THERE’S NO PLACE LIKE LONDON
CAPITOLO III
L |
a mattina seguente, Juliet si svegliò con tutta
calma, mentre i primi raggi solari le scaldavano le guance; aprì entrambi gli
occhi e si voltò verso il comodino dove la sveglia segnava le 10:00. Le parve incredibile
di essere sveglia a quell’ora dopo aver fatto tardi -e tardi era dire poco- la
notte prima. Solitamente, quando partecipava a qualche party, o usciva con gli
amici, facendo tardi, si svegliava il mattino seguente stanca morta e con le
occhiaie bene in evidenza e delle borse da fare invidia a Louis Vuitton… se si svegliava. Il più delle volte tirava dritto
fino al primo pomeriggio, a meno che il lavoro non la obbligasse a farsi
trovare in ufficio fin dal mattino. Ma quel giorno non era uno di quelli: era
domenica. Jack e Sophie, i suoi genitori, se n’erano andati per due settimane a
Parigi, con lo scopo di andare a trovare Henry, fratello minore di Juliet, 28
anni, sposato da uno e mezzo con Marion; quindi non c’erano pranzi di famiglia
a cui partecipare, né qualsivoglia orario da rispettare.
La festa a casa di Orlando era terminata alle 4
del mattino, quando avevano fatto la loro uscita di scena la tutti gli
invitati, poco per volta, chiudendo la carrellata di ospiti con i membri del group, che si
erano dati appuntamento come al solito il mercoledì, includendo anche Orlando e
cambiando luogo di ritrovo; invece di un locale, si sarebbero visti a casa dei
genitori di Juliet a Canterbury, la quale sarebbe stata ancora libera. Dopo la
dipartita di questi ultimi invitati, Juliet si era sentita in dovere di aiutare
i due fratelli nella pulizia, visto il quarantotto che regnava sovrano nel pian
terreno. Dapprima i due non erano stati molto d’accordo, poi la testardaggine
della giornalista aveva prevalso. Alle 5 avevano finito di sistemare, ed erano
seduti sul divano, quando Jules decise che era ora di tornarsene a casa a sua
volta: ci avrebbe messo una mezz’ora con la metro -la sua fedele automobile era
dal meccanico-, ed aveva approfittato dell’ospitalità di Orlando fin troppo.
Così, si alzò con eleganza, dirigendosi verso il termosifone accanto al quale
erano appesi i suoi vestiti, ormai asciutti. Non riuscì a fare un passo, che un
braccio la tirò nuovamente sul divano.
“Che hai intenzione di fare?” le chiese Orlando
curioso.
“Andare a prendere i miei vestiti.” fu la risposta
asciutta della donna.
“Secondo me stai bene pure così.”
“Questa è una tuta di tua sorella. Non posso
andare in giro con questa.”
“A parte che mi chiedo dove tu voglia andare, poi,
scusami tanto, ma hai paura di rovinarti la nomea se ti si vede in giro con una
tuta?”
Sam, che era salita un attimo al piano di sopra
per andare a controllare che tutto fosse in ordine, lì trovò entrambi seduti
sul divano a gambe incrociate, uno di fronte all’altra, bisticciando come
bambini. Orlando si era impuntato affinché Juliet rimanesse lì a dormire,
mentre lei aveva tutte le intenzioni di andare a casa…da sola con i mezzi
pubblici, cosa che fece imbestialire ancora di più Orlando. Alla fine era stata
Sam a smorzare i toni, convincendo il fratello che magari non era il caso di
farle troppa pressione -poteva avere un impegno l’indomani, oppure non se la
sentiva di restare-, e convinse Juliet a farsi dare un passaggio a casa da
Samantha stessa. Così si erano salutati e alle 6 la giornalista era fra le
quattro mura del suo appartamento.
