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Autore: Blankbanshee    17/01/2024    0 recensioni
Lóreley Dubois ha vent'anni, una madre vulcanologa sempre a spasso per l'Islanda e la fortuna di frequentare l'università privata più in voga dello stato, la Fær Øer, chicca indiscussa di Reykjavík.
Messa alle strette dai figli di papà, le difficoltà di tutti i giorni all'interno dell'istituto diventano, sin da subito, l'ultimo dei suoi problemi terreni: una premonizione inaspettata la lega a Gaël Elíasson, studente d'élite tanto affascinante quanto misterioso. E cieco. E antipatico, soprattutto.
Lór ha quindi due possibilità: darsi per vinta e ignorare gli inquietanti sussurri del suo ego, oppure... cercare di sopravvivere alla valanga di sfighe che la morte semina sul suo cammino, senza mai battere in ritirata.
La seconda opzione non è delle migliori, in quanto comprende i seguenti (e terrificanti) punti: ammazzare uno spietato serial killer prima che ammazzi lei, svelare un mistero antico quanto il mondo, lavorare in una catena di supermercati nel fine settimana e impedire a un gruppo di potenti di sfruttare un aldilà totalmente incolore.
Potrebbe emigrare in Francia e cambiare identità, certo.
Ma Bodvár l'ha scelta e... non ha mai commesso errore peggiore di questo.
Genere: Angst, Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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02. 
Johanna ha detto che


***

 

 
1 ottobre 2011


Le prime settimane di lezioni scivolarono via come acqua su vetro, frenetiche ed esaltanti sotto ogni punto di vista. I temporali si erano susseguiti uno dopo l'altro e il sole settembrino era già un lontano ricordo. L'autunno era ormai alle porte e il frustrante freddo islandese non avrebbe tardato ad arrivare, era uno spietato dato di fatto.
Lóreley, nel suo piccolo, aveva avuto modi di ambientarsi alla bene in meglio, alternando le lezioni del martedì e del giovedì alle uscite organizzate col suo nuovo gruppo d'amici. Gíta, Björn e Bergljót facevano ormai parte del suo quotidiano, tanto che l'occupare il primo tavolo sulla destra in mensa era diventata una piacevole routine. Eccezion fatta per Edith, tutto sembrava procedere in maniera impeccabile.
La sua era la presenza più fugace e fredda. Di rado la si poteva incontrare per i corridoi, la testa bassa e gli occhi incollati al pavimento, schiva nei modi di fare e sempre più disordinata nel vestire. Ai richiami rispondeva con un timido cenno della mano, dopodiché spariva senza lasciare traccia. Qualcosa la stava divorando dall'interno, era palese, ma Gíta, col suo solito grugno stampato in faccia, non faceva altro che ripetere mia sorella è molto riservata, che male c'è?
Nessuno ci avrebbe mai creduto e a nulla erano serviti gli interrogatori forzati di Ber. Gíta, qualunque cosa stesse accadendo in Edith, non avrebbe vuotato il sacco. Perché questo?
Lór riemerse da quelle riflessioni intanto che con un guizzo calcolato si riportava sul pelo dell'acqua. Una volta che fu in superficie divorò una fetta d'aria e a malincuore osservò il sorvegliante di turno, il signor Nills, che le intimava di uscire con un borbottio. Sconsolata si avviò verso gli spogliatoi della piscina, trascinandosi sotto la prima doccia che le capitò a tiro.
Si concesse una doccia rigenerante, non potendo fare meno di pensare a quanto aveva avuto modo di sapere su Gaël. Poco e niente, in fin dei conti, ma una cosa era certa: alla Fær Øer i pettegolezzi erano all'ordine del giorno e le cattive vicende le si poteva ascoltare dappertutto, anche in biblioteca. E Gaël, per sua sfortuna, reincarnava benissimo entrambe le cose: figlio di papà un tempo spericolato, inguaribile stronzo e manipolatore senza scrupoli... tutto questo fino al fantomatico incidente che lo aveva reso cieco. Nonostante questo, tutto ciò che lo riguardava veniva sempre racchiuso in un bisbiglio.
