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Autore: Tsukuyomi    18/09/2009    6 recensioni
Salve a tutti! Finalmente prendo coraggio e pubblico.
Questa fanfic mi ronza in testa da tanto di quel tempo che ormai si scrive da sola.
Per il momento avrete sotto agli occhi dei futuri Gold Saint, ancora bambini e innocenti (più o meno), alcuni ancora non si conoscono e altri sì, alcuni sono nati nel Santuario e altri no, alcuni dovranno imparare il greco e, di qualcuno, non si sa per quale recondito motivo, non si conosce il nome. Spero che apprezziate. La storia è ambientata ai nostri giorni, per cui, le vicende conosciute avranno luogo nel futuro.
Genere: Comico, Generale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Riflessioni, timori e nuove conoscenze Galgo entrò in casa e si diresse verso la stanza da letto a passo lento, trascinando i piedi. Vide il corpo dell'amico ancora immerso nel sonno, dormiva profondamente, ignaro di tutti i recenti avvenimenti riguardanti Kanon. Decise che gli avrebbe parlato in serata, avrebbe voluto sapere.
Con lentezza si diresse verso il letto e si coricò senza levarsi gli abiti, troppo stanco per la notte in bianco e per gli allenamenti.
Prima di lasciarsi andare al sonno ripensò al mese appena trascorso, alla presenza dei tre bambini in casa e all'amico che aveva svolto funzione di scendiletto.
I suoi discepoli. I loro discepoli, suoi e di João.
Angelo lo aveva colpito nel profondo, lo incuriosiva.
In qualche modo era riuscito a stabilire da subito un rapporto confidenziale col delinquentello;
forse perchè si era recato in Sicilia a recuperarlo, forse perché era riuscito a strappargli  il racconto del suo passato, forse perché aveva trovato un bambino fortemente disilluso dalla vita e dalle persone, poco interessato a cercare un contatto, timoroso di soffrire ancora per stupidi pregiudizi.
Non riusciva a darsi pace.
Continuava a rimuginare sull'assassinio dei genitori di quel bambino, come avrebbe fatto a dirgli che il colpevole era lui? Come trovare le parole per dire ad un bambino una cosa simile?
Non sarebbe riuscito a parlar chiaro ad un adulto su un argomento del genere, figurarsi parlarne ad un bambino di soli sei anni.


Mentre si lasciava trascinare via dal sonno, nell'istante esatto in cui la sua mente iniziò a proiettare tutte le immagini apparentemente senza senso che vengono prima del sonno, prima di scordarle e passare al sogno, rivide il volto di Angelo durante il viaggio. Quell'espressione quasi corrucciata e vergognosa. Quella timidezza innaturale che lo aveva colto in quel momento, mentre gli chiedeva: "Io sono brutto?".
Quella semplice ammissione di insicurezza lo aveva spiazzato. Si era costretto a non pensarci, dopotutto era solo un bambino.
Sarebbe cambiato col tempo, lui avrebbe contribuito a renderlo un uomo; un vero cavaliere.


**

João si stiracchiò nervosamente prima di rendersi effettivamente conto di essere sveglio.
Aprì gli occhi con calma e si dette una sguardo attorno.
Galgo dormiva tanto profondamente da sembrare morto. Il respiro era lento e regolare, profondo e silenzioso.
"Devi essere distrutto" - pensò il portoghese, prima di  trovare la forza di alzarsi e andare a darsi una bella sveglia.
Aveva voglia di scambiare due chiacchiere e pensò di fare un salto nella casa accanto, sperando di trovare i due inquilini.
In pochi minuti si preparò ed uscì, era sicuro che avrebbe trovato Akylina e Leurak in casa, forse intenti a litigare, come sempre.

I due soldati non c'erano. Decise allora che avrebbe fatto una passeggiata e che forse sarebbe andato a trovare Tyko, Shura e Angelo. Dopotutto avevano passato una notte in bianco per stargli vicino, andare a verificarne anche le condizioni era d'obbligo. E niente meglio di una passeggiata aiutava a schiarire le idee.

Si avviò con calma verso i dormitori dei giovanissimi, a passo lento, guardando il cielo che iniziava a farsi autunnale.
La pesante cappa di afa che soffocava il Santuario ogni estate andava svanendo, i contorni dei monti si palesavano e anche il mare iniziava a risplendere di una nuova luce. Una luce nitida e forte.
Il sole era sempre meno caldo e la durata delle ore di sole era in diminuzione. Giornate sempre più brevi e fresche. Arrivava un nuovo inverno, un inverno ricco di eventi e nuove conoscenze. Altri bambini sarebbero arrivati, e dopo di loro altri ancora.