Ripensare a quei fatti, strappò a Juliet un
sorriso. Orlando era testardo come suo solito e non voleva nemmeno provare a
capire che quel comportamento era solo per il suo bene; era ovvio che lei
sarebbe stata più che felice di restare lì per la notte. Però, almeno fino alla
data dell’intervista, la donna doveva mantenersi il più possibile distaccata
per non andare ad intaccare la professionalità di entrambi, cosa che sarebbe di
certo accaduta se si fosse lasciata influenzare da quel ragazzo un po’ pazzo
che aveva visto rivivere nell’uomo adulto dopo tutto quel tempo. Ci avrebbero
guadagnato entrambi: lei avrebbe svolto il suo lavoro al meglio, e lui, se
tutto fosse andato per il verso giusto, ne avrebbe ricavato un buon articolo e
magari un discreto ritorno d’immagine positivo. Così, con la mente già a
lunedì, si alzò dal letto, dirigendosi in cucina dove la sua adorata Tink la stava già aspettando scodinzolante: era una kokerina che aveva trovato al canile di Canterbury, quando
aveva deciso di trasferirsi nella capitale. Se n’era innamorata subito: il
pelo, marrone chiaro un po’ arruffato; il musino vispo e quei meravigliosi
occhioni bisognosi d’affetto. E così l’aveva presa con sé, occupandosi di lei
nel più amorevole dei modi, quasi fosse una figlia.
Come ogni mattina, Juliet si mise a preparare la
colazione, dopo aver riempito la ciotola di Tink;
tirò fuori dal frigo il latte, riempiendo un bicchiere, e dopo aver preso il
barattolo dei biscotti si sedette su una sedia e cominciò a fare colazione
persa nei suoi pensieri. Fu la cagnolina a risvegliarla, leccandole una mano
che teneva a penzoloni; la giornalista la guardò e sorrise, per poi alzarsi.
“Forza, piccola, andiamo a fare due passi.” disse,
prima di sparire nuovamente nella sua stanza, uscendone poco dopo in jeans e
maglioncino, dato che le temperature erano ancora basse mentre i primi
intrepidi raggi di sole primaverili facevano capolino tra le nuvole.
Juliet e la sua compagna a quattro zampe rimasero
nel parco per tutta la mattina, passeggiando e giocando. All’ora di pranzo
fecero ritorno a casa, dove, dopo un pasto veloce, la donna iniziò a pensare
all’intervista. Ovviamente l’uscita del suo nuovo film -Simpathy for delicious-, che sembrava sancire l’inizio di
un nuovo periodo lavorativo, sarebbe stato l’argomento principale, ma come ogni
intervista che si rispetti, ci sarebbero volute quelle domande, magari un po’
pungenti, sulla sua vita privata. Così in un block notes molto sobrio, i cui
fogli erano pieni di schemi e schizzi di domande di precedenti interviste,
trascrisse un paio di domande che le erano saltate in testa, depennando poi
quelle a cui lei stessa avrebbe saputo rispondere in maniera alquanto sicura;
voleva qualcosa di nuovo, magari di non troppo creativo ed estroso. Voleva
mostrare ai suoi lettori che dietro a quell’aria da eterno Peter Pan e tombeur de femmes
consumato, c’era un uomo adulto, combattivo e capace di incantare il mondo
attraverso il suo talento.
Rilesse velocemente la lista delle domande,
trovandosi soddisfatta, poi andò al portatile dove, dopo aver aperto la casella
postale e cestinato quella di Caroline, navigò in rete guardando tra i siti ed
i forum dell’attore; la sua minima conoscenza del francese e dello spagnolo le
rese possibile qualche veloce occhiata alle pagine web in quelle lingue. Finita
quella ricerca sui gusti di coloro
che sarebbero stati probabili lettori, cominciò a preparare ciò che sarebbe
diventato il regalo per il compleanno di suo fratello: una sorta di album
fotografico che ritraeva una piccola parte di quello che era stato il loro
rapporto e ciò che si era perso andandosene a Parigi. Non tanto ciò che
riguardava lei, ma i cambiamenti esterni, come il London Eye,
l’espansione della loro città natale, il nuovo negozio che Mrs. Collins -la ex
insegnante di Henry- aveva aperto poco lontano da casa dei suoi genitori, ecc.
