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Autore: Mikirise    29/02/2024    1 recensioni
I video che più si avvicinano alla parte umana di Deku sono quelli girati durante il funerale di All Might. Se Deku si fosse trovato o avesse avuto un’agenzia normale alle sue spalle, quei video sarebbero stati cancellati dalla faccia della terra e molte persone sarebbero state denunciate per un comportamento così cattivo nei suoi confronti, ma Deku è l’agenzia di eroi All Might, una one-man agency in cui non solo non ci sono spalle, non ci sono nemmeno avvocati, non ci sono curatori dell’immagine personale online e nella vita reale o consulenti esterni. Perché l’agenzia è soltanto Deku e perché per lui è inutile danneggiare il rapporto con le persone per piccolezze come lo stalking, quei video sono così facili da trovare da far salire il sangue al cervello per la rabbia.
In effetti, era solo questione di tempo prima che Deku perdesse la testa, in una situazione del genere.
«Come faccio a tirarti fuori da lì?» borbotta Katsuki.
O, dopo la morte di All Might le strade di Bakugou e Midoriya si incrociano di nuovo nonostante siano in due fasi differenti della vita
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Best Jeanist, Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Spalla 3, Spalla 7 e Spalla 10 staranno con me al cimitero questa notte. Non dovete fare un cazzo, solo la guardia, non far entrare nessuno dopo che sono entrato, non fare uscire nessuno mentre siamo lì. Non fate cazzate» annuncia Katsuki senza distogliere lo sguardo dal tablet e le informazioni che Spalla 8 gli ha mandato per email. «Spalla 2, Spalla 5 e Spalla 8 andranno in pattuglia con Best Jeanist.» Alza lo sguardo per fare contatto visivo coi ragazzini di fronte a lui. «Non fate cazzate» scandisce bene le parole perché non ha un’alta considerazione delle spalle di Best Jeanist e non vorrebbe che siano così scemi da pensare di poter fare cazzate solo perchè lui non lo ha voluto sottolineare. Katsuki torna a guardare lo schermo del tablet. «Il resto delle spalle: finite i vostri lavori in fretta, abbiamo bisogno di mano d’opera e siete troppo lenti. Sapete come organizzarvi. Toglietevi dai piedi adesso.» Fa un gesto con la mano per farli andare via.

Sono le cinque del mattino, la schiena gli sta facendo qualche scherzo di troppo, non è tornato a casa e gli eroi professionisti gli hanno dato tre giorni per risolvere il problema del Cimitero degli Eroi prima di entrare con la forza e portare chiunque stia facendo questo scherzo alla città in galera, sia questo un ragazzino spaventato e senza il controllo della sua Unicità o un terrorista. Katsuki ha tre giorni per raccogliere informazioni e convincere Deku che dormire vicino alla tomba di All Might non è proprio la scelta più saggia da fare, non importa che sia in lutto.

Le informazioni arrivate da Spalla 8, sono un agglomerato di articoli di riviste di gossip, articoli di politica e fansite, che, per qualche motivo, sanno più della vita degli eroi di quanto gli eroi stessi sappiano della loro vita. Katsuki deve scorrere col dito sullo schermo del tablet per qualche secondo prima di trovare delle foto o articoli che non siano sul grande scalpore del primo appuntamento di Deku con una donna sconosciuta in un ristorante di lusso. Non sono foto compromettenti, se non fosse che Deku non si è mai fatto vedere al di fuori del suo lavoro. Vederlo mangiare obbedientemente, sorridere obbedientemente e aiutare una donna a scendere le scale obbedientemente, è motivo di eccitazione generale. Finalmente l’eroe che si è dimostrato riservato e molto attento alla sua privacy ha fatto un errore e ha lasciato che lo vedessero in uno spezzone di vita mondana. Il suo brand reputation è salito alle stelle e sembra che ogni tipo di agenzia stia cercando di chiamarlo per proporre una collaborazione o, con un po’ più di sfacciataggine, di diventare suo sponsor.