Non gli dispiaceva circondarsi di fanciulli, anche lui tornava bambino con loro. Ma il tempo dei giochi e delle spensieratezze non poteva durare più di qualche settimana, tempo che sarebbe stato dedicato all'allenamento e all'imparare.
Alcuni dei bambini erano già grandicelli e avevano iniziato l'addestramento da diverso tempo: come Aiolos, Saga e Kanon. Altri si accingevano ad iniziare: come Shura, Angelo e Tyko, altri ancora avrebbero dovuto attendere un po'. La speranza di João, la più grande e nascosta, era quella di non vedere arrivare nessun altro bambino, nessun'altra creatura alla quale la vita aveva tolto tutto, troppo presto.

«Ehi gigante, spostati che mi togli i raggi del sole!» trillò una voce alle sue spalle, voce che gli strappò un sorriso.
«Ciao Leurak.» rispose senza voltarsi.
«Come hai fatto a riconoscermi?» chiese fintamente sorpreso.
«Pensi che sia scemo?»
«Sinceramente un po’ sì, ma fammi passare.»
Fu allora che il portoghese si girò e vide l’amico con due corvi appollaiati su un braccio e un falco sulla mano. Si stupì nel vederlo così.
«Fammi passare o mi caveranno gli occhi, sono nervosetti e portarli in mezzo ai bambini ora forse non è una buona idea.»
«E allora non portarceli, genio. »

«Ma sei matto? Ho promesso a Milo che glieli avrei fatti vedere, se non li vede neanche oggi mi assillerà sinché non avrà quarant’anni e sai bene com’è Milo.»
«E’ vivace.» rispose serafico.
«Vivace? Milo vivace!? Vivace è riduttivo, Milo è un tornado!»
«Secondo me esageri, meglio che sia così. Ha solo tre anni ed è giusto che sia pieno di energie.»

«Non lo metto in dubbio, caro il mio armadio lusitano, considerando anche il fatto che la sua presenza in questo posto implica necessariamente il fatto che avrà una vita stupendamente brutta. Adoro quel bambino e lo sai bene, ma sono mesi che ogni santo giorno mi assilla “i corvi, i corvi, voglio vedere i corvi” – mimò la voce e i gesti del bambino – e ogni giorno cerco di rimandare, non vorrei che gli cavassero quei bellissimi occhietti azzurri, ma ora ho deciso, sarà accontentato.»
Parlava velocemente, senza prendere fiato e cercando di rivolgere lo sguardo il più lontano possibile dall’amico. Sembrava uno sfogo quello di Leurak, non un semplice scambio di parole.
João si rese conto dell'inusuale comportamento dell'amico, benché cercasse di mascherarlo.
«Leurak stai bene?» gli domandò preoccupato.
«Uhm, sì. Perché?»
«Dimmi.» 
«Cosa?»
«La verità.»
Leurak abbassò lo sguardo a terra e liberò i pennuti. Sospirò profondamente e si avvicinò a João.

«Non ti si può nascondere nulla, vero?» domandò sorridendo amaramente.
«Certo che mi si possono nascondere le cose, solo che non sei capace a farlo. Tu e Milo vi somigliate parecchio, lo sai? Due uragani sempre in movimento, dispettosi e vergognosamente incapaci di mentire.»
«Milo dice un mucchio di bugie.» brontolò Leurak, incrociando le braccia.
«Anche tu ne dici parecchie, ma non mi sembra che qualcuno si sia mai bevuto qualcuna delle tue fesserie, lo stesso per Milo.»
«Si può sapere che hai contro di noi?»
«Non ho niente contro di voi, anzi, un po’ vi invidio. Avete una fantasia talmente grande e galoppante che riuscite a rifugiarvi altrove per un po’ di tempo. Sì, vi invidio.»
«Ehi, ma che succede al Santuario oggi?»
Leurak interruppe João, solo poco tempo prima aveva avuto una conversazione deprimente con Galgo, e ora, anche il portoghese sembrava essere non troppo sereno.
«Cosa intendi Leurak?»
«Prima ho parlato con Miach, era preoccupato perché Kanon ha dato fuori di matto e-»

Venne bruscamente interrotto dal portoghese.
«Cosa? Kanon? Cos’ è successo, Leurak?»