A cena ricevette la chiamata della madre che le
chiedeva come procedevano le cose a casa e chiederle come stava; Juliet non si
dilungò troppo, dicendole che aveva visto Samantha e che stava bene. Sophie
pensava che alla festa a cui la figlia si era recata ci sarebbero stati i
soliti amici di sempre, Orlando escluso, vista l’idea di Sam di rendere
ufficiale il ritorno in sordina di del fratello, di cui nessuno al di fuori
della sua famiglia era a conoscenza, e non aveva nessuna intenzione di dirle
dell’intervista per telefono; avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per farlo
quando i genitori sarebbero tornati. Dopo la telefonata, la giornalista andò in
salotto a guardarsi un film, per poi recarsi a letto quasi a metà film, viste
le ore arretrate di sonno che doveva recuperare; la mattina dopo la sveglia
sarebbe suonata alle ore 6.30.
E così fu. Lunedì mattina, ore 6.30. Trillo della
sveglia. Colazione a base di fette biscottate e succo d’arancio. Qualche
coccola a Tink durante la vestizione. Un filo di
trucco. Controllo borsa. E via. Una nuova giornata di lavoro.
L’entrata della giornalista alle ore 8.00 fu
accolta da qualche saluto di alcune colleghe, finché non arrivò accanto alla
scrivania della sua segretaria. Caroline portava un tailleur gessato nero e una
camicia bianca, mentre Juliet aveva un completo beige, camicia a maniche corte
bianca, calze color carne e scarpe tacco 10 dello stesso colore del completo.
“Buongiorno, Juliet.” la salutò con un sorriso la
segretaria.
“Buongiorno a te, Caroline. Tutto bene?”
“Splendidamente. Fiona è tutta gasata per il suo
articolo sul party di Paris Hilton a LA di ieri sera.
Sembra abbia visto cose incredibili, e a quanto pare un mega scoop, ma come al
solito tace come un pesce. Ha detto che se ne parlerà alla riunione della
prossima settimana. Tu, invece? Com’è andata la festa per quel tuo amico
australiano?”
“Benone, è stato molto contento di rivederci tutti
quanti.” fu la risposta della giornalista. Era stata lei stessa a inventarsi
quella panzana dell’amico australiano anche se infondo non era tutta farina del
suo sacco… non era stato Orlando stesso a dire circa un anno prima che il suo
cuore era nelle mani di un’australiana?
“Ottimo. La McMiller farà la sua comparsa per
darti qualche dritta verso le 9.00. Alle 10.30 circa chiamerà l’addetta stampa
di Bloom per fissare il giorno dell’intervista, che io consiglierei di fare questa
settimana; mercoledì, per esempio. Hai un paio di party a cui devi partecipare,
e mercoledì mi sembra il giorno migliore, oltre quello in cui dovresti essere
più fresca e riposata.” e detto ciò prese un foglietto. “E stamane c’era un
messaggio in segreteria di una certa Aileen Keshishan,
a quanto pare la manager di Bloom, che diceva che il suo cliente si farà fare
il servizio dal cugino, Sebastian Copeland, e tu lo devi contattare per
mettervi d’accordo sui tempi di consegna eccetera. Qui c’è il recapito.” e le
porse il foglietto.
“Perfetto. Altro?”
“Per ora no.”
“Bene, io mi occupo subito di Copeland. Intanto mi
guardo qualche cosa sullo schedario. Per qualunque cosa sono nel mio ufficio.”
Caroline annuì e con un ultimo sorriso, Juliet sparì
dietro la porta del suo ufficio. Guardandosi intorno, la giornalista non riuscì
a trattenere un sorriso: pochi giorni e avrebbe avuto tra le mani la penna per
uno degli articoli che più aveva desiderato scrivere. Cercando di riprendere un
certo contegno, si avviò alla scrivania, si sedette e guardò il foglietto con
il numero del fotografo, che aveva posato in cima allo schedario di Orlando.
