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Autore: Giglian    19/01/2024    0 recensioni
Nell'oscurità di una guerra incombente, le sfrenate e spensierate esistenze dei Malandrini si sfilacciano negli intrighi di una Hogwarts sempre più ricca di pericoli ed insidie. In un labirinto di incertezze, nell'ultimo anno l'amore sembra essere l'unico filo che conduce alla salvezza. Ma, per chi giura di non avere buone intenzioni, nulla sa essere semplice.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Nuovo personaggio | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le avventure dei Malandrini.'
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Eh niente. Per farmi perdonare di averci messo la bellezza di quattro mesi per aggiornare, vi regalo un altro capitolo alla velocità della luce! Ragazzi, l’ho scritto in una giornata, merito almeno un applauso!
Anche se si parla esclusivamente di Tonks e Remus in questi capitoli, spero che apprezzerete lo stesso. Cercherò di metterci un po’ dei nostri James e Lily nei prossimi, promesso!
Piccola nota prima di iniziare: c’è un pezzo che è tratto da Midnight Sun, vediamo chi indovina quale!
Ed ora, godiamoci la nostra ennesima Fanart. :) La notte di Capodanno di James e Lily!
Sarah


























“Eh…?”
“Ma scherziamo…?”
“E’ uno scherzo, vero? Deve essere così…”
La stanza brulicava di mormorii di sgomento e di un tremendo odore di sudore maschile deliziosamente umano. Era diversa dal resto della casa, semplice quasi, un misto di architettura italiana composta da grandi colonne di marmo rosso e art decò, con il pavimento in travertino e archi rotondi che davano su asettici muri bianchi e padiglioni con vasi di terracotta.
Non c’era altro. Una lunga stanza dove trenta ragazzi svettavano in piedi creando file ordinate, vestiti tutti alla stessa maniera: completo scuro, camicie lise e cravatte annodate alla perfezione.
Sembravano tante statuine… e anche sulle loro facce c’era la stessa identica espressione. Pallore, incredulità, un crescente senso di agitazione e panico che si rifaceva sugli ormoni e che pizzicava dolorosamente il naso ipersensibile di Remus, in mezzo a loro.
Davanti a tutti loro… l’espressione del Marauder, una specie di permafrost, riuscì comunque a guastarsi leggermente.
Seduta su una poltroncina, con il piccolo polso avvolto da nastri scintillanti, una bambina.
Biondissima ed esile, lineamenti fini e tipici dei Malfoy. Cercava con tutte le sue forze di non guardare negli occhi nessuno di loro e ogni tanto osava muovere appena un piedino, un piccolo tic nervoso.
Era relegata lì con loro per quella che era a tutti gli effetti un’evidente punizione. Un domestico umano dall’aria gelida le stava accanto, impeccabile, immobile come una statua.
Non aveva dubbi che avrebbe ucciso senza problemi chiunque di loro avesse anche solo osato provare a torcerle un capello.
C’era una sorta di inquietante ironia in quello, doveva ammetterlo.
L’incantesimo con cui Porfiria Malfoy aveva incatenato la bambina era lo stesso che era stato usato ad Abbotts Grange.
Non si preoccupavano nemmeno di nasconderlo.
La piccola non era priva di sensi come lo era Sirius - o per meglio dire come aveva fatto finta di essere Tonks, trasformata in Sirius – era vigile e quieta e composta come una bambolina di porcellana ma era comunque evidente che quei nastri attorno ai polsi le causassero un enorme disagio.
Forse non erano potenti come quelli usati da Lydia Toulouse, la vampira francese, ma l’immagine aveva in sé qualcosa di nauseante, come se quei nastri fossero in qualche modo vivi.
Fuori dalla stanza, una cupola del tempo. Ne scorgeva il profilo attraverso la porta.
Tale e quale ad allora.
All’inizio i suoi compagni erano stati quasi tutti entusiasti, divertiti, chiacchieroni.
Ma dopo il discorso di Porfiria Malfoy il vociare allegro si era tramutato lentamente in silenzio ed infine, in un mormorio lamentoso.
Al di fuori di lì sarebbero passati soltanto venti minuti. Ma dentro quella stanza, sarebbero trascorse ventiquattro ore intere.
Ventiquattro ore dove loro, i domestici, avrebbero dovuto semplicemente...stare in piedi. Senza muoversi. Senza sudare. Senza lamentarsi.
Faceva d’altronde parte dell’addestramento di base, aveva ricordato loro con un sorriso di plastica insopportabile la padrona di casa, gli occhi slavati che scintillavano di una vena di cattiveria.
Le signorine dell’Alta Nobiltà Magica avevano bisogno solo dell’eccellenza. Anche se era per finta. Anche se era per un paio di giorni.
Non avrebbero certo tollerato incompetenza o disordine, lì dentro. Ne valeva del buon gusto della casa o come cavolo l’aveva chiamata.
E della sicurezza e del benestare delle sue adorabili bambine, che venivano prima di tutto.
Stronzate!
Remus cercò di non sospirare, allentando appena i muscoli delle spalle, immobile come uno stocco e con gli occhi celesti dritti davanti a sé.
Prima non ci aveva fatto caso, ma era stato chiaro fin da subito una volta messo piede lì dentro per iniziare l’addestramento per domestici.
Aveva riconosciuto qualche volto, qualche compagno di classe, e allungato le orecchie verso vaghi chiacchiericci che avevano confermato ciò che sospettava: lì dentro non c’era un solo Purosangue.
No, certo che no. I domestici che erano stati accettati erano tutti Sanguesporco, o con almeno qualche Magonò in famiglia, anche alla lontana.
Non li conosceva tutti ma poteva metterci la mano sul fuoco: i Malfoy avevano ideato quel bel giochino solo allo scopo di umiliarli…
Il suo sguardo guizzò brevemente verso la sua destra.
Lestrange stava a due file da lui. Le mani dietro la schiena, l’aria rilassata.
Devono sottoporci a qualche piccola tortura mentale per loro diletto. Quelli fanno così…”
Quello che gli faceva strano è che ci fosse lì anche lui. Il futuro marito di Bellatrix non contava abbastanza?
Evidentemente no. A giudicare dalle sue parole e dal modo in cui parlava di “loro”, era chiaro che quel tizio doveva considerarsi un membro a parte della famiglia.
Il trattamento che gli stavano riservando ne era la conferma, d’altronde…
Non sapeva molto dei Lestrange, se non che fosse una famiglia di maghi del tutto rispettabile, potente, una delle famiglie gregarie dei Black, gli alfieri del loro piccolo esercito elitario. Ma a quanto pareva, Rodolphus non aveva sangue magico puro nelle vene.
Interessante.
Come se avesse percepito il suo sguardo, l’uomo fece guizzare lo sguardo su di lui. Veloce come un colibrì.
Remus distolse gli occhi, avvertendo un brivido.
C’era qualcosa di profondamente sbagliato in quel tizio. Lo percepiva sulla pelle.
Doveva solo stargli lontano, rifletté, serrando le mandibole. E doveva tenergli lontana Tonks.
Due giorni. Solo due giorni…
Un ragazzo alla sua sinistra gemette appena tra i denti. Gli vedeva le gambe tremare.
Erano passate solo sei ore ma i primi segni di cedimento iniziavano ad emergere.
Remus resisteva, imperturbabile, mentre gli altri cedevano sotto il peso della fatica. Vedeva i muscoli degli altri tremare, il sudore colare lungo la schiena.
Anche lui sentiva, nonostante tutto, una sorta di indolenzimento. Nulla di eccessivo, ma era nella fase della Luna in cui il suo corpo iniziava a sentirsi debole, affaticato.