Il soldato mongolo desiderò essersi morso la lingua.
Per João, Kanon e Saga erano intoccabili. Aveva fatto una promessa a Rasalhague, la madre, anni prima, promessa che aveva intenzione di mantenere.

«Calma João, non è successo niente, solo un litigio tra ragazzi. Non c’è di che preoccuparsi, lo sai come sono.»
«Leurak, devo vegliare su di loro, l’ho promesso a Rasalhague in punto di morte, non posso mancare. Tutto ma questo no.»
«Ti manca, non è vero? Ti manca ancora.»
«Sempre di più Leurak, sempre di più. Sai, credevo che sarei riuscito a far da padre ai suoi figli, ad essere la figura che Goran non è riuscito e non è potuto essere, speravo che le cose sarebbero potute andare bene per tutti. E invece…Rasalhague è morta, ha lasciato due bambini piccoli dei quali dovrei prendermi cura e non riesco. Non posso lasciare che loro, per colpa mia…»

«Smettila di piangerti addosso, razza di letto a baldacchino che non sei altro. Hai fatto del tuo meglio e questo basta. Avranno una vita di merda, rassegnati a questo. Non saranno mai bambini normali e lo sapevi da parecchio tempo, e lo sapeva anche lei. Solo che lei ne era fiera; madre di due prescelti; anche se uno di loro non vestirà mai l’armatura, a meno che il fratello muoia. E anche tu, come Galgo, non sei portato per frignare.»
«Leurak, non puoi capire.»
«Posso capire benissimo. Non ti rendi conto di quanto mi sia pentito di essere rimasto qui. Maledico ogni giorno il momento in cui ho visto i capelli di Galgo ondeggiare a destra e sinistra. Non mi piace quello che vedo, João, non mi piace proprio. Io vorrei vedere tutti questi bambini giocare, gridare, ridere, non li voglio vedere mentre si prendono a pugni e imparano a combattere. Decisi di rimanere perché mi sembrava tutto così bello e diverso rispetto al mondo esterno, ma mi rendo conto che le cose non sono come sembrano. Soprattutto perché mi vesto come Leonida e vivo duemilacinquecento anni dopo di lui.»
«Non perdi mai la voglia di scherzare. Questo mi piace di te, molto. Vorrei avere il tuo stesso spirito, davvero.»
«Scherzo per non mettermi a piangere, solo per questo. Vorrei portare via questi bambini e distruggere questo posto, dire ad Atena di ricontattarli da adulti, quando saranno in grado di decidere, come abbiamo fatto noi. Questo sarebbe giusto. Non hanno libero arbitrio João.»
«Lo hanno Leurak, solo che la loro strada è già segnata, come lo è stata la mia. Io ho scelto di camminare con calma. Loro faranno altrettanto. Decideranno se camminare o correre, se andare scalzi o usare scarpe pesanti. Questo dipende da ogni singolo uomo.»
«Non mi sembra che abbiano facoltà di scelta. Non possono scegliere che fare della loro vita, non possono. Saranno soldati o moriranno nel tentativo di diventarlo. Che scelta hanno in questo?»
«Sono destinati a fare grandi cose Leurak, cose che chiunque vorrebbe poter fare. Sono nati sotto la luce delle costellazioni maggiori, le più importanti, le costellazioni dell’eclittica. Sono nati forti e caparbi, saranno in grado di affrontare tutto e combattere al meglio per Atena, proteggere il mondo e l’umanità.»
«Sarà che io non ho un cosmo, ma non vedo tutto questo splendore nel farmi il culo per salvare il mondo. Lo farei, ma non sono certo che il mondo se lo meriti, ci sono troppe cose brutte là fuori.» disse guardando oltre le mura di confine del Santuario, dove sapeva esserci la città di Atene.
«Leurak,  ancora non comprendi il perché di tutto ciò. Prima accetterai che ognuno di noi ha un posto nel mondo e prima questi pensieri cesseranno di affollarti la testa. Là fuori, in mezzo all’orrore e alla crudeltà, ci sono bambini innocenti quanto quelli che vivono dentro queste mura. Non meritano di avere una possibilità? Ci sono tante persone che non sono in grado di difendersi. Dovrebbero morire?»
«No…non sto dicendo questo, barattolone. Non mettermi in bocca parole che non ho detto. Dico solo che non è giusto che una manciata di bambini deve vivere qui dentro e imparare ad uccidere quando esistono bambini che vivono la spensieratezza della loro età. Tutto qui.»
«Capisco cosa intendi, ma non scordare che anche lì fuori ci sono bambini che muoiono e uccidono. Ci sono guerre ovunque, inequivocabile segno che la venuta di Atena si avvicina. Solo lei può mettere fine a queste ingiustizie. Non c’è tutta l’ingiustizia che vedi, tappo. Coraggio.»

