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Autore: EmmaJTurner    31/12/2023    5 recensioni
“Mi hai fatto chiamare. Hai scritto che hai un lavoro per me”.
“Esatto”.
“Sei stata insopportabilmente vaga”.
“Eppure sei qui”.
Logan strinse la mandibola, colto in fallo. Meli trattenne un sorrisetto vittorioso.

[Paladini, vampiri, un sotterraneo pieno di mostri e un bambino da salvare. Secondo me, andiamo a farci male]
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Cercasi Ammazzamostri'
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Spazio dell’autrice

Il 31 dicembre mi sembrava un giorno propizio per finire con Darren. Spero che tutta questa (dis)avventura vi sia piaciuta. Buona lettura!






 

Chi Guarda la Luna Casca nel Fosso

Il giorno seguente Meli stava mescolando fiori di calendula e biancospino su un vassoio quando un tramestio alla porta sul retro le fece rizzare le orecchie. Era ancora quel dannato coniglio mannaro che si mangiava il cavolo nero dall’orto?

La botanica afferrò il bastone, attraversò il laboratorio a grandi passi e spalancò la porta.

Non era il coniglio mannaro: era Theo. Ripulito e vestito elegante, con tanto di colletto e polsini di pizzo, sembrava un ragazzino di qualche anno più grande - nonostante il livido giallastro sopra l’occhio, le labbra blu dal freddo e l’espressione colpevole in faccia.

Meli abbassò il bastone. “Che diavolo ci fai qui?”. A causa della sorpresa, il tono le uscì un po’ più aggressivo di quel che aveva anticipato.

Theo alzò le mani in segno di difesa. “Niente! Non ho fatto niente! Solo… pensavo…”.

Con un sopracciglio inarcato, Meli guardò il ragazzino litigare con le parole finché non si ammutolì; poi sospirò, si fece da parte e disse: “Entra”.

Theo filò dentro l’uscio veloce come un gatto. Si guardò attorno con occhi spalancati, assorbendo ogni dettaglio del laboratorio. Doveva essere uno spettacolo niente male, pensò Meli; dopotutto, non molti avevano l’onore di vedere cosa si nascondeva lì dentro.

Rimesso il bastone al suo posto contro il muro, Meli incrociò le braccia al petto e si appoggiò con l’anca ad uno dei due banconi da lavoro.

“Come stai?”.

“Bene” rispose d’istinto il bambino. Il suo sguardo vagava inquieto sui vasi di terracotta traboccanti di specie erbacee, sui tomi rilegati sulle scansie, sulle file infinite di barattoli vuoti o pieni di misteri essiccati.

Non gliela raccontava giusta. Allo stesso tempo, non voleva spaventarlo facendogli troppe domande. Lo osservò in silenzio mentre si avventurava per il laboratorio con la stessa cautela con cui avrebbe potuto affrontare un dungeon pieno di creature pronte a balzargli addosso.

Infine, il bambino si soffermò davanti ad un cesto pieno di fiori secchi. “Cosa sono questi?” domandò.

“Fiori di biancospino” rispose Meli. 

“E a cosa servono?”.

Sorpresa, Meli spiegò: “Insieme a valeriana e camomilla ci si fa un calmante bello potente, che riduce gli stati ansiosi e concilia il sonno”. Evitò di dire che lo stava preparando per sé, in quanto gli incubi erano peggiorati dopo la missione nel dungeon.

Theo continuò la sua ispezione. Indicò un grosso barattolo pieno di liquido color rosso vivo. “E questo?”.

“Olio di iperico”. Vedendo che il ragazzino non scollava gli occhi dal liquido, continuò: “Si usa sulla pelle; per punture, irritazioni, ferite”. In realtà molti lo usavano anche per curare lo stato depressivo, con risultati più o meno buoni in base alla gravità dei sintomi. Theo la ascoltava con occhi grandi e attenti, quindi Meli proseguì: “I fiori si raccolgono da fine maggio fino al solstizio d’estate. Sono facili da riconoscere perché perdono un liquido rosso quando li si stropiccia con le dita”.