Fu per un istante grato di sentire anche lui il peso di quella tortura: in qualche modo, lo faceva sentire più simile agli altri. Più unito a loro.
Umano.
Ciò che lo disturbava di più era la bambina. Era evidente che fosse la principessina di casa. Aveva accettato il suo castigo senza fiatare, ma vederla seduta su quella poltrona troppo grande per lei, così immobile da sembrare finta, per tutte quelle ore e con quegli orrendi nastri oscuri avviluppatesi addosso che lampeggiavano sulle sue vene… gli dava come un senso di vertigine.
Quale accidenti di madre pensava a una punizione simile per sua figlia?! Che razza di gente era, quella?!
La sola idea che Tonks fosse in mezzo mostri simili… !
Di nuovo, un lampo di rabbia gli contorse i lineamenti.
Una frazione di secondo, per poi tornare a mostrare immobilità.
Ma non sfuggì a Lestrange di certo.
Sentiva i suoi occhi sulla schiena… per tutto il tempo. Un vago sorrisetto, come di complicità, come se loro due avessero qualcosa in comune o che li legasse in qualche modo.
Ecco, quello gli dava ancora più la nausea.
Decise di concentrarsi sui suoi pensieri, su ciò che osservava attorno a lui.
Innanzitutto, l’incantesimo che dilatava il tempo. Magia oscura, magia che di solito non si mostra. Non così apertamente.
Una dimostrazione di potere? Oppure pensavano che dei ragazzini mezzosangue non contassero abbastanza da mantenere davanti a loro le proprie immacolate apparenze?
No, non era quello… cioè, era certo che per i Malfoy tutti loro non fossero altro che feccia ed erano stati deliziosamente abili nel farlo capire fin da subito.
Ma perché non avevano usato semplicemente una Giratempo…? C’erano sicuramente modi più semplici per creare un’illusione del tempo, con quelle.
Ed era certo che, per quanto rare e introvabili fossero quelle cose, di certo i Malfoy ne possedevano una o due.
Tutte le famiglie più potenti ne avevano. Non che potessero fare molti danni, visto che erano tutte registrate e tenute costantemente sotto controllo dal Ministero, ma di certo avrebbero potuto usarle per trucchetti come quelli.
Dal punto di vista del prestigio, sarebbe stato certamente più d’effetto.
Ed invece, avevano scelto di utilizzare la loro amabile pupilla come canalizzatore e sbatterli sotto una cupola decisamente familiare che avrebbe creato di certo numerosi sospetti.
Si credevano davvero così intoccabili oppure non avevano altra scelta…?
Porfiria Malfoy aveva detto qualcosa, quando l’aveva attivato. Lì per lì non ci aveva prestato attenzione, ma ora che ricordava… diceva che le Giratempo fossero...com’è che aveva detto?
Quegli affari non funzionano più molto bene da qualche tempo!”
Sì, era così che aveva detto. Poco più di un sussurro tra il marasma delle altre voci, ma ora gli era tornato in mente con la forza di un missile.
Difettose.
Il ché era...beh, il ché era impossibile. Le Giratempo non potevano rompersi o smettere di funzionare! Non era così che funzionava!
Erano oggetti immortali, infiniti quanto il tempo stesso. Era come dire che le giornate andavano al contrario, che il mattino era sera e la sera era il mattino.
Aveva forse capito male…?
Il primo a cedere fu un Tassorosso, dopo otto ore. Cadde carponi con un lamento, reggendosi le stomaco, gli addominali in fiamme, i polpacci pieni di crampi.
Non era solo lo stare in piedi, quello potevano anche reggerlo. Era… l’immobilità.
Si richiedeva una compostezza che semplicemente non era umana. Nessun tremore, nessun fremito. Dovevano essere non più carne, ma marmo.
Passavano ogni tanto altri domestici, dando avvertimenti con voce crudele, pizzicando, ammonendo e colpendo con un sottile bastone chi ammosciava troppo le spalle, o semplicemente si grattava il naso.
Dopo dodici ore, le persone che cadevano a terra si erano fatte numerose. Non avevano mangiato nulla per tutta la giornata. Ci fu qualcuno che svenne, anche. Anche la bambina sembrava pallida, sfiancata da quel castigo così crudele.
Remus continuò a fissare dritto davanti a sé. Le ondate di nausea l’avevano raggiunto dopo qualche ora ma a quelle ci era abituato… anche se il tempismo non aiutava di certo!
Avrebbe voluto essere nel pieno delle sue forze, accidenti! Per una volta, desiderava la sua potenza da lupo mannaro! Si sentiva fin troppo debole per riuscire a proteggere Tonks… una lieve patina di sudore iniziò a imperargli la fronte dopo la quattordicesima ora.
Nulla di importante. Poteva farcela. Avrebbe messo sotto chiave la sua malattia, relegata in un angolino fino alla fine di quelle due giornate infernali.
Resisti.” sibilò a sé stesso dentro la sua mente. “Resisti…”
Non avrebbe mai permesso che lo sostituissero. Sarebbe stato il domestico di Tonks.
Avrebbe accettato umiliazioni, torture e perfino guinzagli al collo, se necessario.
Ma sarebbe stato al suo fianco fino alla fine. Niente l’avrebbe separato da lei.
E nulla le avrebbe fatto del male…












“Ahia!”
Ninfadora Tonks tirò una poderosa testata contro lo spigolo di una finestra quando, nel tentativo di salvare un vaso dall’aria parecchio costosa che aveva accidentalmente urtato mentre era impegnata a inciampare nei suoi stessi piedi, si era lanciata a pesce verso il vuoto.
“Accidentaccio!” sbraitò, frustrata, al nulla, mentre finiva gambe all’aria con tra le braccia la giara di porcellana ben stretta al seno come se fosse un neonato.
Ok, fare cose semplici come camminare senza suicidarsi per lei era sempre stato più difficile che per le altre persone, forse merito del prolungamento della sua stasi da metaformagus che aveva irrimediabilmente compromesso i suoi percettori dell’equilibrio (grazie tante, famiglia Black!), ma farlo in uno stato di totale agitazione e in una casa che sembrava un gigantesco labirinto sfiorava l’apice dell’impossibile!
Dopo aver corso e inciampato e distrutto cose per un’ora, si era ritrovata in un antro con l’amara certezza di aver a) finito i cerotti da spiaccicarsi in fronte e b) essersi inesorabilmente persa!
Ed ora eccola lì come un accidenti di agnellino smarrito mentre tutto ciò che voleva fare era correre a salvare Remus da qualunque cosa gli stessero facendo!
Gli sfuggì un tremendo versaccio isterico che pareva tanto un urlo da scimmia fino a quando un piccolo elfo domestico non le apparve accanto con un “pop” e le porse servile e docile un fazzolettino ricolmo di ghiaccio per tamponarsi la faccia.
“… MA PORCA DI QUELLA PUTT…! Oh… ah… Grazie…” si arrese, zittendosi e schiaffandoselo in fronte con aria afflitta. “Senti, non è che potresti…”
Ma quello era già sparito.
Oh, cavolo!
Era la peggior salvatrice della storia!
Il verso che le sfuggì di bocca ora assomigliava più a un lamento da animaletto ferito, patetico a dire poco, ma era esausta e demotivata!
E di usare la bacchetta nemmeno a parlarne visto che se con il suo corpo faceva danni, con la sua magia ne faceva il triplo!
Aveva pensato di dire un qualcosa come “Accio Remus” ma probabilmente l’avrebbe fatto esplodere o chissà ché!
Era un impiastro con gli incantesimi. Era un impiastro con tutto, a dire il vero!