Curioso e deprimente, aveva pensato Lór. Che fosse a causa dell'importanza che innalzava la famiglia Elíasson all'interno dell'istituto? Probabile. Meno improbabile era invece il fatto che trascorresse la maggior parte del tempo all'interno dell'università in completa solitudine. Poteva quindi vantare tanto potere, questo era più che ovvio, ma di che natura? Perché tutti gli stavano alla larga?
Perché l'ho visto morire?
non ancora
Soffocata dalle sue stesse turbe, Lór chiuse il getto dell'acqua con una manata. Sospirò. Sollevò cauta il piede destro per ispezionare i tagli che l'avevano fatta dannare il giorno della cerimonia. Si trattava ormai di pelle morta, nulla più; delle normalissime ferite sul punto di guarigione: nel giro di un paio di settimane sarebbero sparite del tutto, ma non avrebbe potuto dire lo stesso dell'angosciante storia che si trascinavano dietro.
Dovrei smetterla di...
smettere di fare cosa
Di pensare al fatto che...
non ignorarlo
non devi
non lasciare che
affoghi
NON
Il gocciolare ritmico dell'acqua si confuse con dei passi dal fondo del corridoio. Una camminata veloce che si trasformò in una corsa sugli ultimi metri. Accadde tutto in pochi secondi. Lóreley adocchiò la tracolla sotto una panca non molto distante, già pronta a dare voce ad eventuali visitatori, eppure non fiatò. Il respiro le si bloccò in gola frattanto che Johanna faceva il suo ingresso negli spogliatoi.
Stette immobile, l'acqua che ancora le gocciolava addosso e la carne punzecchiata dalla pelle d'oca. Con lentezza si accostò al muro alle sue spalle, premendosi una mano sulla bocca e facendosi scudo con la tendina ancora umida. Non seppe spiegarsi il perché di un simile gesto, Johanna poteva essere lì per milioni di motivi a lei sconosciuti. Il fatto che non fosse tra gli iscritti di nuoto, tuttavia, la costrinse ad armarsi di cautela e tanto coraggio. Strano a dirsi, ma per un momento ebbe paura. Di cosa, poi?
Delle minacce.
Johanna rimase sull'uscio sino a che un secondo ospite non s'introdusse all'interno dalla finestra socchiusa.
Si trattava di Werner.
"Ce l'hai fatta" sbottò Johanna, andandogli incontro. "Dovevamo vederci alle sei e mezzo, mica adesso. Sono in ritardo, ho un appuntamento con Richard".
"Scusa, scusa. Colpa mia. L'hai portata la USB, sì?"
"Ma ti pare? Sì che ce l'ho".
"Da' qua".
USB?
"Fate voi, io me ne lavo le mani. Sono stanca di stare sempre con la merda al collo".
"Se fai la stronza con tutti è normale che tu ci finisca sempre".
"Ma sentiti...!" Johanna batté un piede a terra per calmare i bollenti spiriti. Da quell'angolazione era impossibile guardarla in viso. "Da quando sei tu quello che fa le paternali? Ti è dispiaciuto per la piccola minaccia che ho fatto alla nuova arrivata?"
Che... troia!
Werner soppresse una risata. "Sì, in parte c'entra anche questo".
"Sai che odio quando cercano di fottere con me. Potrei armarmi d'altro ma mia madre è stata chiara. Da quella questione, intendo. A pensarci ho ancora i brividi".
"Hai paura di essere spodestata?" la incalzò Werner.
Stavolta fu Johanna a ridere. "Da chi, da una come Dubois? Cazzo, è palesemente una sfigata, figlia di una ragazza-madre. Possibile che non si vergogni di questo? E oltretutto se la fa con una manica di perbenisti, per carità. Quella puttana di Bergljót è sulla mia lista da anni... beh, due piccioni con una fava. Arriverà anche per lei il momento di pareggiare i conti".
