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Autore: Ariadirose    09/01/2024    5 recensioni
È che con te mi sento al sicuro. Sei la mia famiglia. E da molto prima di oggi che sono tua moglie.
Genere: Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La mia famiglia

 

“Una festa bellissima, semplice, vera… e pensare a tutti quei ricevimenti a Versailles… eppure non c’è paragone. A quei balli neanche ho danzato mai, quasi mai”, si corresse Oscar. “E oggi, invece, ho ballato persino con alcuni soldati: e tu non ne eri affatto geloso”.

“No, assolutamente”, rispondeva André, mentre iniziava a mettersi in libertà, e si allentava le maniche della camicia. Poi sfilò le scarpe ad Oscar, seduta sul letto, e cominciava a carezzarle le caviglie sottili: “Solo un po’ di Fournier, forse, perché è più bello e più giovane di me”, aggiungeva, ripensandoci.

“Nessuno è più bello di te”, gli rispondeva con ammirata predilezione.

“E di Lambert, perché è più spiritoso”.

“Devo dire che nessuno è più spiritoso di André?”, iniziava a comprendere il suo giochetto.

“…E poi di Bonnard, perché gli piaci: si vede”.

“Ma io posso piacere solo a te: giusto?”.

“Questo mi piacerebbe dirlo”, le sorrideva, mentre dai piedi risaliva con lo sguardo su fino al volto: “Nessuno potrebbe mai amarti e credere in te più di quanto faccia io. E se potessi vietarlo, proibirei a tutti gli uomini di fare delle fantasie su di te. Ma sei così bella che è inevitabile che molti altri ti ammirino. E che Bonnard si rifaccia pure un po’ gli occhi, in mezzo a tanta miseria e desolazione”.

Non era certo il caso di cedere ai cattivi pensieri, ma il panorama, attorno a loro, non era dei migliori. I tumulti di Parigi, la presa della Bastiglia avevano provato la popolazione e portato ad emergere i segni ulteriori della fame e della disperazione. A causa di quella precarietà, Oscar e André non potevano più aspettare perdendo altro tempo, e avevano sentito il bisogno di sposarsi subito. La loro unione aveva anche sparso intorno fiducia e il bisogno di credere nel bene.

Nell’androne del palazzo di Rosalie e Bernard, si era tenuto il pranzo di nozze di Oscar e André. Una zuppa di patate, poche cose raccolte dai vicini, una torta di mele fatta dalla vecchia governante, mandata a prendere perché non mancasse alla celebrazione dei suoi due ragazzi.

La nonna di André era l’unica giunta da palazzo Jarjayes ed aveva provveduto a far indossare ad Oscar un abito da lei confezionato: sobrio e lineare, senza ornamenti, ma degno della bellezza della propria “bambina”. Il rito era stato officiato dal parroco conosciuto a quelle riunioni sociali. Ed era appartenuto alla madre di André l’anello di cui lui aveva fatto dono alla sua sposa, gesto che commosse Oscar nel profondo e fece versare a nonna Marie fiumi e fiumi di lacrime.

Tutto questo aveva reso quella giornata splendida, colma di affetto, annaffiata dal poco vino ma dalla sincera giovialità di ciò che rimaneva del loro vecchio reggimento.

L’unica nota triste in quella situazione benaugurale e fausta, era l’assenza del padre di Oscar. Non poteva che essere così. Lei non lo aveva reso partecipe, poiché sapeva non avrebbe potuto accettare la propria figlia in mezzo alla penuria, alla bassezza, ospite presso una coppia di popolani in una specie di tugurio. Anche se il generale stimava l’uomo che lei aveva scelto come marito, Oscar sapeva che suo padre avrebbe provato disappunto, nell’impossibilità di comprendere la sua autentica felicità.

Rosalie e Bernard avevano disposto che la propria casa, in cui già ospitavano la coppia dalla loro fuga nobiliar-militare, per la notte delle nozze fosse riservata unicamente agli sposi.

“Non preoccuparti Oscar, io e Bernard vogliamo così, ci ritiriamo dalla vicina. Vi ho personalmente preparato la vostra camera, riservandovi la migliore accoglienza possibile”.

“Ma Rosalie non possiamo accettare tutto questo”, dissero più o meno all’unisono Oscar e André.

“Ci fa piacere”, aggiunse Bernard, “mi sembra il minimo, siete voi che avete fatto molte rinunce per aiutarci”.

“Bene, adesso è il caso di andare, basta con i convenevoli”, si inserì tra di loro Alain. “Grazie per averci fatto passare questa festa tutti insieme, ci voleva. Come si dice in questi casi, auguri e… figli maschi? No, questo proprio non ve lo posso dire, comandante. Auguri! E che nascano maschi, femmine: basta che vi divertiate”.