Non sono queste le informazioni di cui Katsuki ha bisogno, ma sembrano essere le uniche informazioni disponibili su Deku. Le sue collaborazioni con scarpe da ginnastica, la sua pubblicità per il pollo fritto che ha fatto ridere tutti i loro compagni di scuola, le interviste e i conseguenti servizi fotografici. Deku è un prodotto in tutto e per tutto, pensa Katsuki sfogliando le pagine, per questo riesce a rimanere in alto nella classifica degli eroi. Ha perso il suo status di persona appena ha compiuto i diciotto anni. Ci sono video di persone salvate da Deku, tra le informazioni che Spalla 8 ha raccolto, video in cui è possibile vedere il sorriso di Deku quando salva le persone, video di lui che insegna come fare la raccolta differenziata e anche video dei dietro le quinte della pubblicità progresso contro il bullismo che Deku ha girato agli inizi della sua carriera.

I video che più si avvicinano alla parte umana di Deku sono quelli girati durante il funerale di All Might. Se Deku si fosse trovato o avesse avuto un’agenzia normale alle sue spalle, quei video sarebbero stati cancellati dalla faccia della terra e molte persone sarebbero state denunciate per un comportamento così cattivo nei suoi confronti, ma Deku è l’agenzia di eroi All Might, una one-man agency in cui non solo non ci sono spalle, non ci sono nemmeno avvocati, non ci sono curatori dell’immagine personale online e nella vita reale o consulenti esterni. Perché l’agenzia è soltanto Deku e perché per lui è inutile danneggiare il rapporto con le persone per piccolezze come lo stalking, quei video sono così facili da trovare da far salire il sangue al cervello per la rabbia.

In effetti, era solo questione di tempo prima che Deku perdesse la testa, in una situazione del genere.

«Come faccio a tirarti fuori da lì?» borbotta Katsuki, accarezzandosi la fronte con le dita.

«Senpai.»

Katsuki non ha molta pazienza. Alza lo sguardo con un grugnito per guardare negli occhi Spalla 2 che si inumidisce le labbra e non sembra essere felice della situazione. «Che.» Muove la mano nervoso. Ha poco tempo per arrivare a una soluzione a questo problema e le spalle di Best Jeanist devono anche dargli fastidio e interromperlo ogni volta che possono.

«Penso abbia dimenticato che ieri è stato il mio ultimo giorno da spalla di Best Jeanist» comincia Spalla 2 con mezzo sorriso. «Non posso pattugliare insieme a lui oggi, quindi. Sono un eroe a sé stante adesso. Ero passata per salutare.»

Katsuki annuisce piano. Giusto, giusto. «Congratulazioni» gli dice. «Ti conviene andartene prima che me lo dimentichi e ricominci a darti ordini.»

Spalla 2 ride e china la testa per salutare Katsuki. 

«Non ho la pazienza per ridarvi un numero, quindi anche se Spalla 2 non c’è più, tutti voi rimarrete Spalle dalla 3 in poi in ordine di arrivo» annuncia al resto delle spalle, prima di tornare a studiare il suo caso.

 

 


 

 

«Ah! Riuscissi io a trovarmi una ragazza carina come questa della foto!»

Scintilla, seduto alla scrivania di Katsuki, sfoglia svogliato la rivista di gossip che ha pubblicato le fotografie di Deku al suo appuntamento al buio. Muove la pagina avanti e poi indietro, poi di nuovo avanti e indietro. Sospira, posando la mano sulla guancia e guarda verso l’alto, forse immaginando cose che non dovrebbero venire descritte soprattutto quando si parla di una sconosciuta.

Katsuki sta provando a risolvere il problema che ha davanti, vorrebbe davvero tanto capire come fare a tirare fuori Deku da quel cimitero e proteggerlo da paparazzi e riviste di gossip durante un periodo di lutto prolungato dovuto a quella testa bacata di Deku che si vuole ostinare a fare tutto da solo. Ma il cervello di Katsuki si distrae un po’, ascoltando Scintilla. Non dovrebbe distrarsi. Ma Scintilla ha questo strano potere di rendere tutto intorno a lui così stupido e così insensato che a volte è inutile pensare o cercare di concentrarsi intorno a lui. Katsuki non riesce a non chiedersi, ad esempio, perché questo coglione si è comprato una rivista cartacea quando le foto dell’appuntamento al buio di Deku stanno ovunque online. Aggrotta le sopracciglia. «Tu sei un testa di cazzo.»