Conosceva Sebastian: si erano conosciuti da adolescenti, visto l’attaccamento
tra lui ed Orlando. Inoltre aveva visto i lavori fatti da Sebastian,
specialmente quelli sul cugino, che le erano piaciuti particolarmente. Con
calma, compose il numero e attese, finché dopo un paio di squilli, la voce
familiare e matura di Sebastian le rispose.
“Studio Copeland.”
“Salve, sono la giornalista Juliet Wollstonecraft
e vorrei parlare con…”
“Jules, non fare la formale con me. Sei la
giornalista più temuta del globo, la migliore amica del mio adorato e
scellerato cugino, la mia prima ragazza seria; ti conosco sotto tutti questi aspetti,
e tu mi tratti come uno sconosciuto?”
“Si da il caso che io sia nel mio ufficio, e che
nonostante tutto mi ritrovo nuovamente intrappolata in questa rete, e voi due
non siete cambiati di una virgola. Avete per caso i geni che non maturano in
famiglia?” gli rispose lei per le rime.
“Come siamo suscettibili. Svegliata male questa
mattina?”
“No, sto semplicemente cercando di fare il mio
lavoro. Ma voi due non mi aiutate per niente.”
“E così nessuno è a conoscenza delle tue amicizie
d’infanzia.”
“No, e gradirei che nessuno lo sapesse.”
“Ho capito, ne va della tua reputazione. Allora,
Miss Wollstonecraft, che tipo di servizio le serve?” le chiese Sebastian,
tornando formale, ma con un pizzico di ironia.
“Punto primo non ne va della mia reputazione, ma
di quella di Orlando. Se si sapesse quello che siamo l’uno per l’altro pensi
che mi farebbero fare questo articolo? Comunque, tornando al servizio, non
voglio qualcosa di già visto. L’articolo cercherà di vertere sulla professione
dell’intervistato, più che sul gossip. Quindi opterei per qualcosa di semplice,
ma allo stesso tempo originale, non so se mi piego. Dovremmo mostrare l’attore,
l’uomo maturo…”
“In poche parole, devo essere buono e caritatevole
verso di lui, e fargli il servizio che lo aiuterà a ristabilire la sua
posizione, aggiungendomi alla coppia Samantha-Juliet…”
“Vedo che avete centrato il punto, Mr. Copeland.”
“Sei una delusione, Jules. Pensavo che gli avresti
teso una trappola con i fiocchi.”
“Non si preoccupi, dell’intervista me ne occupo
io. Lei si preoccupi del servizio, e veda di non consegnarmi un servizio sulla
coppia del secolo, o se ne pentirà amaramente.”
“Che bello sentire che tutta la generazione più
giovane della famiglia è unita…”
“A parte che non sono della famiglia. E poi Colin
ha la mia età per caso?” gli chiese. Colin Stone, padre biologico di Orlando e
Samantha, era l’unico tra gli adulti
a conoscenza delle mirabolanti peripezie del figlio.
“Lui è l’eccezione che conferma la regola. E tu
sei praticamente di famiglia; ti ricordo che hai passato più tempo con lui di
tutte le barbie che gli sono state accanto in questi anni… tornando al mio
lavoro, per quanto lo vuoi pronto? A quanto ne so, Miranda torna a New York
all’inizio della prossima settimana, e subito verrà qui, se lui non sarà
tornato in America. Quindi mi velocizzerei lavorando questa settimana. Stessa
cosa vale per te, se non te la vuoi beccare tra i piedi.”
Juliet stava per iniziare a rispondere, quando
Sarah McMiller, il suo capo, entrò nel suo ufficio. La giornalista si schiarì
la voce e riprese. “L’intervista dovrebbe essere fissata per mercoledì
pomeriggio, se Mr. Bloom non ha altri impegni.”
“Allora direi di farlo lavorare anche il mercoledì
mattina… via il dente, via il dolore. Anche perché immagino che il giovedì mattina
sarà irreperibile. Un uccellino esagitato mi ha detto che il group si riunisce
al completo.”
La giornalista avrebbe voluto rispondergli a tono,
ma la presenza del suo capo non glielo permise. “Direi che non ci sono
problemi, a questo punto. Attendo i negativi per sabato. Conosce l’indirizzo
della redazione?”