"Prima o poi ti farai male, ti avverto".
"Ci faremo male, ti correggo. Adesso sei nel torto quanto me".
"Conflitto d'interessi. Sai anche tu quanto io ce l'abbia con quell'altra".
"Allora perché cazzo sei ancora qui? Voglio un inizio anno col botto. Vedremo fino a quando avrà il coraggio di tenermi testa. Quelle come lei non mi sono mai piaciute e lo sai, la sua famiglia soprattutto. A pensarci, potrei quasi maledirli..."
"A te non va mai a genio nulla".
"Mi sembra di sentir parlare mio padre".
Silenzio. Lór si sporse un poco, riuscendo a scorgere il profilo di Werner. Stava fumando e la sua espressione pensierosa non gliela raccontava giusta.
"Comunque vada a finire, non hai tutti i torti sul suo conto. Ci ha fatto dannare tutti quanti..." disse poi, sbuffando un rivolo grigio dalle narici. "Ma non ti azzardare a fare altro, lo dico per il tuo bene".
"Dopo tutto quello che ha combinato mi sembra il minimo. Voglio proprio godermela fino all'ultimo... non vedo l'ora. E sta' tranquillo, guastafeste: non mi farò prendere di nuovo la mano. Credo. Per il momento questo driver basta e avanza".
Werner ridacchiò ancora una volta, tornando accanto alla finestra in compagnia della suddetta. In men che non si dica nella stanza calò il silenzio. Lóreley rimase immobile ancora per qualche secondo, il tempo necessario a riprendere possesso del suo corpo. Se ci fosse stata Gíta al suo posto il suo sesto senso non avrebbe sbagliato. E qualcosa dal profondo del cuore la incoraggiò a temere il peggio. 

 

***

 

Lóreley marcò col pennarello rosso l'ultimo annuncio disponibile, quello a piè di pagina. Sottolineò –per la quinta volta– l'intestazione contenente il numero di telefono e l'indirizzo di un supermercato nel cuore della capitale, assente e disinteressata fino al midollo. Cercare un lavoretto part-time non le avrebbe di certo fatto male, su questo si era ormai rassegnata, ma le sue discutibili finanze erano malauguratamente divenute l'ultimo dei suoi problemi terreni: l'incontro di Johanna e Werner le aveva lasciato l'amaro in bocca e una strana inquietudine addosso. Molto probabilmente aveva avuto modo di assistere agli albori di una bravata che, come ribadito dalla stronza bionda più detestata in Islanda, avrebbe assicurato al club V un'ancor più discutibile notorietà e al malcapitato di turno un inizio anno col botto. E che botto.
"Sai che odio quando cercano di fottere con me".
"Hai paura di essere spodestata?"
"Da chi, da una come Dubois? Cazzo, è palesemente una sfigata, figlia di una ragazza-madre. Possibile che non si vergogni di questo?"
Lór serrò le dita attorno al pennarello.
Ho seriamente paura di Johanna? Che cazzo, no!
Un altro sgarro rosso e la punta si crepò, squittendo, e il foglio di giornale si lacerò inevitabilmente in due pezzi. Lóreley sollevò gli occhi, ora visibilmente a disagio, incrociando gli sguardi perplessi dei tre che l'accerchiavano.
Ber osservò il tavolo macchiato. "Sì, ma stai calma, eh" borbottò con la bocca piena. "Cos'hai? Da quando sei arrivata non hai detto una parola".
"Nulla... nulla. Il nuoto mi stanca parecchio" Lóreley corse ai ripari, accartocciando i rimasugli di carta e ficcandoli nella tracolla ai suoi piedi. "Fosse solo il nuoto".
"Che intendi?"
"Umh... come te lo spiego, Gíta..."
"Hai una cotta per qualcuno?" trillò Björn, esaltato, slittando sulla panca e avvicinandosi più del dovuto, quel tanto da riuscire ad avvolgerla in un abbraccio affettuoso. L'effetto scatenato, tuttavia, non fu quello sperato dal ragazzo: adesso Lór gli premeva una mano sulla faccia, nel vano tentativo di ridare un netto contorno ai suoi spazi interpersonali.