Rimase quindi seduta in quel corridoio con il vaso ancora tra le braccia e il ghiaccio sulla fronte a crogiolarsi nell’autocommiserazione e nella disperazione quando… qualcosa la distrasse.
Note.
Tonks rialzò il capo dalla parete di scatto, aggrottando le sopracciglia.
Una… melodia…
Veniva dal corridoio accanto… un violino.
Era… struggente. Non ci fu altro modo di definire quella musica. Ma anche… bella.
Meravigliosamente bella.
Tonks si alzò, ipnotizzata come un topolino, seguendo il suo udito fino a quando non si ritrovò proprio a correre.
Non riusciva a farne a meno.
Quel suono l’attirava. Era forse… la prima cosa bella che aveva percepito in quella casa e… non so.
Aveva un sentore familiare, intimo. Come… di casa.
Svoltò l’angolo a tutta velocità e fu solo con un fenomenale colpo di reni che non si schiantò addosso a una bambina.
Lei parve sorpresa quanto lei di trovarsela di fronte e fece un salto molto comico all’indietro, avvampando fino alla radice dei capelli color platino.
Era affacciata alla porta di una stanza, dalla quale proveniva la musica, quasi interamente nascosta dalla parete e bene attenta a non farsi scoprire.
“Oh...ciao!” sfuggì a Tonks ma quella sgranò gli occhi azzurrissimi come se l’avesse schiaffeggiata e in pieno panico le saltò addosso portandole la mano alla bocca.
Si voltò terrorizzata verso la porta ma chiunque stesse suonando il violino non le aveva sentite e continuava a suonare.
La bambina tirò allora un leggerissimo sospiro.
Era magra, piccola e pallida. Aveva l’aria stanca, distrutta quasi, avvolta in un vestitino color fiordaliso tutto stropicciato e i nastri fra i capelli tutti storti, ma ora, avendola tra le braccia, Tonks riusciva a sentire il suo piccolo cuore che batteva forte e veloce come le ali di un uccellino.
Rimase immobile, stretta in quello strano abbraccio e con ancora la sua manina sulla bocca a zittirla. Era leggerissima sulle sue gambe, come un pupazzetto.
Profumava di buono… e la pelle di burro si colorò di rosso in modo delizioso quando tornò a guardare dentro la stanza con aria rapita senza riuscire a resistere.
Tonks allora si tolse la sua mano dalla bocca ma quando lei parve agitarsi le strizzò l’occhio con aria amichevole e si fece il segno della cerniera sulle labbra.
Va bene, sto zitta.”
Allungò il viso e capì perché la piccola sembrava così presa.
Non era solo la musica, rifletté, affascinata. Era il modo in cui Regulus Black suonava.
Lievemente sudato, gli occhi chiusi, le ciglia imperlate e le labbra contratte. I movimenti bruschi, quasi arrabbiati ma...al contempo eleganti, come se danzasse.
La camicia sbottonata sul ventre, la pelle bianca del petto, le clavicole sporgenti.
Sirius aveva la pelle olivastra ma suo fratello sembrava fatto di selenite, liscio, magro e acerbo, senza imperfezioni, sinuoso come un lungo filo di seta lasciato a vibrare nella luce del sole.
Lo strumento che produceva quelle incantevoli note musicali era di un argento che sembrava liquido e rifletteva il giorno in mille raggi evanescenti che ricordavano l’aurora boreale e sfrecciavano da tutte le parti alla stessa velocità con cui il ragazzo muoveva le braccia.
Era incredibile.
Immerso nella musica, completamente. Era raro vedere Regulus così… sciolto.
Anche se c’era della rabbia. Anche se c’era del dolore.
Poteva quasi sentirlo sotto la pelle, attraverso quella melodia che graffiava e urlava contro i loro timpani.
La bambina lo guardava con una strana espressione, completamente catturata da lui. Il cuore continuava a batterle fortissimo, lo sentiva attraverso i loro vestiti, forte quasi quanto il suono di quel violino.
I suoi occhi mentre scrutava suo cugino erano… tristi. Spaventati. Ma anche pieni di… non fosse stata così piccola avrebbe pensato a desiderio, ma era qualcosa di più articolato di una semplice attrazione – benché fosse assolutamente certa che quella marmocchietta stesse sperimentando quella fantastica sensazione che è il prendersi la prima cotta della propria vita.
Poi un urlo da megera irruppe nel corridoio e la magia svanì.
“ERIS! SI PUÒ SAPERE DOVE DIAVOLO TI SEI CACCIATA?!”
La bambina sussultò tra le sue braccia, poi si guardò attorno piena di terrore, artigliandola senza accorgersene. Il violino smise di suonare.
Tonks non ci pensò due volte.
“Vieni con me!” esclamò, afferrandola per la mano.
La bambina emise un singulto un po’ stridulo e comico, come quello di un coniglietto preso in trappola, ma si lasciò trascinare via.
Corsero come matte per i corridoi procedendo a ritroso e a casaccio fino a quando non raggiunsero senza accorgersene i giardini… e decisero di aver seminato a sufficienza Porfiria Malfoy per potersi permettere di fermarsi.
Tonks ansimò e boccheggiò, tenendosi un fianco, prima di alzare il viso al cielo ed esclamare allegramente: “uhhh! C’è mancato poco, eh?”.
Si erano fermate vicino a una fontana enorme, circolare, con una bella sirena di pietra che suonava il liuto al centro e dalle cui conchiglie partivano enormi getti d’acqua che quasi coprivano le loro voci.
Anche la bambina ansimava dalla corsa, e la guardò un po’ smarrita, la mano ancora intrecciata alla sua che prontamente tirò via, avvampando.
Tonks le sorrise incoraggiante e si chinò su di lei.
“Allora, ti chiami Eris eh?” cinguettò allegra. “Io sono Tonks! Piacere!”
La bambina la fissò per un secondo e timidamente, annuì in silenzio.
Oh, era davvero carina! Sembrava così dolce e impaurita!
“Senti Eris, puoi aiutarmi? Sto cercando… beh, sto cercando il mio amico Remus. E’ un domestico e… sono in pensiero per lui! Sai per caso dove potrebbe trovarsi al momento?”
Tanto valeva tentare…ma la bimba rimaneva in silenzio. Timida era dire poco!
Si sedette sul bordo della fontana, sospirando mogia, quando sentì improvvisamente la sua manina che le tirava il vestito.
“...anno...ene...”
“Eh?”
“… Stanno bene…” mormorò lei, prendendo coraggio. “Ero con loro… poco fa. Stanno… bene…”
“Oh, cielo, G-R-A-Z-I-E!” esclamò improvvisamente Tonks, un po’ troppo vivacemente perché Eris sussultò. “Ops, no, scusa! Non volevo spaventarti!” Tonks ridacchiò, grattandosi la nuca. “A volte sono un po’… hemmm… “
Non sapeva dire bene cosa fosse in realtà ma qualunque cosa fosse la bambina sembrava gradirlo, perché si ammorbidì un pochino e si lasciò andare ad un bel sorriso, che Tonks ricambiò felice.
Quella bimba le piaceva!
“Allora, Eris, come mai in fuga da mamma? Che hai combinato?”
Lei arrossì, poi si sedette affianco a lei.
“A volte scappo.” sussurrò, imbarazzata. “Mamma… si arrabbia sempre un sacco con me. Così scappo. Ma poi lei mi trova e mi mette in castigo…”
La piccola Malfoy rabbrividì e si guardò istintivamente i polsi.
“Tua mamma è Porfiria Malfoy?”
“S-sì…”
“Beh, scapperei pure io.” ammise Tonks con sincerità, facendole spalancare gli occhi.
