l’ho buttato giù.» Samuel sospirò. «Spero che tu ti renda conto che questa storia è ridicola!»
«Spero anche che tu ti renda conto che, se Kay è stata ammazzata, è perché si è fidata di una persona sbagliata» insisté Anthony. «In fin dei conti chi è che sapeva che avrebbe trascorso qui tutta la sera?»
«Non ne ho idea. Qui dentro tutti sanno tutto!»
«C’è qualcuno, però, che sa meglio di altri. Tu sei sempre stato uno di quelli. Inoltre avresti potuto tranquillamente pasticciare sul suo computer per convincere tutti quanti a credere che avesse cambiato lo sfondo di Wordpress.»
«Perché avrei dovuto farlo?»
Anthony gli lanciò un’occhiata penetrante.
«Cambiare lo sfondo o renderti complice di chi ha ucciso Kay?»
«Cambiare sfondo» rispose Samuel. «L’altra accusa è talmente ridicola che non la voglio nemmeno commentare.»
«La questione dello sfondo è molto semplice. Molto probabilmente non ti ricordavi nemmeno che aveva lo sfondo rosso. Quando hai acceso il suo computer per controllare che non ci fosse niente di compromettente e hai lanciato Wordpower avrai pensato di essere stato tu a cambiare colore. Ti sarai ricordato che Kay vedeva il testo troppo sfuocato sul colore di default e che ne aveva scelto un altro, ma sul momento ti sarai dimenticato di quale si trattava...»
«Questa è la teoria più ridicola che io abbia mai sentito anche perché, se Kay teneva lo sfondo rosso, un motivo doveva esserci...»
«Sì» ammise Anthony. «Strane manie.»
«Oppure il semplice fatto che, come diceva Rebecca qualche tempo fa, ci siano colori che si riflettono davanti e colori che si riflettono dietro alla retina» replicò Samuel. «Kay stava a mezzo metro di distanza dal computer o poco più. È ragionevole pensare che quella fosse la distanza limite, per lei, prima di iniziare a vedere sfuocato. Su uno sfondo verde, o addirittura blu, ci avrebbe visto decisamente più sfuocato che su uno sfondo rosso che, entro certi limiti, le permetteva di mettere meglio a fuoco le scritte.»
«Ancora meglio» osservò Anthony, «Perché questo significa che avresti avuto una ragione per cambiare lo sfondo da rosso a verde.»
«Quale, se non sono indiscreto?»
«È molto semplice: avresti fatto cadere i sospetti su qualcun altro.»

Theresa alzò gli occhi.
Seduta alla scrivania di Anthony, Rebecca le sembrava più irrequieta del solito.
«Hai una vaga idea di quando dovrebbe tornare?» le domandò, frugando tra i fogli che Anthony aveva lasciato in giro.
«No.»
Rebecca sbuffò.
«Speriamo che si sbrighi.»
Theresa, in realtà, aveva ben altro di cui preoccuparsi.
«Hai visto la scaletta?» volle sapere.
«Sì, va bene.»
Rebecca sembrava quasi disinteressata; e infatti a Theresa sembrava che non avesse dato più di un’occhiata fugace a ciò che le aveva proposto.
Doveva fare finta di niente?
Doveva chiederle se ci fosse qualche problema?
Forse la soluzione migliore stava nel mezzo.
«Come mai hai un bisogno così impellente di vedere Anthony? C’è ancora qualche dubbio, per la trasmissione di oggi?»
Doveva trattarsi di lavoro, dopotutto. Theresa non riusciva a immaginare che Rebecca avesse qualcos’altro per la testa, in quel momento.
«Non è successo niente di grave, se è quello che ti preoccupa» le assicurò Rebecca. «Scoprirai tra poco perché ho un urgente bisogno di parlare con Anthony. Quello che devo dire a lui riguarda anche te... anche te e Samuel.»
Si era trattato di un’esitazione?
Il nome di Samuel era stato volutamente pronunciato, in un secondo momento, perché Rebecca sapeva di non farne a meno?
Theresa si alzò in piedi.
«Scusa un attimo. Vado in bagno un istante.»
Rebecca le lanciò una lunga occhiata assente.
«Non metterci troppo» la pregò, infine. «Abbiamo qualcosa di molto importante a cui pensare, oggi pomeriggio.»