"Cos-no, no! Ma che ti salta in mente! Sono a corto di soldi, mica di a-..."
"Attenzioni?" s'intromise l'altra, inforchettando l'ultima frittella alla cannella.
"... Esatto, Ber, attenzioni. Mia madre me ne ha date pure fin troppe per i miei gusti".
"Quattro tette e un cervello, ecco la conferma".
Lóreley sospirò. "Björn, spiccicati. Hai la barba che punge".
"Dai, parla! Li conosco tutti qui dentro, uno per uno. Oppure... non ti andrebbe di uscire con me? Sono più talentuoso di Werner, che tu ci creda o no" squittì il biondo, coprendosi la bocca con fare colpevole.
"Werner?"
"Sì, Gíta ci ha raccontato di come ha cercato di rimorchiati" Björn tornò composto, visibilmente disgustato. Con gli occhi, poi, la incitò a guardarsi le spalle. "Certo che più passano gli anni e più cade in basso, quello là. Al liceo aveva più inventiva, le sue tecniche di rimorchio erano infallibili. Crescendo ha fatto la fine del coglione..."
Lóreley non poté fare a meno di seguire quell'avvertimento velato, cogliendo il pregiudicato nominato da Björn con le mani nel sacco: non appena si fu voltata, Werner accentuò un sorriso sghembo nell'incrociare il suo sguardo. Noncurante delle gomitate che Richard gli stava piazzando sullo sterno per costringerlo a prestargli ascolto, le rivolse infine un saluto timido. Un gesto pregno di smielata innocenza, uno di quelli che avrebbe fatto arrossire chiunque... ma non Lóreley Dubois. Quella combo di attenzioni avrebbe potuto colpire e affondare una quattordicenne in piena tempesta ormonale, protagonista di una telenovelas spagnola con più complessi d'autostima che altro, non lei. Il sano terrorismo psicologico che le aveva imposto sua madre sull'argomento uomini –Marcel– l'aveva nauseata a tal punto da rincitrullirla. E Werner non sarebbe di certo stato l'eccezione che l'avrebbe salvata dalle sue stesse paranoie matriarcali.
Lór rise istericamente tra sé e sé, tornando ritta. "Mi dite da quanto?"
"Da venti minuti tondi tondi" masticò Bergljót con una punta d'ironia.
"Uccidetemi".
"Prima sputa il rospo" intervenne Gíta, legandosi le braccia al petto. "C'hai parlato?"
"Con Werner?"
"Eh, con chi sennò".
"Ahm... non proprio".
Lór incollò gli occhi sulla linea rossa che imbrattava il tavolo. Liquidarli con una bugia non le sembrò corretto e, per un momento, il timore di dire loro quel che era accaduto negli spogliatoi le smorzò il fiato. Si strinse quindi nelle spalle, invogliandoli a fare altrettanto.
"Ho fatto tardi perché il signor Nills mi concede una mezz'ora extra il giovedì a patto che gli procuri degli snack all'hardfiskur(1)".
"Che schifo" trillarono all'unisono i tre. "Accorcia, dai!" la incitò Ber, sporgendosi in avanti.
"Mentre facevo la doccia, Werner e Johanna sono accidentalmente finiti negli spogliatoi femminili. Ora: entrambi non sono tra gli iscritti di nuoto e Werner è entrato dalla finestra, il che mi ha fatto intuire che avrei fatto meglio a non essere lì. Johanna gli ha poi dato una chiavetta USB. Non ho ben capito cosa ci sia all'interno, ma dai loro commenti ho potuto dedurre che... debbano fare il culo a qualcuno, se capite cosa intendo dire".
Björn aggrottò la fronte. "Ti hanno vista?"
"No... no. Mi sono nascosta".