La piccola stirò un altro sorriso incerto.
“Mi piacciono i tuoi capelli.” bofonchiò, guardandosi i piedi. Tonks le strizzò l’occhio.
“Carini, eh? Guarda…”
Nel giro di un secondo, la sua chioma diventò verde pistacchio. La bambina sgranò gli occhi, incredula.
“Oppure preferisci… vediamo…” un battito di ciglia, e i suoi capelli divennero ricci, quasi afro, e di un bel turchese frizzante.
Inutile dire che ora aveva la sua totale attenzione, e nelle pupille di Eris balenò un barbiglio eccitato e meravigliato.
“Che colore ti piace?” le chiese, indicandosi la chioma.
“Io…non saprei…”
“Andiamo! Devi pur averlo un colore preferito!”
Era una domanda davvero facile per i bambini, perché tutti ne avevano uno. Lei invece… sembrava non averci mai pensato davvero. Si chiese come quella bambina vivesse in quella casa. Tutto di lei emanava eleganza, compostezza e… era freddo. Innaturale. Come si parlava, come si muoveva… sembrava già adulta. Era così, che sarebbe diventata se sua madre non fosse fuggita da lì? Le venne istintivo chiederselo e provò un moto di malinconia.
“Forza. Sono a tua disposizione.” disse solenne, e la piccola strinse gli occhi, concentrandosi.
“… B-bianco…”
Che colore strano. I bambini di solito non sceglievano mai quello.
Tonks sorrise dolcemente e i suoi capelli crebbero, divennero lunghissimi, volando nel vento morbidamente come aveva visto fare a quelli di Lily. Li rese lisci, e soffici come nuvole e candidi come fossero zucchero filato. La bambina spalancò gli occhi, piena di meraviglia. I capelli ricaddero al loro posto, accarezzandole le spalle e la bambina fece istintivamente per toccarglieli, prima di sussultare e togliere la mano, scusandosi fin troppo educatamente.
Tonks rise, e il suo naso divenne allora a patata come quello di Lemon.
Poi si ingrandì le orecchie così tanto ed assunse un’aria così ridicola che finalmente la piccola Malfoy scoppiò a ridere.
Sembrava non ci fosse abituata, ma una volta iniziato non riuscì a trattenersi e si tenne perfino la pancia!
Finalmente una reazione da vera bambina! Tonks rise con lei e, improvvisamente, si chinò a togliersi le scarpe.
La bambina si incuriosì e allarmò un pochino.
“Che… che fai?”
“Gioco!” rispose semplicemente Tonks, e infilò i piedi nell’acqua. Era gelida ma rinfrescante. La giornata era soleggiata e calda.
“Ma… ma… non si può!” balbettò Eris, affacciandosi al cornicione mentre lei schizzava acqua tutt’intorno, incurante di bagnarsi i vestiti. “I domestici si arrabbieranno!”
“Al diavolo i domestici!” esclamò vivacemente la Grifoncina, prima di assumere un’espressione furbetta. “Hey Eris! Aguamenti!”
L’afferrò per le mani e la tirò dentro. La bambina sbarrò gli occhi e ancor di più quando usò la bacchetta e un getto d’acqua la inondò da testa a piedi.
“Ma… ma…”
“Su, fallo anche tu! Ti concedo un vantaggio perché ti ho presa a tradimento!” e le si mise davanti con le braccia spalancate.
Le sopracciglia della bambina ebbero un guizzo di sconcerto, di stupore ma poi, timidamente, si avvicinò a lei, scrosciando nell’acqua. I vestiti le penzolavano addosso, fradici ma… qualcosa nel suo viso si stava accendendo.
Le schizzò timidamente con una mano.
“Tutto qui?” la prese in giro Tonks, ricambiando e facendola saltare all’indietro. “Dovrai fare di meglio, mi sa!”
La bambina allora rise e le lanciò molta più acqua… e non seppe più fermarsi.
Fu così che le trovò Lemon: intende a ridere, a schizzarsi e rincorrersi, fradice da testa a piedi. Le gocce cadevano dai loro nasi rifulgendo la luce come perle scintillanti.
“Ma… che state combinando?” chiese la biondina, correndo verso di loro. Quella tipa era assurda! Ma lo sapeva chi cavolo stava insozzando?! Nientemeno che Eris Malfoy, la pupilla di casa! Quel vestito che aveva addosso valeva da solo quanto uno stipendio di suo padre!
La Grifondoro si girò verso di lei con il più bel sorriso che avesse mai visto in vita sua in una ragazza. Trasmetteva tantissimo calore e Lemon si ritrovò suo malgrado a sorridere a sua volta, divertita.
“Hey Lemon!” le disse Tonks, scialacquando vivace verso di lei. “Ti unisci a noi?”
“No, grazie! Vorrei evitare che a sua madre venga un infarto… sempre che non le venga guardando come hai conciato sua figlia!”
“Ma ci stiamo divertendo così taaaaanto!”
La Malfoy sembrò essersi resa conto di essersi lasciata un po’ troppo andare e arrossendo cercò di ricomporsi.
“Oh… mamma si arrabbierà un sacco…” bisbigliò nel panico, come se se lo fosse ricordato solo in quel momento.
“Lascia fare a me…” sbuffò Lemon, e le puntò la bacchetta addosso.“Essicco!”
Un getto d’aria calda la rimise a posto, anche se era ancora un po’ troppo stropicciata per gli standard del luogo. Però aveva le guance rosse e gli occhi brillanti e vivi…
“Signorina Eris!”
Una voce in lontananza la fece saltare come un petardo.
“Oh, è Alfred!” soffiò, guardando da tutte le parti in cerca di una via di fuga.
Tonks si chinò su di lei con aria maliziosa.
“Ti copriamo noi! Va’!” le bisbigliò con aria complice e la marmocchia non se lo fece ripetere due volte.
“Non so se mi va davvero di aiutare la figlia di Porfiria a combinare marachelle, sai?” sospirò Lemon, asciugando anche lei. Ben scarso risultato, visto che quella tipa era assurda e fuori luogo dalla testa ai piedi! E lei che si preoccupava per i suoi capelli gialli!
Non aveva un solo indumento o accessorio che non fosse di un colore sgargiante e male abbinato! Per non parlare dei capelli rosa confetto da cantante punk!
Ed infatti, quando un maggiordomo dall’aria gelida si piantò davanti a loro guardò Tonks un secondo di troppo malcelando uno sdegno di cui la suddetta sembrò non accorgersi di pezza. Aveva un naso lungo e due occhi così freddi e vuoti da sembrare punte da spillo.
“Avete visto Milady, la Signorina Eris Malfoy?” chiese, con voce lenta e mortifera.
“No!” risposero loro in coro, un po’ troppo in sincrono e un po’ troppo velocemente per essere prese sul serio. Il maggiordomo inarcò un sopracciglio.
“Posso chiedervi che cosa ci fate qui? I vostri… domestici…” pronunciò la parola a fatica e con evidente sprezzo. “… vi stanno aspettando nelle vostre stanze per fornirvi i vestiti.”
Era talmente spaventoso che Lemon se ne uscì con una domanda del tutto stupida, come le capitava sempre quando era agitata.
“N-nel senso che… c-ci cambiano loro?!” chiese, sconvolta.
L’uomo la guardò con pazienza infinita.
“I domestici fanno tutto ciò che gli viene chiesto, signorina. Perciò, se vi compiace.” sibilò, indifferente. “O se siete inabilitate a cambiarvi da sole…”
“NO! NO, siamo capaci!” quasi strillò la ragazzina, diventando rossa come un peperone.