“Alain...”.

“Dite pure”, aspettandosi dal suo ex-comandante una sorta di tirata d’orecchi.

“Grazie, ma forse è il caso che mi dia del tu, adesso”.

“Mia moglie ha ragione”, aggiunse sorridendo André, compiaciuto del genuino augurio del loro compagno.

“André, la tua Oscar sa stupirmi molto più di quanto ci riesca io con lei! Ad ogni modo, amico, non c’è bisogno che ti dica quanto sono contento per voi, davvero”.

“Lo so Alain e ti ringrazio di cuore”.

“Dio vi benedica, ragazzi”, li baciò ancora una volta la nonna. “Sei bellissima, bambina mia”.

“Riporto io Madame a palazzo Jarjayes, come ti avevo promesso”, aggiunse ancora Alain, “ma non ho capito, André: è la nonna tua o di Oscar?”.

“È la mia, è la mia.”

“No, perché sembra più importante lei di te”.

“Ah beh, grazie per averlo sottolineato”.

“Che vuoi farci, è così quando si sposa un’aspirante generale, ma non prendertela. E comunque la nonna ha ragione: tua moglie è bellissima. Felice notte!”. E strizzò l’occhio all’amico dando loro la mano, ricevendo, invece, da entrambi un sentito abbraccio.

“Ti lascio la chiave dell’appartamento, ecco André: noi siamo alla casa di fronte”, si raccomandò Bernard mentre Alain, allontanandosi, lo prendeva in giro: “Dubito che verranno a cercarti, sai Chatelet?”, e alzava ancora la mano per salutarli.

Congedati anche dai padroni di casa, André si rivolse alla sua sposa: “Adesso che facciamo: chi è che prende l’altro in braccio?”.

Lei fece un cenno, quasi per sfidarlo. “No, ferma, ferma, stavo solo scherzando. Vieni qui”, e la sollevò varcando la soglia della loro camera, anche se si trattava soltanto di una casa in prestito.

“Dai, mettimi giù”, protestò lei: “non voglio farti male, ti peso in braccio”.

“Pesante tu? Ma se sei una piuma. E poi io ti porterei anche se tu indossassi l’armatura”.

“Mi sembra tu non abbia fatto che questo, finora”, lo guardava come assorta, agganciata al ricordo.

André non rispose, ma aveva quell’espressione che lei ben conosceva. Del tipo: “Non devi spiegarmelo, lo sai che ci sono: e non occorre che te lo dica”.

Entrati nella stanza, i due sposi non poterono non cogliere tutte le attenzioni riservate dalla loro giovane amica. Sul letto erano state stese lenzuola stirate di fresco e disposte sul comò alcune rose bianche per decorare e profumare l’ambiente. Rosalie aveva riunito in camera i pochi candelabri di cui disponevano nel resto dell’appartamento e preparato per la coppia un catino, una piccola pietra di sapone, asciugamani di lino con orlo a giorno; sul tavolo, un piatto per la colazione dell’indomani, con un pezzo di pane e una mela: “Questa deve averla messa per te”, disse Oscar, sbocciando in un sorriso. E vi era accanto un biglietto: “Non è niente rispetto a ciò che voi due avete fatto per me”.

“C’è ancora molta luce”, commentò lei commossa: “Non consumiamo subito tutte le candele che ci hanno messo a disposizione con tanto sacrificio. Rosalie ha fatto di tutto per ospitarci nel modo migliore”.

André annuì apprezzando la parsimonia di Oscar. E aggiunse: “È stata davvero calorosa la partecipazione di tutti. Di meglio non si poteva desiderare. E mia nonna, poi, che tenerezza, come era felice”, esternava emozionato. “Devo trovare il modo di risolvere il problema con tuo padre, e permettere che anche mia nonna possa stare con noi”, rifletteva, mentre rievocava con Oscar gli aneddoti della festa, le tradizioni e i soldati.

Dalle caviglie, intrufolava poi le mani sempre più sotto la gonna di lei e nel percorrere le gambe, ornate di lisce calze bianche, raggiunse le sue giarrettiere: “Non ti avrei mai fatto questo davanti a loro, per poi tirare un indumento indossato da te a quegli altri impazziti. Va bene ballare, ma non esageriamo”.

“Neanche io te lo avrei mai permesso, cosa credi. E poi, perché pensi io desideri toglierle, adesso. Puoi lasciarle: però se vuoi puoi sfilare tutto il resto”, lo sorprese lei con provocante sottigliezza.

“Se voglio?”. Le lanciò un’occhiata invitante, alzando di poco il sopracciglio.