Gíta non commentò quanto sentito. Semplicemente rimase in silenzio, con la testa abbandonata sul braccio ripiegato e le dita impegnate a districare una ciocca di capelli rossi. Sembrava assente, o quanto meno pensierosa.
Bergljót, invece, prese a massaggiarsi il mento con due dita prima di cominciare a parlare. "Vorrei dire che sono sorpresa ma, ahimé, quasi me l'aspettavo. Chissà chi avranno preso di mira, stavolta".
"È già successo?"
"Già. Certe cafonate se le portano dietro dal liceo. Inutile dire che c'eravamo un po' tutti anche lì" s'intromise Björn. "Io passai la maturità con Johanna e Werner ha la nostra età, solo che ha cominciato a frequentare le lezioni in un'università quest'anno".
"Ma non c'era tra i nuovi arrivati..."
"Ha partecipato alla cerimonia di ammissione di tre anni fa, poi è sparito dalla circolazione fino ad ora".
"Che intendi dire?" sussurrò Lór, voltandosi e cercando il complice di Johanna tra la folla: per sua sfortuna –o fortuna?– aveva già lasciato la mensa.
"Diciamo che Werner era nell'auto di Gaël Elíasson la notte in cui ci fu quel fantomatico incidente. Da quel che so la sua riabilitazione è stata molto dura" continuò Ber, mentre imbrattava il piatto che aveva sotto il naso coi rimasugli di topping al cioccolato. "L'Islanda è un buco di culo ai confini del mondo, le voci corrono, la gente si annoia, e tutt'oggi ancora ci si spettegola su: diavolo, stiamo parlando di due pilastri di quel club di snob del cazzo, adesso divisi. Perché, diciamocelo: Gaël, da quando ha perso la vista in circostanze non del tutto chiare a noi comuni mortali, viene scansato da tutti manco avesse contratto la peste, anche da Werner. Sono stati migliori amici per anni, eppure continuano ad evitarsi, è palese, e lo si nota con una facilità disarmante. E poi... beh, non è mai venuto a galla cosa li ha spinti fuori strada col bel Porsche di papà Elías".
"Cos'hanno avuto in comune quei due? Questioni famigliari?"
"Uh-uh. Come ti ho già detto il padre di Gaël non è propriamente un tipo affidabile e sua madre, manco a farlo apposta, è una gentile signora di professione avvocatessa... che tanto ama difenderlo in tribunale" ironizzò Ber. "Da quel che so ha portato avanti molte cause della famiglia di Werner. I suoi genitori sono i proprietari della catena di Samkaup".
"... I supermercati? Come il cazzo di supermercato dell'annuncio che ho ben pensato di sottolineare fino a stracciare il giornale?"
"E... sì".
"Al diavolo!" sbottò Lór, calciando istintivamente il borsone. "Perché tutti qui dentro possiedono una fetta dell'economia islandese? Perché?!"
"Guarda il lato positivo, biondina: semmai dovessi cominciare a lavorarci, potresti essere graziata dal figlio del proprietario in persona, senza eccezioni! Tanto di guadagnato... se te lo sc-"
"Ber!"
Bergljót alzò le mani in segno di resa e con aria saccente continuò: "La mia era solo un'idea, non fraintendermi. Potrei definirla personale visione della meritocrazia. Faresti tanta strada in poco tempo".
"Sei un'idiota che non ha ben chiaro il concetto di meritocrazia in ambito lavorativo" bofonchiò Gíta. "E pulisciti la bocca, maiale".
"E sono a corto di soldi, non di attenzioni" rettificò l'imputata, oramai sull'orlo di una crisi esistenziale.
"Sì, sì, quel che vi pare... ma tornando a noi: quei due non sono più in buoni rapporti da un pezzo. Il mistero s'infittisce e come avrai potuto intuire nemmeno io so farmi i cazzi miei. Mi annoio parecchio".