“Devo andare, ora. Vi raccomando di non indugiare da sole e raggiungere i vostri servitori il prima possibile. Non è prudente per delle signorine di alto lignaggio gironzolare da sole. E’ per la vostra sicurezza. Sono a vostra disposizione per proteggervi, prima di ogni altra cosa. Tenetelo a mente.”
E le piantò lì.
Lo guardarono allontanarsi e quando fu fuori portata, Tonks esplose.
“E chi protegge LORO dalle signorine?!” sbraitò, girandosi di scatto verso di lei. “Ahhh! Se solo immagino Remus costretto qui con Paige… io… Ahhh!”
“Carrington? Sei venuta qui per questo, allora!”
“Già! Voleva mettere le sue zampacce su Remus e gliel’ho impedito!” la ragazza digrignò i denti e un nervo le saettò sulla tempia. “Il solo pensiero di ciò che sarebbe potuto succedere…!”
“Oh, quindi è per questo ce l’ha con te. Ma mi spieghi come fai a sopportarla? Certo che hai una pazienza…”
“Non mi importa nulla dei suoi commentini. Mi importa che non tocchi Remus.” bofonchiò quella, ancora incavolata nera.
“Tu piace Lupin, eh?” ridacchiò Lemon, e lei arrossì appena… e si fece malinconica.
“E tu, con chi sei?” cambiò discorso. Evidentemente non voleva parlarne.
In effetti, Lemon non ricordava di aver visto il Prefetto di Grifondoro una sola volta in compagnia di una ragazza. Forse solo con la sua collega con quei capelli rossi stupendi, Lily Evans.
“Oh, io sono con mio cugino.” alzò le spalle. “E’ un ragazzo gentile e adorabile e mi sento un po’ in colpa ad averlo trascinato qui…ma immagino che se la caverà come sempre.”
“Davvero vieni a questi eventi così spesso?” le chiese Tonks, un po’ corrucciata. “Non… non ti viene da impazzire?”
Lemon sospirò. Era davvero facile aprirsi con quella ragazza. “Prometti di mantenere un segreto?”
“Certo…”
Odio venire qui.” Lemon si guardò i piedi, triste. “Mi sento sempre fuori posto… e questi dannati capelli…”
“Ma i tuoi capelli sono bellissimi!”
“Sei l’unica a pensarlo! E davvero, senza offesa… ma non sei molto attendibile!” Lemon ridacchiò. “In realtà, non mi importerebbe granchè ma… loro… hanno questo terrificante potere, sai, di farti sentire fuori luogo… ma devo farlo, capisci? Anche se detesto questi vestiti, questi cerimoniali senza senso e tutto il resto. Devo farlo se voglio raggiungere i miei obiettivi… vorrei ancora essere quella bambina che giocava nei fossi nel cortile di casa e fuggiva nei boschi a cercare gli Sneagle ma… non si può tornare indietro a questo punto, si può soltanto andare avanti…giusto?”
“No.” rispose Tonks con sincerità, scrollando le spalle. “Puoi andare dove vuoi. Devi solo capire dove desideri andare!”
Lemon arrossì e un sorriso le sbocciò sulla bocca sottile. Le lentiggini si tesero sul suo viso buffo.
“C’è una comunità.” confidò, abbassando la voce. “Sono Druidi, principalmente, c’è anche qualche centauro e… anche magizoologi in fuga. Sono… nomadi. Vivono nelle tende, si spostano continuamente, più che altro nelle Highlands, e la loro magia… oh Tonks, non crederesti mai alla loro magia! E’ completamente fedele agli antichi principi della natura, è una cosa che… non so spiegare! Non hanno nemmeno bisogno delle bacchette! Loro chiedono e… e la natura risponde e dona! E’ una pratica che è si è persa nel tempo ma è così… così liberatoria! Senza vincoli! Loro la usano principalmente per liberare gli animali dalle trappole dei bracconieri, creare protezioni e maglie magiche per nascondere le loro tane e così via… è la loro missione e anche la mia.”
“Wow! Forte! Sembrano brave persone!”
“Sono formidabili.” La voce della Tassorosso si riempì di affetto. “La magia… noi la intendiamo come un mero strumento ma… è… come se fosse senziente, sai? E’ come una corrente… una connessione con il mondo… e non va solamente ‘usata’, va anche capita, rispettata… e loro me l’hanno mostrato! Mi hanno mostrato che si può davvero vivere in armonia con la magia e con le creature magiche, che è possibile! Con loro… mi sentivo davvero a casa, capisci? Mi sentivo capita, accettata… e mi mancano tantissimo.”
“E perché non li raggiungi?”
Lemon sospirò ancora e la sua voce sfumò. Poi la guardò negli occhi, seria.
“Vieni con me.” disse.
La prese per mano e la condusse un una piccola via acciottolata sulla destra, che correva dietro la casa.
“Lo sapevi che i draghi non sono semplici lucertoloni sputafuoco?” le disse, inoltrandosi sempre di più in mezzo alle siepi ben potate. “Che hanno una gerarchia e sistemi di socializzazione ben precisi?”
Tonks si abbassò per evitare un ramo, mentre le siepi iniziavano a farsi sempre più fitte, fino a che non si ritrovò a proseguire quasi carponi. Dove la stava portando? Nell’aria c’era uno strano odore, ora, come di zolfo…
“Ah sì?” chiese, senza capire bene dove volesse andare a parare.
“Sì.” rispose Lemon, infilandosi in un cunicolo fra i rami e cercando di allargarli per farle spazio. Le siepi ora erano quasi labirintiche e le avvolsero come una coperta. Il mondo sembrò spegnersi di ogni suono. “Loro non… hanno un cervello proprio, non come lo intendiamo noi. Sono connessi. Sono come… tanti rami, dello stesso albero. E la loro coscienza, la loro memoria millenaria, risiede tutta nel loro re, che la custodisce, la protegge. Sono tutti parte di un unico tutto, capisci cosa intendo?”
Non molto, a dire la verità, ma non glielo disse. Lemon aveva cambiato espressione, sembrava ora incredibilmente seria, non più timida e goffa ma… determinata. Nel suo viso brillava una luce nuova mentre avanzava.
“Se ne ferisci uno, li ferisci tutti. Se ne incateni uno…”
Tristemente, scostò una tenda di licheni e Tonks sbucò in un’area di Villa Malfoy che non si vedeva dall’esterno e che dubitava fosse di pubblico accesso.
“OH!” sussultò, sentendo sul viso una corrente calda. C’era un padiglione di legno, pieno di casse e… gabbie.
“… li incateni tutti.” concluse amaramente Lemon, mentre davanti a loro si agitavano cinque esemplari di drago.
Erano piccoli, dei cuccioli. Avevano le dimensioni di grossi cani. Soltanto uno, quello più in fondo, era più grande, seppur sempre giovane dall’aspetto, un adolescente con scaglie nere e traslucide e ali membranose che rifulgevano di un viola vivido.
Non era grande come un drago adulto ma era comunque spaventoso… doveva avere una voce possente, da far tremare gli alberi.
Per questo, gli avevano legato la bocca con spesso cuoio pieno di speroni aguzzi.
Il cuore di Tonks si sgonfiò a quella visione.
Le zampe gli sanguinavano, perché gli speroni servivano a impedire che si togliesse quella barbara museruola che gli serrava le mandibole impedendogli di emettere alcun suono. I cuccioli erano raggomitolati su loro stessi, con collari stretti di acciaio che graffiavano le loro gole. Non riuscivano a stendere neppure le ali, tanto piccole erano le loro gabbie.
“E’… orribile.” mormorò, sconvolta. “Perchè…?”
