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Autore: StormyPhoenix    29/10/2023    1 recensioni
Los Angeles, primi anni del nuovo secolo. Quasi per caso si incrociano le strade di una ragazza sola e in fuga dal suo passato spiacevole e di una delle band più famose del posto; un sentimento combattuto che diventa prepotente salderà il legame.
(Prima storia sui SOAD, so che è un po' cliché ma vabbè.)
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daron Malakian, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Sì, sono io, niente allucinazioni ^-^
Sono stati anni particolari caratterizzati da un forte blocco dello scrittore che mi ha lasciato rare tregue (quelle in cui ho prodotto one shots per il fandom di Good Omens, l'altra mia super fissazione, per capirci), poi quest'anno si è smosso qualcosa... ora ho anche un PC nuovo, e apparentemente è servito anche questo per sbloccarmi un po'. Questo capitolo è venuto fuori nel corso di alcuni mesi, a pezzi piccoli, visti e rivisti, e spero che vi piaccia, non posso garantire nulla su quando arriverà altro, ma intanto pubblico questo e ringrazio tutti quelli che hanno continuato a leggere anche quando ero in pausa. <3

-Nikki-


«Landgraaf!»
Un sospiro collettivo molto rumoroso riempie il tour bus subito dopo l'annuncio dell'autista; stanchi del concerto, ci siamo comunque rimessi in viaggio per raggiungere questo piccolo lembo dei Paesi Bassi quasi intrappolato fra il Belgio e la Germania, già visitato dai ragazzi un anno fa circa per un altro concerto, fortunatamente non troppo distante dalla nostra precedente ubicazione. Arrivati in hotel, ci distribuiamo nelle stanze secondo previa organizzazione ed è un fuggi-fuggi generale, quasi una gara a chi si butta per primo sotto la doccia; per quel che mi riguarda non voglio competere e do semplicemente la precedenza al chitarrista, stanco e ancora sfatto dopo l'esibizione di oggi. Dopo essermi fermata per qualche minuto a riprendere fiato mi libero di quasi tutti i vestiti tranne la biancheria, mi lego i capelli in una crocchia disordinata e tiro fuori un cambio di abiti pulito e l'occorrente per struccarmi.

«Hai chiuso la porta a chiave?» chiedo, dopo aver brevemente bussato alla porta del bagno.
«No no, vieni pure» risponde il chitarrista, la voce appena più forte del rumore dell'acqua corrente.
Apro e vengo investita da una nuvoletta di vapore acqueo irrisoria per dimensione e temperatura; la sagoma del ragazzo appare offuscata attraverso le antine di plastica della doccia.
«Pensavo di trovare una sauna qua dentro» commento, appoggiando le mie cose in un angolo e procedendo a rimuovere accuratamente ciò che rimane del trucco ormai sciolto «invece è solo normale condensa, questo bagno è decisamente piccolo.»
«Di solito sei tu quella che usa acqua calda a manetta» risponde il ragazzo, alle mie spalle, accompagnando le parole dal tono leggermente canzonatorio con un rumore di strofinio.
«Non è colpa mia se ho praticamente sempre freddo nella doccia» fingo di mettere il broncio mentre riordino, poi mi sciacquo la faccia. «Quanto pensi che ti ci voglia ancora, orientativamente?» domando, uscendo un attimo per andare a recuperare i miei teli da bagno e i prodotti per i capelli.
«Non uscirò mai più da qui e sarai costretta a puzzare!» mi prende in giro Daron, aprendo di nuovo il getto dell'acqua.
«Allora poi mi appiccicherò a te come un polpo e ti farò puzzare di nuovo» gli rispondo per le rime.
«Insomma, cosina, mi stai dichiarando guerra?»
Un rumore di plastica che striscia mi avvisa dell'apertura del box doccia; mi volto e l'inattesa visione di Daron nudo e gocciolante che si presenta al mio sguardo ha un tale impatto che dimentico qualunque cosa volessi dire. «Unisciti a me, così risparmiamo sull'acqua» mi invita, non riuscendo a trattenere un sorrisino malizioso e tendendo verso di me una mano ancora schiumosa per prendermi il mento fra due dita.