Continuarono a parlare.
Entrambi rimarcavano i punti sui quali non erano d’accordo. Si rimbeccavano amichevolmente, senza riuscire a far ragionare l’altro. Il concetto di giustizia non è assoluto, anche João ne era consapevole, ma voleva che Leurak vedesse quella sorta di equilibrio che andava formandosi tra il mondo esterno e quello interno al Santuario. Il portoghese non vedeva l’ingiustizia dove la vedeva Leurak. Per João il fatto che molti bambini nascessero protetti da una costellazione, e che potessero crescere e formarsi nel Santuario, era da considerare un’ ancora di salvezza. Appiglio non offerto a numerose creature, costrette dal destino ad una vita di sofferenze, senza avere un’opportunità effettiva di rivalsa.
Leurak sembrava non considerare il numero di bambini rimasti orfani in tutto il mondo, o forse il suo limitarsi era volontario.
Si rendeva conto della sofferenza dell’amico nel guardare negli occhi, ogni giorno, tutti quei fanciulli che stringevano amicizia, con l’unica certezza che non sarebbero durate, interrotte dallo spezzarsi delle loro vite. Sarebbero morti giovani. Tutti.
Chi indosserà l’armatura morirà in battaglia, chi non riuscirà morirà nel tentativo di prenderla.

«Dai, - disse Leurak – per i discorsi tristi c’è sempre tempo, per far contento Milo no.»
Il portoghese sorrise. In fondo non era importante quello che pensavano singolarmente della giustizia e tantomeno lo era la loro personale visione della vita. L’importante era la volontà di migliorare le cose, di sacrificarsi perché anche solo una persona potesse stare meglio e sorridere, e Leurak era un mago in questo.
Avrebbe fatto di tutto perché i bambini soffrissero il meno possibile della loro condizione, e come l'amico lui avrebbe fatto lo stesso, così come lo avrebbe fatto ogni abitante del Santuario.
L’unica cosa indispensabile per un guerriero di Atena, sia egli un soldato semplice, un cavaliere d’argento o d’oro o di bronzo, era la volontà di cambiare le cose. L’applicarsi senza remore per un fine superiore: la gioia e la salvezza del prossimo. Non c’era niente di più nobile per João.

«Ti dai tanto da fare per i bambini, saranno contenti di giocare con i corvi.» disse.
«Che c’entra?»
«Niente, pensavo ad alta voce. Constatavo che passi tanto tempo con i piccoli.»
«Anche tu se è per questo. E comunque anche loro devono poter divertirsi e giocare, come i loro coetanei, e se non glielo permette la vita glielo permetterà Leurak.» mentre parlava si batteva il pugno sul torace, accompagnando il gesto da un sorriso.
«Vai, Milo ti starà aspettando, io volevo andare a vedere se ai miei protetti è passata la febbre, ma forse è tardi, l’ora della cena si avvicina.»
«Appunto perché è quasi ora di mangiare che dovresti andare. Più tardi passo anche io a trovarli, dopo aver mostrato i corvi a Milo. Ho chiesto a Josie – quella nutrice morettina, carina – stamattina e mi ha detto che avevano ancora qualche lineetta di febbre. Ovviamente per stamattina intendo tre ore fa.»
João si lasciò andare ad una risata mentre Leurak richiamò a sé i pennuti con una rapida serie di fischi, acuti e brevi. Si salutarono e si divisero; ognuno per la propria destinazione: la polverosa arena dei piccoli e il dormitorio dei ragazzi.

Il portoghese era più sereno, le chiacchiere con Leurak, per quanto tristi, riuscivano sempre a tirargli su il morale. Condivideva i dubbi dell’amico, comprendeva quanto si sentisse inadeguato per il ruolo che ricopriva, anche se semplice soldato, ma la sua testardaggine e il suo impegno per far vivere i bambini spensierati era ammirevole.

Quel giorno Leurak aveva svolto la funzione di muro di sfogo già due volte; con Galgo prima e ora con João. Era fuori discussione la vitalità del soldato mongolo, l’unico in grado di trascinare sullo scherzo anche le situazioni più nere. 

Appena giunto nell’ampio spazio terroso, Leurak venne assalito da una valanga di bambini ansiosi di toccare i corvi. Non vedeva Milo, si guardava attorno nella speranza di vederlo e porre fine alle assillanti richieste del bambino.