“Commercio.” sibilò Lemon, gelidamente. “Illegale, ovviamente. Alcune delle loro scaglie valgono un sacco sul mercato nero. Ci credi?” si asciugò rabbiosamente una lacrima che le stava sbucando fra le ciglia. “Animali così grandi ridotti in schiavitù per cose così piccole. Solo poche delle loro scaglie. La mia comunità li stava tenendo d’occhio da parecchio tempo ma… oh, Tonks, loro sono così tanti e noi così pochi…!”
La voce le si spense e il viso le si accartocciò.
“Se solo vedessi… come potrebbe essere invece.” si strofinò il naso con la manica, desolata. “… non noi che dominiamo su di loro, li confiniamo in gabbie e recinti e li torturiamo ma… noi che… ci conviviamo. Che ci connettiamo a loro. Capisci, ora? Io… io devo venire qui, devo avere a che far con questa gente! Perchè loro sono così tanti, e così forti, e l’unico modo per contrastarli, per contrastarli davvero, è giocare secondo il loro gioco, stare alle loro regole e far parte del sistema che hanno creato!”
Tonks la vide iniziare a singhiozzare, dando le spalle ai draghi.
Il più grande la guardò attraverso le sbarre, un grande occhio giallo, splendente come una moneta.
“Io…” mormorò, seria, prendendo per mano la compagna. “Io non so se quello è davvero l’unico modo. Ma se sei sicura del tuo percorso, non cercherò più di fermarti Lemon. Diventerai un ottimo membro del Winzegamot e fermerai queste cose, un giorno. Spetta a te decidere dove andare domani… ma sarò io a decidere dove andremo oggi.” Strinse i pugni contro la gonna. “E oggi andremo a liberare quei draghi.”
Lemon colse la differenza nella sua espressione, che era prima sconvolta e smarrita. La conosceva bene anche lei, d’altronde, quella sensazione. Era come un’impennata di resilienza, di determinazione, che saliva lungo la spina dorsale vertebra dopo vertebra.
Ma purtroppo, la determinazione, anche la più ferrea e pura, in quel mondo non era abbastanza.
“E’… davvero molto carino da parte tua, ma…” Lemon si asciugò le lacrime e sorrise amaramente. “Le gabbie si sbloccano con una parola segreta che nessuno conosce, a parte i Malfoy. E anche se la trovassimo, io sarei l’unica che potrebbe liberarli. Si fidano solo di me, perché ho creato io le protezioni attorno alle loro tane – beh, per quello a cui sono valse - e quando sono nati erano circondati dal mio odore. Purtroppo per me, credo proprio che abbiano fatto in modo di non far passare mio cugino alla selezione per domestici. Mi assegneranno uno dei loro e mi marcheranno a vista. Sanno bene che in passato ho avuto a che fare con i Magi-Ranger – la nostra comunità si chiama così. Purtroppo temo che questo sia l’ultimo momento in cui io possa concedermi il lusso di parlare e muovermi liberamente qui dentro…”
“No, non lo accetto!” gridò improvvisamente Tonks, facendola saltare per aria. La fissava imbronciata.
“M-ma che ti prende adesso?!” esclamò, tastandosi un timpano.
La ragazzina serrò di nuovo i pugni e li alzò per aria.
“Non lo posso accettare, lo capisci?! Non è giusto!” sbottò. E poi cambiò improvvisamente umore e stirò un ghigno largo e un tantino folle che fece domandare a Lemon se non avesse tutte le rotelle in regola… “E le regole non mi sono mai piaciute, sai? Per cui, non intendo seguirle!”
“E come pensi di fare…?” ma si zittì, perché… oddio!
Tonks stava cambiando faccia! Stava… diventando tale e quale a lei!
La voce le uscì un po’ più stridula di quanto non volesse e la fissò strabuzzando gli occhi.
“SEI UNA METAFORMAGUS!”
Era pazzesco! Era come guardarsi in uno specchio!
“Scopriremo la parola magica!” Tonks le sorrise incoraggiante “E giocheremo secondo le NOSTRE regole, per una volta! Allora, ci stai?”
Oh.
Oh, che tipa folle e sconsiderata.
“Sì…”
Le piaceva tantissimo.














Il suo odore. Era nell’aria. Latte e fragole...
Doveva ammettere che era un toccasana per le sue narici dopo aver passato ventiquattro ore – finte, certo, ma tangibili per loro – immerso in un odore acre di sudore da maschio, composto principalmente da un misto di fatica, stress e paura.
Quando l’addestramento era finito, il silenzio si era rotto in un gemito collettivo fatto di “ahhh…” e “oooh…” e gente che cadeva carponi sulle ginocchia incapace di reggere nemmeno un secondo di più, come se qualcuno avesse tirato una corda tesa fino a quel momento e, improvvisamente, allo scadere dei minuti l’avesse tagliata. C’era addirittura anche chi aveva esultato, innocentemente, con goliardia e soddisfazione per avercela fatta, ed erano nati sorrisi e pugni alzati e risate, come se fosse stata una loro scelta essere lì e farsi trattare come pezze da piedi. Ma la soddisfazione e l’ego dei giovani maghi nel pieno del loro testosterone era fatta di cose semplici.
Qualcuno l’aveva anche guardato con ammirazione e qualcun altro gli aveva dato una pacca sulla spalla.
“Remus, razza di mostro! Guardati come mantieni ancora la tua posizione! E non sei nemmeno sudato! Ma che ti mangi la mattina?”
Il ché avrebbe avuto tutta un’altra piega se avessero saputo che il motivo per il quale aveva resistito con facilità era che fosse a tutti gli effetti un mostro vero, e che se si fosse semplicemente abbandonato ai suoi primordiali istinti in certe notti del mese la sua dieta sarebbe consistita in tutti loro, e di certo l’avrebbe reso ancora più forte di quanto non fosse adesso.
In altre occasioni avrebbe recitato la parte del debole umano – non che si sentisse pieno di energie ma era ancora comunque più resistente di tutti loro – ma era troppo in ansia e preoccupato per Tonks.
Fuori di lì erano passati solo venti minuti ma… lui aveva penato per lei per ventiquattro ore, ventiquattro ore che il suo cervello immaginava i più terribili scenari, ed era difficile da razionalizzare!
Non poteva essersi cacciata nei guai in soli venti minuti ma era di Tonks che si stava parlando! E dei Malfoy, cristo santo…
aveva a malapena guardato in direzione di Lestrane ma sentiva i suoi occhi fissi sulla schiena. Anche lui non aveva fatto una piega, sembrava fresco e riposato come se avesse dormito.
Decisamente fuori scala, sotto ogni punto di vista, e il pensiero non l’aveva aiutato di certo ma nonostante volesse solo correre a cercare Tonks, fu trattenuto per un’altra ora senza che potesse farci niente.
Gli avevano insegnato le basilari regole d’etichetta – cose che Remus conosceva fin da bambino e di cui non aveva assoluto bisogno – e gli avevano smollato in mano il vestiario di Tonks con l’ordine di ripiegarlo sul letto e invitarla a indossarlo.
Erano abitini di vari colori – neutri e scialbi pastello - e stoffe, tutti rigorosamente confezionati in alta sartoria, lo si vedeva dalle cuciture. Ridicolo.
Tonks non avrebbe mai accettato di indossare qualcosa di così banale.
“Il ché sarà soltanto un problema tuo.” gli aveva detto il maggiordomo capo, quello con la faccia da becchino che stava accanto alla bambina, come se gli avesse letto nel pensiero. “Perché qualsiasi guaio combini la signorina, è il domestico a rispondere della punizione.”
“E perché tu non sei stato punito al posto della bambina che accompagnavi?” non riuscì a trattenersi il Marauder, digrignando i denti dalla rabbia. Quello non si scompose.
