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Autore: Selene123    19/11/2023    1 recensioni
Una serie di oneshot che servono da prequel, brevi racconti sull'infanzia e sulla prima adolescenza di Oscar e André
Genere: Avventura, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Oscar dormiva sempre con una candela accesa, appoggiata sulla grande scrivania. Il buio la spaventava al punto che perfino le sottili tende del baldacchino non potevano essere chiuse. Il Generale non era mai stato d’accordo con quella soluzione: un buon soldato non ha paura di certe sciocchezze e suo figlio doveva abituarsi fin da subito a diventarlo. Con una buona dose di pazienza e insistenza, Madame e la governante erano riuscite a convincerlo ad accettare perché, in fondo, aveva solo cinque anni e non si poteva pretendere troppo. Quantomeno non dopo estenuanti giornate trascorse a fare il doppio delle sorelle maggiori. 

Il suo letto era così grande che sembrava di perderla ogni volta che ci si coricava. Spuntava dal lenzuolo soltanto la sua testolina bionda, comunque sprofondata nel morbido cuscino di piume d’oca che avrebbe sempre conservato, in un cassetto dell’armadio, anche una volta sostituito. I drappi di pregiato cotone semitrasparente che la circondavano le sembravano muri che, invece di proteggerla dai pericoli, la imprigionavano togliendole ogni via di fuga. Innumerevoli volte si era svegliata in lacrime e scossa dal panico prima che il padre si decidesse ad ascoltare le sue rimostranze. “Anche un bambino ne avrebbe terrore” aveva protestato con il consueto tono gentile sua moglie prima che lo sguardo dell’uomo la gelasse per una considerazione tanto avventata da fare in presenza della diretta interessata; Oscar, dal canto proprio, pensava che si stesse riferendo al nuovo arrivato e non ci aveva dato troppo peso. 

- Tu hai laura del buio? - gli aveva chiesto un giorno durante il pranzo, mentre lo guardava portarsi da solo il piatto a tavola. 

André aveva scosso il capo con decisione. - Io no di certo. Non sono mica una femminuccia… - le aveva poi risposto senza riflettere sulle proprie parole e, perciò, ricevendo un sonoro ceffone sulla testa da parte della nonna. 

- Neanche io, figurati. - aveva mentito lei stringendosi nelle spalle.  

Per giorni l’idea che il suo problema potesse essere una macchia sulla sua dignità di unico uomo nel futuro dei Jarjayes l’aveva attanagliata. Non poteva permettersi di deludere nessuno! Così, senza avvisare le cameriere, quella sera, subito dopo la preghiera a cui grand-mère teneva più di tutto l’oro del mondo, si alzò dal bordo del letto e corse alla scrivania. Non senza incertezze soffiò sulla fiamma e scappò via, sotto il lenzuolo, per non farsi catturare da qualche fantasma attirato dalle tenebre.  

I minuti passavano lenti, scanditi dal rumore sordo e regolare dell’orologio vicino all’armadio. La bambina guardava il soffitto con gli occhi spalancati: gli arabeschi del velluto di cui era foderato il tetto del baldacchino si erano trasformati in un groviglio di draghi e creature mostruose che volevano mangiarla, le ombre sulla parete di destra si rincorrevano per fare a gara a chi la raggiungesse prima. Non poteva piangere né doveva farlo: non è da soldato*. Che cosa avrebbe fatto, un giorno, a capo dell’esercito di Sua Maestà il re di Francia, se si fossero trovati in un luogo buio? Decise di resistere. Chiuse le palpebre e si mise a contare, magari così si sarebbe distratta… Arrivata al numero venticinque – l’ultimo a sua disposizione prima di ripartire da zero – sentì qualcosa sfiorarle le gambe da sopra il lenzuolo e poi scivolare. Spaventata, la bambina tappò la bocca per attutire in piccolo urlo, si precipitò alla scrivania per prendere la candela e scappò via. A terra, ai piedi del letto, una copertina di lana piegata giaceva stropicciata dopo essere caduta poco prima. 

Il corridoio era freddo e buio, pieno di spaventosi ritratti di gente che durante il giorno sembrava ammiccare e di notte, invece, squadrava lo spettatore con un ghigno. Oscar lo attraversò in punta di piedi ma il più velocemente possibile, attenta a non disturbare il sonno di nessuno. Se il Generale lo avesse scoperto l’avrebbe spedita in punizione per una settimana almeno! Cercava di evitare gli sguardi appesi alle pareti, il suo unico obiettivo era raggiungere il pianoterra contando sulla luce che filtrava dalle imposte chiuse e del candelabro sempre acceso al fondo delle scale. Ogni passo era una fredda ammissione di arrendevolezza, ma non avrebbe mai sopportato un minuto di più in camera propria. Scese i gradini con la preoccupazione di rimanere sul tappeto centrale, nonostante fosse troppo lontano dal corrimano per le sue braccia e il rischio di inciampare nella camicia da notte fosse alto. Una volta ritornata in piano raggiunse il tavolino e, come le avevano insegnato, avvicinò lo stoppino spento della candela e lo avvicinò a una fiamma. Al piano inferiore i corridoi non davano sul cortile interno né sul giardino esterno e senza una fonte di luce le sarebbe stato impossibile arrivare a destinazione. 