“Usi la… magia per farlo?”.

Meli sorrise. “No, niente magia. Non ho l’inclinazione naturale, e non l’ho studiata a scuola”.

Theo annuì sovrappensiero. “E questo?”. Indicò la talea che stava mettendo radici dentro la teca illuminata.

Lo spirito di Meli si innalzò, e la botanica non poté evitare di sollevare il mento con orgoglio. “Quella è una Rosa Eterna. La coltivano i frati dell’Ordine del Roseto giù ad Aroi. Si usa per realizzare molte pozioni rare, tra cui - forse lo conosci - il decotto della felicità perpetua”.

Davanti all’espressione dubbiosa di Theo, Meli spiegò che “perpetua” significava “eterna”.

“Felicità eterna?”.

“Be’, il decotto si chiama così per questioni… promozionali. Ovviamente non è eterna per davvero; ma se il decotto viene assunto con regolarità rende molto stabili e felici. È come prendere certe droghe, ma senza gli effetti collaterali”.

“E perché non la prendono tutti, questa pozione della felicità?”.

“Perché i frati sono molto gelosi delle loro rose. E il decotto è molto difficile da preparare. E costa una follia”.

Theo parve rifletterci su. “La rosa - l’hai rubata?”.

Era sveglio, il ragazzino. 

“L’ho presa in prestito”.

Theo rise quando vide l’occhiolino di Meli. Si erano rilassati entrambi. Che fosse un bambino chiacchierone, questo Meli lo sapeva già. Ma cosa ci faceva lì? Attese che fosse lui a tirare fuori l’argomento, ma non accadde. Theo rimase a bighellonare nel laboratorio per tutto il pomeriggio, osservando Meli confezionare barattoli di tisane finché fuori non si fece buio e la donna suggerì che forse era l’ora di rientrare.

La felicità sparì dal viso di Theo soffiata via come la fiammella di una candela. Incassò la testa tra le spalle e fissò il pavimento. “Non voglio tornare a casa”.

Meli sentì una brutta sensazione rimescolarle le viscere. 

“Mio padre dice che… che devo smetterla di dire le bugie. Del cancello, la strega rossa e tutto il resto”.

Meli sospirò triste. “Lo sai che non è una bugia”.

“Credono che sono pazzo. Che… siamo pazzi”.

La botanica aprì la bocca per ribattere, ma lo sguardo le cadde sul collo di Theo. E lì, coperto appena dai riccioli castani, c’era un livido viola scuro. 

La consapevolezza arrivò per prima, seguita da una collera infuocata. Aveva curato lei quel bambino. Lei lo aveva portato fuori dall’inferno con le mani lorde del suo sangue. Conosceva ogni ferita, bruciatura e cicatrice. E quel livido lì… quel livido lì prima non c’era.

***

Passò una settimana. Theo scappava da casa tutte le mattine e si infilava dalla porta del retro dell’Emporio, dove stava per ore ad ammirare i vasi colmi di piante, i libri e i fiori disidratati. Veniva picchiato regolarmente; Meli lo sapeva grazie ai nuovi segni che costellavano ogni giorno il corpo del bambino. Dove poteva vedere, perlomeno: sulle mani, sui polsi, sul collo, sulla mandibola. Non osava immaginare cosa ci fosse sotto i vestiti. Fremeva di rabbia ogni volta che lo guardava; ma cosa poteva farci, a parte macchinare nella sua mente dozzine di modi diversi di uccidere coloro che osavano alzare le mani su quella creatura che già aveva sopportato soprusi a sufficienza per due vite intere?

“Innocente? Non lo è mai stato. Il suo sangue fa così schifo che il solco lo assorbe a malapena”.