**

Milo e Aiolia stazionavano circospetti nello stanzone che li ospitava, parlottavano a bassa voce. Milo esponeva all’amico il piano per andare a conoscere i tre bambini.
Non sapendo dove si trovassero, decise che avrebbero curiosato in ogni stanza del dormitorio. Se non li avesse trovati il giorno, in quel momento, avrebbe ripetuto la ricerca ogni giorno. La cosa più importante era non farsi scoprire.
«Devi guardare il corridoio, se le streghe mi vedono mi sgridano.» disse Milo guardandosi attorno in modo circospetto, prima a destra e poi a sinistra.
«Sì, ho capito» rispose Aiolia con un sorriso, sicuro di divertirsi per il gioco.
«Poi sgridano anche a te perché sei qui con me, poi Aiolos perché ci ha portati qui»
«Non è vero! Aiolos ha portato solo me. Tu ci hai seguiti!».
Aiolia era infastidito dalle illazioni di Milo.
«Sono venuto per aiutarti! Siamo amici noi!» si discolpò il piccolo greco, negando la sua curiosità riguardo le faccende dei fratelli.
Aiolia non voleva che il fratello venisse sgridato, benchè non capisse a cosa si riferisse Milo, ma acconsentì quindi alla sua richiesta; avrebbe fatto da palo, chiedendo solo che facesse in fretta.

«Fai in fretta. Aiolos deve allenarmi prima di andare a dormire, e io devo diventare forte come lui.»
«Sì - rispose Milo - tu però stai attentissimo.»
Aiolia annuì deciso.
«Andiamo.» dissero assieme.


S'inoltrarono per i corridoi che li separavano dalla camerata dei più grandi, a passo lento e guardandosi attorno.
Arrivati all'ingresso della sala, Aiolia si nascose dietro una colonna, pronto a fare quello che Milo gli aveva chiesto e ad avvertilo nel caso sopraggiungesse qualcuno.

Milo fece capolino, osservando i letti.
Li vide, ognuno seduto sul proprio letto con i vassoi della cena sulle coperte intenti a parlare. Li aveva trovati.
Il lato positivo della malattia risiedeva interamente nel fatto che i pasti venivano portati in camera, con quasi un'ora d'anticipo rispetto agli altri.

Angelo,era irrequieto, raccontava dell'orfanotrofio agli altri due, soffermandosi soprattutto sulle ripetute zuffe. Tyko rideva divertito e Shura sorrideva dei racconti.

«L'ho preso per ... qui! - disse tirandoi il lembo della maglietta dietro il collo - e l'ho lanciato contro l'amico. Poi è arrivato Vittorio e mi ha spinto contro il muro. Stavo per vincere e poi sono arrivate le suore.»
«E poi cos'è successo?» domandò Tyko incuriosito.
«Mi hanno messo in punizione. Tsk.»
«E cosa ti hanno fatto?» continuò Shura.
«Mi hanno torturato! Le suore si trasformano in mostri con le ali, ali da pipistrello e ti mordono!»

«Bugiardo - esplose Tyko - le persone non si trasformano in mostri. Non si può!»
«Dici così solo perchè non hai conosciuto quelle. Brutte e antipatiche.»

Erano sereni e i sintomi causati dal vaccino erano scemati. Sarebbe stato concesso loro un altro giorno di riposo, poi avrebbero iniziato gli allenamenti e le lezioni con il gruppo.
Il loro legame si era rafforzato, sembrava fossero fratelli.

Milo aveva ascoltato ogni singola parola dell'italiano, ridacchiando per l'entrata in scena che aveva pensato.
Entrò dirigendosi a passo sicuro verso il letto di Tyko, il più vicino alla porta..

Una volta arrivato fissò il biondo, che ricambiò con aria perplessa, e parlò.
«Ciao, io sono Milo. Tu sei nuovo vero?»
«Sì, sono Tyko.»
«Perchè siete qui e non fuori?» domandò curioso.
«Ci hanno fatto i vaccini e ci è venuta la febbre.»
Milo, alla risposta dell’altro, sfoggiò un incredibile sorriso. La notizia della malattia gli aveva dato un'idea a suo dire fantastica.