Lóreley si chiuse in un religioso silenzio frattanto che il chiasso attorno a lei non accennava a diminuire. Cercò di fare mente locale e richiamò a sé la visione che aveva come capro espiatorio Gaël Elíasson. Quel presagio di morte avuto il giorno della cerimonia non combaciava con l'incidente descritto da Ber, il che escludeva a priori qualsiasi collegamento passato con il suddetto e ramificava davanti a lei milioni di miliardi di possibilità che avrebbero potuto accomunarli in un futuro imprecisato. Il fulcro principale dell'intera faccenda rimaneva quindi solo e soltanto uno: la mirabolante cecità di Gaël.
Pensa, pensa...
divinazione gli
occhi
della
divinazione
Divinazione?
"Terra chiama Lóreley!"
"Eh?"
"Ti sei imbambolata. Di nuovo. Stavi per caso rivalutando la mia visione meritocratica del lavoro?"
L'altra sfarfallò le ciglia un paio di volte per tornare in sé. "Oh, no. Ecco, mi sono appena ricordata di dover fare una ricerca in biblioteca. Vossignoria, vogliate scusarmi" civettò, rimettendosi in piedi con la tracolla stretta in pugno.
Lóreley si dileguò prima ancora di sentire qualsiasi obiezione a riguardo. A grandi falcate raggiunse il corridoio principale, mescolandosi alla vivace folla che lo riempiva. E proprio lì, dove credeva di essere al sicuro, qualcuno la puntò da lontano, riconoscendo il borsone di nuoto minuziosamente descritto da Johanna.
Richard digitò un messaggio di conferma prima di annullarsi tra la marmaglia di universitari, così come fatto da Lóreley.

 

***


Lóreley si addentrò nelle viscere della biblioteca alla ricerca del reparto folkloristico, maledicendo la borsa di studio che le aveva dato modo di entrare alla Fær Øer. Armata di tanta pazienza e con l'incazzatura ormai alle stelle, passò in rassegna ogni dannato scaffale, acciuffando qualsiasi libro riuscisse a suscitarle dell'interesse: manuali sulle teorie ancestrali, guide sulle ascese dello spirito e raccolte rimpinzate di significati esoterici. Più ne afferrava, più sentiva gravare sulle spalle il peso di una nuova consapevolezza esistenziale –e di un imminente crollo emotivo–.
Aveva finalmente accantonato la razionalità che l'aveva tenuta legata a Selfoss fino al giorno della cerimonia, rassegnatasi al fatto di dover agire, come suggerito da quell'irritante vocina interiore. In fin dei conti tentare di capire non le sarebbe costato nulla... se non un'ulteriore dose di spaventi e una valanga di vestiti smacchiati con l'acqua ossigenata.
Quando ebbe finito di incastrarsi libri in ogni dove, abbandonò la ricerca e a fatica raggiunse l'area studio. Inghiottì un'imprecazione nell'appurare che avrebbe fatto meglio a tornarsene in camera... se solo fosse riuscita ad arrivarci.
Sono le nove, ma è mai possibile che siano tutti qui a studiare?
Soppresse uno sbuffo intanto che ricominciava la sua penosa marcia tra le scrivanie, proseguendo sino alla sezione fornita solo di divanetti, tutti disposti in circolo sul fondo della biblioteca. Uno di questi, il più isolato, era occupato da un Eastpak.
Dai, ma siamo seri?
Appartenente a Gaël Elíasson.
Oh.
Lór divorò una fetta d'aria per non darla vinta all'imbarazzo e la pazienza preservata fino a quel momento cedette il posto al coraggio. Traballante si avvicinò, mentre calibrava con attenzione ogni movimento per non dare nell'occhio. A pochi passi dal punto di arrivo, tuttavia, i due libri stretti tra braccio e fianco sgusciarono in basso, finendo a terra. Inutile dire che a cascare furono proprio i più pesanti.
"Scusate..." bisbigliò, mentre un terzo seguiva la sorte dei suoi compagni.
Ormai allo stremo, Lóreley fece rimbalzare gli occhi dal divanetto al viso di Gaël, coperto per metà da una matassa di capelli disordinati e neri. Aveva un aspetto angelico e curioso, attenuato da zigomi spigolosi. Nemmeno la posizione assunta durante la lettura gli stava rendendo giustizia: doveva essere molto alto.