Così aveva detto la mutaforma nel dungeon, quando Logan si era rifiutato di fargli del male. Che Theo, nonostante la giovanissima età, non era un innocente. 

“Ti assicuro che gli faresti un favore ad ammazzarlo invece di riportarlo a casa”.

Quella frase cominciò a tormentarla. Cosa aveva visto, quella squilibrata, nei ricordi di Theo? Meli iniziò ad elaborare delle teorie, e una era peggiore dell’altra.

All’Emporio di Erbe e Pozioni Theo non parlava mai delle botte e sembrava moderatamente allegro. Meli gli insegnò a disinfettare i barattoli nell’acqua bollente e a estrarre la tintura madre di arnica da applicare sulle contusioni. Era lì tutto il giorno, tutti i giorni; tanto valeva che si rendesse utile.

Logan non era ancora tornato da Berg. Meli si ripeteva che sicuramente non era successo niente di grave e che c’erano mille ragionevoli motivi per cui l’ammazzamostri poteva essere in ritardo. Ma spesso era distratta - aveva confuso le foglie trilobate della fegatella con quelle a ventaglio del capelvenere, perdio - e la sua mente indugiava più del solito in pensieri ansiosi.

Le brutte voci non si erano affievolite, anzi. E la presenza di Theo all’Emporio non aveva aiutato; alcune comari del paese avevano cominciato a dubitare della veridicità della storia di Meli. D’altronde, una botanica che salva un bambino dal dungeon di Darren, dopo che tanti eroi prima di lei avevano fallito? Un’assurdità. Che al suo fianco avessero combattuto un ammazzamostri con i controcazzi e il paladino più inamovibile della regione, per le vecchiette non sembrava rilevante.

Una sera, dopo il tramonto, Theo si rifiutò di tornare a casa.

“Devi andare, Theo. Se scoprono che sei qui finiremo entrambi nei guai - più di quanto non siamo già”.

“Per favore. Sarò bravo; non ti accorgerai nemmeno che ci sono”.

Meli lo guardò e seppe che lottare era inutile. Non avrebbe potuto negare niente a quel faccino implorante. Non con quei lividi che gli si allargavano gialli e viola sotto il mento.

“Avanti” sospirò. “Puoi stare sulla branda qui nel laboratorio. Ti porto una coperta”.

“Polpetta può dormire con me?”.

“Sei tu che puoi dormire con Polpetta, semmai. È lui il capo qui”.

Raggiante, Theo andò a infastidire il gatto appallottolato nella cesta davanti al camino.

Meli andò a prendere una coperta dalla sua stanza. Incrociò Zeno che le lanciò un’occhiata eloquente. Anche lui, informato dei fatti, l’aveva avvertita di mantenere un basso profilo. Meli rispose con un’espressione abbattuta che significava: Lo so. Lo so.

Lanciò la coperta a Theo e lasciò che il bambino si sistemasse come preferiva. Uscì dal laboratorio con la certezza che quella notte non avrebbe dormito affatto, troppo preoccupata per tutto quello che stava accadendo attorno a lei. La suggestione di disgrazia incombente era tornata più forte di prima, più forte di quando aveva letto il biglietto di Meimei. Meli l’avrebbe negato fino alla morte, ma sapeva che era il sangue di sua madre che amplificava in quel modo fastidioso la percezione emotiva degli eventi.

Per distrarsi chiacchierò un po’ con Zeno, ancora occupato a mettere in ordine il fronte del negozio. Gli sporgenti occhi gialli del ragazzino-lucertola erano preoccupati, ma non la accusò di niente. Meli provò un moto di affetto nei suoi confronti e si sentì ancora peggio. 

Ripensò a Logan. E se ne fosse andato con i soldi e tanti saluti? Il cuore di Meli rifiutò quell’opzione, ma il suo cervello non se la sentì di scartarla. Dopotutto Logan era una persona venale.

