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Autore: FluffyHobbit    19/11/2023    0 recensioni
[Un Professore]
[Un Professore]Sequel di "Tu non innamorarti di un uomo che non sono io"
Dal testo:
"Non vedo l'ora che arrivi stasera, 'o sai?"
[...]
"Ma se siamo svegli da tipo cinque minuti…"
[...]
"Sì, ma oggi è una giornata speciale e stasera lo sarà ancora di più."
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Arthur si svegliò all'improvviso, ma non di soprassalto. Aprì semplicemente gli occhi, come se li avesse chiusi solo per un istante, e all'improvviso il bar intorno a lui era scomparso, lasciando il posto alla stanza da letto immersa nella fioca luce della notte. In bocca aveva ancora il sapore forte del whiskey e il retrogusto dolce della cioccolata calda. Sentiva a poca distanza da lui il calore del corpo di Riccardo ed il materasso che si curvava leggermente sotto al suo peso, e si voltò a guardarlo, ruotando il capo quanto bastava: Riccardo gli dava le spalle, quindi non poteva vederlo in viso, e se ne stava tutto rannicchiato su se stesso, come dimostravano la schiena ricurva, le spalle portate in avanti e le gambe piegate, coperte dal lenzuolo leggero; probabilmente stava anche abbracciando uno dei cuscini, ma Arthur non riuscì a capirlo.

Gli sembrava sereno, vedeva il suo busto che si sollevava ed abbassava lentamente, mosso da un respiro regolare, ma ripensò alle parole di Lorenzo e si chiese se stesse continuando a provare ad entrare nel regno magico o se, invece, si fosse semplicemente rassegnato. Provò una fitta al petto a vederlo così, fragile e solo, ed allungò un braccio per fargli una carezza tra i capelli, mosso dall'istinto, ma la ragione gli impose di fermare il proprio gesto a mezz'aria e poi di ritrarre la mano, perché sicuramente Riccardo non avrebbe gradito o addirittura si sarebbe spaventato. Meglio evitare.

Buttò fuori un po' d'aria in un sospiro leggero e si trascinò lentamente a sedere, poi si alzò e, procedendo a tentoni nella stanza che non conosceva bene, ma riuscendo comunque a non fare rumore, si diresse verso il frigo nella zona giorno e trangugiò un generoso bicchiere d'acqua.

Quando tornò in camera, facendo tutto il percorso a ritroso con un po' di sicurezza in più nei passi, ebbe modo di vedere il lato di Riccardo che prima gli era nascosto e constatò che, come aveva immaginato, dormiva abbracciato ad un cuscino: in un altro momento gli sarebbe sembrato tenero, così simile ad un koala, ma sapeva che quel cuscino, per Riccardo, era il pallido sostituto di qualcuno che non avrebbe potuto riabbracciare per chissà quanto tempo, e non c'era nulla di tenero, in questo. 'Ti prego, ripensaci...', sussurrò in cuor proprio, pur non essendo sicuro che quella richiesta potesse arrivare a Lorenzo.

Ebbe il tempo di muovere appena un altro paio di passi e due piccoli puntini che rilucevano nella notte come due stelle, si puntarono su di lui con una certa insistenza. Sussultò, dato che non si aspettava che Riccardo fosse sveglio.

"Scusami, non volevo svegliarti..."

Rispose piano, a voce bassa.

Riccardo buttò fuori un pesante sospiro. Si era addormentato facilmente, non tanto per la stanchezza quanto per il desiderio di parlare con Lorenzo, ma era già sveglio da un po', forse poco meno di un'ora. Per la prima volta si era ritrovato nel regno magico da solo, in uno spazio che era quello di casa loro, ma vuoto. Di solito c'era sempre Lorenzo ad aspettarlo.

Aveva preso a cercarlo, allora, girando in ogni stanza della casa gridando il suo nome con quanto fiato aveva in gola, e poi si era spostato nei luoghi che avevano visitato insieme -la terrazza del Pincio, le spiagge assolate, la distesa di neve da cui amavano vedere l'aurora boreale e tanti altri- pensando, sperando, che Lorenzo potesse essere lì da qualche parte-senza riflettere, o meglio senza voler riflettere, sul fatto che il regno magico non era come un palazzo dalle infinite stanze, ma era unico ed era solo la sua forma a mutare-, l'aveva cercato ovunque, ma non l'aveva trovato. E non l'aveva trovato perché Lorenzo, evidentemente, non voleva farsi trovare. L'aveva lasciato definitivamente, e in un modo peggiore di quanto avesse fatto morendo.

"Tranquillo, non stavo dormendo..."

Mormorò con voce acquosa, tirando poi su col naso.

Arthur, così, si accorse che Riccardo stava piangendo -e chissà da quanto tempo- e sentì il cuore stringersi in una morsa. Non sapeva bene cosa fare o cosa dire, un dolore del genere era inconsolabile, e lui, nonostante tutta la fiducia che Lorenzo gli aveva dato, non aveva il potere di farlo sparire con uno schiocco di dita. Sospirò e si portò una mano sul collo, titubante.

"Ti va di dirmi che hai?"

Chiese a voce bassa, pur conoscendo perfettamente la risposta. Gli sembrava indelicato dirgli che sapeva già tutto, era meglio lasciargli la possibilità di scegliere se sfogarsi o meno.

Riccardo curvò le labbra in un sorriso amaro, che sparì immediatamente, e scosse lieve il capo. Come faceva a raccontare una cosa del genere ad un tizio che conosceva appena? Non l'aveva raccontata nemmeno ai suoi amici più stretti, figurarsi se aveva voglia di farsi credere pazzo da lui.

"Non ho niente. Vorrei solo dormire."

Mugugnò, sbrigativo.
Arthur non si aspettava una reazione diversa, anche se ci aveva sperato, ma non gliene faceva una colpa e non poteva fare altro che rispettarla.

"D'accordo, allora...posso fare qualcosa per te? Ti faccio arrivare una camomilla, magari, a me aiuta sempre quando..."

Riccardo lo interruppe con un verso di stizza, quasi un ringhio. Perché Arthur era così gentile con lui? Perché non lo lasciava perdere, perché non capiva che non valeva la pena stargli dietro?

"No, non c'è niente che puoi fare per me! Lasciami in pace!"

Sbottò, agitando una mano in aria con un gesto secco che sottolineava le proprie parole. Se ne pentì praticamente subito, Arthur dopotutto non gli aveva fatto nulla di male, e chiuse gli occhi per un istante, mordendosi un labbro. Forse, però, così non avrebbe più perso tempo con lui.

Arthur lasciò che quella tempesta -che poi si era già placata- lo investisse, ma non ne fu colpito. Sapeva che la rabbia a volte non era altro che l'altra faccia del dolore e di dolore Riccardo ne aveva tanto; era anche quello un modo per sfogarsi.

"Hai ragione, scusami. Faccio come vuoi tu, me ne vado sul divano...così non ti disturbo."