“No, ma ho la sensazione che ti chiamerò non
appena saranno pronti, mio unico amore.” la stuzzicò, ma non sentendo risposta,
Sebastian riprese. “Ora, visto che sei in compagnia, e non posso provocarti a
dovere, ti lascio tornare al tuo lavoro. Io ho il culo di mio cugino da parare
con un bel cuscino di piume e se non lo faccio a dovere, la sua migliore amica
mi cazzia.” e ridacchiò. ”È stato un piacere, Miss
Wollstonecraft.”
“Arrivederci, Mr. Copeland.”
Quando riattaccò, il suo capo la osservò
sorridente. Ricordava ancora il primo giorno in cui quella ragazza si era
presentata nel suo ufficio, vestita con quello che forse era il suo primo
completo: non sembrava nemmeno il suo da quanto era in contrasto con quel suo
viso da ragazzina appena uscita dal liceo. Con il tempo però quel viso si era
talmente modellato a quel modo di vestire e comportarsi, che della ragazzina si
era persa ogni traccia; c’era una donna fatta e finita al suo posto. Una giornalista
che col tempo aveva creato un’aura particolare attorno a sé. Una giornalista
che non aveva nessuna paura di far crollare o innalzare un qualsivoglia
personaggio pubblico. Cercava di andare oltre i suoi pregiudizi e le sue
aspettative, costruendo interviste che mostrassero il vero volto
dell’intervistato, facendo sì che fossero gli stessi personaggi a fregarsi,
rimanendo intrappolati da soli, in maniera positiva o negativa.
“Allora, hai studiato?” le chiese.
La giornalista annuì. “È stato più facile del
solito.” spiegò. “Molti dei suoi film sono blockbuster, e quindi famosi
abbastanza da averli visti. Per quanto riguarda i meno famosi, è bastata una
lettura allo schedario.” mentì. “Ed era un anno che non lavorava prima di
questo film. In conclusione sembra una preda abbastanza facile da inquadrare, a
meno che non nasconda qualche asso nella manica.” osservò la giornalista. In
realtà aveva visto ogni suo film e avrebbe tirato fuori dalla star quegli assi
nella manica che lui stesso nascondeva con estrema naturalezza.
“Sembra che tu ti sia fatta una certa idea su di
lui.”
“Mi sembra abbastanza ovvio. Da quello che ho
letto nello schedario, ultimamente sembra molto più interessato al gossip che ad
altro, ma questo lo sapevamo già bene da un po’ o sbaglio?” e alzò un
sopracciglio. “Sarà interessante capire come quello che doveva diventare la
nuova stella nel firmamento di Hollywood, il nuovo Johnny Depp, si sia
trasformato in un burattino di pezza. Sarà un’intervista alquanto
interessante.”
Improvvisamente la porta dell’ufficio si aprì,
facendone entrare Caroline, coperta dal seno in su da un gigantesco mazzo di
fiori… gialli. Per un attimo Juliet si chiese chi potesse essere il mittente,
ma il suo sguardo incrociò la freccia incorniciata sopra la sua porta, dandole
la soluzione immediata e facendola sorridere. Si alzò dalla sedia e svuotò un
lungo vaso di vetro in cui c’erano alcune rose ormai secche, le tolse dal vaso,
cambiò l’acqua, rovesciando quella delle due rose in un vaso di ciclamini che
aveva su una mensola e usando dell’acqua naturale per riempire nuovamente il
contenitore. Si fece passare il mazzo che liberò dalla carta velina che lo
avvolgeva, mise i fiori nel vaso e lo posò sulla scrivania, colorando la stanza
e illuminandola maggiormente… o così parve alla giornalista.
“Non pensavo che Efron
fosse così stupido da capire quanto fosse critico il tuo articolo.” osservò la
McMiller, ricordando l’ultima intervista di Juliet in cui il teen idol Zac Efron si era impantanato da
solo, confezionando così la sua peggiore intervista.