Il mio sguardo si sofferma su un paio di rivoli d'acqua che colano lungo il suo collo, poi torna ad incrociare quello di lui, sostenendolo con un poco di fatica a causa dell'intensità; senza proferire parola apro i ganci del reggiseno e lo lascio cadere per terra insieme agli slip e in due passi entro in doccia, il tutto con una disinvoltura sorprendente per i miei standard.
«Deduco tu non voglia bagnare i capelli per ora, visto che li hai legati» dice lui, voltandosi per richiudere le ante.
«Proprio così. Li lavo dopo cena con i prodotti appositi, adesso mi scoccio.»
Sono nell'angolo più interno del box e questo gioca a favore di Daron, che avanza verso di me e poggia una mano al muro, creando con il suo braccio una barriera e una situazione in cui la tensione sessuale è quasi palpabile.
«Non dirmi che improvvisamente sei diventata timida, bestiolina» mormora, mordendosi il labbro inferiore... appena finisce di parlare gli getto le braccia al collo e lo bacio con avidità, aderendo perfettamente col mio corpo al suo. Una volta staccatosi con fatica da me, il chitarrista riapre di poco il getto dell'acqua, che lo investe in piena schiena, e mi passa bagnoschiuma e spugna.
«Come sei gentile» commento, andando avanti a stuzzicarlo mentre mi insapono.
«Ma grazie!» ribatte lui con lo stesso tono, incrociando le braccia contro il petto nudo. «E per mostrare di meritare il complimento, mi offro volontario per aiutarti.»
«Oh, che emozione» ridacchio, divertita dalla piega che le cose stanno prendendo, porgendogli la spugna «allora non ti dispiacerà aiutarmi ad insaponare la schiena, suppongo...»
Senza parlare, il ragazzo afferra ciò che gli porgo e si prodiga nella sua opera mentre io resto immobile, intenta a godermi il tutto. Lo stato di relax che mi invade è tale da farmi estraniare un poco, per cui il ritorno alla realtà mi colpisce improvviso quando mi accorgo che non è più la spugna a toccarmi sui fianchi, bensì le mani del chitarrista.
«Va bene così?» mormora, con la bocca contro il lobo di un mio orecchio per poterlo mordere; quando mi intrappola contro la parete del box col proprio corpo e sento qualcosa di duro e pulsante premere contro una natica, mi muore in gola la voce.
«Daron...» è il gemito implorante che riesco ad emettere dopo qualche faticoso istante e in risposta lo sento inspirare bruscamente. Una sua mano scivola fra le mie cosce, dove quasi mi sento bruciare per il desiderio, l'altra risale per poter raccogliere il seno sinistro nel palmo, ed è in quel momento che la mia stabilità sulle gambe inizia a farsi precaria, al punto che quasi scivolo sul piatto della doccia, e il ragazzo mi afferra giusto in tempo.
«Aspetta, forse è un po' rischioso qui» mormora il ragazzo; sciacqua via la schiuma dal mio corpo mentre mi tiene vicina a sé, come se temesse ancora che io possa cadere, esce dalla doccia per indossare il suo accappatoio e prendere il mio telo, appoggiato lì vicino, che mi avvolge addosso prima di portarmi fuori dal box, sempre stringendomi.
«In effetti era un po' scivoloso là dentro» penso a voce bassa, mentre entrambi ci asciughiamo. Quando faccio per afferrare la biancheria, però, Daron mi issa in spalla senza preavviso e mi porta in camera, deponendomi sul letto.
«Ma-» inizio a parlare ma la voce mi si spezza quando Daron mi bacia con foga e, appena il suo corpo fresco di doccia torna ad aderire al mio, vengo scossa da forti brividi che mi portano ad affondare le mani nei suoi capelli umidi. La temperatura nella stanza sembra essere salita di botto e il bacio si fa sempre più febbrile...
