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Autore: Selene123    30/11/2023    1 recensioni
Una serie di oneshot che servono da prequel, brevi racconti sull'infanzia e sulla prima adolescenza di Oscar e André
Genere: Avventura, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Da qualche tempo Oscar era tormentata da un dubbio, ma per istinto di conservazione aveva deciso di tenersi tutto dentro. Non era solita fare domande scomode a nessuno, aveva imparato che era una cosa sconveniente e che un bravo uomo di mondo sa sempre stare al proprio posto. Ciò nonostante, nella sua mente sveglia e curiosa c’era qualcosa che non tornava. Non del tutto, quantomeno.

Si era accorta, infatti, che le persone più vicine a lei erano un po’ troppo differenti una dall’altra. Le sue sorelle, tutte, erano ragazzine molto aggraziate e raffinate anche nell’aspetto. Sembravano principesse uscite da un libro di favole e ogni giorno che passava credeva che lo diventassero sempre di più, almeno tanto quanto avesse l’impressione di conoscerle sempre di meno. Passava del tempo con loro, non quanto avrebbe voluto ma abbastanza per poter sentire che qualcosa di ancora ignoto le accomunava (oltre la parentela). Erano bionde come lei, con gli stessi occhi azzurri, ma non era questo che la lasciava perplessa. Le capitava di provare una forte empatia nei loro confronti quando le vedeva tristi, credeva di poterle comprendere nonostante non le dicessero niente.

Poi c’era André. L’unico maschietto in casa a parte Oscar, l’unico con cui poter condividere ogni esperienza, ogni lezione, ogni problema. Eppure, forse talvolta non si capivano davvero, ma soprattutto lei non capiva perché allo specchio il loro aspetto fosse diverso. Vestivano uguali, avevano entrambi i capelli più meno della stessa lunghezza e si comportavano nella medesima maniera, ma qualche dettaglio ancora non la convinceva. Alle proteste circa l’altezza, ad esempio, André rispondeva sempre che fosse più alto perché più era il più grande e lo diceva credendoci, perché nella sua testa di bambino di otto anni e mezzo era una conseguenza logica. Oscar accettava il fatto compiuto, poteva aver ragione d’altronde, ma continuava imperterrita a tirar fuori quella questione di tanto in tanto, quando proprio non si dava pace.

Era una sensazione fastidiosa: le sembrava che tutti condividessero un segreto che la escludeva e ciò si rendeva evidente soprattutto quando capitava che il suo compagno di avventure impiegasse un paio di secondi in più per trovare l’aggettivo adatto, cosa che a lei non accadeva mai. Era strano, molto strano… Non doveva riflettere, non interrompeva le frasi a metà. Sapeva cosa dire sul suo amico, sapeva che era il nipote della governante che chiamavano tutti nonna ma che lo era davvero solo del suo amico.

Quel pomeriggio si erano addormentati in giardino, sotto la grande quercia accanto alla fontana. Benché grand-mère li avesse avvisati più e più volte di non giocare troppo vicini all’acqua, i due bambini ci erano ripetutamente finiti dentro incolpandosi a vicenda su chi avesse avuto l’idea di contraddirla. Completamente zuppi, la donna li aveva spediti in casa per asciugarsi, ma loro, che non avevano la minima intenzione di farlo, erano scappati in giro per il grande giardino per poi ritornare al punto di partenza con gli abiti attaccati al corpo. La nonna, stanca e spazientita, aveva lasciato che si asciugassero al sole, minacciandoli di appenderli insieme al resto dei panni se non si fossero almeno calmati un po’.

I due bambini si erano sdraiati all’ombra della quercia e lì avevano lasciato che il sonno li cogliesse, cullati dal vento di metà maggio e dallo scrosciare continuo e regolare dell’acqua della fontana. Per un’ora la casa intera aveva potuto riposare – o, meglio, proseguire nella consueta routine senza che i due piccoli terremoti interrompessero nessuno. Di tanto in tanto grand-mère mandava una cameriera a controllarli, per essere sicura che fossero ancora lì e non avessero finto di essere stanchi solo per poter pianificare qualcosa di irrimediabile, e puntualmente li trovava tranquilli, distesi una vicina all’altro mentre il tepore del tardo pomeriggio li asciugava.