Replicò con voce pacata, mettendo su un sorriso morbido per dimostrargli che non se l'era presa, che non si era offeso e che, se voleva, era lì per lui.

Riccardo lo guardò allarmato, sgranando gli occhi.

"No, no, ma che dici? Questo è il tuo letto!"

Sospirò pesantemente, dispiaciuto.

"Torna qui, non...non mi dai assolutamente fastidio, ci mancherebbe."

Aggiunse, accennando un piccolo sorriso.

Arthur, che in realtà non si era mosso nemmeno di un passo perché non aveva avuto il tempo di farlo, raggiunse in fretta il lato libero del letto, ma esitò ancora per qualche istante.

"Sicuro?"

Domandò, gentile.

Riccardo annuì con convinzione, e a dimostrazione di ciò che diceva scostò leggermente le lenzuola.

"Sì, certo. Scusami, non volevo trattarti così. Non te lo meriti nemmeno."

Rispose a bassa voce, puntando gli occhi mesti su di lui.

Arthur sorrise, rassicurante, e si stese accanto a lui, sistemandosi su un fianco per vederlo meglio.

"Tranquillo, lo capisco, è stata una giornata stressante."

Replicò, quasi sussurrando.

Riccardo sollevò l'angolo delle labbra in un sorriso amaro: stressante non era esattamente la parola che avrebbe usato per descrivere quella giornata, che per lui era stata devastante, ma se la sarebbe fatta andare bene.

"Non immagini quanto."

Ribatté, con un peso in gola.

Arthur si morse un labbro, indeciso sul da farsi: se da un lato non voleva costringere Riccardo a toccare un argomento per lui doloroso, dall'altro sapeva -e lo sapeva perché gliel'aveva fatto capire Lorenzo, che sicuramente lo conosceva meglio di chiunque altro- che non si sarebbe mai sfogato di sua spontanea volontà, e tenersi dentro tutto quel dolore non gli faceva di certo bene, perché avrebbe finito con il divorarlo.

"In realtà lo so. Ho incontrato Lorenzo, prima."

Ribatté, con voce bassa ma chiara, lasciando cadere le parole nel silenzio.

Riccardo non poteva credere alle proprie orecchie, e non perché pensava che Arthur gli stesse mentendo -non avrebbe avuto motivo di farlo e in ogni caso non avrebbe potuto sapere il nome di Lorenzo se non l’aveva effettivamente incontrato-, ma perché ciò voleva dire che mentre lui era impegnato a cercarlo disperatamente, Lorenzo stava parlando con qualcun altro, situazione che non era mai capitata fino a quel momento. Cosa si erano detti? Perché Lorenzo aveva scelto di rivelarsi proprio ad Arthur? Forse... forse era di lui che parlava quando, qualche ora prima, gli aveva fatto tutto quell'assurdo discorso sull'aprire il cuore ad un'altra persona? Ma allora cosa ci aveva visto in lui?

"Ah..."

Riuscì soltanto a dire, mentre le domande gli si affollavano in testa e gli morivano in gola.

Arthur abbozzò un sorriso che di allegro aveva poco, era più dispiaciuto e colpevole, dal momento che era conscio di avere, proprio malgrado, un ruolo all'interno di quella storia.

"Sia chiaro, non voglio costringerti a dire o fare qualcosa che non vuoi. Te l'ho detto solo perché così, almeno, puoi giocare a carte scoperte...e sai che c'è qualcuno che ti può ascoltare, se dovessi averne bisogno. Ecco tutto."

Replicò con voce bassa e comprensiva.

Riccardo serrò la mascella, un riflesso istintivo che mostrava, anche fisicamente, quanto poco fosse disposto ad aprirsi. C'era una cosa, però, che gli premeva particolarmente sapere, che aveva assoluto bisogno di conoscere altrimenti non sarebbe stato tranquillo, e così rilassò un poco i muscoli del viso, prese un respiro più o meno profondo e parlò.

"Come sta, lui?"

Chiese con un filo di voce, ma che suonò forte e chiara nella stanza silenziosa. Sapeva che quello strappo, per quanto fosse stato deciso da Lorenzo stesso, faceva male anche a lui, e dunque non poteva fare a meno di essere preoccupato.

Arthur si morse leggermente il labbro e si grattò distrattamente una guancia prima di rispondere.

"Beh, se ti dicessi che sta bene, che l'ho trovato bene insomma, ti mentirei. A dire il vero all'inizio del nostro incontro si è mostrato molto sicuro di sé, spiritoso, quasi baldanzoso se mi concedi il termine, ma poi..."

Buttò fuori un lungo soffio d'aria.

"...poi il muro è caduto giù, abbattuto da un'ondata di lacrime, ed è venuta fuori tutta la sua disperazione. Mi dispiace davvero tanto."

Mormorò, mesto. Non c'era modo di indorare la pillola e certamente non gli andava di mentirgli, non su una questione così importante e delicata.

Riccardo curvò le labbra in un sorriso amaro sotto gli occhi lucidi e spenti. Si sentiva impotente ed inutile. Lorenzo era lacerato dal dolore e lui non poteva aiutarlo, non poteva farsi carico di quel buio e portarlo dentro di sé perché Lorenzo stesso non glielo permetteva. Ma perché aveva deciso di dover per forza condannare entrambi ad una vita di infelicità? Se Lorenzo l'avesse lasciato perché non lo amava più, lui l'avrebbe accettato, avrebbe preferito mille volte che fosse sereno e felice anche senza di lui, perfino con un altro al suo fianco, ma così...come poteva farsene una ragione se entrambi sanguinavano e se era così facile richiudere quella ferita?

"Questa cosa...è tipica di Lorenzo, sai? Mostrare la corazza, non permettere a nessuno, o quasi, di vederci dentro...ma non lo fa per darsi delle arie o perché si vergogna di ciò che prova, no. Lo fa per mettere a proprio agio chi ha davanti: attraverso quella corazza, proprio perché dentro c'è tanto, tantissimo, e lui ne è fiero, può diventare esattamente ciò di cui l'altra persona ha bisogno, ed è bravissimo a capire il cosa ed il come."

Spiegò a voce bassa e leggera, come se stesse raccontando un sogno appena fatto, gli occhi bassi fissi verso il lembo di lenzuolo che stringeva nella mano. Buttò fuori un pesante sospiro.

"Quello che non riesco a capire è perché abbia deciso di lasciarmi. Ci penso e ci ripenso e davvero, non me lo spiego in nessun modo!"

Aggiunse, con tono stanco e rassegnato. Non stava parlando della morte, ovviamente: quella era stata un incidente di percorso, un sasso sulla pista che fa sbandare fatalmente il ciclista oltre il bordo battuto, in un angolo, inerte o agonizzante, e non era colpa sua. Ma quelle parole, invece, le aveva pronunciate lui, non c'entravano nulla con incidenti ed imprevisti, facevano parte del percorso.

Arthur accennò un sorriso, piccolo ma dolce e comprensivo.