Improvvisamente qualcuno bussa ed entrambi ci prendiamo uno spavento.
«Sì?» chiede Daron a voce alta, fingendo disinvoltura mentre ansima.
«Nano, è ora di cena, sbrigati!» la voce di Shavo di fa sentire dall'altra parte della porta.
Un respiro profondo e un'occhiata di intesa. «Va bene, testa di uovo, arrivo» è la replica, espressa con un borbottio di sottofondo.
Attendiamo qualche secondo per essere certi che si sia allontanato, poi sospiro, mi sposto da sotto il chitarrista e torno in bagno a recuperare i vestiti puliti abbandonati lì. Niente fiatone, in compenso ho ancora il cuore a tremila, fra la paura e l'eccitazione del momento che stavo condividendo con Daron.
«Su, avremo tempo, anche più tardi» cerco di far tornare il sorriso sul viso del ragazzo, intento ad allacciarsi le scarpe, ancora un po' contrariato per il tempismo del collega, accarezzandogli una guancia. Lui alla fine cede e mi sorride, poi gli sfugge anche una risatina.
«Meno male che ha bussato e la porta era chiusa a chiave» commenta, passandosi una mano in faccia. «Poteva essere una catastrofe.»
«Non oso immaginare!» esclamo, avvampando leggermente. «Beh, ora andiamo a rimpinzarci, ce lo meritiamo dopo la giornata di oggi.»

«Eccoti, nano!» sono le prime parole proferite da Shavo quando arriviamo in sala per la cena.
«Ciao, pelatone, da quanto tempo» lo sbeffeggia il chitarrista, mollandogli una pacca su una spalla prima di allontanarsi verso il buffet con passi rapidi. «Nikki, siediti pure, ci penso io al cibo!»
Mi accomodo con un sospiro sulla sedia vuota accanto a quella del bassista, lasciando a disposizione l'altra tra me e Sako. «Tutto bene, ragazzi?» chiedo, guardando in viso ognuno dei miei commensali.
«Finché si mangia va tutto bene, Gray» risponde il tecnico della batteria a bocca piena, intento a sbafare.
«Karaian, sei inqualificabile» Serj si mostra disgustato dall'ignoranza di Sako in materia di galateo, ma vedo un angolo della sua bocca tremare e tradire una risata.
Finalmente Daron ritorna con due piatti strabordanti e li appoggia con estrema cautela ai nostri posti, prima di scivolare in maniera stranamente graziosa nella sedia accanto alla mia, e lo ringrazio con un bacio su una guancia. «Ho una fame assurda, quindi se per un po' non darò corda a nessuno sapete perché» annuncio, prima che cominci l'abbuffata, e in risposta tutti ridono.
Una volta riempito lo stomaco si continua a far chiacchiere, ma non riesco a concentrarmi granché sulla conversazione e la socializzazione... un altro appetito chiede di essere saziato, accentuato dall'interruzione e dall'attesa, e in parte mi dispiace perché mi sembra qualcosa di egoista. In ogni caso il momento conviviale giunge abbastanza presto al termine, poiché i ragazzi, così come me, sono stanchi e ormai vogliono solo buttarsi nel letto, in previsione della giornatona che ci attende, per cui ci salutiamo e ci ritiriamo nelle nostre camere.
Mi armo di santa pazienza e lavo i capelli con degli appositi prodotti per mantenere più a lungo possibile il colore e poi li asciugo con una cura abbastanza rara, ottenendo un risultato finale molto buono. Strano ma vero, la mia criniera ha deciso di collaborare senza fare resistenza.
Due colpi di nocche alla porta. «Posso?»
«Sì, vieni pure» rispondo, senza distogliere lo sguardo dallo specchio mentre finisco di pettinarmi. Non aver prestato attenzione al mio compagno di camera, però, ha delle conseguenze: improvvisamente due braccia si avvolgono al mio corpo e mi caricano in spalla come un sacco di patate e la spazzola cade per terra con un tonfo. Il tragitto dal bagno al letto è brevissimo e, appena depositata sul materasso, non faccio nemmeno in tempo a protestare per lo spavento che Daron sale su di me e mi spinge tra i cuscini con urgenza per baciarmi.