Si dice che, quando ti trovi con persone della tua stessa età, diventi un po’ più scemo. Le decisioni prese quando sei con qualcuno della tua età, le idee che ti vengono in mente e anche le cose che fai, sono di persone con almeno una ventina di punti in meno di quoziente intellettivo farebbe.

Kirishima, corso fino all’agenzia di Best Jeanist alle sette del mattino, per la prima volta nella giornata fa qualcosa che non sia fissare Katsuki con le sopracciglia aggrottate: prende tra le mani il viso di Katsuki, schiacciando le sue guance e annuisce piano con degli occhi lacrimosi. Katsuki cerca di liberarsi dalla stretta, ma Kirishima lo abbraccia come se stesse abbracciando un malato terminale e sospira sulla sua spalla: «Sono corso appena ho saputo perché so che il tuo è un amore alla Bambi.» Fulmina con lo sguardo Scintilla, rimproverandolo e buttando la rivista di gossip nella spazzatura con un tonfo secco. «Non mi piace il linguaggio, ma è vero che sei proprio un coglione» quasi ringhia contro Scintilla.

Katsuki si libera dall’abbraccio di Kirishima, ma Kirishima continua a tirarsi in avanti con le braccia aperte e del chiaro dolore nell’espressione del suo volto. Più Katsuki prova a spingerlo via, più Kirishima si getta tra le sue braccia nella speranza di consolarlo. 

Scintilla alza entrambe le sopracciglia, sorpreso. Si alza in piedi. Poi si siede a sedere. Apre la bocca per dire qualcosa, poi si porta entrambe le mani davanti alle labbra per non dire niente. Si comporta come un deficiente e Katsuki vorrebbe colpire sia lui che Kirishima in testa e lasciarli svenuti sul pavimento per continuare a lavorare in pace. Sente una vena pulsargli contro la pelle e inizia a contare a mente per mantenere la calma. Uno, due, tre, quattro… «Avevi una cotta per Midoriya?» chiede Scintilla a bassa voce. Tiene una mano accanto alle labbra per direzionare la voce e Katsuki sente la sua mano chiudersi in un pugno e cercare il tragitto più veloce per arrivare alla faccia di Scintilla. Ha abbandonato l'idea di rimanere calmo. Ora il piano è di uccidere tutti.

«Non era una cotta!» esclama Kirishima. Approfitta dell’apertura di Katsuki per tornare ad abbracciarlo come una mamma abbraccerebbe il proprio figlio indifeso. «Era amore vero. Amore puro, quel tipo di amore che si vede solo nei film, un amore alla Cyrano e Rossana e Cristiano, un amore alla Aquaman e Mera, un amore che non si rompe, che non poteva finire da quando erano piccoli. Oh, il nostro Kacchan! Sono corso qui appena ho saputo! Devi avere il cuore a pezzi!»

Katsuki lo spinge via. Kirishima posa la guancia sulla sua testa, continuando a mormorare che non si deve vergognare, che va tutto bene, che di sicuro non è niente di importante, conoscendo Midoriya, che forse era solo un modo per ripagare un debito o forse c’è una storia che loro ancora non sanno. 

«E glielo hai mai detto?» chiede Scintilla con le sopracciglia aggrottate. Si piega a prendere la rivista che Kirishima ha buttato nella spazzatura e la apre, sfogliandola questa volta con un po’ più di attenzione. Per la prima volta, sembra che si stia concentrando sullo sguardo vuoto di Deku e le sue sopracciglia si aggrottano ancora di più. «A essere sincero, all’inizio io pensavo che lo detestassi, Midoriya. Poi col tempo ho capito che lo vedevi come rivale, ma amore?»

«Il suo è sempre stato vero amore!» ribatte Kirishima.

Scintilla abbassa lo sguardo. I suoi due neuroni si stanno attivando e sembra che un pensiero si stia formando nella sua testa. Visto che Scintilla è normalmente l’essere più stupido che Katsuki abbia mai conosciuto, quindi non è interessato a sapere a quale risultato arriverà appena avrà finito di mettere insieme le tre informazioni che ha ottenuto.