Quando la campana della chiesa poco distante da palazzo suonò sei rintocchi, Oscar aprì gli occhi e si guardò intorno. Per un attimo aveva dimenticato la ragione per cui si trovassero lì, poi li stropicciò e, schiarendo la vista, osservò André che, come al solito, non si sarebbe svegliato neanche se fosse esplosa una battaglia intorno a lui. La bambina si sedette più indietro e appoggiò la schiena contro al tronco dell’albero, con le braccia attorno alle ginocchia e le mani intrecciate. I pensieri e le preoccupazioni che da qualche tempo la coglievano la sera prima di addormentarsi si palesarono tutti insieme anche in quel momento, con il sole ancora alto e le voci della casa che riempivano l’aria. Avrebbe voluto liberarsi da ogni singolo dubbio, confidarsi, ma non sapeva come farlo. Né con chi. Sua madre era sempre a Versailles e la vedeva soltanto per l’ora di cena, unico momento in cui la famiglia intera si riuniva e lei ascoltava con educazione ciò che si diceva senza proferire verbo. Il Generale, poi, le aveva insegnato che i veri uomini non si lamentano, accettano il corso degli eventi facendosi forza e imparando dagli errori; pur non avendo ancora davvero compreso il significato delle sue parole, le aveva accettate perché la volontà del padre era legge. La nonna, dal canto proprio, era sempre indaffarata e anche nei momenti meno frenetici il suo pragmatismo vinceva su qualunque velleità di riflessione. Con le sorelle maggiori i rapporti erano strani: voleva loro molto bene ed era ricambiata con grande affetto, di tanto in tanto le spiava nei loro passatempi da donna mentre parlavano di tante cose che le sembravano sciocche benché le vedesse ridere; da parte loro, però, capitava che di percepire una distanza che con il suo amico avevano di meno. Era stata proprio la realizzazione di una certa freddezza nei suoi confronti che aveva cominciato ad insinuare nella sua mente i primi dubbi. Perché anche loro sembravano dover pensare due volte a cosa dirle? Perché gli abbracci che le davano erano meno affettuosi dei propri? Perché ad André non rivolgevano mai quegli sguardi incupiti che talvolta le riservavano? Volevano più bene a lui?

Mentre un profondo sospiro tentò di scacciare via i pensieri, la figura della governante si avvicinava a passo svelto. Oscar allungò un braccio e cominciò a punzecchiare la guancia del suo amico per svegliarlo, chiamandolo più volte. Il bambino aprì gli occhi infastidito e allontanò la sua mano dal viso con un gesto veloce, poi si alzò e scorse, nonostante la vista un po’ annebbiata, la nonna che gridava loro di sbrigarsi ferma con i pugni sui fianchi.

-È ora di cena, dormi sempre! – lo apostrofò la piccola con un tono insolitamente scontroso.

- Anche tu dormivi. – le rispose e, risentito dal suo atteggiamento, si alzò per raggiungere la donna e accelerò per anticiparle sulla via di casa.

Oscar sbuffò e prese la mano di grand-mère per farsi riaccompagnare dentro da qualcuno che non si offendesse per tutto.

Una vasca di ceramica bianca l’aspettava in camera riempita d’acqua riempita per metà. Come ogni sera, la preparazione per il pasto conclusivo della giornata prevedeva un bagno che la rendesse presentabile a tavola, specialmente se, come in quell’occasione, avevano ospiti. La piccola si faceva aiutare dalle cameriere senza lamentarsi e seguiva von attenzione tutti i passaggi necessari, anche nel momento in cui bisognava rivestirla seguendo l’ordine preciso degli indumenti. Nonostante il cattivo umore, lasciò che le donne intorno a lei eseguissero il proprio compito senza protestare troppo ma senza neanche le consuete risate che le suscitava vedersi allo specchio con l’asciugamano in testa che cadeva sul volto e la faceva somigliare a un fantasma. Non le importava guardare, in realtà, voleva solo che si sbrigassero e la lasciassero sola.

Finalmente terminata la vestizione dell’erede, le cameriere uscirono dalla stanza e, dopo pochi minuti, Oscar le seguì. Si ripeteva mentalmente ciò che le era stato insegnato per presentarsi, tenendo il conto sulle dita per non dimenticare nulla. Passando accanto al grande studio del padre, si accorse che la porta era rimasta aperta. Si alzò in punta di piedi per chiuderla nonostante adesso arrivasse alla maniglia e udì la voce di una delle sorelle lamentarsi. La bambina si nascose dietro lo stipite, attenta a non essere vista e cercò di scoprire cosa stesse accadendo nella stanza.

- Non puoi capire le decisioni che un padre deve prendere per il bene della propria famiglia! – tuonò all’improvviso il Generale con una tale irruenza da far tremare i vetri della finestra alle sue spalle.

- Ma posso capire che ci rimettiamo sempre noi altre. – rispose la ragazzina con la stessa insolenza con cui talvolta l’ultima nata protestava.

- Cosa vorresti insinuare?

Quelle parole le erano estranee, ma parevano importanti se al loro suono sua sorella aveva abbassato il tono e balbettato qualcosa prima di proseguire. – Padre, a lei concedete tutto.

Oscar tentò di unire le poche informazioni che aveva ascoltato e dedusse che si stesse lamentando per la consueta presunta ingiustizia che percepivano tra loro quattro.

Fece per allontanarsi, quando alcune parole catturarono nuovamente la sua attenzione. Riuscì a distinguere con una certa sicurezza il proprio nome, sommerso in un mare di polemiche e inviti a tacere, e subito dopo quello di André. Una strana sensazione la investì, come se saperlo in mezzo ad una discussione a cui lei non era presente la disturbasse più di qualsiasi cosa al mondo. Si trattenne dall’irrompere nella stanza e scappò via, ma non le sfuggì il suono distante di una frase precisa: lo scoprirà a tempo debito, Oscar è un maschio e questo è quanto.