“A volte, i gradi più elevati richiedono di… disciplina.” aveva risposto solo. “Ma ho ricevuto anche io la mia dose di punizioni, per cui mi creda quando le suggerisco caldamente, Signor Lupin, di tenere a bada la sua protetta. Temo che non saranno gentili nei suoi confronti come lo sarebbero nei confronti della signorina Black.”
Tonks.” aveva corretto gelidamente Rem. “Signorina Tonks.”
Disgustoso. Ridicolo. Roba da medioevo, pensava, marciando per i corridoi.
Anche lui aveva frequentato certi ambienti, più che altro quando era bambino. Quando era… prima di… oh, al diavolo.
Ciò che stava considerando era semplicemente che, nonostante lui fosse stato cresciuto seguendo l’etichetta, non aveva mai vissuto fanatismi del genere.
Oh, no, tu hai vissuto tutto un altro tipo di fanatismo…, parve ridacchiare una voce dentro di lui, crudele. Una voce che gli ricordava tanto quello della Creatura e ricacciò giù nel profondo a forza di pugni mentali.
Serrò le mandibole cercando, sforzandosi come sempre, di non pensare nemmeno per un istante a suo padre quando… finalmente la vide.
Si paralizzò davanti alla finestra come se una fune l’avesse appena strattonato.
Stava bene. Questo fu il primo pensiero, e gli colò nello stomaco come un balsamo dolce, sciogliendo la contrattura che l’aveva arpionato fin dal momento in cui si era separato da lei.
Più che bene, in verità. Il ché era positivo e negativo allo stesso tempo, perché Tonks era stata così sconsideratamente incosciente da addormentarsi sotto le fronde di un albero, sdraiata nell’erba umida.
Spaventosamente vulnerabile. Alla mercè di qualunque pericolo. Perfino le rose, cespugli incantevoli e rigogliosi attorno a lei, sembravano volerle fare male.
Era sdraiata supina, la guancia a sfiorare il terreno, con una mano adagiata sullo stomaco e l’altra al lato del capo, quasi a sfiorarsi uno zigomo, e il ventaglio dei capelli rosa che si apriva sopra la sua testa in un fiume rosa sul prato, così noioso in effetti senza di lei a dargli colore.
Si mosse appena, per togliersi una ciocca sul viso, quasi svegliandosi prima di tornare immobile. Il suo respiro rallentò di nuovo, pochi istanti dopo. Aveva le labbra socchiuse, le guance rotonde e rosse come fosse stata all’aperto per molto tempo colpita da un vento pungente.
“Il ritratto dell’innocenza.” disse qualcuno alle sue spalle. Remus non si voltò.
“Non trovi?” continuò Rodolphus gentilmente, affiancandolo e buttando i suoi occhi su Tonks sotto di loro. La sua voce si venò di ironia gelida. “Deliziosa e squisita come un’alba di primavera. Così fresca e innocente, con quei capelli parzialmente raccolti e quella pelle dall’aria così... cremosa. Sembra fatta di burro. Come se non aspettasse altro che essere morsa, non è così?”
“Falla finita.” sibilò Lupin, fissando davanti a sé. Il suo astio lo fece sorridere.
“E’ molto bella, non puoi non averlo notato. Oh, ma certo che l’hai notato, perché tu la desideri. Te lo si legge in faccia. Non fai altro che chiederti quanto morbida sarebbe sotto i tuoi denti, non è così?” non era una domanda. Remus serrò le mandibole e irrigidì le spalle ma non diede altro segno di averlo udito.
Rodolphus scoppiò a ridere, indolente.
“Non ti scomponi mai, eh, ragazzino?” Si avvicinò pericolosamente al suo orecchio, e la voce gli si abbassò in un soffio di letale brutalità. “…un autocontrollo niente male, per essere un lupo.”
Remus si scostò da lui. Non riuscì ad evitarlo. Sul suo viso c’era un accenno di nausea che non riusciva a mitigare del tutto.
“…tranquillo…” Rodolphus non parve cogliere i segnali e gli si avvicinò. Il sorriso subdolo quasi quanto i suoi movimenti. Sembrava un serpente, era così silenzioso che nemmeno i sensi acuti di Remus lo percepivano. “Non sono certo qui per ucciderti. Te l’ho detto, ho accompagnato Narcissa e nulla più.”
“Perchè avete invitato Ninfadora Tonks qui a Villa Malfoy?” Remus tagliò la testa al toro, sollevando finalmente gli occhi su di lui.
Vaffanculo. Non avrebbe sopportato ancora a lungo le sue provocazioni.
Pensava che gli avrebbe mentito, o avrebbe continuato a cercare di farlo incazzare - probabilmente era curioso di vedere in azione il Lupo Mannaro di Hogwarts - ma Rodolphus si limitò a stringersi nelle spalle e… a dire la verità.
“Perchè stanno ancora decidendo cosa diavolo farne di lei.”
“Che cosa intendi dire?”
“Oh, andiamo.” Lui ridacchiò. “Pensi davvero che ci possa essere un lieto fine per un Lupo Mannaro e una discendente dei Black?”
“Ti crei sempre questi film in testa o sono solamente fortunato?”
“Non sono film. E non sei fortunato. O non ti saresti preso una cotta per la piccola laggiù.”
“Qui non stiamo parlando di me.”
“No. Infatti. Stiamo parlando di lei. E lei può colorarsi i capelli come le pare e piace ma rimane pur sempre una giovane Black. E in età da marito, per giunta.”
Tasto scoperto, pensò Rodolphus Lestrange quando Remus Lupin gli piantò addosso il suo sguardo.
Finalmente.
Oh, finalmente riusciva a vedere quell’espressione.
Quella vera, non la maschera. Quei denti scoperti dalle labbra, quegli occhi pieni di odio, di furia. Quel ringhio che gli brontolava lieve e sordo nella gola. Quel barbiglio rosso acceso nell’azzurro degli occhi, così rivelatore.
Alzò le mani in segno di resa, inarcando le sopracciglia.
“Oh, so che tu la vedi ancora come una bambina, so riconoscerli i tipi come te. Onesti, puri di cuore, dei veri cavalieri… perlomeno in facciata. Ma dentro di te sai bene che è così. Ma, hey, non le faccio io le regole. Pensavi davvero che avrebbero semplicemente lasciato stare? Perché buttare via una pedina quando la si può posizionare da qualche parte sulla scacchiera?”
“Tonks non sarà mai una vostra pedina…” Remus raddrizzò le spalle, spegnendo l’interruttore della sua rabbia.
Si ricordò di respirare, rammentandosi che erano in pubblico e saltargli alla gola per lacerargliela con i denti non sarebbe stato considerato socialmente accettabile. E non avrebbe aiutato Tonks a uscire prima da lì dentro.
“Può essere.” concluse lui, voltandogli le spalle. “Ma allora significherebbe che non è utile. E diventerebbe nientemeno che una bruciatura di sigaretta su un vecchio affresco. Una macchia. L’eredità imbarazzante e di troppo di una figlia folle e sconsiderata convinta di poter fuggire per sempre. Per quello che ho visto io, per Ninfadora Tonks è decisamente preferibile starci, su quella scacchiera. Vedila così: potrebbe tenerti come domestico per sempre. Non sarebbe nemmeno tanto male, lupetto!”
Il fantasma della sua risata l’avrebbe inseguito nei suoi incubi, pensò cupamente Remus Lupin mentre lo guardava allontanarsi.
Si sentiva… vuoto.
Solamente vuoto.
Aprì le imposte della finestra senza pensare.
Terzo piano. I rami dell’albero quasi toccavano il cornicione. Distanza di cinque metri.