Katsuki spinge via Kirishima, che torna da lui senza scoraggiarsi per nemmeno mezzo secondo. 

«Dovresti dirglielo» esclama Scintilla. Sbatte le palpebre velocemente e uno stupidissimo sorriso si crea sul suo viso. «Così le belle ragazze che vogliono uscire con lui mi daranno un’opportunità. Midoriya rimarrebbe molto confuso da un’improvvisa confessione di Bakugo!» Alza le braccia al cielo, esultando all’idea di cose che non succederanno mai.

«Glielo ha già detto» sospira Kirishima. Posa una testa sulla spalla di Katsuki con tutta la compassione che ha in corpo. «Midoriya lo ha rifiutato il giorno del diploma.»

Scintilla abbassa di nuovo lo sguardo e questa volta c’è così tanta pena sulla sua espressione che Katsuki ha voglia di prenderlo a pugni in faccia e vedere quanto dolore e pena può sentire con abbastanza dolore fisico. «Almeno adesso puoi andare avanti» gli dice, posando una mano sulla sua spalla. «Sono sicuro che sarai abbastanza forte da riuscire ad andare al suo matrimonio e augurargli comunque tutto il meglio della vita, così come devo fare io, anche se si sposerà una bellissima ragazza e io non posso perdonare chi sposa belle ragazze. Hai un cuore grande così, io lo so.»

Katsuki li colpisce entrambi nello stesso momento. «Coglioni» li rimprovera trai denti, e non ha nemmeno voglia di continuare a capire come tirare fuori Deku dal cimitero. Si alza in piedi e decide che ha voglia di fare una passeggiata.

 

 


 

 

«Ah, Kacchan» lo chiama Deku. Allunga il braccio per afferrare la tuta da eroe di Katsuki e tirarlo in ginocchio davanti alla tomba. I suoi occhi sono circondati da ombre nere e sembra essere più addormentato che sveglio, con le palpebre a mezz'asta e le guance pallide. «Sei venuto a salutare All Might. Ti stava aspettando. È stato molto triste quando non sei andato a salutarlo al funerale.» Non sembra essere molto lucido. Ha gli occhi lacrimosi e la voce che gli trema un po’. È diverso dalle foto di All Might che girano online. È più vicino al bambino che una volta Katsuki conosceva.

Il sole è tramontato da molto, Katsuki ha lasciato le spalle a fare da guardia fuori dai cancelli del cimitero e tutto tace intorno a loro due. La tomba di All Might è così piccola da essere facilmente dimenticabile e Katsuki ha un groppo alla gola guardando quel che rimane del profilo di Deku nascosto nel buio. 

Se il rapporto tra Katsuki e Deku fosse semplice come Kirishima e Scintilla pensano, forse sarebbe anche più facile sapere come comportarsi in una situazione del genere, ma perché la loro storia è iniziata molto prima del giorno del loro diploma, perché è iniziata prima dell'esame di ammissione alla UA, perché è iniziata prima delle medie, prima della presentazione delle Unicità e prima ancora che Deku o Katsuki potessero avere la parola per poter etichettare il loro rapporto, tutto è così complicato che Katsuki non poteva che essere sollevato davanti al rifiuto di Deku di più di dieci anni prima. È stato sollevato all'idea che Deku non lo volesse più vedere, non ha sentito un briciolo di tristezza quel giorno e forse leggendo questo sollievo nel suo sguardo Deku non ha voluto nemmeno provare a incontrarlo dopo il diploma. Forse è stato Katsuki a rifiutare Deku.

«Dovresti chiedere scusa a All Might» lo rimprovera Deku, iniziando a sdraiarsi sul prato accanto alla tomba. «Ti stava aspettando e non ti sei fatto vedere.»

«Dovresti chiedermi scusa tu» ribatte Katsuki con una risata sarcastica. Rimane in ginocchio davanti alla lapide, le caviglie unite e la schiena dritta come gli hanno insegnato a fare molto tempo prima per non mancare di rispetto al morto, a cui vorrebbe comunque porgere omaggi. «Dovresti chiedermi scusa per non essere venuto da me dopo l’incidente. Ti stavo aspettando ma tu non sei venuto.»