Salì con fatica sul letto. Il bambino aveva solo tre anni, anche se a giudicare dalla parlantina ne dimostrava qualcuno di più. Una volta sul letto mise la mano sulla fronte dello svedese.
«Non hai più la febbre!»
Mise una mano in tasca e tirò fuori una caramella, il premio per non avere più la febbre. Gliela diede, ottenendo un sorriso come ringraziamento.
Scese dal quel letto per salire su un altro: quello di Angelo.
«Io sono Milo, come ti chiami?»
«Angelo». L’italiano era divertito dal comportamento quantomeno bizzarro del piccolo greco. Sorrise e si lasciò mettere la mano sulla fronte.
«Anche tu non hai più la febbre.»
Anche Angelo ricevette la sua caramella. Ora toccava a Shura.
«Io so-» il piccolo greco venne bruscamente interrotto.
«Tu sei Milo, l’ho capito, l’hai già detto. Io sono Shura.»
«Tu sei antipatico.» Milo c’era rimasto male. Non gli piaceva essere interrotto. Amava stare al centro dell’attenzione e doveva starci a qualunque costo.
Salì comunque sul letto dello spagnolo e gli mise la mano sulla fronte.
«Bravo, sei guarito anche tu. Però non ti do la caramella.»
Scese dal letto e se andò senza dire altro.


**

Solo pochi minuti prima João era entrato nel tempio.
Si diresse tranquillamente verso la stanza dei tre, ma si fermò quando vide una schiena a lui ben nota: quella di Aiolia.
Lo vedeva intento ad osservarsi attorno, mentre girava  continuamente la testa a destra, a sinistra e davanti a lui. Guardava ovunque meno che alle proprie spalle.
Il portoghese, basito, si chiese cosa facesse lì.
Si avvicinò al piccolo, in silenzio, e lo colse di sorpresa sollevandolo per le spalle.
«Preso!»
Il piccolo si spaventò e dopo qualche secondo di immobilità totale si voltò lentamente, fino a sospirare di sollievo nel vedere l'adulto.
«Che stai combinando? Scommetto che sei con Milo. Dov'è?» gli chiese mentre lo poggiava a terra.
In risposta il bambino si portò l'indice davanti alla bocca.
«Ssh!!»
Con un gesto fece avvicinare João er sussurrargli all'orecchio.
«Non dire niente a nessuno, Milo sta conoscendo i nuovi arrivati, se ci scoprono ci sgridano.»
Sorrise il cavaliere d'argento. Capiva la curiosità del moro e la curiosità del biondo.
«Devi tenere il segreto.» continuò Aiolia. Il gigante annuì.

«Certo, però se facciamo la guardia da quella colonna laggiù vediamo da tutte le parti. Andiamo.»
I due si spostarono, ma la colonna, per quanto fosse massiccia, non copriva il portoghese, ma mascherava completamente quella di Aiolia.
D'un tratto Milo si catapultò fuori della stanza, lo fissò, gli sorrise e poi tornò dentro.


**

Shura era totalmente disinteressato ai capricci di quel moccioso. Gli interessava solo uscire da quella stanza. Non riusciva a stare per troppo tempo chiuso dentro lo stesso posto. Quando si ammalava, e viveva ancora a Toledo,  riusciva sempre a sgattaiolare fuori senza che i genitori se ne accorgessero. Quando non riusciva a uscire per qualche minuto, di nascosto, apriva una finestra e respirava un po’ aria fresca. Odiava la reclusione, che fu anche il motivo delle sue escandescenze all’arrivo ad Atene.
«Perché l’hai trattato così? E’ simpatico, poverino, poi è piccolo.»  Tyko rimproverava l’amico completamente appoggiato da Angelo.
Shura non rispose. Sapeva che i due avevano ragione. Si limitò a scrollare le spalle e girarsi. Stava male quel giorno. Gli mancavano i genitori.
Per la prima volta, dal loro omicidio, ne sentiva davvero la mancanza. Mai si era sentito solo come in quel momento. Aveva voglia di piangere, ma era un bambino orgoglioso. Aveva già pianto troppo da quando era arrivato ad Atene. Oltre alla tristezza dovuta alla nostalgia della sua famiglia, si aggiungeva anche il senso di colpa per aver trattato male un bambino che cercava solo di farlo star meglio. Davvero avevano ragione Tyko e Angelo. Non si sarebbe dovuto comportare così. Anche la madre lo avrebbe rimproverato.


