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Autore: vegeta4e    19/02/2024    1 recensioni
Non tutto quello che finisce rappresenta la fine. A volte una fine può rappresentare un nuovo inizio: la morte di Claire, l’abbandono di Peyton che segnò Mac molto più di quanto volesse ammettere… eppure il lavoro riuscì a salvarlo, ad obbligarlo a non crogiolarsi nei ricordi. E funzionò, almeno fino a che Peyton non decise di fare ritorno a New York.
“Niente si crea, niente si distrugge, ma tutto si trasforma”. Dietro questa frase si cela una grande verità per il detective Taylor. Un’accusa di omicidio a suo carico, vecchi fantasmi tornati dal passato, rapimenti, lutti difficili da accettare.
Forse i problemi d’amore erano quelli di cui preoccuparsi meno.
[MacxPeyton] - Ambientata all’inizio della 5^ stagione.
[L’avvertimento cross-over riguarda solamente un paio di capitoli verso la fine della storia.]
- Pistola e distintivo. -
Mac ci mise qualche secondo per realizzare. Fissava Sinclair interdetto, incapace di comprendere il perché, incapace di combattere quella serie di ingiustizie che lo stavano lasciando disarmato.
Dopo lo stupore iniziale, non riuscì a trattenere una risata nervosa. Serrò i denti a labbra chiuse, passando lo sguardo da Sinclair a Don, che non aveva neanche il coraggio di guardarlo in faccia.
Genere: Azione, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danny Messer, Don Flack, Mac Taylor, Peyton Driscoll, Stella Bonasera
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo X

Puntuale come un orologio svizzero, Mac si presentò davanti al locale in cui andava solo con Stella in jeans, t-shirt e giacca di pelle. La vide subito, poco distante da lui, in un vestito non troppo elegante nero e una borsetta dello stesso colore, con un’energia in viso che Taylor non si spiegava da dove uscisse.
Quando Stella lo vide, alzò un braccio per farsi notare.
- Mac! Eccoti. - Scartò un paio di persone e lo raggiunse. - Entriamo? - Lui annuì dandole una rapida occhiata da capo a piedi.
- Sai, a vederti così non si direbbe che lavori con cadaveri e affini. - Sorrise.
- Finiscila, non sei divertente. - Lui la seguì nel pub, prendendo posto ad un tavolino accanto alla vetrata.
- Allora? Cosa prendi? - Domandò Bonasera. Lui prese il menù con una mano, non avendo la minima idea di cosa ordinare. Non voleva esagerare per quanto sapesse di poterlo fare.
- Non lo so. - Lesse rapidamente i nomi un paio di volte. - Un Baileys. -
Stella fece un cenno di approvazione. - Io una vodka liscia. -
Mac la guardò dubbioso. - Però, ci vai leggera, eh? -
- Anche io reggo l’alcol, detective. - La divertiva chiamarlo così. E anche a lui non dispiaceva, ogni volta scuoteva la testa come se sentirselo ribadire lo mettesse in imbarazzo.
Quando poco dopo la cameriera portò i drink, Mac prese solamente un sorso. Stella, invece, girò piano il bicchiere per far sciogliere un po’ il ghiaccio e diluire la vodka.
- Sai, Danny sostiene di aver sentito un profumo maschile quando oggi Peyton gli è passata vicino. Tu ne sai qualcosa? - Ed eccola lì, Stella Bonasera che passava immediatamente all’attacco. Mac capì che non scherzava affatto prima, in ufficio. Era determinata con tutta se stessa a scoprire la verità.
Mac annuì assimilando l’informazione, imitando la collega e giocando col ghiaccio nel bicchiere. - Dovrei? -
- Beh, vuol dire che si vede con qualcuno. Sicuro di non essere geloso? -
Taylor fece di no con la testa, accennando però un sorriso divertito. Sapeva di essere lui l’uomo misterioso, non poteva essere geloso. Poi bevve un altro sorso.
- Mac! Ti aspetti davvero che ti creda? -
- Stella, stai veramente basando le tue teorie su profumi e coincidenze di orario? Per favore. - Fece per bere un altro sorso, ma nel portare il bicchiere alle labbra si rese conto che una donna alle spalle di Stella lo fissava chiaramente negli occhi. Rimase fermo per qualche secondo, per poi bere e distogliere lo sguardo. Ma si sentiva osservato e la cosa lo infastidiva, quindi dopo qualche secondo voltò ancora gli occhi per controllare se la donna lo stesse ancora guardando.
E aveva ragione.
- … Che c’è? - Domandò Stella, vedendolo strano.