Deku apre gli occhi e sembra che quella nebbia davanti al suo viso si sia dissipata un pochino. Anche nel buio completo del cimitero, il suo sguardo sembra arrivare a Katsuki con intensità, come se fosse un coltello lanciato per uccidere. «Mai» quasi ringhia Deku. È sveglio e cosciente, irritato e pronto a combattere, come lo era dieci anni fa. Katsuki riesce a sentire il suo sguardo cadere verso il basso prima di tornare a cercare di fulminare il suo viso. «Non lo faccio. Non lo farò mai.»

Katsuki scuote la testa e inizia a giocherellare con le dita. È nervoso. Ha solo due giorni per convincere Deku che dormire accanto alla lapide di All Might non è una buona idea, soprattutto quando sei così triste da assorbire tutta la luce intorno a te, ma non sa come dirglielo, non sa come spiegare a questo deficiente che quando ha voglia di chiamare All Might può chiamare Katsuki, invece, che può premere sullo schermo del cellulare e invece di sentire la voce di All Might sentirà quella di Katsuki che è meglio di non ricevere risposta, non sa come dirgli che se non riesce a dormire possono andare entrambi al dormitorio più nascosto di Katsuki, che potrà dormire lì fino a quando il suo corpo non inizierà a russare dal tanto rilassato che è, non sa come dirgli che vederlo dormire qui, in questa completa oscurità, con questo freddo, da solo, gli spezza il cuore.

Deku non sembra più essere interessato a Katsuki o al suo monologo interiore. Sistema la testa sul braccio che gli fa da cuscino, chiude gli occhi e sembra essere più rilassato di quanto fosse ieri, quando Katsuki lo ha trovato. «Fa compagnia a All Might» sussurra. «Sono un po’ stanco.»

Katsuki perde la pazienza tutto d’un tratto. Non saprebbe spiegare il motivo e non saprebbe spiegare quale sia stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ha soltanto perso la pazienza e, come Deku prima lo ha trascinato in basso, in ginocchio, per salutare All Might, adesso Katsuki afferra il braccio di Deku e lo tira a sedere, con poca delicatezza e poca grazia. In un lampo improvviso che colpisce la sua mente, pensa a sua madre, alle buste della spesa e a quanto ha fatto male quando si è slogato la spalla e il suo primo istinto è di lasciare andare Deku, chiedergli se gli ha fatto male e forse chiedere scusa, ma c’è una parte di lui che pensa che se lasciasse andare il braccio di Deku, quel coglione si sdraierebbe di nuovo, perderebbe la lucidità, direbbe cose come All Might si sente facilmente solo quando vado via. Una parte di Katsuki vuole lasciare andare Deku per paura di fargli male, una parte di Katsuki vuole tenerlo ben stretto per paura che Deku faccia male a se stesso e tutto Katsuki, tutto il suo corpo, rimane immobile, paralizzato tra le due scelte.

Deku lo spinge via. «Mi fai male!» esclama. Si alza in piedi e questa volta sembra davvero pronto a litigare. Nel buio, dove è visibile solo il profilo sfocato di entrambi, Deku si alza in piedi e stringe i pugni, ma sembra stanco. Si vede dalla postura, si vede dal modo in cui le spalle sono curve. «Coglione.»

Katsuki è rimasto in ginocchio. Cerca il viso di Deku nel buio e tutte le belle parole, tutti i pensieri e le preoccupazioni che stava cercando di preparare per dirle a Deku escono fuori in un impacciato: «Puoi creare problemi soltanto a me.» Non si alza in piedi, ha la testa calda e fredda allo stesso tempo. Sa che non sta dicendo le parole giuste ma non ha intenzione di correggere parole sbagliate. «Vieni da me. All Might è morto, cazzo.»

Le parole sbagliate hanno un qualche prezzo da pagare.

Deku dà un pugno in faccia a Katsuki con una precisione spaventosa nonostante il buio. Non aspetta nemmeno che Katsuki risponda. Salta via. Va via. Lascia Katsuki in ginocchio con una guancia dolorante e gli occhi accecati, perché nello stesso momento in cui i piedi di Deku lasciano il terreno del cimitero, tutti i lampioni, luci e lucine che prima non funzionavano tornano a funzionare al loro meglio.