Angelo e Tyko osservavano incuriositi il comportamento dell’amico. Era la prima volta, da quando si conoscevano, che si comportava in quel modo. Mentre cercavano uno sguardo di intesa, tra loro, per consolarlo, Milo rientrò di prepotenza nella stanza, di corsa. Sembrava un piccolo tornado. Si mise davanti a Shura, fissandolo negli occhi e gli sorrise beffardo, proferendo:
«Non è giusto che tu non abbia la tua caramella. La febbre ti è guarita, quindi devi avere il premio.»
Milo porse la caramella a Shura. Questi allungò la mano e la prese.
«Grazie Milo. Scusami per prima.»
Il piccolo greco sorrise. Scuse accettate.
«Perché sei triste?»
Shura sgranò gli occhi. Un bambino che aveva appena conosciuto gli chiedeva perché era triste. E lo faceva con l’espressione più dolce e premurosa del mondo disegnata sul volto.
«Non sono triste – rispose poco convinto – sono solo un po’ stanco.»
«Non si dicono le bugie. Ma se non mi vuoi dire perché non ti do altre caramelle.»
Milo passava al ricatto. A Shura non interessavano le caramelle. Non le aveva mai apprezzate troppo. Preferiva il sapore dolce della frutta vera. Però si era reso conto che a quel bambino interessava davvero il motivo della sua tristezza. Che male avrebbe fatto se glielo avesse detto?
«Mi mancano i miei genitori.»
All’udire quelle parole, Tyko e Angelo abbassarono la testa, rapiti da vecchi ricordi. Angelo li vide l’ultima volta due anni fa, Tyko pochi mesi prima. 
«Com’erano i tuoi genitori?» Milo, curioso di come fosse avere dei genitori, chiedeva a chiunque.
«Buoni.»
«Io, i miei, non li ho mai conosciuti. Mi hanno detto che sono stato trovato vicino a questo posto che ero appena nato. Non so com'è avere dei genitori, ma credo bello.»
Shura voleva picchiarsi con le sue stesse mani, ma dopotutto, lui, come poteva sapere della triste sorte di quel bambino?
«Mi spiace Milo, io non volevo fartici pensare»
«A che?»
«Come a che? Ai tuoi genitori.»
«Ma io li ho, non veri, ma non ne solo ho due. Ne ho un sacco – disse allargando il più possibile le braccia – anche il Gran Sacerdote è mio padre.»
Milo sorrideva. Gli altri tre bambini lo guardavano inebetiti. Mai visto un ottimismo del genere in nessuno. Neanche credevano che potesse esistere un bambino così solare e gioioso. Eppure lo avevano davanti.
D’un tratto si sentirono le voci delle nutrici. Cercavano Milo e, a giudicare dal tono di voce, erano davvero preoccupate.

João udì il richiamo delle donne e rapidamente fece allontanare Aiolia, appena in tempo.
Le ragazze comparvero e dopo un rapido saluto si accinsero ad entrare nello stanzone, sicure di trovare lì il piccolo Milo.

Milo non rispose al richiamo. Stette zitto e, portandosi l’indice davanti alla bocca, fece intendere agli altri di non dire nulla a loro volta. I tre sorrisero divertiti e stettero in silenzio. Milo ebbe appena il tempo di nascondersi sotto al letto di Shura. Le nutrici entrarono di corsa nella camerata e si guardavano attorno.
«Come facciamo a perderlo sempre?» chiese una delle due.
«Non siamo noi che lo perdiamo, è lui che scappa in continuazione - rispose l’altra con tono alterato – Bambini, voi l’avete visto? Lo conoscete? E’ un bambino piccolo con i capelli scuri.»
I tre si scambiarono un’occhiata complice.
«Non è venuto nessuno qui» rispose Angelo, stiracchiandosi.
«Vero – Tyko continuò nella bugia – Siamo rimasti soli tutto il giorno.»
Le nutrici, che conoscevano i bambini e i loro modi di fare, non si lasciarono ingannare.
«Diteci la verità»
«Va bene – intervenne Shura – ci hanno portato la cena prima e ora ci siete anche voi. Non siamo rimasti da soli tutto il tempo.»
Le nutrici ebbero la certezza che Milo era sicuramente passato a conoscere i nuovi arrivati, ma probabilmente non era più lì. Andarono via, soddisfatte del gioco di squadra dei bambini e indispettite della loro reticenza.
Appena le nutrici uscirono dalla stanza. Milo fece capolino da sotto il letto di Angelo.
Nessuno lo aveva visto spostarsi. Come aveva fatto a cambiare letto? Non fecero in tempo a chiederglielo che sfrecciò fuori dalla stanza urlando un saluto ai nuovi amici e chiamando le nutrici.
Andò a sbattere contro le gambe di 
João, che lo rimise in piedi e lo fece correre dalle donne.
Gliel’aveva fatta di nuovo. A quanto pareva  Milo amava prendersi gioco delle sue ‘mamme’.
Il bambino aveva un innato senso dello scherzo e adorava le burle. Sarebbe stato sicuramente l’intrattenimento di tutto il Santuario. Persino Sion lo temeva un po’. Non che fosse pericoloso, ma la sua fantasia galoppava talmente veloce che era impossibile prevederne il comportamento. Forse da adulto, in guerra, questo suo lato sarebbe sicuramente stato un punto forte, ma in quel momento, durante la sua crescita e la sua formazione, non era altro che un impiccio per coloro che dovevano prendersi cura di lui.