“Non sono da parte sua…” le rispose Caroline,
passando un biglietto alla giornalista, che nascose la preoccupazione per le
parole della sua segretaria. Non poteva avere avuto la malsana idea di venire
allo scoperto in quel modo. Ma quando prese tra le mani il biglietto e lo
lesse, le preoccupazioni svanirono; scritto a mano, in una calligrafia a lei
incredibilmente familiare c’era un brano un prosa.
This is it, Adam, that grieves me:
and the spirit of my father,
which I think is within me,
begins to mutiny against this servitude.
I will no longer endure it,
though yet I know no wise remedy how to avoid it.
Juliet si ritrovò così a sorridere in maniera
talmente naturale, che le due donne presenti non si capacitarono di quella
cosa. Era difficile vedere quell’espressione sul suo volto e per loro
significava qualcosa di particolarmente importante. Quel sorriso perdurò anche
quando la giornalista posò il biglietto sulla scrivania.
“Allora, la temibile giornalista ha un
ammiratore…” osservò il suo capo.
“Non è un ammiratore.” le rispose prontamente.
“Non credo abbia nemmeno mai letto un mio articolo. È semplicemente un amico.”
…e uno degli unici in grado si far sparire il temibile dalla mia nomea, accidenti a lui; fu il pensiero
inespresso.
“Un amico che manda dei fiori?” chiese Caroline,
interrogatoria.
“È una sua prerogativa. Mandare fiori e creare
anonimamente scandalo… e far sì che sia il centro del mondo di tutti, compresi
quelli che non lo conoscono.” osservò un poco caustica, cosa che sembrò
soddisfare le due donne oltre che placare le loro curiosità.
“Tornando al lavoro, ho sentito che stavi parlando
con Copeland.” interruppe l’indagine la McMiller.
“Sì, ho parlato con lui e sembra che si occupi del
servizio mercoledì mattina. Mi sembra una persona molto professionale.”
“È sempre suo cugino; cercherà di aiutarlo.”
“Per quanto possa essere perfetto il servizio, è
l’intervista quella che avrà maggior spazio, o sbaglio?”
La McMiller annuì soddisfatta. “Nonostante tutto,
la giornalista prevale.”
“Così pare…”
“Bene, io torno al mio lavoro. Buona giornata a
tutte.” e detto ciò Sarah McMiller uscì dall’ufficio di Juliet, lasciandola con
la sua segretaria, la quale continuava a fissare i fiori che capeggiavano sulla
scrivania.
“È il tuo amico australiano, vero?” chiese
Caroline, curiosa. A quanto pareva, la risposta della giornalista non era stata
soddisfacente. L’altra donna annuì, facendo comparire sul viso di Caroline un
sorriso soddisfatto.
“Ma non pensi che lui possa pensare a te come a
più di un’amica?”
“Assolutamente no!” le rispose Juliet, scoppiando
a ridere divertita. “È fidanzato e felicemente con la ragazza perfetta, e poco ci manca che si
sposino…”
Detto ciò la segretaria la lasciò, tornandosene
alla sua scrivania, mentre Juliet si sedette alla sua lanciando un’occhiata ai
fiori per poi cominciare a sfogliare lo schedario; come aveva previsto non
c’era nulla che lei già non sapesse, ma si mise lo stesso a rimirare le foto
presenti, cercando di osservarne i particolari con occhio critico, ma l’unica
cosa che rivedeva erano ricordi, momenti indimenticabili che non l’avrebbero
mai lasciata. Passando poi alle foto delle fiamme più o meno presunte
dell’attore, cercò di contenere le risate: Orlando era continuamente alla
ricerca di una storia, la vita da scapolo non faceva per lui, e questo suo
atteggiamento non veniva dal fatto che per lui le donne erano una sorta di
trofeo, ma dal fatto che aveva vissuto la sua vita circondato per la maggior
parte da donne, in particolar modo sua madre e sua sorella.