- Nulla. -
Lei sospirò, arrendendosi. - Senti, cambiamo discorso se ti mette a disagio. - 
- Di cosa vorresti parlare? - Chiese Mac che, però, non le stava dando attenzione, continuando a fissare oltre le sue spalle.
- Di quello che vuoi. Chi stai…? - Si voltò anche lei, notando una tizia bionda in fondo al locale guardare nella loro direzione. O più precisamente in quella del detective.
- Stavo giusto per dirti di non voltarti. Quella tizia mi sta fissando da un po’. -
Stella rise. - Hai un’ammiratrice! -
- Peccato che non sia interessato. - Rispose lapidario tornando a fissare la collega.
- Se continui a guardarla lei penserà il contrario. -
Mac annuì costretto a darle ragione. - Mi sento osservato, è deformazione professionale. -
- Già, ma io lo so… Lei no! -
- Mi sforzerò di ignorarla. - Con un altro paio di sorsi lui finì il primo bicchiere, mentre Stella era ancora a metà.
Lei gli fece un cenno d’intesa per fargli capire di aver scelto la tattica giusta, notando poi che lui aveva finito il suo drink.
- Che altro prendi? -
- Io? Niente. Tu, piuttosto, sei ancora a metà bicchiere. - Le fece notare Mac.
- Vorresti lasciami bere da sola? - Si finse indignata.
Taylor alzò le sopracciglia. - Tu sei furba, Stella, ma io non sono stupido. Ci stai mettendo tanto di proposito. Se speri di bere piano per farmi ordinare bicchieri su bicchieri per tenerti compagnia, sei fuori strada. -
Colta sul fatto, lei bevve un lungo sorso. - Mh. Capisco che tu non voglia fare cilecca. Almeno prendi qualcosa di analcolico. -
- Quando finirai la vodka prenderò un altro Baileys, non mi serve qualcosa di analcolico. - Disse con un mezzo sorriso il detective.
Bonasera annuì divertita, le piaceva quella sfida a suon di bicchieri.
La serata proseguì tranquilla, come aveva previsto non riuscì a torcere neanche mezza parola dalla bocca di Mac, ma andava bene così. Avrebbe aspettato che lui si sentisse pronto a raccontarle tutto di sua spontanea volontà.
Come era solito fare, Taylor le offrì di dividere il taxi per assicurarsi che arrivasse a casa sana e salva, e quella volta lei non se la sentì di rifiutare l’ennesimo gesto gentile da parte sua. Stella gli sorrise da lontano quando aprì il portone del palazzo, vedendo che lui aveva tenuto il taxi fermo in attesa di vederla entrare. Solo quando la vide richiudere il portone ricambiò il saluto con una mano, dando al tassista l’indirizzo a cui portarlo.
“Sto tornando a casa, sono in taxi” le scrisse solamente, non era mai stato uno da grandi discorsi tramite sms. Peyton lo sapeva, difatti gli rispose rapidamente con un “dammi 20 minuti”, senza obbligarlo a stare al cellulare più del dovuto.
Come sei mesi prima, Mac si ritrovò a sorridere guardando il telefono. Si sentì come un adolescente ingenuo con le farfalle nello stomaco, e alzando lo sguardo per guardare fuori dal finestrino scosse la testa, capendo di non essere in grado di gestire la situazione. Era totalmente in balia di quel vortice di emozioni che il ritorno di Peyton gli aveva scatenato sia in testa che nel petto, e per quanto ripetesse a se stesso di avere il controllo di tutto, di sapersi controllare, sapeva che la realtà non era affatto così.
Era vero, si erano promessi di rallentare, ma intanto si stavano vedendo ogni sera, come a strappare di nascosto ogni minuto a disposizione per stare insieme.
Il taxi frenò delicatamente, accostando a destra di fronte al palazzo di Mac. Lui scese dopo aver pagato la corsa, infilando poi le chiavi nella toppa del portone.
- Ciao. -
Taylor si girò istintivamente verso sinistra, da dove arrivava la voce. - Ciao. Non ti ho sentita arrivare. -

La mattina successiva Mac entrò in ufficio al solito orario, accendendo per primo le luci del proprio ufficio. Come di routine si mise alla scrivania con il caffè caldo a tenergli compagnia, vedendo arrivare uno per uno tutti quelli del team con cui lavorava. Mancava solo una persona nonostante fossero già le 7:35 AM: Stella.
In un moto automatico guardò per la quarta volta l’orologio che aveva al polso, non riuscendo a togliersi il pensiero che le fosse successo qualcosa. Decise di telefonarle. Lei non era di certo il tipo da arrivare presto come lui, ma in tutti quegli anni non l’aveva mai vista in ritardo.