«Mi hai fatto prendere un colpo, scemo» mormoro, rubando qualche attimo di fiato durante il contatto.
«Non resistevo più» la sua voce è bassa e ruvida, le sue mani si muovono senza sosta per rimuovere qualunque ostacolo tra i nostri corpi, ben poca cosa in realtà visto che ci sono soltanto i suoi boxers, i miei slip e il mio reggiseno a separarci; ad opera compiuta il suo corpo è sul mio, la sua erezione preme insistentemente contro un'anca e il suo respiro è già affannato.
«Sono state le due ore più lunghe degli ultimi giorni, giuro» il chitarrista si distende per un attimo, per effetto dell'abbraccio in cui l'ho avvolto «e adesso ho una voglia assurda di te» continua, la voce ora profonda e arrochita.
«Cosa ti va di fare?» gli chiedo, accarezzandogli i capelli. Vedo che ci pensa su un attimo, fissandomi con i suoi grandi occhi scuri e intensi, poi scioglie l'abbraccio e si sposta lentamente verso il basso.
«Ho un'idea.»
Il chitarrista si accomoda fra le mie gambe aperte, seminando baci sull'interno di una coscia e ripetendo il gesto dall'altro lato. Sembra essere sparita l'urgenza di pochi momenti prima; gli sfugge una piccola risata profonda quando i miei arti inferiori continuano a tremare sotto le sue attenzioni, poi li blocca a tutti gli effetti con i palmi delle mani. Sentirmi così esposta a lui da una parte mi crea ancora imbarazzo, mentre dall'altra mi fa ribollire tutto dentro; il mio corpo dà ragione alla parte più disinibita della mia mente in una maniera inequivocabile che io posso percepire e lui può sicuramente vedere. Una frazione di secondo e la sua bocca è su di me, e mi esplode un fuoco dentro.
«Ti prego» imploro Daron, non so bene per cosa, lui continua, concentrato e soprattutto compiaciuto per le mie reazioni, poi gli sfugge un gemito soffocato quando affondo una mano fra i suoi capelli e tiro leggermente. Una delle sue mani, fino a quel momento premute contro la carne delle mie cosce, lascia andare la presa e due dita, umide di saliva e non solo, mi penetrano con delicatezza, la loro intrusione mi fa risalire dalla gola un mezzo grido e stringere la morsa sulla sua criniera spettinata; le vibrazioni del suo verso gutturale mi causano una sorta di scarica elettrica, passando dalla sua bocca al punto nevralgico a cui è ancora attaccata.
«Ti prego, Daron, ti prego» quasi singhiozzo, preda di un'eccitazione così forte da rasentare il dolore. La mia mente è talmente offuscata da non accorgermi dei movimenti del chitarrista che, con agilità, si alza sulle ginocchia, indossa un preservativo e prende un respiro profondo. Chiudo gli occhi aspettandomi che lui venga a farsi spazio fra le mie gambe, ma vengo colta di sorpresa quando avverto un peso accanto a me sul materasso e le sue braccia che cingono il mio corpo, tirandomi su in modo che io stia seduta sopra di lui.
Daron mi fissa dalla sua posizione subalterna, lo sguardo colmo di vulnerabilità e passione allo stesso tempo. Tendo una mano dietro di me, lo vedo socchiudere gli occhi con un lamento intriso di desiderio e lieve frustrazione quando la mia mano viene in contatto con il suo membro, bollente anche attraverso il lattice del profilattico. Mi sollevo, tenendo ancora la mano là, per facilitargli l'ingresso, e quando affonda in me quasi fino all'elsa sfugge a entrambi un grido soffocato.
La mia mente si concentra sui movimenti, prima i miei, poi quelli di lui che inizia ad assecondarli, con le mani strette quasi ad artigli intorno ai miei fianchi, prima di sollevarsi per stringermi a sé.