Osservò le foto che lo ritraevano con Kate Bosworth, la più lunga e forse più importante storia che
aveva avuto; le due ragazze si erano pure conosciute, visto che Orlando voleva
il suo parere prima di presentarla alla famiglia. Al primo impatto le era
sembrata una ragazza per bene, un poco timida; di certo non spiccava per
bellezza, ma Juliet era certa che la particolarità dei suoi occhi -ne aveva uno
azzurro e uno color nocciola- fosse stata una forte componente attrattiva,
specialmente per uno come Orlando. Durante quella storia, che la giornalista
aveva seguito attraverso quello che Sam le raccontava, Orlando sembrava avere
trovato il suo equilibrio, barcamenandosi tra il lavoro e la sua ragazza.
Sembrava che tutto andasse per il verso giusto… ma la realtà era diversa.
Certo, le colpe per quella separazione non erano unicamente di Kate, ma lei
aveva superato ogni limite. E così dopo un paio di tira e molla, era finita del
tutto. Dopo di ché erano circolate voci riguardo presunti flirt con colleghe
famose, finché non era arrivata Miranda, con cui ormai stava da un annetto.
Questi pensieri vennero interrotti dallo squillo
del telefono, a cui la giornalista rispose, tornando con i piedi saldamente per
terra. Dall’altra parte della cornetta, Caroline la informò che la manager di
Bloom era al telefono.
“Passamela…” le disse Juliet, aspettando che la
linea passasse al suo telefono. Quando ciò avvenne e sentì il telefono della segretaria
terminare la connessione, prese un profondo respiro. “Salve, Miss Keshishan.”
“La tua segretaria è uno schifo, Jules, lasciatelo
dire. Non ha nemmeno riconosciuto che la voce non era quella di Aileen ma di
Sam…” le rispose la voce parecchio divertita di Orlando, che ridacchiava.
Juliet spalancò la bocca, per poi scuotere la
testa sorridendo, mentre con una mano sfiorò uno dei fiori. “Io meglio che non
commenti… e per quanto mi riguarda in questo momento dovrei malamente chiudere
questa conversazione.”
“Quindi nessuno lo sa…”
“Non un’anima.”
“Perché?” le chiese.
“Cosa?”
“È da ieri sera che me lo chiedo ma non riesco a
trovare una risposta. Perché hai fatto tutto quello che hai fatto? Ieri sera
mia sorella mi ha fatto una capa tanta sul fatto che
mentre io sono un pazzo incosciente e squilibrato, tu eri qui a cercare di
mettere tutto nell’ordine giusto. Io non ho fatto altro negli ultimi 6 anni che
fregarmene di tutti e tu invece non hai perso un attimo di tempo.”
“Si chiama amicizia non per niente.” lo fermò lei,
tranquilla. “Smettila di preoccuparti di cose che non hanno alcun senso, se non
quello di farti sentire in colpa. Quello che devi fare ora è concentrarti su
quello che ti aspetta questa settimana.”
“Aileen mi ha detto che mercoledì avrò il giorno
occupato…avete intenzione di ridurmi ad un vegetale tu e mio cugino?”
“No, ma ti avverto che ho chiesto espressamente a
tua sorella che la tua manager e la tua agente stampa non sappiano niente di
me… è per il tuo bene… se si sapesse in giro non potrei lavorare mercoledì e
non voglio nemmeno pensare a quello che succederebbe.”
“Hai paura di perdere il lavoro?” le chiese, un
pochino piccato.
“No, testa dura, del mio lavoro non me ne frega
niente! Se vuoi la peggiore intervista della tua carriera basta che me lo
chiedi e vado a prendermi un megafono e urlo ai quattro venti tutto… compreso
che i fiori che sono sulla mia scrivania sono i tuoi.” gli rispose per le rime.
“Lo capisci? Ti sto cercando di aiutare e non ho nessunissima intenzione di
fallire; non questa volta.”
“Capito. Allora ci vediamo mercoledì pomeriggio.”
disse Orlando, e il suo tono era particolarmente mogio e dispiaciuto.
Juliet sospirò. “Sì. Mi ha fatto piacere
sentirti…” e riattaccò.