Era notte fonda quando Meli udì uno scalpicciare fuori dalla porta principale. Era accoccolata sulla poltrona gialla avvolta da una coperta di lana, insonne e nervosa davanti al camino che languiva.

Un rapido bussare la fece scattare sull’attenti. Chi era a quell’ora? L’orologio a pendolo segnava le due. Meli afferrò un coltello da erbe dal bancone e se lo infilò dentro la manica della vestaglia. Poi andò ad aprire.

“Tu che ci fai ancora qui?”.

C’era una preoccupante vena di urgenza nel tono di Reika, che appariva stanca e trafelata. Aveva dei rametti incastrati tra i capelli intrecciati. Non attese la risposta di Meli e si infilò rapida nella porta - seguita dal fedele Lexi - che venne richiusa in un batter d’occhio.

“Logan non è passato?” si informò la guerriera shati. Si piantò in mezzo alla stanza, scandagliando l’intero negozio con occhi attenti. Il cane pastore annusò l’aria e si sedette vicino all’ingresso.

Meli sentì il suo stomaco fare una capriola. “No. Avrebbe dovuto?” domandò con un senso di agitazione crescente.

“Credevo fosse già qui. Deve essere stato trattenuto”.

La parola trattenuto non piacque affatto a Meli. “Reika. Che è successo?”.

“Non ci hanno dato i soldi, giù a Berg. Hanno inventato stronzate su autorizzazioni e firme sbagliate e hanno chiamato la Guardia Cittadina. Siamo riusciti a sparire prima che ci arrestassero, ma ci hanno mancato per un pelo”.

Meli si ritrovò di nuovo a ringraziare per l’innato talento che Reika aveva per la sintesi. “Il podestà ci ha dato delle cambiali false?”.

“Forse. Ma sapevano del cancello, Meli. Li ho sentiti. Sono quasi certa che le cambiali fossero solo una scusa per farci interrogare. Girano voci di terrorismo interno”.

La botanica spalancò gli occhi. Terrorismo interno. Si impiccava la gente per molto meno.

“Io sono tornata solo per recuperare le mie cose e sparire. Ci abbiamo messo più del previsto perché abbiamo fatto un giro dell’oca per evitare i sentieri più battuti. Pensavo che Logan fosse già venuto ad avvertirti. Ci siamo divisi all’altezza del Jau nella speranza di essere meno riconoscibili”.

“No. Non è mai arrivato”.

Alla guerriera non sfuggì l’espressione preoccupata di Meli. “Mmh. Sono certa che sta bene. È un fottuto scarafaggio, quello. Indistruttibile".

Nonostante Reika avesse ragione - Logan era un fottuto scarafaggio - Meli non si rasserenò.

“Devi sparire anche tu, Meli” continuò la guerriera con premura impellente. “La voce del cancello aperto è arrivata molto lontano molto in fretta, e ci sono persone a cui la cosa non piace affatto. La gente comincia a essere nervosa. È meglio per noi è sparire finché non si calmano le acque. È un miracolo che la Guardia non sia già arrivata a buttarti giù la porta, in realtà”.

“Sparire? Ma io ho il negozio e tutto… È davvero necessario?”.

Terrorismo interno, Meli. E non si parla della mutaforma che nessuno ha visto. Si parla di noi”.

Meli si morse l’interno della guancia e ragionò in fretta. Sparire per andare dove? Per quanto tempo? Zeno avrebbe potuto tenerle il negozio… o forse no? Avrebbe messo in pericolo anche lui? Doveva mandarlo via? E Theo? Cosa sarebbe successo a Theo?

“Tu dove andrai?” chiese febbrile alla guerriera. Le serviva qualche idea da rubare.

“A sud. Eviterò amici e parenti e vivrò finché posso con quello che ho. Ti direi di andare insieme, ma ormai avranno la nostra descrizione e temo che in due sia più facile che ci becchino”.