«Ottimo lavoro, Dynamight» esclama la voce di Spalla 5 al walkie-talkie. «Fortunatamente, tutto si è risolto per il meglio!»

 

 


 

 

Katsuki ha la guancia gonfia e Best Jeanist deve spiegare alla dottoressa che non è nulla di grave, soltanto un effetto collaterale dell’essere un eroe e andare in missione. Evita di spiegare che tutti gli eroi professionisti che erano coinvolti nel caso del Cimitero degli Eroi e che quindi hanno letto il rapporto della missione di Katsuki pensano che sia stato un bambino a colpirlo e lasciargli la faccia gonfia per lasciare un po’ di dignità a Katsuki, ma i suoi occhi si curvano un po’ troppo, mentre parla con la dottoressa, per non far capire a Katsuki che sta pensando a un bambino di forse cinque o sei anni riuscire a dare un pugno in faccia alla sua spalla. Non si trovano dalla dottoressa per la guancia, comunque, ma vista la natura della visita è sempre meglio essere chiari su quello che succede al corpo del paziente. 

Impatti del genere, ripete Best Jeanist, sono effetti collaterali del lavoro dell’eroe, niente di più e niente di meno.

«Sarebbe meglio smettere di essere un eroe, allora. Sono anche questi piccoli impatti a rendere difficile la sua completa guarigione» risponde con poca simpatia la dottoressa, aggiornando la cartella di Katsuki sul computer. Alza lo sguardo verso Best Jeanist poi guarda Katsuki e il suo sorriso sarcastico fiorisce tra le labbra come se fosse primavera. «Certo, parole al vento dette a degli eroi, giusto?» Fa un gesto a Katsuki per invitarlo a sdraiarsi sulla barella per iniziare la visita, poi un altro a Best Jeanist perché esca dalla stanza e non le stia intorno mentre fa il suo lavoro.

Katsuki ha la guancia gonfia e la schiena gli fa un po’ male, mentre si sdraia sulla pancia. Il dolore non gli ha mai fatto paura, ha sentito di peggio, non ha intenzione di tirarsi indietro per così poco.

Durante una missione, tre o quattro anni fa, un cattivo ha spezzato la schiena di Katsuki. L’accaduto non ha fatto scalpore, non ci sono state testate giornalistiche o persone che si sono preoccupate per lui, nessuno ha chiesto che fine avrebbe fatto Dynamight e nessuno ha ricordato il suo nome dopo quella missione, perché il suo nome in classifica era ancora troppo basso, i suoi sponsor erano piccole agenzie ed era appena diventato un eroe professionista, seguirlo sarebbe stato uno spreco di soldi e tempo. Ci sono migliaia di persone che diventano eroi professionisti ma poche di queste rimangono in classifica quel tanto che basta per pagarsi da vivere con il lavoro da eroi. Delle migliaia di persone che provano a diventare eroi, ne rimangono poche decine a combattere per davvero. Molti degli eroi falliti tornano a essere spalle, altri, quelli un po’ più codardi, tornano a essere dei civili. Katsuki, con la schiena rotta, in quei mesi in cui sembrava che non sarebbe riuscito a tornare a camminare, sembrava essere uno di quegli eroi falliti. I suoi medici spingevano affinché fosse uno di quegli eroi falliti, perché a volte è meglio mettere da parte un sogno ma essere comunque capace di continuare a vivere.

L’idea di non poter più combattere, l’idea di aver perso l’opportunità di salvare vite o di essere il più forte non faceva dormire la notte Katsuki. Se non poteva usare le gambe, avrebbe usato le braccia, recitava a se stesso ogni notte, se non poteva usare il corpo avrebbe usato la mente. E ogni giorno soffriva, va bene, ogni giorno il suo corpo soffriva mandandogli ondate di dolore pungente che gli toglieva il respiro, ma non era importante, perché Katsuki non ha mai avuto paura del dolore.