Oscar corse più veloce che poté fino alla rampa di scale in fondo al corridoio e si sedette sul primo gradino. Cosa doveva scoprire di tanto importante? E quando sarebbe successo? Che bisogno c’era di sottolineare che fosse un bambino, poi? Lo sapevano tutti, lo era da sempre. I dubbi che l’attanagliavano da giorni si andarono ingarbugliando in un groviglio ancora più intricato. In silenzio, appoggiò il mento sulle ginocchia al petto e lasciò che le lacrime le bagnassero le guance. Non poteva né voleva farsi vedere così, ma aveva cominciato a sentirsi strana e irrequieta, come se tutto il mondo le pesasse addosso e non riusciva a spiegarselo. Avrebbe voluto scappare, rifugiarsi nella stanza di André come durante i peggiori temporali e rimanere con lui a giocare. Si rese conto che in sua compagnia i brutti pensieri sparivano e il tempo passava veloce. Realizzò anche che le lezioni del mattino erano più noiose se non c’era e che correre tra gli alberi per raggiungere il fiume non era così divertente se non aveva il suo passo svelto alle spalle pronto a superarlo. Quando l’amico era costretto a letto con la febbre, il suo unico pensiero era che le quattro e mezza arrivassero in fretta per potergli fare visita, sedersi in fondo al materasso e raccontargli la sua giornata, o leggergli una storia se stava ancora male. La vera ingiustizia, rifletté mentre asciugava gli occhi con la manica della camicia di cotone e pizzo, era che le sue sorelle si fossero messe d’accordo per lamentarsene con il padre. Loro erano quattro, tutte femmine, mentre Oscar aveva solo André e non chiedeva altro che poter continuare a giocare con lui.

***

La cena importante di quella sera era trascorsa tra il colloquiare degli adulti, gli sporadici interventi selle figlie maggiori quando venivamo chiamate in causa e il via vai della servitù tra la sala da pranzo e le cucine. Chiusa in un insolito silenzio, Oscar aveva osservato con attenzione il volto di ogni membro della sua famiglia chiedendosi se ciò che lei avrebbe scoperto a tempo debito fosse già a conoscenza di tutti. Di tanto in tanto dava una rapida occhiata alla porta alle proprie spalle, sperando che André arrivasse al tavolo con il proprio piatti come succedeva dopo le lezioni del mattino, finché Madame non le aveva appoggiato una mano sul braccio per fermarla. Benché sapesse che gli fosse ancora proibito – più dalla nonna che dal Generale – partecipare al servizio delle occasioni speciali, la delusione di non vederlo entrare nella stanza le aveva più volte stretto il cuore. Probabilmente si era già addormentato, o forse stava finendo i compiti che il precettore aveva lasciato per il giorno successivo e che lui aveva lasciato a metà per andare a giocare in giardino.

Il grande orologio del salotto, dove ospiti e padroni di casa conversavano di argomenti troppo complicati per la sua tenera età, suonò le nove e grand-mère, puntuale, giunse con professionale rammarico a interromperli: era ora di andare a letto per Oscar, che si lanciò in un cordiale e ancora un po’ artificioso – per quanto ammirevole e tenero – saluto ai presenti e seguì la donna tenendola per mano.

Camminavano fianco a fianco e mentre la governante si complimentava per il comportamento impeccabile che aveva avuto durante la cena, i pensieri della bambina si rincorrevano stanchi per altre vie. Rispondeva a monosillabi, non vedeva l’ora che quella giornata si concludesse.

- Nonna, posso salutare André? – domandò all’improvviso quando si accorse di essere a pochi metri dal corridoio della servitù.

- Andiamo a dargli la buonanotte e poi su in camera!

La piccola annuì e insieme si incamminarono verso la penultima porta di legno, dimenticata socchiusa dalla cameriera che lo aveva accompagnato prima dell’arrivo degli ospiti. Quando vi fu davanti, la spinse leggermente con la mano e la luce dei candelabri nel corridoio gli illuminò il volto appoggiato al cuscino.

- Sta già dormendo… - commentò Oscar con una sfumatura di delusione nella voce, nonostante avesse preso in considerazione l’ipotesi.

L’anziana agitò il braccio per riportarla all’obiettivo iniziale, ma lei rimase ancora alcuni secondi ferma a guardarlo.

- Buonanotte, André. – gli augurò comunque. Nella penombra video i suoi occhi aprirsi piano e cercare con lo sguardo chi lo avesse chiamato nel dormiveglia.

Alzò appena una mano per salutarla e si voltò, con il lenzuolo che lo copriva fino alle guance.

La bambina richiuse l’uscio e ritornò a camminare accanto alla nonna. Era più sollevata: lo aveva visto di nuovo, gli aveva parlato e lui l’aveva salutata. Poteva andare a dormire adesso.
   
 
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