Spento.
Posò il cellulare sulla scrivania dando un’altra occhiata all’orologio, come se fosse cambiata l’ora rispetto a trenta secondi prima. Si obbligò a pensare che fosse rimasta imbottigliata nel traffico di New York, ma quando vide l’orologio segnare le 8:00 AM in punto uscì dall’ufficio, deciso ad andare a controllare di persona che fosse tutto a posto.
Impiegò mezz’ora di auto prima di raggiungere l’appartamento di Stella e neanche un minuto a raggiungere la porta di lei, salendo i gradini due per volta.
- Stella? - Bussò pesantemente tre volte alla porta, come al suo solito, ma nessuno rispose. - Stella, apri! Sono io, Mac! - Attese ancora. Silenzio.
Non ragionò oltre e con una spallata aprì la porta di prepotenza. La casa era in ordine e il suo occhio attento da poliziotto non notò nessuna traccia che indicasse pericolo. Non lì dentro, almeno. La porta era stata chiusa, nessun segno di effrazione. Dentro, invece, nulla faceva pensare che lei fosse scappata. I soprammobili erano al loro posto, i cassetti e gli sportelli chiusi. Escluse la rapina. Dando una rapida occhiata in giro notò che la borsa non c’era e il cellulare non era da nessuna parte: né sul comodino, né sul tavolo della cucina o sul mobile all’ingresso.
- Stella? Sei in casa? - La mano prontamente sulla fondina lo faceva sentire tranquillo mentre controllava ogni stanza. Bagno, cucina e camera da letto, ma nulla. Di Stella non c’era l’ombra.
Se da un lato si sentì a disagio a controllare a sua insaputa i suoi spazi privati, dall’altro venne investito da un orribile senso di angoscia. Stella era letteralmente sparita senza lasciare traccia di sé e lui non aveva idea da dove iniziare per cercarla.
Istintivamente chiamò Flack. - Dimmi, Mac. Dove sei? -
- A casa di Stella. È sparita. - Rispose Taylor tentando di mascherare l’orribile sensazione che gli attanagliava lo stomaco.
- Come sarebbe sparita? -
- Non si è presentata in laboratorio, così sono venuto a casa sua a controllare. Ho buttato giù la porta, era chiusa a chiave. Lei non c’è e il telefono risulta staccato da almeno un’ora. - Il riassunto del detective fu chiaro e semplice come al solito e Don comprese la gravità della situazione.
- Arrivo. -
- No, sto tornando in ufficio, aspettami lì. -

Quando Mac comparve dall’ascensore gli altri ragazzi della squadra scattarono in piedi. Erano tutti nel suo ufficio ad attenderlo, troppo preoccupati per poter lavorare a qualsiasi cosa. Taylor non disse nulla, limitandosi ad entrare e ad appendere la giacca all’appendiabiti.
- Allora? - Incalzò Sheldon. - Ci sono novità? - Se Hawkes e Messer riuscivano a nascondere bene la preoccupazione, lo stesso non si poteva dire per Lindsay e Peyton.
Mac si girò, guardandoli a turno. - In casa non ho notato nulla di strano o sospetto. Il problema è che l’ultima persona che ha visto sono io. -
- Come ti è sembrata ieri sera? - Domandò Flack.
Taylor si sforzò di ricordare qualche dettaglio, ma il fatto era che non c’era proprio nulla da ricordare. Non c’era stato nulla di anomalo.
- Tranquilla, come al solito. Siamo andati al pub e abbiamo bevuto qualcosa, poi abbiamo condiviso il taxi e l’ho accompagnata a casa. Ho aspettato che entrasse nel palazzo e sono ripartito. - Ripercorse mentalmente il tragitto, ma non ricordava nessun dettaglio rilevante.
- Il cellulare era in casa? - Indagò ancora Don.
- Non l’ho trovato. - Rispose prontamente Mac. - L’avrò chiamata cinque volte, non squilla. Non c’erano segni di effrazione, ho sfondato io la porta. Dev’essere successo qualcosa stamattina quando è uscita per venire a lavoro. -
Flack annuì, ragionando sulla probabilità dei fatti. - Quindi deve aver aperto a qualcuno che conosceva. -
- Sì. Oppure quando è uscita dal palazzo. -
- Senti, voi siete in confidenza… Per caso ti ha detto se esce con qualcuno ultimamente? -
Mac scosse la testa, le mani nelle tasche dei pantaloni. - Non che io sappia. -
Flack sospirò. - Certo che tra te e lei fate a gara a chi è più loquace! Diavolo, e se si trattasse di un tizio che frequentava e che la stava stalkerando? -
A quelle parole Peyton si sentì tirata in causa indirettamente e istintivamente scostò lo sguardo altrove.