"Perché chi ama lascia andare."

Replicò a voce bassa, poco più di un soffio, lasciando che le parole fluissero dalle proprie labbra senza pensarci.

"E lui ti ama tantissimo, Riccardo, di questo non devi mai dubitare, capito? È solo che...che si è accorto che il suo amore stava diventando una gabbia e così ha preferito restituirti la cosa più preziosa di tutte: la libertà. Non vuole altro, per te."

Aggiunse, con l'imbarazzo e l'incertezza di chi non sa bene se può dire la propria opinione, ma con la decisione di chi sa di star dicendo qualcosa di giusto.

Riccardo sospirò pesantemente: era stanco, il corpo gli implorava con ogni fibra di dormire, ma lui da un lato non ci riusciva e dall'altro non voleva, e questo non faceva altro che accrescere la stanchezza. In più aveva già affrontato quel discorso con Lorenzo, non aveva le forze per aprirlo di nuovo.

"Lorenzo vorrebbe che mi rifacessi una vita, sì...e vorrebbe che lo facessi con te."

Lo disse senza disprezzo, né entusiasmo: una semplice e piatta costatazione dell'ovvio.

"Ma tu...tu che ne pensi? Ora che conosci la storia completa, voglio dire... perché non scappi a gambe levate?"

Chiese un po' impacciato, ma sinceramente interessato di sapere cosa avesse da dire Arthur in merito a tutta la faccenda, in cui era stato coinvolto suo malgrado. Non gli sembrava giusto trattarlo come una sorta di burattino senza volontà e sentimenti a cui far fare tutto ciò che si voleva.

Arthur accennò una risatina, poi si strinse nelle spalle e sorrise morbidamente.

"E perché dovrei scappare? Io non so se Lorenzo abbia fatto bene o meno, non sono nessuno per giudicare le sue decisioni, ma penso che abbia ragione nel ritenere che hai bisogno di qualcuno che ti stia vicino e...e mi farebbe molto piacere essere quel qualcuno. Sei una persona buona e mi stai simpatico, quindi sarei davvero felice di aiutarti, in qualsiasi cosa tu abbia bisogno."

Fece una brevissima pausa, poi parlò di nuovo.

"Adesso, ad esempio, mi sembra che tu abbia bisogno di qualcuno che ti aiuti ad addormentarti..."

Aggiunse, con dolcezza. Non c'era bisogno di essere un medico per capire quanto Riccardo fosse esausto: anche senza sapere cosa stava vivendo, si vedevano chiaramente gli occhi gonfi ed arrossati di lacrime e sonno, e il viso spento dalla stanchezza.

Riccardo sospirò, scuotendo appena il capo. Era vero, era stanchissimo, più stanco di quando finiva un doppio turno in ospedale, ma aveva il terrore di chiudere gli occhi e trovare soltanto il buio ad accoglierlo, o al massimo qualche sogno sconclusionato: dormire senza Lorenzo era impensabile, oltre che insostenibile.

"No, davvero, non preoccuparti, faccio da solo..."

Mormorò, stringendo il lenzuolo.

Arthur arricciò le labbra in una piccola smorfia di scherzoso disappunto.

"Mi permetto di insistere, ci hai già provato e, senza offesa, non ha funzionato."

Dalla posizione su un fianco in cui era, compì una leggera rotazione su se stesso e si distese a pancia in su, sistemandosi per bene contro il cuscino. Voltò il capo, però, per guardare Riccardo e rivolgergli un sorriso incoraggiante.

"Dai, vieni qua. Ti garantisco che ho mangiato abbastanza, stasera, e non mangerò anche te. Poi se proprio non ti trovi bene lasciamo perdere, ma sappi che mi hanno detto che sono molto comodo, quindi non dovresti avere problemi!"

Aggiunse, affettuosamente giocoso, allargando le braccia per accoglierlo.

Riccardo buttò fuori un sospiro, indeciso: non aveva mai dormito con un altro uomo dopo Lorenzo, ed in verità nemmeno prima, la sola idea gli sembrava assurda. Arthur, però, non era più così tanto un tizio qualsiasi, ed una parte di sé gli diceva che poteva fidarsi. E poi, come aveva detto lui, avrebbero potuto lasciar perdere, se proprio la situazione non gli piaceva. Così, rassicurato almeno un poco, si avvicinò quel poco che bastava a raggiungere il lato del letto occupato da Arthur e, cautamente, poggiò il capo sul suo petto; con un braccio, poi, andò a cingergli il busto, non potendo fare diversamente data la posizione, ma senza applicare eccessiva pressione, quasi come se potesse esplodere da un momento all'altro.

"Vado...vado bene così? Ti dò fastidio?"

Chiese a bassa voce, timidamente.

Arthur sollevò l'angolo delle labbra in un sorriso morbido: sentiva Riccardo rigido contro di lui, gli sembrava di avere accanto un manichino più che una persona, ma nella sua situazione era più che normale. Sarebbe stato paziente, con lui.

"Se stai bene tu, non mi dai nessun fastidio."

Rispose, gentile. Con un braccio, poi, andò ad incontrare il suo, in un abbraccio più che in una morsa, mentre con l'altro salì tra i suoi capelli, che sfiorò appena.

"Posso?"

Chiese, piano, ed al cenno di assenso di Riccardo cominciò a muovere le dita tra i suoi ricci, lentamente e con delicatezza: erano morbidissimi e la mano per poco non si perdeva tra quelle onde scure, quasi gli sembrava di star accarezzando un gatto, più che un uomo. Si accorse, poi, con grande gioia, che Riccardo, esattamente come un gatto, si stava raggomitolando sempre di più contro di lui, e di nuovo non poté fare a meno di domandarsi come facesse un uomo tanto alto a diventare tanto piccolo. Adesso sentiva con maggiore insistenza il peso del suo corpo premere contro il proprio ed i suoi riccioli solleticargli dispettosi il collo, ma non provò fastidio. Sentiva, anzi, che avrebbe potuto trascorrere così il resto della propria vita.

"Buonanotte, Riccardo."

Soffiò, rimanendo tuttavia ad occhi aperti. Voleva accertarsi che l'altro si addormentasse per davvero, prima di concedersi di fare altrettanto.

Riccardo avvertì un piccolo fremito quando sentì Arthur accarezzargli i capelli, ma non si scansò: voleva fidarsi. Non poté fare a meno di mettere a confronto quelle carezze fossero diverse dalle uniche altre che conosceva: le dita di Arthur erano lunghe e affusolate, ma il loro tocco era inaspettatamente pesante; quelle di Lorenzo, invece, erano più tozze, ma al tempo stesso più leggere. Ciò non rendeva l'uno più sgradevole dell'altro, semplicemente era diverso, ma altrettanto piacevole, forse perché in fondo le azioni mosse dall'affetto erano tutte uguali tra loro. Senza nemmeno che se ne accorgesse, si ritrovò a rilassarsi sempre di più sotto a quelle premure, a cui fu estremamente naturale abituarsi. Forse vivere in quel modo non sarebbe stato poi così impossibile.