"Scusa... posso sedermi?"
Nessuna risposta.
"Ehy?" insistette Lór.
Finalmente lo vide sollevare la testa. Aveva gli occhi socchiusi. "Dici a me?"
"... Sì".
Una risatina, scandita da una ragazza coi capelli ricci, convinse Gaël ad agire. Con uno sbuffo afferrò lo zaino e lo lasciò cadere ai suoi piedi.
"Prego" scandì poco dopo.
Una volta che si fu accomodata, Lóreley recuperò i tre tomi randagi e si strinse nella giacca della tuta, indecisa sul da farsi. Averlo così vicino non avrebbe giovato alla sua concentrazione né alle sue ricerche. Si sforzò quindi di annullare qualsiasi pensiero ricollegabile alla visione e distrattamente cominciò la sua lettura de L'Arte della Divinazione. Tra un paragrafo e l'altro, però, lo sguardo continuava a caderle sul libro di Gaël. Era scritto in braille.
Chissà che legge.
"Perché respiri così forte?"
Lóreley aggrottò la fronte, presa alla sprovvista da una vampata di calore. "Eh?"
"Senza offesa, ma il tuo respiro è davvero irritante" le sussurrò con aria di sufficienza, voltando pagina.
Cristo santo.
difficile come al solito
"Ho il setto nasale deviato, non lo faccio mica di proposito".
"Il senza offesa l'ho incluso proprio per evitare che tu mi dessi spiegazioni a riguardo. Lo avevo capito prima ancora che tu me lo dicessi".
"E allora perché dirmelo..."
Lui scrollò le spalle. "I commenti sinceri ti infastidiscono?"
"I commenti sinceri non aggiusteranno il mio naso".
"Ma una rinoplastica sì".
Lór volse gli occhi al soffitto pur di non imprecare. "Hai la più pallid-..."
Uno shht strozzato la costrinse a tacere. La stessa ragazza riccia ora li guardava con fare accusatorio.
"Dicevi?" la incitò invece Gaël, voltandosi appena.
"Sai quanto costa una rinoplastica? Te lo dico io: troppo" grugnì lei in un bisbiglio.
"Se sei una studentessa della Fær Øer i soldi non dovrebbero essere un problema".
Le parole le morirono in gola. Quella constatazione fece più male della caduta per le scale di tanti anni prima, incidente che le aveva causato una pessima respirazione, una epistassi cronica e... la possibilità di poter assodare di persona quanto fosse irritante Gaël. Tre indiscutibili certezze che poco c'entravano con le sue doti ultraterrene.
"Sbaglio?"
"Nel mio caso sì".
"Quindi sei entrata con una borsa di studio".
"E allora?"
"Ho capito chi sei".
Ma davvero?
"Stavamo parlando di rinoplastiche, non di come sono riuscita ad entrare quest-..."
"Quest'anno, giusto?"
"Ques-" oh, avanti, ma è un interrogatorio o cosa?
"Tre ragazzi e una ragazza. Lóreley Dubois. Ho indovinato?"
"Come...?"
"Sono cieco, mica sordo. La reggente ha praticamente strillato il tuo nome alla cerimonia d'entrata" le spiegò. "A Lóreley Anaïssdóttir-Dubois, per la sua eccelsa dote e sensibilità nel campo artistico e umanistico... e bla bla bla".
"Dio, non ricordarmelo..."
"Hai un bel bersaglio dietro la schiena, stai attenta. A molti non piacciono quelle come te".
"Strano a dirsi, ci ho già fatto l'abitudine".
"Non dovresti chiamarla abitudine. Le abitudini sono cose belle, come l'alcolismo".
"Rassegnata suona meglio?"
"Decisamente".
"Allora potrei abituarmi all'alcolismo per non pensarci".
"Sei una sportiva e le sportive non bevono. Pratichi nuoto, per l'esattezza".