L'insistente calore della bocca del chitarrista, semiaperta per il suo ansimare, si ferma prima sul mio seno, tormentandone uno, poi si sposta e si richiude per mordermi lì dove il palpito del mio cuore è più forte, sul collo. La cognizione del tempo si fa nebulosa, le spinte diventano più vigorose, finché non inizia a cigolare il letto sotto di noi.
«Non durerò ancora a lungo» sento Daron gemere disperatamente, la voce smorzata dal fiatone e dalla posizione «baciami, Nikki, ti prego-»
Premo le mie labbra contro le sue con foga, aggrappandomi alla sua schiena con le unghie, e questo fa scattare qualcosa nel chitarrista, che in poco tempo capovolge la situazione e mi placca sotto di lui, perso in un abisso di passione. Le spinte di lui iniziano a perdere regolarità di ritmo ma non mancano l'obiettivo interno, la mano che mi tiene una coscia spinta verso dietro si serra quasi a farmi male e la mano libera si sposta fra le mie gambe e accelera la mia corsa verso l'apice, che mi travolge di lì a poco con potenza di una scarica elettrica e mi strappa dalla gola un verso, a metà fra l'estasi e la sofferenza, che contiene il nome di Daron in una versione fatta di vocali trascinate.
L'intensità dell'orgasmo attutisce per qualche momento il mio udito, per cui non riesco a sentire se sto gridando o meno; il verso finale di Daron arriva alle mie orecchie ovattato, ma avverto le vibrazioni delle sue corde vocali per via dello stretto contatto, che suggeriscono un suono prolungato e graffiato. Quando si abbandona a peso morto su di me, un tremito lo percorre dalla testa ai piedi.
«Mi sento come fatto di gelatina...» lo sento biascicare dopo qualche minuto, quando ha ripreso una parvenza di fiato. «Piccola, tutto okay?»
«Molto più che okay» sospiro, guardandolo, prima di accarezzargli una guancia ruvida; lui chiude gli occhi, poi prende la mia mano e ne bacia il palmo, con una dolcezza disarmante, prima di muoversi con lentezza per alzarsi.
«Torno subito» mi dice, dirigendosi verso il bagno, e resto ad osservare senza alcuna vergogna il suo didietro mentre si allontana; tempo qualche minuto e torna in camera meno sudato, più asciutto e senza il preservativo, tenendo in mano un asciugamano inumidito che poi mi porge.
«Vuoi che ti aiuti, piccola?»
«Non mi dispiacerebbe un aiuto, tesoro.»
Mi godo le cure di Daron, che mi asciuga con attenzione e delicatezza; ci scambiamo qualche piccolo bacio, diversi sguardi e sorrisi, finché la stanchezza non prende il sopravvento e ci addormentiamo, accoccolati e beati.

La giornata si presenta con una marcata nuvolosità e temperature fresche ma gradevoli per stare all'aperto e in movimento senza patire eccessivamente il caldo o il freddo, e di movimento ce n'è molto, fin dal mattino, trattandosi di un grande festival.
L'ultimo artista che precede i System Of A Down termina la sua esibizione poco prima delle 19, quando quel poco di sole che si intravede è già obliquo nel cielo e conferisce alla coltre grigia e all'atmosfera una peculiare colorazione dorata; le eventuali scenografie precedenti sono smontate e sostituite con quelle necessarie, i tecnici degli strumenti montano poi la strumentazione e, insieme al resto del team, ci assicuriamo che sia tutto a posto.
Raggiungo i ragazzi nel backstage insieme a Sako per informarli che è tutto pronto per la loro esibizione, tutti e quattro mi sorridono e poi tornano a prepararsi psicologicamente per l'esibizione che li attende, con il rumore del pubblico di sottofondo. Nello stesso luogo vi è una certa folla, tecnici e roadies misti a musicisti più o meno noti.