"Buonanotte, Arthur."

Replicò a voce bassa, praticamente un sussurro, decidendosi finalmente a farsi vincere dalla pesantezza delle palpebre e a chiudere gli occhi.

Due pezzi di puzzle, in quel momento, avevano appena scoperto un nuovo incastro.
*****
"Ma quando finisce 'sto corridoio? Stamattina era più corto!"

Si lamentò Domenico, mugolando.

Claudio, che gli era accanto, sorrise incoraggiante.

"Ci siamo quasi, un altro po' di pazienza. Dobbiamo solo svoltare l'angolo."

Rispose gentile, indicando con un cenno del capo il tratto davanti a loro.

Camminavano abbracciati, sorreggendosi l'un l'altro come due ubriachi, stanchissimi, ma ancor di più felici. Più in basso, Ulisse trotterellava allegro, precedendoli come a voler aprire la strada.

Appena entrati in camera, Claudio accompagnò Domenico alla poltrona più vicina e lui vi si lasciò cadere con un pesante sospiro. Si sfilò le scarpe, che gli stavano dando il tormento da ore, e liberò un profondo mugolio d'approvazione, sentendosi immensamente più libero.

"Non ce la facevo più! Altri cinque minuti e non sarei più stato in grado di camminare, te lo giuro!"

Commentò accennando un sorriso, dopo essersi adagiato al morbido schienale.

Claudio fece una risatina e si chinò a dargli un bacio tra i capelli, lasciandovi anche una morbida carezza.

"Povero amore mio! Ti preparo un pediluvio, mh?"

Chiese, scherzoso ed affettuoso al tempo stesso, guardandolo negli occhi. Quando erano andati ad acquistare gli abiti per il matrimonio aveva suggerito al compagno di scegliere un paio di scarpe diverso, meno elegante ma più comodo, dal momento che non era abituato ad indossare calzature particolarmente rigide, ma lui era stato irremovibile, sostenendo che tutto dovesse essere perfetto nel loro giorno speciale e così aveva insistito per prendere quelle che ora si era sfilato quasi a fatica.

Domenico scosse il capo, sollevando un po' di più l'angolo delle labbra in un sorrisetto furbo.

"No, non c'è bisogno. Dopo ci infiliamo tutti e due nella vasca, ma prima..."

Si toccò le cosce, battendoci delicatamente con i palmi delle mani.

"...vieni un po' qua, per favore. Ho bisogno di stare vicino a mio marito...sempre se lui vuole, naturalmente."

Aggiunse con voce morbida e scherzosa, allargando le braccia per accoglierlo.

Claudio ridacchiò, scuotendo divertito le spalle.

"Non sarebbe tuo marito, e tu non saresti il suo, se lui non volesse starti accanto!"

Esclamò, allegro, e subito fece il giro della poltrona per sederglisi in grembo, di profilo con le gambe raccolte, in modo da poter voltare il capo e guardarlo. Gli sorrise dolcemente e si sporse a dargli un bacio a fior di labbra, leggero.

Domenico ricambiò sia il sorriso che il bacio, e subito lo cinse con le braccia, tirandoselo morbidamente sempre più vicino fino a fargli appoggiare la testa su di sé. Il respiro caldo di Claudio gli accarezzava la pelle e lui sospirò, beato, ad occhi chiusi: non avrebbe potuto essere più felice di così.

Claudio si raggomitolò su di lui -una posa del tutto simile a quella di Ulisse, che aveva già preso posto nel suo angolo prediletto del divano- ed adagiò il capo sulla sua spalla, chiudendo gli occhi. L'odore dolce di Domenico gli riempiva il naso e lui sospirò, beato: non avrebbe potuto essere più felice di così.

Durante tutta la giornata non si erano separati nemmeno per un istante ed era stato bello immergersi nell'amore di amici e parenti, ma adesso era ancora più bello recuperare quella calma intimità che era stata stravolta dai festeggiamenti. Sembravano dormire, accoccolati com'erano l'uno all'altro come due gatti in una cesta, ma in realtà erano svegli, seppur esausti, e si scambiavano morbide carezze: Claudio passava lentamente le dita sulla pancia di Domenico e Domenico faceva lo stesso sul fianco di Claudio, un modo per dirsi che si amavano senza parlare.

Prima che finissero con l'addormentarsi per davvero -erano così stanchi che sarebbe potuto accadere-, Claudio riaprì gli occhi ed interruppe quel silenzio.

"Mi stavo dimenticando di una cosa importante!"

Disse a voce non troppo alta, ma da cui traspirava una certa urgenza.

Domenico sollevò immediatamente le palpebre, nonostante il sonno fosse stato sul punto di avere la meglio su di lui, e puntò gli occhi su Claudio, in lieve allarme.

"Che cosa? Che è successo?"

Claudio, notando quella luce preoccupata nel suo sguardo, subito si affrettò a sorridergli dolcemente e a fargli una carezza su una guancia.

"Non ti preoccupare, è una cosa bella. Mi sono solo ricordato che c'è una tradizione che non abbiamo rispettato, oggi..."

Annunciò, con aria misteriosa.

Domenico si accigliò, senza capire a cosa si riferisse. Ripassò mentalmente l'intera giornata e gli sembrò che non avessero saltato neanche una voce del decalogo del perfetto matrimonio: oltre alla cerimonia, naturalmente, c'era stata l'uscita trionfale dalla casa di famiglia, il servizio fotografico, il primo ballo da sposati e perfino il lancio del bouquet, anzi dei bouquet dal momento che ne avevano lanciato uno a testa. Non mancava nulla.

"E quale?"

Domandò, a voce bassa.

Claudio soffiò una risatina, che trattenne il più possibile per non svegliare Ulisse, poi prese una mano di Domenico e se la portò sulla coscia facendola scorrere da poco sopra il ginocchio verso l'alto, fino a farla fermare in un punto preciso. Guardò il marito negli occhi per tutto il tempo di quella piccola operazione, rivolgendogli un sorriso che gli tingeva il viso di un morbido rossore, non per timidezza, ma per un senso di sottile euforia che gli scorreva sottopelle come una scarica elettrica.

Domenico si lasciò guidare la mano lungo il corpo del marito che, anche se coperto dai pantaloni, riconosceva alla perfezione sotto le dita come se stesse toccando la sua pelle nuda, e quando la mano dell'altro, e di conseguenza la propria, si fermò, sgranò gli occhi per la sorpresa. Più o meno a metà coscia, infatti, sentiva un ispessimento della stoffa, non eccessivamente marcato, ma comunque percepibile ad un tocco attento. Indagò per qualche istante in quella zona, facendo scivolare la mano lungo il lato per poi farla ritornare su, il tutto in una lenta carezza, ma non aveva dubbi su cosa Claudio avesse deciso di fare, o meglio, indossare.

"È quello che penso, vero?"