Le accuse di Anthony erano semplicemente ridicole.
«Credo che tu sia pazzo» concluse Samuel. «Capisco che la mancanza di Kay si faccia sentire e che per te sia stato un trauma, anche se ti ostini a fare la parte dell’impassibile che può andare avanti anche da solo, ma questo non ti dà il diritto di infangare il nome di chi ti sta intorno.»
Anthony non parve impressionato.
«Le tue sono solo parole, Samuel. Ci hai sempre saputo fare. Hai incantato non so quante persone, con le tue doti oratorie. Kay, evidentemente, era una di quelle. Sei riuscito a convincerla a fermarsi in archivio, sei riuscito a convincerla a...»
Samuel lo interruppe, con un’elevata dose di sarcasmo: «Certo, sono anche stato capace di avvelenarla e di simulare il suicidio. Poi, come se non bastasse, sono riuscito perfino ad andare fuori passando attraverso la porta chiusa a chiave! Lo devi ammettere, Anthony, il mio è stato un piano perfetto: nessuno può incastrarmi e, quando cercherai di smascherarmi farai la figura del visionario.» Si appoggiò a una delle ante dell’armadio, che si chiuse cigolando. «Non so come ti vengano in mente certe idee. Mi conosci da diciotto anni. Come puoi anche solo ipotizzare che io abbia...»
Anthony non lo lasciò finire.
«So quello che provavi per lei. Lo sanno tutti.»
«Tutti hanno molta fantasia. Io e Kay non abbiamo mai avuto una relazione.»
«So perfettamente che tu e Kay non avete mai avuto una relazione» puntualizzò Anthony. «Non ho mai messo in dubbio la fedeltà di mia moglie e non intendo certo farlo ora. Mi riferisco ai tuoi viaggi mentali, di cui tutta Radio Scarlet è informata.»
Samuel si irrigidì.
Non gli piaceva parlare dei sentimenti che aveva provato nei confronti di Kay, tra l’altro sarebbe stato molto imbarazzante farlo proprio con il marito di lei, ma non aveva scelta.
«Ammettendo che quello che tutti sostengono sia vero, che cosa proverebbe?»
«Proverebbe che ti sentivi respinto e frustrato, perché la donna che amavi non ne voleva sapere di te.»
«E, sentiamo, è abbastanza per commettere un omicidio e inscenare tutto questo dramma?» Samuel strabuzzò gli occhi. «Temo che tu stia vaneggiando.»
«Niente affatto» replicò Anthony. «Non ho mai voluto vedere la questione Wordpower dal giusto punto di vista. La verità è che tu volevi liberarti non solo di Kay, ma anche di me. L’unico problema è che l’unica persona a cui mancavano gli occhiali, quel giorno, non ero io!»
«Liberarmi di Kay e anche di te?! L’ho già detto e lo ripeto, Anthony: tu sei completamente pazzo e, dato che non ho intenzione di sprecare il mio tempo a discutere con un pazzo, credo che la cosa più sensata sia andare a raggiungere Rebecca e Theresa. Ormai si saranno già chieste più di una volta che fine ho fatto.»
Samuel fece per allontanarsi, ma Anthony lo afferrò per un braccio.
«Aspetta. Non ho finito.»
Samuel fece un sospiro.
«Qualunque altra cosa tu abbia in mente, sono stanco di ascoltare le tue stronzate. Credo che ti farebbe bene prenderti qualche giorno di riposo.»
«Niente affatto. Non sono mai stato più lucido di adesso, l’unica cosa che non capisco è che cosa c’entri tu con Marissa Flint. Qualcuno ti ha pagato, non è vero? Devono averti corrotto. Dopotutto ciascuno di noi ha un prezzo.»
Samuel si liberò dalla stretta di Anthony, allontanandolo da sé.
L’altro inciampò e si appoggiò al tavolo dietro di lui, per mantenere l’equilibrio.
«Stavi cercando di farmi cadere e sbattere la testa contro uno spigolo? Volevi liberarti di me, dato che non sei riuscito a farmi accusare dell’omicidio di Kay?»
Samuel non gli rispose.
Era intenzionato ad andarsene, senza perdere ulteriore tempo.