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E un po' mi  son fatta attendere questa volta.
I prossimi aggiornamenti dovrebbero essere più regolari. Forse son riuscita a dare alla storia la piega desiderata, ma non ci conto troppo, visto che la cambio ad ogni battito di ciglia... Va be' non esageriamo. Un ringraziamento particolare a Ricklee, che con gentilezza e disponibilità, mi ha aiutato a rendere un po' più reali i discorsi tra Milo e Aiolia. 
In attesa dei prossimi arrivi, ringrazio con tutto il cuore tutti i lettori, a miloxcamus e nikkith per aver aggiunto la storia tra le preferite e miloxcamus, LadyBlue e seall per averla aggiunta tra le seguite.

Infine una valanga di gratitudine a chi ha voluto farmi sapere il proprio parere: grazie *_*

Saruwatari_Asuka.
Con te mi ripeterò all'infinito, finchè non ti annoierò a morte. GRAZIE!! Leurak è un po' prezzemolino, con una lingua che taglia e cuce, ma mi piace, soprattutto scrivere di lui. Galgo si è finalmente deciso ad andare a dormire ed è ricomparso João che non poteva non aggiungersi. Il gruppo cresce e le preoccupazioni anche. E hai ragione: sempre a testa alta!! Un bacione!!

whitesary.
Per non aver commentato il capitolo precedente ti verrà inflitta una dolorosissima pena, eh sì.
Molto dolorosa. Moltissimo. Ma anche no.
Galgo è andato a dormire, in compenso riappare il gigante, del quale cominciavo a sentire la mancanza. Il piano di Milo è stato ormai svelato e si è scoperto che è una vera e propria peste, ma in futuro lo vedremo ancora in azione. Grazie di tutto cara, attenta ai tavoli e alle statue, a volte sono pericolosissimi!!

Ricklee.
Tu adori i bambini e io te li descrivo tutti. Chi prima, chi dopo. Grazie mille per i consigli e l'aiuto, io con i bambini non ci vado molto d'accordo, o meglio, loro vanno d'accordo con me e io li sopporto solo per i primi dieci secondi, prima che inizino a fare capricci. Grazie, grazie. Alla prossima!! Un bacione!!

Gufo_Tave.
Grazie mille per i complimenti, sono felice che il capitolo precedente ti sia piaciuto, soprattutto perchè non ero affatto convinta di come fosse uscito. Idem per questo, ma poco male. Ti ringrazio tantissimo e al prossimo. Ciao!

Camus.
Visto che alla fine ho postato?
Leurak è forse il più reale dei personaggi da me creati, non riesce a capacitarsi di quello che vede e la sua insicurezza lo rende davvero umano. Per Camus ti faccio aspettare ancora, ma l'attesa non sarà lunga, prometto. Aiolia non lo maltratterò troppo, avrà lo stesso trattamento riservato agli altri. Il passato di Camus è simile a quello di Hyoga, visto che padroneggia le energie fredde è giusto che sia anche il suo punto forte. Grazie mille per la recensione, alla prossima!!

Spartaco.
Ehilà caro. Beh, per email non avevamo molto altro da dirci, le disquisizioni filosofiche sui primi due oav di Lost Canvas le avevamo fatte. Hai visto il terzo e il quarto? Tienti pronto per il 21 ottobre mi raccomando.
Fortunatamente non ci sono stati tumulti, forse riesco ad arrivare a natale, o almeno spero. Camus è rimandato ai prossimi capitoli, prima facciamo passare leggermente la crisi esistenziale che attanaglia le membra di ogni santo abitante. Grazie mille! Alla prossima!!

miloxcamus.
Sei appena (un mese fa, ormai ) tornata dalla Grecia! Sappi che ti invidio.Per Camus dovrai aspettare, però intanto goditi questa dose di Milo..
Grazie mille e alla prossima!!
   
 
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