Domandò divertito, sorridendo a trentadue denti.

Claudio fece un piccolo cenno d'assenso con il capo, poi scrollò le spalle come a voler minimizzare.

"Volevamo rispettare tutte le tradizioni, no? E questa...beh, questa è tra le prime che ti vengono in mente quando pensi ad un matrimonio. So che di solito è uno spettacolino che si fa davanti a tutti, ma non mi sembrava il caso di restare in mutande davanti a tua madre e al questore, e così ho un po' riadattato il modello."

Spiegò tranquillo, ma con gli occhi che brillavano allegri.

Domenico ridacchiò morbidamente immaginando la scena che Claudio gli aveva appena descritto, contento che non si fosse realizzata -concordava con lui, non era proprio il caso- perché così quel momento sarebbe stato soltanto loro. La sola idea lo mandava in visibilio.

"Ma quando te la sei messa? Ci siamo preparati insieme..."

Domandò, affondando la presa sulla carne del compagno, non tanto forte da fargli male, ma abbastanza da fargli capire che apprezzava.

Claudio tradì un mugolio d'approvazione che non riuscì a trattenere, poi sorrise sghembo.

"Ne ho approfittato quando sei andato a casa tua. Non ci è voluto molto, del resto."

Domenico per la seconda volta si ritrovò colto di sorpresa e buttò fuori un sospiro incredulo.

"Mi stai dicendo che ce l'hai addosso da stamattina?"

Chiese, più per mostrare quanto fosse fiero di lui che per l'effettivo bisogno di una risposta che, a quel punto, non poteva che essere affermativa.

Claudio annuì, ridacchiando, mentre ripensava a quella mattina quando, congedatosi momentaneamente da Simone, era filato in bagno con lo scatolino bianco che conteneva quel particolare accessorio. L'idea gli era venuta a pochi giorni dal matrimonio e dunque non aveva avuto modo di provarlo prima, né nel negozio dove lo aveva acquistato -non gli era sembrato il caso, viste le occhiate perplesse e sospettose che gli erano state rivolte dalle commesse, le quali forse dovevano averlo scambiato per una sorta di maniaco- né a casa, dove stava sempre con Domenico e c'era il rischio che lo scoprisse. Aveva avuto paura, quindi, che fosse troppo stretto o che comunque non gli stesse bene e lo facesse sembrare ridicolo, ma si era dovuto ricredere: l'accessorio era abbastanza elastico, gli andava perfettamente tanto che a malapena se lo sentiva addosso, e guardandosi allo specchio da ogni angolazione possibile aveva anche scoperto, con una certa sorpresa vanità, che un po' lo donava. Era...inusuale, certo, almeno per come era abituato a vestirsi lui, ma non per questo da disprezzare. Sapeva, poi, che avrebbe fatto sorgere sulle labbra di Domenico l'esatto sorriso gioioso ed incredulo che adesso gli vedeva in volto, quindi tutto il resto passava facilmente in ultimo piano.

"Sì, e infatti ho avuto paura che potesse scivolarmi, e a quel punto addio sorpresa. Per fortuna non è successo, però."

Rispose con voce leggera e divertita, mantenendo il sorriso, mentre con la mano lasciava quella del marito, che aveva capito perfettamente come muoversi, per andare a posargli una carezza tra i capelli.

Domenico sorrise morbidamente, poi sospirò con tenue stupore.

"Incredibile. E io che non mi sono accorto di niente. Sei davvero fantastico, core mij."

Mormorò, guardandolo sognante: che uomo meraviglioso era diventato quel ragazzo insicuro e timido che aveva conosciuto più di vent'anni prima in un bar, che adesso nemmeno c'era più, e che ora, invece, non aveva più paura del giudizio degli altri.

Claudio sollevò l'angolo delle labbra in un sorriso soddisfatto, inarcò leggermente un sopracciglio e gli occhi gli si illuminarono furbi, subito sotto.

"Mh, posso dire che farla franca con un ispettore capace come te dà una certa soddisfazione?"

Ribatté, con la voce pervasa da una giocosa malizia, mentre tracciava piccoli cerchi tra i capelli di Domenico, come sapeva gli piacesse.

Domenico soffiò una risatina morbida, che si chiuse in un mugolio d'approvazione per quelle piccole coccole di cui non era mai sazio, non quando era Claudio a fargliele.

"È una fortuna per me che tu non faccia, per dire, il ladro d'appartamenti, altrimenti sarebbe un bel problema."

Mormorò scherzoso, rivolgendogli un caldo sorriso. Con una mano, quella con cui teneva Claudio per il busto, salì ad accarezzargli la schiena con morbidi e placidi tocchi, come sapeva gli piacesse.

Claudio ridacchiò piano, scoprendo appena i denti, e buttò fuori un profondo sospiro rilassato per quelle dolci premure che non gli bastavano mai, non quando era Domenico a dargliele. Avvicinò il viso al suo, ancora di più, fino a far quasi sfiorare i loro nasi.

"Ma io da te mi farei arrestare."

Soffiò con un filo di voce, sicuro che Domenico l'avrebbe sentito comunque, toccandolo con il proprio respiro.

Domenico sollevò l'angolo delle labbra quando sentì il respiro di Claudio accarezzargli il viso, e subito lo raggiunse con il proprio.

"Ed io, però, ti lascerei andare."

Mormorò piano, certo che Claudio avrebbe capito. Con un piccolo cenno del capo, poi, fece toccare la punta dei loro nasi in un gesto affettuoso, che Claudio subito ricambiò.

Separarono i visi quanto bastava a guardarsi per un istante sospeso, poi scoppiarono a ridere all'improvviso, insieme, e si nascosero l'uno nella spalla dell'altro per tentare di attutire il suono cristallino e al contempo profondo delle risate che, radiose, si facevano strada dai loro cuori; nulla, però, potevano fare contro i singulti che li scuotevano come foglie al vento, anche se si tenevano stretti nel loro abbraccio.

Claudio sollevò di poco il capo, quanto bastava a parlare.

"Come siamo retorici!"

Commentò senza smettere di ridere, se non per l'attimo necessario a posare un bacio sulla guancia del compagno.

Domenico annuì, sempre ridendo, e lo imitò, baciandolo nell'incavo del collo.

"Sembriamo due guagliuncelli!"

Replicò, con la voce che tremava divertita.

Risero ancora, troppo felici per controllarsi, e solo quando sembrò loro di scoppiare riuscirono a placarsi e presero a respirare a grandi boccate.

Claudio, dopo un respiro un po' più profondo, rivolse a Domenico un morbido sorriso e gli accarezzò il viso, lentamente, dopo averlo accolto in una mano.

"Però è proprio così che mi sento..."

Sussurrò piano, per non rompere il silenzio che si era appena ricreato.

Domenico sorrise di rimando, con lo stesso amore, e posò un bacio sul palmo della mano di Claudio.

"Anch'io. Ed è meraviglioso."