«Guarda, quelli sono i Rammstein» dice Sako, indicando discretamente un punto vicino al palco: intravedo sei ragazzi vestiti con una sorta di tuta da lavoro grigia con bretelle e con l'aspetto di operai appena usciti da una miniera, vista l'apparente fuliggine sparsa sui visi e sui corpi. Certamente sono particolari; non li avevo mai visti prima, pur avendone sentito parlare. «Dovrebbero esibirsi più tardi sul Zuidpodium, il palco a sud, iniziando intorno all'orario in cui Serj e colleghi dovrebbero finire di esibirsi qui sul Noordpodium, il palco a nord. Evidentemente sono venuti a perdere un po' di tempo prima che tocchi a loro.»
«Carino da parte loro.»
La platea sterminata acclama i ragazzi, come per incoraggiarli a salire sul palco, e viene accontentata nel giro di qualche minuto: l'ultimo ad allontanarsi è Daron, che mi dà un bacio lieve sulla fronte e così compie il suo ultimo rituale pre-concerto.
Si inizia, come sempre, con "Prison song", il brano di apertura del loro ultimo album, ma quasi subito si capisce che c'è qualcosa che non va: non si sente affatto la chitarra. Subito l'intero staff si attiva per capire quale sia il problema e anche io faccio la mia parte, cerchiamo di metterci meno tempo possibile ma non possiamo fare magie, per cui Serj e colleghi devono continuare ad esibirsi ugualmente. Una volta effettuati i miei controlli soliti, capisco che per quel che riguarda il lato informatico è tutto a posto, ma c'è sicuramente qualche guasto in atto a livello di strumentazione... strano, dato che quando è stato montato tutto sembrava funzionasse tutto come sempre, ma c'è sempre un margine di imprevedibilità, alla fine.
Inizia il secondo brano, "Jet pilot", e intanto è stato identificato il problema, ovvero l'amplificatore a cui è collegata la chitarra che ha deciso di ammutinarsi, e rimediamo subito; verso la fine della canzone si torna a sentire un po' di suono della chitarra e tiriamo tutti un sospiro di sollievo.
«Wow, abbiamo suonato due intere canzoni senza chitarre!» Serj si rivolge al pubblico, cercando di sdrammatizzare. «Il suo amplificatore è saltato» aggiunge, indicando il chitarrista intento ad armeggiare col suo strumento per assicurarsi che sia stato risolto il problema.
«Mi chiedo perché le nostre chitarre vanno sempre a puttane quando siamo in Olanda» si aggiunge Daron poco dopo. Ah, giusto, è già successo l'anno scorso, me lo hanno raccontato, certo che ci vuole proprio fortuna. Diversi fans urlano per esprimere il loro appoggio, qualcuno ridacchia per il tono della frase. «Chi c'era la volta scorsa? Sì, il mio amplificatore mi ha giocato uno scherzetto. Che diamine suoniamo ora?» continua il chitarrista, col suo solito modo di parlare che rasenta il flusso di coscienza, sporgendosi a controllare il foglio con la setlist attaccato lì vicino. «Volevo dire, mi dispiace che facciamo schifo... ecco la nostra danza coi cervi» conclude, e attacca con "Deer dance".
Da quel brano in poi, passando per "Know" e "Suggestions", pare andare in crescendo l'intensità della performance, i ragazzi appaiono concentrati ma comunque a loro agio, soprattutto il chitarrista che, come sempre, intrattiene il pubblico con la sua imprevedibilità e comicità e non sta fermo un attimo, correndo di qua e di là e saltellando all'occasione, tant'è che mentre Shavo suona l'introduzione di "Psycho" lo vedo togliersi la maglietta in corsa come se fosse in fiamme e buttarla in una direzione imprecisata; in quel momento una vampata avvolge pure me che assisto alla scena, internamente sto urlando come una fangirl impazzita e, anche se cerco di dissimulare, Sako che è vicino a me se ne accorge, mi lancia un'occhiata e ammicca con le sopracciglia, riuscendo a farmi sentire ancora più caldo e imbarazzo.
Quando giunge l'assolo finale sono ancora nelle stesse condizioni di qualche minuto prima, seguo tutti i movimenti del chitarrista che, dopo una "sventagliata" e qualche passetto di danza accennato, decide di fare qualcosa di inaspettato che mi spezza definitivamente il fiato.