"Ahm..."
"Puzzi di cloro".
"Puzzo di cosa, scusa?"
"Di cloro. Dovresti lavarti meglio" Gaël si morse il labbro inferiore pur di non ridere. "Io non vedo e okay, ma nemmeno tu scherzi con l'udito".
Se Johanna e Werner fossero andati a fare in culo prima, avrei potuto provvedere col doppio risciacquo!
"Rinoplastica, controllo dell'udito... dovrò sborsare tanti soldi per le visite".
"Che non hai. Senza offesa, eh".
"Tu dovresti essere meno..."
"Stronzo? Probabile, me lo hanno detto in molti".
"Avrei detto sincero, ma..."
"Lo prenderò come un complimento. Le persone sincere cominciano a scarseggiare... quasi mi rallegra rientrare in una categoria simile".
Lór fece per masticare l'ennesima risposta calcolata, eppure preferì tacere. Fu più che ovvio pensare che il cinismo di Gaël, accuratamente mescolato alla sua impulsività, non li avrebbe condotti lontano, se non a un vicolo cieco fatto di mezze risposte e costanti prese in giro. Allora tornò composta sul divanetto, il tessuto sintetico che squittiva leggermente sotto il suo corpo, e con le mani abbandonate sul libro si apprestò a darsi un contegno. Continuare a stare al suo indovina chi improvvisato sarebbe stata una perdita di tempo bella e buona.
Tuttavia qualcosa la spinse ad abbassare la guardia e, per un momento, sperò di sentire la sua voce ancora una volta. Si trattava di un fatto, un desiderio quasi, un senso di ammirazione anomalo che riuscì apparentemente a calmare la sua permalosità: nonostante il forte pregiudizio sprigionato da Gaël fosse un'arma a doppio taglio, le aveva comunque rivolto la parola e in poco meno di cinque minuti era riuscito a capire di lei quel tanto senza aver bisogno di guardarla in viso. La solitudine che gli vorticava attorno sembrava pesargli molto, come il nero perenne calato sui suoi occhi, o almeno così le sembrò di percepire. Che fossero quelle le motivazioni che lo avrebbero spinto a compiere quel gesto disperato?
Non disperato.
premeditato
Uno sbuffo anticipò quanto stava per chiedergli. "Perché proprio la sincerità?"
"Perché no? Nella mia condizione credo sia indispensabile, ma ciò non toglie che non lo sia anche per gli altri. Intendo dire: facendoti notare che il tuo respiro non è propriamente delicato e sano, ti ho invogliata a prendere in considerazione una rinoplastica. Non era un insulto, ti ho semplicemente dato un consiglio. Sta a te valutare se seguirlo o meno... soldi permettendo. Anche se un'operazione simile dovrebbe passarla anche la mutua".
"Sarò onesta: mi è parso di tutto tranne che un consiglio".
"Perché sono stato diretto e poco delicato? Siamo un pochino permalose, a quanto sento".
"Mentirei se ti dicessi che non è stato propriamente carino il modo in cui me l'hai detto".
"Questo è un problema che si pongono in molti. La sincerità può essere spiegata e recepita in milioni di modi, diversi gli uni dagli altri, sta a noi decidere quale adoperare e ricevere. Io preferisco accostarla alla schiettezza..." le disse ancora, rialzandosi e recuperando l'Eastpak a tentoni. "E a nessuno è mai stato bene" mormorò sulla fine.
"Umh?"
"Nulla, nulla".
Lóreley storse il muso. "Grazie per la dritta, ma sappi che non ti ringrazierò per il resto".
"Figurati, non ce n'è bisogno. Sto andando via proprio perché leggere con una come te vicino è un'impresa titanica. Buona vita e buon tutto".
Lóreley si morse forte la lingua mentre lo guardava andare via. La spettatrice di quella scenata bisbigliata, in compenso, non riuscì più a contenersi, imbarazzandola ancor di più con una risata fatta di gusto.
Che figlio di puttana!



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