Mormorò, tornando a guardarlo negli occhi.

Claudio annuì, mentre già si stava sporgendo verso il viso del compagno.

"Lo è davvero."

Soffiò sulle sue labbra, che Domenico provvide immediatamente ad avvicinargli.

Si scambiarono un bacio lento e silenzioso, come se si stessero assaporando per la prima volta, un bacio al sapore di quella fiducia e di quella libertà che avevano costruito con tanti altri baci prima di questo.

Non furono necessarie parole o segnali per decidere di alzarsi e spostarsi verso la camera da letto -erano entrambi a volerlo, e quando le anime funzionano all'unisono, i corpi finiscono per adeguarsi-, che non era poi tanto distante dal salottino, eppure impiegarono il doppio del tempo ad arrivarci perché non riuscivano a smettere di stringersi e baciarsi, facendo continue soste. Ma il tempo scandito in baci non è mai troppo.

Appena arrivati in stanza, Claudio si avvicinò subito al letto e prese a slacciarsi la cintura, ma si fermò di colpo e sollevò lo sguardo verso il compagno, rivolgendogli un sorriso splendente.

"Fallo tu."

Domenico, che si era già affrettato a chiudere la porta alle loro spalle -lo facevano anche a casa, non perché temevano che qualcuno potesse disturbarli, ma per creare un'atmosfera più raccolta, uno spazio che fosse soltanto loro-, si voltò verso il marito, sorridendo luminoso, e si fiondò a baciarlo prendendogli il viso tra le mani che fece poi scivolare verso la sua giacca. Gliela sfilò, in modo da liberarlo da un indumento inutile, facendola finire a terra e in un attimo, mentre ancora si baciavano, fece fare la stessa fine alla cintura e prese ad armeggiare con i suoi pantaloni, che gli abbassò di poco, non del tutto.

"Spostiamoci a letto, ti va?"

Sussurrò affannato sulle sue labbra, facendo non poca fatica a smettere di baciarlo.

Claudio liberò una risatina eccitata, cominciava a sentire piacevoli brividi corrergli lungo la schiena, e annuì, ma non era intenzionato a rinunciare a quei baci, non ancora almeno, e per farglielo capire si aggrappò a lui per il busto, e continuando a baciarlo indietreggiò di appena un passo verso il letto.

Domenico soffiò divertito, aveva capito le sue intenzioni, naturalmente, e lo cinse tra le braccia, così da guidare i suoi passi.

Ci volle poco affinché Claudio sentì il materasso contro le gambe e vi si lasciò cadere sopra, tirando Domenico con sé. Si sorrisero, stesi com'erano l'uno sull'altro, e poi unirono i loro sorrisi in un nuovo bacio, poi ancora un altro ed un altro ancora, tanti piccoli tocchi che si susseguivano come gocce di una pioggerella leggera.

Domenico, dopo un poco, si rialzò e, rimessosi in piedi, tese le mani verso Claudio per aiutarlo a tirarsi su.

"Ce la fai?"

Domandò, sorridente.

Claudio ridacchiò, annuendo.

"Guarda che fino a prova contraria eri tu quello che per poco non perdeva l'uso delle gambe!"

Replicò scherzoso, per nulla offensivo, e senza esitare si aggrappò alle sue mani e si mise a sedere, facendosi il più avanti possibile sul bordo del letto. I pantaloni, che nel movimento gli erano scivolati di uno o due centimetri, gli davano un leggero fastidio, ma sapeva che presto Domenico gliel'avrebbe fatto passare.

Domenico rise di gusto, scrollando le spalle.

"Touché."

Ribatté divertito, per poi lasciare un bacio tra i capelli morbidi e leggermente arruffati di Claudio.

"Comunque, se proprio vuoi una prova contraria, sappi che adesso sto benissimo!"

E così dicendo si inginocchiò davanti a lui, tenendo però il capo rivolto verso l'alto, così da non perdere i suoi occhi blu.

Claudio liberò una risatina e, come in un meccanismo perfetto, chinò la propria testa per inseguire i suoi occhi verdi, che subito raggiunse.

"Mh, vedo..."

Commentò con voce morbida, quasi sussurrando.

Domenico sorrise sghembo e gli passò una mano su una gamba, che accarezzò con un tocco rapido.

"Adesso ti libero."

Disse piano, per poi sfilargli rapidamente le scarpe e salire con entrambe le mani ad afferrare i lembi dei pantaloni già slacciati, ormai finiti a bordo dell'inguine, per tirarli del tutto via e liberargli le gambe come promesso. Ecco, a metà altezza della coscia sinistra svettava una giarrettiera bianca, in pizzo, decorata con motivi floreali ricamati o qualcosa di simile, come fosse stata una bandiera. Una bandiera, tuttavia, bianca, che si stagliava contro una nuvola altrettanto bianca o quasi: il delicato accessorio, infatti, se non fosse stato per la naturale peluria del compagno, sarebbe stato un tutt'uno con la sua pelle che, nonostante le fughe al mare che si erano concessi ad ogni occasione buona in quell'estate già inoltrata, era rimasta piuttosto candida. Ad onor del vero, anche lui aveva acquisito molto meno colorito di quanto fosse solito fare, eppure in spiaggia ci erano andati spesso. Forse il Sole aveva avuto timore ad accarezzare quei corpi che, sapeva, si appartenevano null'altro, o forse, spinti da premure reciproche, si erano applicati a vicenda un po' troppa crema solare. In ogni caso, ciò che vedeva gli aveva mozzato il fiato in gola, tanto era bello.

Claudio liberò un mugolio d'approvazione quando Domenico gli tirò finalmente via i pantaloni, e poi smise di respirare. Sentiva su di sé gli occhi roventi del compagno che gli attraversavano la pelle più dei raggi del Sole, ma non erano fastidiosi o invadenti, al contrario, erano esattamente ciò di cui aveva bisogno. Sorrise.

"Che te ne pare?"

Domandò con un filo di voce, che tuttavia non era né incerta né tremolante, ma solo curiosa.

Domenico fece un profondo respiro, estasiato ed innamorato, come di fronte ad un'opera d'arte che non si è in grado di descrivere e quindi si cercano le parole per farlo al meglio. Sollevò gli occhi luminosi per guardarlo in volto, accompagnandosi con un sorriso.

"Che sei meraviglioso."

Replicò, con voce leggera.

"Allora...posso?"

Chiese poi, per esserne proprio sicuro, accennando con il capo alla sua gamba.

Claudio ridacchiò teneramente per quella sua dolce premura ed annuì morbidamente.

"Non aspettavo altro."

Confermò, e per sottolineare le proprie parole allargò leggermente le gambe, così da fargli più spazio, e poi restò immobile, in attesa.

Domenico non tardò ad accettare quell'invito, quel movimento così semplice eppure così erotico ai propri occhi lo spinse a gettarsi sulla gamba del marito come una tigre sulla preda, poggiandosi sul pavimento con le mani, ma per un istinto uguale e contrario fu infinitamente delicato nel prendere tra i denti la giarrettiera, che cominciò a sfilare con lentezza.