Evitare amici e parenti non sarebbe stato difficile, pensò Meli. Aiden l’aveva mollata, Logan era non-pervenuto, le sue sorelle erano vagabonde, niente Meimei, niente Dagmaris, e di certo non sarebbe andata da sua madre. 

Reika si avviò verso la porta. “Mi raccomando Meli: entro mattina ti voglio fuori di qui”. Con una mano già sulla maniglia, si voltò. “Ah, e girano strane teorie di una botanica con sangue di drago per cui qualcuno pagherà uno sproposito. Ci sono bande di idioti pronte ad assalire i viaggiatori ad ogni sentiero. Ne abbiamo beccate un paio fuori da Berg. Fa’ attenzione”.

Meli ripensò a quei tizi che lei e Logan avevano aggirato nel bosco tornando dall’Abbazia. Era la medesima storia. 

Reika fece per uscire, ma Meli la bloccò. Le era venuta in mente una cosa importante. 

“Reika. Come faccio a… sapere che sei davvero tu?”. 

La guerriera le sorrise e lasciò andare la maniglia. Il cane uggiolò piano. “Sei una donna intelligente, Meli. Fammi una domanda”.

All’inizio le vennero in mente solo domande idiote, come il nome del cane o il cognome di sua madre da nubile. Ma poi la domanda giusta arrivò.

“Cosa diceva nonna Nene ad ogni luna piena?”.

Il sorriso di Reika si allargò. 

“Chi guarda la luna casca nel fosso. E allora sì che sei fottuto”.

***

E quando Reika - che era quella vera e non una mutaforma, perché la risposta era giusta - sparì dalla porta principale con cane al seguito, Meli si sentì particolarmente fottuta. Cosa avrebbe dovuto fare, adesso?

Il cigolio della branda e un tramestio di passi anticipò la comparsa di Theo. Era assonnato ma guardingo, e si era trascinato addosso la coperta a mo’ di mantello.

“Che sta succedendo?” domandò. Doveva aver sentito le voci.

Meli si preparò all’amara rivelazione. “Niente di buono. Devo andare via”.

Il bambino si corrucciò. Via dove?”.

“Non lo so ancora. Reika è appena stata qui, e dice che è pericoloso per me restare a Pecul”.

“Per quando tempo starai via?”.

“Non ne ho idea”.

“Vengo con te” propose subito il bambino.

“Non esiste” lo troncò Meli.

“Se resto qui, lui mi ammazzerà”. Non ne avevano mai parlato prima, ma Meli seppe in quel momento che lui era il padre. Theo lo disse con un tono così triste e definitivo che la donna sentì qualcosa incrinarsi dentro.

“Theo, io…”.

“È la verità. Portami via con te. Ti prego”.

Sentendosi di nuovo debole e in balia di un destino avverso, Meli si massaggiò gli occhi chiusi con le dita. Che fare? Non c’era tempo da perdere. Non c’era tempo di discutere. Reika era stata chiarissima: la Guardia avrebbe potuto essere lì all’alba. Nella testa, la voce petulante di Logan le ripeteva “Non fare stronzate”.

Eppure, dopo un enorme frustrato sospiro, Meli si sentì dire: “Preparati. Partiamo tra un’ora”.

***

Meli si vestì in fretta: si allacciò il corsetto sul davanti; si infilò i pantaloni e la giacca di lana. Afferrò lo zaino che le restava - quello meno buono - e cominciò a riempirlo. Gamella, abiti di ricambio, pietra focaia, scaldapietra, pozioni rigeneranti, achillea, centocchio, biancospino, aconito, cicuta. Avrebbe voluto portare via tutto, ma doveva bilanciare i suoi desideri con il peso che poteva ragionevolmente trasportare per chissà quanti giorni all’avventura.

Zeno, svegliato dal baccano e messo al corrente delle spiacevoli novità, arricciò il bel nasino a punta e si grattò le squame dietro al collo. “Rischioso” disse con voce sibilante. Il suo dialetto kon era pesante sulle S e sulle O.