Qualche minuto e fu la volta dell’agente stampa
dell’attore, con cui rimase al telefono parecchio tempo: Mrs. Baum era d’accordo sulla data dell’intervista, ma aveva
voluto essere a conoscenza delle domande, cosa che Juliet le negò,
assicurandola che non si sarebbe troppo intrufolata nella sua vita privata, cosa
che non faceva mai con piacere. Avrebbe tenuto come punto focale l’uscita del
nuovo film, e su quello la donna ne poteva stare certa. Alla fine di
quell’interminabile telefonata, era ormai ora di pranzo e Juliet decise che era
ora di andare a mettere qualcosa sotto ai denti; solitamente usciva con
Caroline in un bar lì accanto, ma quel giorno non si sentiva dell’umore adatto.
Così salutò la sua segretaria e presa la metropolitana, si allontanò dal suo
ufficio, finendo così a Kensigton Park. Lì entrò e preso
un panino in un chiosco all’entrata, cercò un luogo solitario dove consumare il
suo pranzo.
Quella telefonata che Orlando gli aveva fatto e le
parole che lei gli aveva detto gli erano pesate più di quanto non lo facesse
vedere: erano la verità, ma era stata abbastanza caustica verso di lui,
trattandolo come se davvero lo considerasse un idiota. Non voleva trattarlo
così, ma ancora una volta aveva agito per il suo bene, o così pensava. Non
voleva illuderlo, né tantomeno illudere sé stessa di trovarsi davanti al suo
migliore amico a fare una chiacchierata di piacere; la sua agente stampa, viste
le premesse, le aveva confermato che sarebbe stata presente durante
l’intervista, e anche se non ci fosse stata, Juliet voleva fare il suo lavoro
al meglio. Voleva superare sé stessa, mantenendo la sua estrema
professionalità, e se questo le costava non dover sentire né vedere il suo
migliore amico, era disposta a fare questo sacrificio… era dura, ma ce
l’avrebbe fatta. Infondo aveva aspettato 6 anni, era così difficile ora per lei
attendere altri due giorni?
Tornò nel suo ufficio molto più carica e
rinfrancata, buttandosi a capofitto nel lavoro -ovvero sull’intervista-,
facendo come se quella volta fosse come tutte le altre interviste per cui si
era preparata. Di conseguenza si mise a leggere di buona lena tutto lo
schedario; ogni tanto ridacchiava, specialmente se si trattava del periodo
riguardante The Lord of the Rings, lanciando occhiate agli oggetti che comparivano
qua e là nel suo studio. In effetti, se un fan della trilogia si fosse
presentato lì dentro, si sarebbe reso benissimo conto che quella donna doveva
avere qualche amico che aveva lavorato ai film, oppure che lei stessa era stata
in Nuova Zelanda tra il 1999 e il 2000; di certo avrebbe fatto un collegamento
con Orlando, vista la freccia di Legolas incorniciata sopra la porta. Quello
studio sarebbe stato il modo più facile per essere scoperta…
Alle 18.00 Caroline lasciò l’ufficio, e a quel
punto Juliet decise di seguirla verso l’uscita, proponendole un aperitivo
insieme. Lungo la strada e al bar, chiacchierarono insieme evitando l’argomento
lavoro e risero pure. Poi si salutarono; la segretaria andava dal suo ragazzo
con il quale sarebbe andata al cinema, mentre Juliet se ne tornava tra le mura
della sua casa, dove consumò la cena a base di pasta con le melanzane e
insalata mista. Portò fuori Tink per una passeggiata
notturna, poi si rintanò nel suo letto, dove si addormentò profondamente.
Ma grazie! Non immaginavo che la storia
potesse essere così apprezzata…
Lady Elizabeth: ti ringrazio un mondo e
spero che i personaggi continuino ad essere di tuo gradimento…
Bebe: sei davvero
gentile e spero di potervi divertire ancora con le uscite di questi due
pazzi…perché ce ne saranno ovviamente ancora…
Grazie anche a Ramona37, alice brandon cullen, e gabrycullen….e grazie ai lettori silenti…
La citazione shakespeariana di questo
capitolo è tratta da “As you like
it” atto 1, scena 1…. Alla prossima!