Claudio seguiva Domenico con lo sguardo che intrecciava al suo, affidandosi completamente a lui. Aveva sentito la punta dei suoi denti sfiorargli delicatamente la pelle e ora, man mano che il marito si faceva strada su di lui, avvertiva il suo respiro caldo accarezzarlo. Non poteva fare a meno di sorridere, sognante: che uomo meraviglioso era diventato quel ragazzo gentile, ma chiuso in se stesso perché non credeva di essere in grado di dare abbastanza amore e che adesso, invece, lo stava trattando con una gentilezza commovente.

Solitamente in questi momenti che costituivano uno dei punti saldi di qualsiasi festa di matrimonio, l'animatore o chi per lui provvedeva ad animare l'atmosfera con una musica ammiccante, loro invece avevano il suono delle onde del mare, chiaro anche al di là delle imposte chiuse, a fare da sottofondo. In fin dei conti, era stata quella la musica che li aveva accompagnati nei loro primi giorni insieme e che lo facesse anche adesso, quando di giorni insieme ne avevano e ne avrebbero vissuti ancora molti, era soltanto la conclusione più giusta.

Nel momento in cui, se tutti gli invitati fossero stati presenti in quella camera, si sarebbero levati fischi e urla di giubilo, ci furono soltanto due risate, unite in una sola, ma addirittura più fragorose.

Si guardavano ancora, rossi in viso non per vergogna o pudore -avevano da lungo tempo ormai superato quella fase-, ma per l'emozione di aver fatto qualcosa soltanto per loro, che faceva battere i due cuori all'unisono, forti come tamburi.

Domenico aveva ancora la giarrettiera tra i denti, che gli pendeva dalle labbra, e sembrava un grosso cane che aveva appena riportato il bastone al padrone.

Claudio, con quella tenera immagine in mente, fece per prendere la giarrettiera allungando una mano, ma Domenico fu più veloce e si scostò, indietreggiando con il busto quanto bastava, una luce furba negli occhi.

Claudio sollevò un sopracciglio, sorpreso ed intrigato da quella reazione.

"Che c'è, ti piace così tanto?"

Domandò scherzoso, facendo per afferrarla di nuovo, stavolta con un gesto più rapido.

Domenico indietreggiò di nuovo, stavolta emettendo un ringhio giocoso, e poi guardò Claudio inclinando leggermente il capo, in attesa.

"Moltissimo!"

Ribatté a denti stretti, e la voce uscì ovattata dalla stoffa che non aveva intenzione di lasciar andare, non per il momento.

Claudio scoppiò a ridere -adesso il marito sembrava decisamente un cane!- e scosse divertito il capo, con un sorriso sghembo sul viso.

"Mh, vediamo se così ti convinco..."

Allungò di nuovo una mano, ma stavolta la portò direttamente al viso di Domenico che prese a coppa con l'altra, e si sporse il più possibile verso di lui, fino a sfiorargli la punta del naso.

Domenico, senza esitare, si sollevò più che poteva verso di lui, dischiuse le labbra -la giarrettiera scivolò a terra senza emettere un suono- e le unì a quelle di Claudio, aggrappandosi alle sue braccia.

Non era il bacio più comodo che si fossero mai scambiati, le schiene già indolenzite da una giornata carica di emozioni erano ulteriormente provate dalla tensione dei muscoli che quella posizione un po' strana comportava, eppure era il custode di tutta la loro felicità.

O almeno, lo sarebbe stato fino al successivo.
*****
 
La camera d'hotel era immersa in un'atmosfera sospesa tra il buio rischiarato appena soltanto dagli argentei raggi della luna ed il morbido sciabordio delle onde del mare a cui si univa il soffio sottile e rilassato dei respiri di Simone e Manuel.

La festa era ormai finita da un po', tutti erano rientrati nelle rispettive stanze -anche i parenti di Domenico che vivevano a Napoli ne avevano ricevuta una per quella notte, così da non dover guidare ad un orario così tardo- e alla fine anche loro si erano dovuti rassegnare a farlo, su ordine perentorio dei due sposi. Si sentivano felici, euforici, e per nulla stanchi, o meglio credevano di non esserlo, dal momento che, contro ogni previsione, non appena si erano sfilati gli eleganti completi -molto più stropicciati di quanto lo fossero al mattino- ed erano entrati in doccia avevano sentito tutto il peso di quella giornata che era stata indescrivibile, certo, ma anche molto faticosa.
Si erano infilati a letto, dopo, indossando soltanto i pantaloncini del pigiama, e se ne stavano lì, stesi sul fianco uno di fronte all'altro, a lottare testardi contro le palpebre che si chiudevano perché volevano guardarsi ancora un po', mai sazi. Avevano adagiato le mani nel piccolo spazio tra loro, quella di Simone con il palmo verso l'alto e quella di Manuel con il palmo verso il basso, e le avevano fatte incontrare in un'eclissi.

Manuel abbassò gli occhi per guardarle e, istintivamente, sorrise più di quanto stesse già facendo.

Simone se ne accorse subito e gli rivolse uno sguardo incuriosito.

"A che pensi?"

Domandò a bassa voce, accarezzandogli il dorso della mano con il pollice.

Manuel tornò a guardarlo, con occhi resi languidi dal sonno ma non per questo meno dolci ed innamorati.

"A quando 'ste mani le usavamo pe' menarce, ti ricordi? Che scemi che eravamo..."

Disse piano, con voce malinconica, poi sospirò.

"Se potessi torna' indietro, direi a me stesso: coglione, che cazzo fai? Quel ragazzo è speciale, lo dovresti accarezza', non farce a botte!"

Aggiunse con una punta di rimpianto, non troppo amara perché addolcita dal desiderio di godersi il presente, tanto che poi accennò una risatina. Ecco, preferendo di gran lunga concentrarsi più su ciò che stava vivendo adesso che su sbagli passati, si concentrò sulla pelle morbida di Simone, così vicina alla propria, e sulla sensazione di calore che gli dava in tutto il corpo. Si portò la mano del compagno alle labbra e la baciò su una nocca con delicatezza, prima di riaccompagnarla al suo posto e tornare a guardare Simone, la propria metà.

Simone sollevò l'angolo delle labbra in un sorriso morbido, innamorato, e riprese subito ad accarezzare placidamente la mano di Manuel, la propria metà. Ripensò a quei mesi pieni di confusione e domande, ora così lontani da sembrare un racconto fatto da un'altra persona, quando Manuel lo attraeva in una maniera che non capiva, ma che pensava fosse odio -anche se quel ragazzo ripetente non gli aveva mai fatto nulla- e allora usava ogni suo sguardo, parola o gesto per provocarlo, qualsiasi cosa diventava facilmente una scusa per venire alle mani, perché sentiva di volerlo vicino, ma non conosceva altri modi per avvicinarsi. Anche lui era stato un gran coglione.