Era ormai arrivato alla porta, quando Anthony osservò: «Il trucco era l’armadio, non è vero? È grazie a quello che sei riuscito a mettere in atto il tuo piano? ...sempre ammesso che fosse un piano tutto tuo, cosa di cui dubito fortemente.»
Samuel si fermò.
«L’armadio?» Si girò lentamente. «Che cosa intendi?»
«Nessuno può passare attraverso una porta chiusa, ma evidentemente ci sono altri modi per commettere il delitto perfetto.»
«Puoi facilmente svuotare l’armadio» gli suggerì Samuel. «Capiresti perfettamente che, diversamente da quanto avviene nei film, è un semplice armadio. Non ci sono passaggi segreti nascosti.»
«Non ho mai ipotizzato che ci fossero passaggi segreti» puntualizzò Anthony. «Metti che l’assassino di Kay si sia nascosto qua dentro. Se l’armadio fosse stato vuoto, come tu stesso hai ipotizzato, l’assassino avrebbe potuto rimanere qui fino alla scoperta del cadavere e uscirne fuori soltanto in un secondo momento. Per l’esattezza, quando parlo di secondo momento, mi riferisco a quando la Freeman e il delinquente amico di Rebecca sono scesi ad annunciare che Kay era morta, lasciando l’archivio completamente incustodito.»
«Molto interessante» osservò Samuel. «Puoi chiedere a Michelle, così come alla stessa Freeman: ero alla reception prima ancora che quell’impicciona salisse insieme a Raymond. A meno che tu non voglia insinuare che posso stare in due posti diversi nello stesso momento, credo che dovrai rivedere le tue teorie.»
Anthony gli sembrò spiazzato per un attimo.
«Sì, tu eri giù quando...»
«Esatto» confermò Samuel. «Questo dimostra chiaramente che sono tutte cazzate.»
«Eppure sei stato tu a cambiare il colore su Wordpower. Devi essere coinvolto in qualche modo. Solo tu avresti potuto arrivare alla conclusione che io...» Anthony si interruppe. «A meno che...» Esitò ancora. «No, non sei stato tu, ma sai perfettamente com’è andata.»
Samuel scosse la testa.
«Continuo a pensare che tu sia pazzo, ma credo che sia meglio lasciarti qui a lambiccarti sui tuoi deliri interiori. Credo che Rebecca abbia bisogno di me.» Si avviò verso la porta, stavolta senza essere trattenuto. «Non preoccuparti, mi inventerò una scusa per coprirti. Fermati a riflettere sul senso della vita per tutto il tempo che vuoi.»

Anthony non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse trascorso da quando Samuel l’aveva lasciato solo. Non aveva alcuna importanza.
Tutto quello che contava era che, affacciandosi alla finestra, aveva notato Theresa che raggiungeva il parcheggio.
Non poteva essere così tardi.
Perché se ne stava già andando?
Era una parte del piano anche quella? Per caso Samuel l’aveva messa in guardia e lei, per evitare accuse alle quali non avrebbe saputo replicare, stava andando via?
“O forse sono soltanto io che sto impazzendo.”
Magari Samuel aveva ragione.
Era esaurito.
Era fottutamente esaurito.
Avrebbe dovuto prendersi una pausa e dimenticarsi di tutto, per quanto gli apparisse come un’impresa impossibile.
Doveva farlo per Kay.
Doveva...
No, rimanere lucido non era un obbligo che aveva nei confronti di Kay; tutto quello che contava era renderle giustizia.
Doveva raggiungere Rebecca.
Era l’unica che poteva dargli una spiegazione sensata.

«A quanto pare» osservò Rebecca, «Siamo rimasti da soli, io e te.»
«Quando Anthony avrà finito» ripeté Samuel, per quanto a lei sembrasse tutt’altro che necessario, «Ci raggiungerà.»
La porta si aprì proprio in quel momento.
«A quanto pare» osservò Rebecca, alzando gli occhi verso Anthony, «Ha già finito.»
Il nuovo arrivato chiuse la porta alle proprie spalle.
«Dov’è Theresa?»
Rebecca ridacchiò.
«Siete tutti molto interessati a lei, oggi.»
«Dov’è?» ribadì Anthony. «Ho bisogno di saperlo.»