Disteso su una delle pedane sul fronte del palco, Daron suona a occhi chiusi, il volto imperlato di sudore parzialmente offuscato dalla zazzera di capelli umidi, le labbra socchiuse, il petto che si muove al ritmo del suo respiro affannato, scuotendo lievemente la testa di tanto in tanto. Un flashback della sera precedente invade la mia mente e improvvisamente il tutto assume una connotazione incredibilmente erotica che mi incendia dentro.
La visione si spezza nel momento in cui il chitarrista torna in piedi per la solita piroetta finale ed è in quel momento che riprendo a respirare normalmente.
Dopo l'altro brano preferito mio, "Chop Suey", ecco che arriva, per la terza volta, la breve cover di intermezzo di "La isla bonita", accolta anche con qualche fischio tra le tante acclamazioni; il chitarrista, una volta finita la sferza di adrenalina e salti che è "Bounce", sfotte un po' il pubblico. «Scommetto che non sapevate che vi potesse piacere così tanto Madonna!»
Un altro momento carino si verifica durante l'inizio di "ATWA", quando alzo lo sguardo sui musicisti tedeschi che mi ha indicato prima il tecnico della batteria e li trovo intenti a muovere la testa a ritmo e sorridere, uno di loro più di tutti, cosa che mi strappa una piccola risata e su cui richiamo l'attenzione di Sako con un discreto tocco di gomito.
Fra questo brano e "Aerials" se ne inserisce un altro che non è presente in alcun album ufficiale della band, "DAM", che ho sentito provare un paio di volte in versione originale in sala prove. Mi piace moltissimo la versione "studio" nella sua malinconica bellezza, ma la versione che Daron regala al pubblico olandese, come già ha fatto con le platee tedesche dei festival, è da pelle d'oca: non vi è il testo originale con le sue delicate allegorie, sostituito da un'improvvisazione completamente urlata che parla di morte, deportazione e manipolazione e mi fa accapponare la pelle in maniera assurda come tutte le altre volte in cui l'ho ascoltata. Sensazioni che tornano di nuovo più avanti con il bridge di "Science", questa volta interpretato da Daron con maggior potenza e più modulazioni all'orientale delle volte scorse.
La scaletta si conclude dopo una manciata di altri brani con l'immancabile "Sugar" e la fine dell'esibizione viene salutata con lunghi e forti applausi, mentre i ragazzi fanno il solito inchino; proprio mentre rientrano nel backstage si odono in lontananza i Rammstein che iniziano la loro esibizione sul palco a sud.
«Ragazzi, avete seriamente spaccato» mi congratulo con loro quando me li vedo venire incontro e loro mi sorridono a trentadue denti; do il cinque a Serj, Shavo e John, poi, incurante di tutto e tutti, acchiappo la faccia di Daron fra le mie mani per stampargli un bacio sulle labbra e lui me lo lascia fare, replicando la posizione delle mani sul mio viso.
«Meraviglioso» gli dico, staccandomi appena da lui.
«Questa sì che è una bella conclusione per un concerto» replica lui, sorridendo, prima di un altro bacio a stampo. Ci allontaniamo di pochi centimetri, continuando a fissarci a vicenda per qualche secondo, lui col fiatone e io invece senza fiato, ma entrambi sorridenti. «Ti amo anche io.»
«Di', volevi uccidere qualcuno durante l'assolo di "Psycho"? Tipo, che so, me?!» gli chiedo di botto, cogliendolo un po' di sorpresa.
«Io? Con questa faccina da angelo?» risponde lui, sbattendo le lunghe ciglia.
«Proprio tu, sì.» Mi sporgo verso di lui, accostando la bocca a un suo orecchio. «Appena siamo a tu per tu, te la farò pagare.»
Il chitarrista rabbrividisce, poi si avvicina a sua volta per sussurrare. «Non vedo l'ora, bestiolina.»

  
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