"Anch'io non sono stato da meno, eh. Se potessi tornare indietro, ti infilerei una mano nei capelli per farti i grattini che ti piacciono tanto, invece di spingerti per cercare l'ennesima lite. Però guardale adesso, le nostre mani, Manuel: sono intrecciate e sono belle."

E così dicendo indicò con lo sguardo lo spazio in mezzo a loro per invitarlo a fare lo stesso.

Manuel seguì i suoi occhi con i propri e soffiò un piccolo sospiro felice. Simone aveva ragione: non c'erano più pugni, non c'erano più insulti, non c'erano più urla, ma solo tanto, tantissimo amore.

"So' così belle che meritano una fotografia, eh? Per il nostro album..."

Propose, con voce leggera ed allegra.

Simone annuì con entusiasmo, sorridente.

"Ci hai preso gusto ormai..."

Commentò, mentre già si voltava per prendere il cellulare sul comodino.

Manuel liberò una risatina e fece spallucce.

"Sarà che i soggetti meritano. Uno in particolare."

Ribatté concludendo con un occhiolino ed un bacio mandato al volo in punta di labbra, quando il fidanzato già lo guardava.

Simone sospirò fingendosi esasperato, ma il sorriso luminoso ed innamorato che non sembrava per niente intenzionato ad abbandonargli le labbra rivelava le sue vere emozioni.

"Marpione!"

Replicò, facendogli cenno di appoggiare di nuovo la mano sul materasso.

Manuel eseguì ed intanto gli rivolse un sorriso furbo.

"Guarda che parlavo de me!"

Disse con sarcasmo, tanto che gli occhi morbidi ed innamorati con cui lo stava guardando parlavano per lui.

Simone ridacchiò appena ed andò ad unire la propria mano a quella di Manuel, ricomponendo l'incastro. Erano davvero belle.

"Fermo che scatto, eh."

Avvisò, prima di impostare l'autoscatto di lì a pochi secondi e sollevare il cellulare.

"È venuta bene?"

Domandò Manuel subito dopo, avvicinandosi un po' di più. La stanza era piuttosto buia e loro non avevano acceso la luce, quindi temeva che non si vedesse nulla.

"Secondo me sì, ma lo scopriamo subito."

Replicò Simone, molto più tranquillo perché tanto sapeva che quella foto sarebbe stata meravigliosa a prescindere, mentre apriva la galleria del telefono.
I volti di entrambi si illuminarono di gioia ed emozione quando videro la foto: le loro mani abbracciate, sulle quali le fascette argentate sembravano scintillare si distinguevano benissimo contro il lenzuolo bianco, forse perché non c'era poi chissà quanto buio in quella camera, dopotutto.

"Avevi ragione, è venuta bene!"

Esclamò Manuel, contento.

"Io ho sempre ragione, lo vuoi capire o no?"

Replicò Simone con aria scherzosamente saccente, fingendosi borioso.

Manuel fece schioccare la lingua al palato, sforzandosi di non ridere, e gli diede un leggero colpetto sul fianco.

"Seh, vabbè, mo' nun t'allargà!"

Lo avvertì, sollevando un sopracciglio.

Simone gli rivolse uno sguardo carico di sfida, l'angolo delle labbra sollevato appena in un sorrisetto quasi impercettibile, ma che sapeva Manuel avrebbe notato.

"Perché, altrimenti che fai?"

Ribatté, provocatorio.

Manuel, non potendo resistere a quella provocazione, liberò una risatina maliziosa e, fulmineo, tolse il cellulare dalle mani di Simone per posarlo sul comodino, dove sarebbe stato al sicuro -se fosse caduto, chi l'avrebbe sentito!- prima di sollevarsi sulle ginocchia per sovrastare il compagno.

"Te faccio ridimensionà!"

Esclamò, prima di avventarsi su di lui a suon di solletico.

Simone scoppiò immediatamente a ridere, lo soffriva tantissimo e Manuel, furbo, lo sapeva, e continuò a ridere senza riuscire a smettere, sempre più affannato, mentre cercava di raggomitolarsi su se stesso come un riccio per sfuggire a quelle dita rapide e malandrine.

Anche Manuel rideva con tutta l'aria che aveva nei polmoni, mentre spostava velocemente le mani per andare a colpire i punti più sensibili -una volta sulla pancia, una volta dietro al ginocchio, un'altra volta sul collo e poi di nuovo sulla pancia- e non lasciare tregua a Simone, che gli sembrava un pesce fuor d'acqua per quanto si dimenava.

Era così, per loro: le risate illuminavano ogni momento. A volte, anzi molto spesso, ridevano anche con la voce, proprio come adesso, ma sempre, sempre, ridevano con il cuore. Evidentemente il classico proverbio si sbagliava: il riso non abbonda sulla bocca degli stolti, ma su quella degli innamorati.

Dopo qualche minuto indefinito, in quel marasma di corpi e risate che sovrastavano il suono delle onde e che superavano il mare per impeto, Simone riuscì a guadagnare un vantaggio e ghermì Manuel per il busto ed i fianchi con le braccia e le gambe e lo attirò a sé in un bacio lento, tutto l'opposto della frenesia che c'era stata fino a quel momento.

Manuel non si oppose, anzi si abbandonò immediatamente in quel bacio, rilassandosi contro il corpo caldo di Simone. Gli tornarono in mente dei versi di Ovidio: 'L'amore vince su tutto e noi cediamo all'amore.'...ed era così bello perdere.

Quando tornarono a guardarsi, affannati e sorridenti, si immersero l'uno negli occhi dell'altro, perdendosi e ritrovandosi.

Manuel liberò un lungo sospiro beato prima di parlare.

"Non vedo l'ora che arrivi domani."

Mormorò, sollevando appena l'angolo delle labbra con aria furba. Ricordava perfettamente l'ultima volta che aveva pronunciato quelle parole.

Simone si accigliò appena, guardandolo incuriosito. Ricordava perfettamente l'ultima volta che aveva sentito quelle parole.

"Non mi dire che hai preparato una sorpresa..."

Chiese, perplesso.

Manuel ridacchiò scuotendo il naso, poi si chinò a lasciargli un bacio sulla punta del naso.

"No, no, anche volendo non avrei avuto tempo. Ma sarà speciale lo stesso, perché saremo insieme."

Replicò, con voce delicata.

Simone soffiò una risatina ed annuì appena, portando una mano ad accarezzargli una guancia.

"E anche dopodomani e il giorno dopo ancora. E questo è meglio di qualsiasi sorpresa, perché sarà sempre così. Fino alla fine dei giorni e ancora oltre."

Promise dolcemente, adesso e per sempre.

Manuel curvò appena il viso per raggiungere la mano di Simone e baciarla, poi tornò a guardarlo negli occhi.

"Fino alla fine dei giorni e ancora oltre."

Sussurrò morbidamente, in una promessa istantanea ed eterna.
-----FINE-----
   
 
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