Taylor aggrottò le sopracciglia. - Proprio per questo ho aspettato che entrasse in casa, volevo assicurarmi che nessuno la seguisse. -
Nell’ufficio calò un silenzio gelido, si sentì solo Mac sospirare. 
- Senti, se devo dirtelo in modo ufficiale mettilo a verbale. A meno che qualcuno non la aspettasse in casa, io sono l’ultimo che l’ha vista. -
- Non si tratta di questo, è che… - Il cellulare di Taylor stroncò Don mentre parlava, attirando l’attenzione di tutti i presenti.
Lui lo prese rapidamente dalla tasca. “Stella Bonasera”. Istintivamente rispose.
- Stella? Dove sei? - Il tono calmo e controllato avrebbe tratto in inganno chiunque, facendo credere che Mac avesse tutto sotto controllo, ma i presenti capirono immediatamente quanto fosse preoccupato nonostante riuscisse a nasconderlo.
- Detective Taylor, quale onore. - Rispose un uomo con la voce chiaramente modificata. - Non mi dica che era preoccupato per la sua collega! Beh, stia tranquillo. Ѐ qui con me ed è viva e vegeta. Per ora. - Mac capì senza fatica che il tizio al telefono si stava prendendo gioco di lui. La voce era tranquilla, manipolatoria, sapeva di avere il coltello dalla parte del manico con una poliziotta in ostaggio.
Lui rimase in silenzio per un paio di secondi. - Evitiamo di perdere tempo tutti e due e saltiamo direttamente al punto in cui mi dici cosa vuoi. - Disse con tono fermo e deciso.
- Aahh, parliamo la stessa lingua! Molto bene. Avrei una domanda da porle, detective: quanto vale la vita di una collega? -
Mac serrò la presa sul cellulare. - Più di qualsiasi cifra che tu possa chiedermi, quindi dimmi che cosa vuoi e vedrò cosa posso fare. - Flack lo guardava immobile. Nessuno ebbe il coraggio di muovere un muscolo mentre Taylor parlava con il rapitore di Stella.
- Allora direi che mezzo milione di dollari e un elicottero potrebbero bastare come inizio, che ne dice? -
- Che non sono una banca. Questa cifra creerà problemi a entrambi: i piani alti non la concederanno sicuramente in tempi brevi e … -
- Questi sono problemi suoi, detective. - Lo interruppe. - Mi farò sentire io, non si preoccupi. Ha 48 ore. Tic tac. Si sbrighi, il tempo passa. - E senza dargli modo di rispondere chiuse la chiamata.
Mac imprecò a denti stretti, lasciando cadere malamente il telefono sulla scrivania.
- Che ha detto? - L’unico ad avere il coraggio di parlare fu Don.
- Che vuole mezzo milione di dollari e un elicottero entro 48  ore. Si farà risentire lui. - Nessuno parlò, quindi Taylor proseguì. - … La voce rimbombava, credo che sia in qualche edificio abbandonato. Ha chiesto un elicottero, possiamo presumere che abbia il brevetto da pilota. Mi serve un numero, Flack. Fammi avere una lista di tutte le persone che possiedono un brevetto per elicotteri qui a New York. -
- Sei impazzito? - Sbottò Don. - Hai idea di quante persone possano averlo? Sarebbe come cercare un ago in un pagliaio. -
- Ma è l’unica pista che abbiamo! - Puntualizzò Taylor. - O hai idee migliori, Flack? Perché se è così parla, ti ascolto! - Alzò il tono di voce, cosa che non sfuggì a nessuno dei presenti. Don rimase interdetto per alcuni secondi, non aspettandosi di essere attaccato in quel modo.
- Vuoi sapere la mia idea, Mac? - Fece due passi in avanti. - Aspetterei la prossima telefonata e proverei a rintracciare la cella a cui si aggancia il telefono in modo da capire da dove sta chiamando! -
Mac sorrise nervoso. - E nel frattempo? Giochiamo a carte mentre aspettiamo che questo pazzo ci richiami per sapere se abbiamo esaudito le sue richieste? -
- Facciamo quello che abbiamo sempre fatto: aspettiamo e cerchiamo le prove che ci servono per arrestarlo. -
- Io non aspetto nessuno. - Ribadì Taylor senza staccargli gli occhi di dosso.
- E che intendi fare, setacciare tutta New York alla cieca? - Ironizzò Don, allargando poi le braccia.
- Io non vado mai alla cieca, Flack. Ricordalo. -
 

To be continued...

   
 
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