Camminò svelta mentre contava con le dita il numero di porte che superava prima di raggiungere la meta sperata. Fece un respiro profondo e bussò. Nessuno le rispose e la sua fervida immaginazione già le proponeva scenari apocalittici. Riprovò, questa volta più a lungo, finché non si udì lo scricchiolio del letto provenire dall’interno. Quando l’uscio si aprì appena, il volto assonnato di un bambino che si stropicciava gli occhi apparve, illuminato dalla luce della candela.  

- Io non sono una femminuccia. - esordì Oscar per mettere le mani avanti ed evitare fraintendimenti. 

André la guardò disinteressato. - È notte, voglio dormire… 

- Però ho paura del buio. Posso rimanere con te? - gli chiese poi con le mani tremanti più per la confessione che non per il freddo.  

Il suo amico la fece entrare e si voltò, facendole segno di lasciare su un comodino quello che si era portata dietro. 

Quando finalmente si trovò nella stanza, la piccola scoprì un mondo. Non era mai stata nelle camere della servitù, erano più piccole della sua. Il letto non aveva fastidiose tende intorno, c’erano un solo tappeto a terra, un armadio, un piccolo comò e un tavolo che doveva funzionare un po’ da tutto. Alle pareti non c’erano quadri né divanetti o poltre appoggiati; lo specchio rifletteva solo parte della figura date le dimensioni e non esistevano pezzi di arredamento pregiato. Oscar si guardò intorno e constatò che, tutto sommato, quello che vedeva non le dispiaceva.  

Seduto sotto le coperte, André aspettava in silenzio, irritato per essere stato svegliato nel bel mezzo di chissà quale bel sogno da lei che perdeva tempo in centro alla sua camera. La bambina si accorse della sua impazienza e corse al suo fianco. Aveva aspettato tanto l’arrivo di qualcuno che le desse coraggio di affrontare il buio: dovesse anche scontrarsi con i pericoli che li separavano, ne sarebbe valsa la pena. 

- Cosa fai? - gli domandò quando lo vede girarsi dall’altra parte per spegnere la candela.  

L’amico si fermò. Ormai conosceva quel tono: sapeva che se avesse soffiato se la sarebbe presa. Lasciò perdere e, tornato al proprio posto sdraiato accanto a lei, scivolò sotto il lenzuolo e chiuse gli occhi. O almeno, ci provò, dal momento che dopo pochi istanti sentì una mano scuotergli una spalla. 

- Sto dormendo. - affermò André senza degnarla di uno sguardo. 

- Non è vero. Parli! - ribatté Oscar. 

- Parlo nel sonno.  

I due bambini scoppiarono a ridere all’uniscono, finché non furono entrambi stanchi a sufficienza da addormentarsi. 

*** 

Un rumore proveniente dall’esterno attirò la sua attenzione, infrangendo il silenzio della camera da letto. Sembrava che qualcosa colpisse il vetro e cadesse sul balcone. Le foglie del grande albero cresciuto rigoglioso fino a sfiorare la balaustra si muovevano con l’aria della sera. La bambina alzò lo sguardo dal foglio che stava riempiendo con la stessa frase all’infinito dopo la decisione del padre di mettere in castigo sia la fuggitiva che il suo ospite. Per una settimana avrebbero dovuto salutarsi dopo la lezione di scherma e rimanere ognuno nella propria stanza fino al mattino successivo, quando il Generale si aspettava di trovare sulla scrivania dello studio cinque pagine, redatte in bella grafia, con la frase “La notte è fatta per dormire, non per giocare”.  

Il rumore si fece sempre più insistente, finché Oscar non si allontanò dalla scrivania per avvicinarsi alla finestra. Non sembrava ci fosse qualcosa di strano, ovunque guardasse le si presentava il consueto spettacolo del mercoledì sera: le cameriere che ultimavano le faccende, alcuni stallieri che preparavano il cavallo per suo padre in procinto di raggiungere i soldati… All’improvviso, un’ombra volo veloce davanti ai suoi occhi per poi finire sul muro. Aprì l’imposta e una folata di vento freddo la investì. Uscì con cautela sul balcone, facendo attenzione a non essere vista da nessuno, poi si guardò intorno.  

Alla sua destra, seduto sul grande ramo nascosto tra le foglie, André la stava chiamando. Il terrore di precipitare lo teneva attaccato ad ogni appiglio che gli capitasse di trovare, ma piano piano si spostava verso di lei. 