Quella specifica richiesta di lei non teneva più a bada una premura rimandata per tutto il tempo. Fatta solo di desiderio, però, e di nessuna fretta.

“Vieni, ti sfilo il vestito. Sei splendida con questo abito, ma secondo me puoi esserlo di più senza...”. E porse le braccia alla sua sposa, invitandola ad alzarsi dal letto, per dedicarsi a scoprirla dolcemente.

Assecondando il tocco con lunghi sguardi, morbidi come carezze, la spogliò della sottana, indugiando poi le mani sui lombi di lei. “Perché non teniamo anche questo”, suggerì lui, riferendosi al corsetto: “Purché non ti faccia male”. Le allentò i lacci sulla schiena e, abbracciandola dal dorso, inserì le dita sul davanti fino a raggiungere la pelle calda e morbida del seno.

Sussurrava all’orecchio di lei, mentre sfiorava con le labbra, a rilento, il collo sottile: “Sei un incanto con questi capelli raccolti, che ti svelano tutta. Tienili su, per me, ora che soltanto io posso goderti”.

Lei si sentiva tremare, alle parole e ai gesti di suo marito. E a quei respiri, caldi, sulle spalle, trascinanti come i moti del mare.

Si voltò impulsiva verso André per baciarlo, con le mani adagiate sul petto di lui, stretta tutta nel suo forte abbraccio.

“Quando siamo stati insieme nel bosco, la prima volta che abbiamo fatto l’amore, così ti rifugiasti su di me. Era come se col tuo dolce peso fossi già sdraiata sul mio corpo”, le disse sovrapponendo quella felicità al suo stesso ricordo. “Altro che armatura...”.

“André, sdraiati tu su di me”, richiedeva lei volitiva, mentre insieme continuavano a muovere la delizia del reciproco ardore incontrandosi nelle labbra.

Lui la prese di nuovo tra le braccia per distenderla sul letto, facendo così aderire i propri corpi, come pure, unitamente, continuavano a tenersi saldi per gli occhi.

Certo era stato perfetto il loro matrimonio, gioioso, commovente, allegro: ma ora che erano davvero soli con il loro amore, sapevano che quello era il modo di sposarsi che avevano desiderato tutto il giorno.

Col suo uomo riverso su di lei, Oscar accarezzava la cornice dei suoi capelli scuri, rimirando il volto di André sempre rassicurante e gentile:

“Sai, mi sono stupita, come a dispetto della mia incompetenza tutto sia stato sempre così naturale con te. Nel lasciarmi andare, riceverti. Esaudire i nostri desideri”.

“Incompetenza. Che brutta parola”, gli sfuggì una smorfia di disappunto, “e tanto poco ti si addice. Dovresti capire che sei così bella, e buona, e dolce, che sembri nata solo per amare”.

“Io, dolce?”.

“Sì, tu”.

Lei faceva cenno di no: “È che con te mi sento al sicuro. Sei la mia famiglia. E da molto prima di oggi che sono tua moglie”.

“Lo vedi?”.

“Cosa”.

“Non sai solo combattere. Ma anche questo non mi sorprende: sei una donna”.

Lei lo accolse tra le labbra straripante di dolcezza, intensa, e ancora più toccata dal contatto con quelle parole. Amava la sua bocca capace di deporre così tante tenerezze. E lui, dilettato di quei baci, fu pronto a ribadire: “Sì, tu mi sei sempre apparsa talmente buona e bella, che non potevi non essere un invitante invito ad amarti”.

Immergendosi del tutto nell’iride di lui, con sguardo affilato, intenso quanto intenerito, Oscar giungeva ad André con un sussulto al cuore; e lui, esaltato di quell’ebrezza, le sussurrava: “Anche prima di averti questo mi succedeva e mi piaceva da impazzire. Ma ora che sei mia, non sai come è bello occupare i tuoi occhi finalmente felici”.

Lei non smetteva più di stringergli le mani, intrecciate, come le sue gambe, attorno alla schiena del marito, ancora abbigliate per la cerimonia. E diventava con lui soltanto gioia. Che la faceva piangere, tanto le entrava dentro. Che faceva vibrare tutto intorno l’aria. Da quando era al mondo, insieme ad André si era sempre sentita felice, ed ora l’amore finalmente riconsegnava tutto in modo completo.

Fuori, sulle finestre, cominciava a scrosciare anche la pioggia, rendendo quel sentimento tra i due innamorati più stretto, intimo, e riposto, nel piccolo letto bianco avuto in dono. Non occorrevano tante candele, in effetti: molto più potente bruciava l’amore, in quella casa spoglia dai vetri picchiettati, al secondo piano di un sobborgo di Parigi.

 

 

 

 

 

   
 
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