Decisamente troppo facile, pensò amaramente, saltando su di essi senza esitazione. Il grosso ramo dondolò appena, reggendo facilmente il suo peso.
Un uccellino fuggì via, allarmato.
Saltò a terra, atterrando silenziosamente sulle punte dei piedi e, sospirando, scivolò furtivo verso di lei. Tonks continuava a dormire.
I raggi del sole l’avvolgevano.
Latte. E fragole.
Assaporò con doloroso tormento il modo in cui il sole e l’aria aperta influivano sul suo profumo umano. Alcune punte dei capelli erano umide, come se si fosse bagnata e poi asciugata di fretta. Quello, e il caldo, sembravano addolcirne la fragranza.
La gola gli avvampò di desiderio, tanto che dovette allontanarsi di qualche passo.
Furtivamente tornò a rifugiarsi all’interno delle ombre, quelle create dai rami. Un posto nel posto al quale apparteneva, pensò tristemente.
Una nuvola parve captare i suoi pensieri e iniziò a muoversi nel cielo, volubile, veloce, lasciandolo impotente a guardare quelle stesse ombre che avanzare strisciando sull’erba verso di lei.
Avrebbe voluto spingerle via. Lasciarla per sempre sotto la luce del sole.
Ma poi, questa scemò dal suo corpo.
Quando la luce fu svanita, la sua pelle parve troppo pallida, spettrale. I suoi capelli si erano fatti più scuri, quasi che fossero privati di colore.
Remus strinse le labbra, guardando altrove. Non lo sopportava.
Il battito forte e regolare del cuore di Tonks era l’unica rassicurazione, il suono che impediva a questo momento di sembrare un incubo.
Poi, come se l’avesse percepito, la ragazza aprì gli occhi, svegliandosi con un mugolio.
Il suo viso si illuminò quando lo vide.
“Remus!”
Tonks sapeva distruggerlo in un modo incantevole. Remus lasciò andare l’aria nei polmoni con calma prima di afferrare la mano che lei gli aveva teso e sedersi al suo fianco.
Non ci fu nemmeno bisogno di dire niente che Tonks era tra le sue braccia.
Il suo profumo gli esplose nella bocca, si infilò tra i denti – che pizzicarono dolorosamente contro le gengive – e sulla punta della lingua, facendogli venire una fastidiosa acquolina che represse deglutendo sonoramente.
Accidenti.
Sirius l’avrebbe sentito, se continuava di quel passo…
“Stai bene?” Tonks gli afferrò il bavero della camicia e lo obbligò a guardarla in faccia, in apprensione. “Ma come accidenti ti hanno conciato?”
Lui si lasciò andare ad un sorriso conciliante che rasserenò subito le rughette sulla sua fronte. Era sempre stato bravo a fingere che andasse tutto bene.
“Dovresti vedere come vogliono conciare te!” ridacchiò, facendole strabuzzare gli occhi. “Comunque è tutto ok. E tu?”
“Decisamente no, data la tua ultima affermazione! Ma davvero non posso tenere i miei vestiti?!”


Dovrai convincerla, o la punizione ricadrà sul suo domestico, ovvero te.”


“Puoi fare quello che vuoi.” le disse Rem, con decisione. “E’ un nuovo cerotto, quello?”
“Eddai, smettila!” Tonks si imbronciò. “Sei troppo apprensivo!”
“Sono o non sono il tuo domestico?” Lui si indicò con un pollice e le strizzò l’occhio.
Tutta la tensione che gli si era accumulata addosso parve allentarsi, sciogliersi. Poi si rese conto che Tonks era ancora stretta a lui e, schiarendosi la gola con imbarazzo, si staccò da lei.
In quel momento, mentre i suoi riflessi erano decisamente fuori gioco, una pera si staccò dall’albero sopra le loro teste e lo colpì in fronte con un sonoro “POFF”.
“Ma… che…” farfugliò, sempre più in imbarazzo.
La Grifoncina, che aveva assistito alla traiettoria dell'impietoso frutto, scoppiò in una fragorosa e ben poco elegante risata.
“Ben ti sta!”
La guardò storto ma quella non sembrava intenzionata a smettere di ridere sguaiatamente, fino ad avere le lacrime agli occhi.
“Non ci trovo nulla di così divertente!” sbottò Remus, oltraggiato. “Ora te ne lancio anche io una in testa, e vediamo se ridi ancora!”
Tonks lo guardò con aria furbetta.
“Non oseresti colpire la tua Signorina.”
“Oh, ma davvero?” Remus sorrise e sollevò un’altra pera e Tonks, fra le lacrime e le risa, gli afferrò il braccio cercando di proteggersi da un lancio che non sarebbe mai andato a segno.
Remus si ritrovò con la sua mano stretta al polso ed il suo viso, ancora rosso per la risata, appena sotto il mento.
Qualsiasi forza governasse il suo corpo ed il suo intelletto in quel momento, smise di funzionare. Si congelò in quella posizione, spostando lo sguardo in ogni punto del suo viso troppo vicino.
Pelle di burro. Pelle da mordere.
Senza che se ne rendesse conto, prese una ciocca dei suoi capelli lisci e soffici fra le dita della mano libera, avvicinando il suo viso al proprio, l’altro braccio ancora sollevato sopra le loro teste.
La pera gli scivolò via dalle dita.
Riuscì a tornare lucido prima di fare qualsiasi cosa stesse per fare quando Tonks gli rivolse uno sguardo interrogativo che trasudava tutta l’innocenza che aveva giurato di proteggere nemmeno pochi istanti prima.
Si allontanò da lei bruscamente, quasi saltando all’indietro, con il respiro accellerato.
“A-Avevi un insetto fra i capelli…” farfugliò, nel panico.
“Ah, grazie!”
Cosa stava facendo?!
Si alzò, in preda alla confusione. Per un momento, era come se il suo corpo non gli fosse appartenuto.
Tonks lo fissò incuriosita mentre cercava di riprendere il controllo, con il risultato di farlo agitare ancora di più.
Oh, accidenti. Questo Sirius l’aveva SICURAMENTE sentito.
E l’avrebbe ammazzato. Non poteva raggiungerli – perlomeno ci sperava – ma sapeva che erano assieme, che avevano mentito e l’avrebbe ammazzato al loro rientro!
“Ci sono dei draghi qui.” buttò lì Tonks da qualche parte nei suoi pensieri.
“Cos...che?!”
“Dei draghi. Li tengono in delle gabbie e io intendo liberarli. Ti va di darmi una mano?”
Tonks lo guardava con occhi luminosi.
Avrebbe potuto ordinarglielo, ma gliel’aveva chiesto. Tipico di lei.
“Sì. S-Sì, certo.” si limitò a balbettare Rem.
Oramai, non lo stupiva più niente. Il suo limite era già stato superato da un bel pezzo…
Tonks gli sorrise radiosa, quando… improvvisamente un’ombra le attraversò il viso.
“Tonks…”
“Mi sento davvero stanca…” borbottò lei. “Ahi, pizzica…” aggiunse poi, guardandosi il dorso della mano.
Su di esso, spiccava un piccolo graffio. Sottile come quello di un gatto.
Non aggiunse altro.
“TONKS!” urlò Remus, prendendola tra le braccia mentre Ninfadora si accasciava di colpo, perdendo i sensi, la pelle di gesso e gli occhi rovesciati all’indietro.
Come Biancaneve e la mela avvelenata… solo che lì non c’era nessuna mela.
C’erano soltanto un lupo, così fuori luogo in un castello… e, sulla torre più lontana, una bionda strega bella e crudele, con le unghie bianche come neve…



 
   
 
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