«Si è sentita male» lo informò Rebecca, «E ha deciso di andare a casa. Non so cos’abbia avuto con esattezza, forse un capogiro. Sai qual è la cosa strana? Che è successo proprio mentre le parlavo di un amico di mio figlio.»
Rebecca si accorse che Anthony la fissava, senza capire. La reazione di Samuel era più velata, ma anche lui non riusciva a seguire il discorso.
«Ti stai chiedendo - vi state chiedendo - perché ne abbia parlato proprio con Theresa, non è vero?» Rebecca sorrise. Stare al centro dell’attenzione era splendido e, per la prima volta dopo tanto tempo, si sentiva in una posizione privilegiata. «Questo amico di mio figlio» proseguì, «è un tipo piuttosto fantasioso. Crede che gli alieni modifichino i nostri cartelloni pubblicitari... e tutto perché, a seconda dello sfondo che hanno, li vede leggermente diversi e in alcuni le scritte gli sembrano un po’ meno nitide.»
«Temo che tu voglia arrivare, in modo indiretto, a quel dannato Wordpower» osservò Anthony. «È così?»
Rebecca annuì.
«L’amico di mio figlio mi ha detto anche che gli alieni vogliono avvelenarlo tramite i suoi libri scolastici, perché quando legge gli lacrimano gli occhi o gli viene mal di testa. Credo che tu, Anthony, possa tranquillamente riconoscere questi sintomi. Sono sicura che, in qualche momento della tua vita, anche tu hai provato qualcosa del genere.»
«Dove stai cercando di arrivare, Rebecca?» replicò Anthony. «Stai cercando di dirmi che sono stato io a cambiare lo sfondo al programma sul computer di Kay?»
«No, sto solo dicendo che non è stata lei. Il testo nero sullo sfondo blu - sfondo blu che, come tutti sappiamo, è molto scuro, ma questo non c’entra molto con Kay - le appariva più sfuocato che sullo sfondo rosso. È così?»
«Sì» confermò Anthony.
«Era proprio quello che volevo sentire, perché conferma la mia teoria: il verde sta in mezzo al blu e al rosso, pertanto chi vede meglio su uno sfondo rosso che su uno sfondo blu, molto difficilmente vedrà meglio sul verde piuttosto che sul rosso. Il motivo per cui Kay aveva scelto quello sfondo, quindi, era semplicemente che le permetteva di leggere meglio di quanto avvenisse su uno sfondo blu o su uno sfondo verde: necessità, anziché fantasia galoppante. Sarei pronta a scommettere che tua moglie non avesse una vista perfetta.»
«Già. Al lavoro stava sempre senza, ma doveva portare gli occhiali, per guidare. -1.75, se non vado errato.»
«Evidentemente Kay non era l’unica a non avere una vista perfetta. In effetti in questo ufficio ci siete anche tu e Theresa che avete problemi di vista...»
«Ma con le lenti vediamo perfettamente il monitor del computer.»
Rebecca annuì.
«Appunto. La mia conclusione è che la persona che ha cambiato lo sfondo di Wordpower abbia un forte difetto di rifrazione, veda malissimo sul rosso e che, non avendo i propri occhiali a disposizione, sia andata per tentativi cercando un colore che le facesse apparire il testo leggermente più comprensibile. Quel giorno stesso Raymond si è seduto sugli occhiali di Theresa e, senza che lei potesse fare nulla, li ha presi per portarli dall’ottico. Inoltre, Anthony, tu stesso mi hai confermato che Theresa è ipermetrope. Con tutta probabilità, se il blu fosse stato più chiaro, sarebbe stato il colore prescelto. In alternativa si è accontentata del verde.»
Anthony impallidì.
«E non è tutto. Pare che Theresa abbia raccontato a Michelle che da piccola le piaceva nascondersi negli armadi.»
Rebecca aggrottò le sopracciglia.
«Nascondersi negli armadi? Non capisco che cosa intendi dire...»
La situazione le stava sfuggendo di mano. Anche Samuel, che fino a quel momento non aveva pronunciato una parola e non aveva dato segni di vita, si era girato a guardare Anthony.
«Non capisci, lo so, ma presto capirai. Intendo dire, con un certo margine di sicurezza, che Theresa è stata l’esecutrice materiale dell’omicidio di mia moglie e che so come ha fatto.»

   
 
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