“Sì, è rischioso. Ed è meglio che anche tu vada da qualche parte al sicuro per un po’. Come sta tua cognata?”.

Zeno mostrò i denti aguzzi.

“Ok, no. Tuo zio su a Oswald?”.

Il garzone si strinse nelle spalle.

“Perfetto allora. Vai da lui. Portati via tutto quello che ti serve per il viaggio. Soldi, abiti, cibo, pozioni”. Prese fiato e chiuse gli occhi nel fare la richiesta seguente: “Prendi l’Erbario e la Rosa Eterna. E tienili al sicuro”.

Zeno spalancò gli occhi. “Sicuro?”.

“Sicuro”.

Il garzone-lucertola annuì riverente.

Meli si sfiorò le labbra e il mento con due dita, un segno di saluto beneaugurante tra quelli della sua specie. Avrebbe voluto abbracciarlo, ma i Konjun in generale e Zeno in particolare avevano ribrezzo del contatto fisico. Il ragazzino-lucertola ricambiò rispettosamente il saluto e sparì nel laboratorio.

Theo si era tolto i polsini di pizzo e aveva preso in prestito da Zeno una camicia più sobria da infilare sotto il farsetto color crema. Meli gli aveva aggiustato un mantello di lana verde scuro sulle spalle e ora Theo pareva quasi un piccolo moccioso qualsiasi. Forse sarebbe stato meglio tagliargli i capelli. Ci avrebbero pensato in seguito, decise.

Stavano per uscire, quando un miagolio li bloccò. Theo corse indietro e afferrò Polpetta da sotto le ascelle. “Non possiamo lasciarlo qui da solo!”. 

Il gatto, rassegnato, penzolava mostrando la pancia bianca. 

Meli pensò che il gatto avrebbe potuto benissimo scegliersi un altro padrone tra gli abitanti di Pecul o tirare fino a primavera mangiando topi e pettirossi. Ma Theo aveva un’espressione affranta e tutto sommato il gatto avrebbe potuto rivelarsi un utile repellente contro le strigi che a novembre solcavano i cieli con irritante regolarità. 

Finché fosse sopravvissuto, almeno.

Nervosa, di fretta, e quasi certa che il gatto sarebbe finito dentro lo stomaco di qualche mostro schifoso entro ventiquattro ore, Meli acconsentì.

Infine, pensando Ma in che situazione di merda mi sono infilata e Quanto parla questo bambino, Meli chiuse a chiave la porta dall’Emporio di Erbe e Pozioni di zia Fernanda dietro di sé e si avventurò lungo la strada buia con un gatto grigio e un ragazzino chiacchierone.

Un momento prima di inoltrarsi nel bosco, la donna alzò gli occhi e guardò la luna.

Gobba a ponente.

Che Dio ce la mandi buona.







 

Spazio dell’autrice

So che questo non è un finale. So che questo è uno schifoso cliffhanger. Ma io dovevo chiudere questa Parte III e questo era il finale che avevo in mente - più o meno - fin dall’inizio. Meli e Theo da soli, ricercati, in balia di un destino più grande di loro. Che succederà? Qualche disastro, suppongo.

Vi avviso che mi prendo una pausa. Non per cazzeggiare, no - magari - ma volevo riprendere la Parte I e farne una seconda stesura decente. Adesso non è all’altezza del seguito, e vorrei rimediare prima di mettermi all’opera sulla mitica Parte IV. So che non vi interessa dei cazzi della mia vita ma volevo informarvi lo stesso :D

Adesso non so darvi tempistiche, ma conto di mettermi presto al lavoro. Sono curiosa anche io di vedere dove andremo a parare! Intanto, grazie per avermi tenuto compagnia fino a qui; per me è stato importantissimo.
A presto,
Emma

   
 
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