- Non puoi stare qui! - gli intimò, appoggiata al marmo umido. C’era un’euforia nella sua voce che le dava una forte scossa di adrenalina. Il brivido di disobbedire ancora, di avere un compagno di disavventure con cui condividere il momento, di sapere che se li avessero scoperti la punizione sarebbe stata peggiore e per questo avrebbero dovuto essere ancora più furbi.  

- Certo che no, sto per cadere! - rispose lui e, dopo un respiro profondo, si fece coraggio e avanzò di mezzo metro sul ramo per poi saltare sul balcone.  

Oscar osservò quella prodezza con assoluta ammirazione. Voleva imparare anche lei, arrampicarsi sugli alberi insieme al suo amico e vedere il mondo da lassù. Ci avrebbe provato un giorno, magari il successivo se nessuno si fosse accorto di una loro momentanea assenza…  

Il bambino entrò in casa e rimase esterrefatto dall’eleganza della camera in cui si trovava ora. Era tutto un altro mondo rispetto al piano inferiore! C’erano tante candele sul lampadario, tanti cuscini sul letto e tanti libri sugli scaffali della libreria. Fischiò come aveva sentito fare da qualcuno – chissà chi – davanti alle cose belle quando ancora abitava in campagna, attirando su di sé lo sguardo indignato della sua ospite. Erano passati circa due mesi dal suo arrivo a palazzo Jarjayes, ma ancora non aveva messo piede nelle stanze della sua amica. 

- Anche io mi farei mettere in castigo tanto quanto te se poi finissi qui. - commentò lui. - Tu invece sei scappa…to 

Quel termine, scappato, gli uscì dalle labbra con un’incertezza che la piccola non si fece scappare. Incrociò le braccia davanti al petto e cominciò a picchiettare il pavimento con la punta della scarpa. Nello squadrarlo dalla testa ai piedi notò che i palmi delle sue mani erano macchiati di nero, così come alcuni punti della guancia e sul naso. - Sei tutto sporco! 

- Oh… Beh… Sì, stavo scrivendo ma è caduto il calamaio e si è rovesciato l’inchiostro. Ho dovuto rifare tutto!  

La bambina alzò gli occhi al cielo e gli si sedette accanto sul letto. Molleggiarono all’uniscono sul materasso morbido, finché il suono di passi fuori dalla camera non li richiamò sull’attenti.  

C’era qualcuno in corridoio che si stava avvicinando: chiunque fosse stato, se li avesse scoperti avrebbe consegnato entrambi ad un castigo ancora più lungo e insopportabile. Non si sarebbero potuti più vedere per chissà… un mese, cinque, o forse un anno! 

Dopo pochi secondi, la maniglia si abbassò e, in quel momento, Oscar afferrò André per la camicia, lo nasconde dietro il letto e corse di nuovo alla scrivania. Sentivano entrambi il cuore battere all’impazzata, al punto che credevano sarebbe esploso nel petto.  

Quando la porta si aprì, Madame entrò nella camera e si accostò alla figlia, concentrata con la testa sul foglio. La madre le passò una mano tra i capelli e, con grande tenerezza, le consigliò di smettere e andare a dormire: era tardi e ci avrebbe pensato lei a riferire al Generale quanto impegno ci avesse messo per svolgere il suo compito. Quando la vedeva dare tutto di sé fino allo stremo, ringraziava che fosse una persona così caparbia e sveglia per resistere ad un destino tanto duro. 

- Non preoccupatevi, Mère, andrò non appena avrò terminato… - la rassicurò, ma nel silenzio che seguì si sentì il rumore di qualcosa scivolare leggera da qualche parte alle loro spalle.  

La donna si sporse mentre la bambina tentava di dissuaderla con le peggiori scuse che le venissero in mente. Era arrivata perfino all’ultima spiaggia, quella assolutamente vietata ma a cui era ricorsa già un paio di altre volte quando non c’era proprio altra soluzione. Si aggrappò alla cucitura in vita del suo abito ampio e cominciò a sbattere i piedi per terra: tutto pur di non svelare il segreto e finire di nuovo nei guai. 

Madame scorse un ciuffo di capelli neri spettinati da dietro il bordo del letto e due grandi occhi verdi che, di tanto in tanto, venivano fuori dal nascondiglio non troppo adeguato. Si lasciò scappare una risata divertita e, senza aggiungere altro, prese in braccio la bambina per darle la buonanotte.  

- Buonanotte anche a te, André… - bisbigliò come per non farsi sentire da nessuno. - Custodirò il vostro segreto. - e così dicendo riportò Oscar vicino alla scrivania e se ne andò, chiudendo la porta con il sorriso ancora sulle labbra. 

 

(*citazione di Gadda) 

   
 
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