Dopo un anno e mezzo di fisioterapia, tra medici e medici con Unicità curative, Katsuki era di nuovo in grado di camminare, dopo due anni era in grado di correre, dopo due anni e mezzo era in grado di lottare. Le persone intorno a lui si erano già fatte un nome, avevano creato alleanze e avevano racimolato sponsor per aprire la propria agenzia, ma a Katsuki questo importava poco perché lui era in grado di combattere. Aveva stretto i pugni e si era sentito euforico perché anche se era in ritardo, anche se la schiena ancora gli faceva male, anche se non può andare in missioni lunghe e ogni tanto ha bisogno di prendere degli antidolorifici, lui può combattere. Può ancora essere un eroe.

«Mi chiedo perché non abbiate paura del dolore, voi» commenta la dottoressa, durante la visita. «Una persona normale, un civile, teme il dolore come se fosse la cosa più paurosa dopo la morte. Cerchiamo di non farci male, cerchiamo di essere il più civili possibile tra di noi e cerchiamo di proteggerci al meglio, fa parte del nostro istinto di sopravvivenza. Ma voi eroi… usate il dolore come una medaglia, lo cercate, vi fate male e poi sorridete. Preferite morire provando dolore, piuttosto che vivere una vita tranquilla. Non riesco a capirvi.»

Katsuki alza lo sguardo verso la dottoressa che studia le lastre e controlla che ogni vertebra nella schiena di Katsuki sia al posto giusto. «Forse è innato» risponde.

«No, non credo» risponde con freddezza la dottoressa. Muove la lastra, aggrotta un po’ le sopracciglia. «Cercare e accettare il dolore non è innato, altrimenti troveremmo un comportamento del genere anche negli animali. È un comportamento appreso, un’abitudine insana che vi siete portati dietro per morire prima di arrivare ai quarant’anni e rendere la mia vita un inferno.»

Katsuki si morde l’interno delle guance.

Quando chiude gli occhi, non riesce a non pensare a quando era piccolo e a Deku, davanti a lui, coi pugni alti e la faccia gonfia di schiaffi che tremava poco prima di venire colpito e a quanto era facile per lui rompersi dita, mani, piedi e gambe mentre lottava nella speranza di diventare un eroe.

«Se voi disimparaste questo comportamento, forse il mondo sarebbe un posto un po’ più sicuro.»

«Per come stanno andando le cose,» inizia a chiedere Katsuki, posando il mento sul dorso delle mani. «Posso tornare a vivere da solo?»

 

 


 

 

Quando Katsuki torna al suo dormitorio, con una borsa di vestiti, un paio di ramen istantanei e dell’acqua, è di buon umore. 

Ha le guance un po’ arrossate, forse perché ha bevuto, sente di star fluttuando mentre cammina e gli fa ridere il ricordo di Best Jeanist che prova a mangiare del maiale che Katsuki ha grigliato un po’ troppo fino a farlo quasi bruciare. Gli fa ridere ogni ricordo di questa serata. Gli fa ridere che Best Jeanist pensi che un bambino gli abbia dato un pugno, gli fa ridere che per consolarlo lo ha portato a mangiare fuori, gli fa ridere il ricordo un po’ più lontano della prima volta che ha mangiato in un ristorante con Best Jeanist e ha bevuto il sakè per la prima volta e Best Jeanist ha riso perché il sakè non si beve come se fosse birra, il sakè non si beve nemmeno come se fosse una tazzina di caffè espresso. Fa ridere, a Katsuki, l’idea di aver bevuto alcolici per la prima volta, tanto tempo fa, insieme a Best Jeanist e di non aver mai bevuto insieme a suo padre. Gli fa ridere l’idea di non dover vivere a casa dei suoi genitori e di poter finalmente tornare nei dormitori e non dover sopportare su madre fargli ramanzine e la totale mancanza di rilevanza di suo padre nella sua vita.

Tutto lo fa ridere, mentre barcolla verso il suo dormitorio, tutto lo mette di buon umore.

Deve essere l’euforia della libertà. Deve essere l’euforia di riuscire a tornare a vivere come stava vivendo prima della schiena spezzata, l’idea di poter finalmente ricominciare da dove aveva lasciato. Katsuki è entusiasta. Non si rende conto delle luci spente, forse perché a volte cammina con gli occhi chiusi, non si rende conto del silenzio del quartiere, forse perché i suoi pensieri sono molto rumorosi.

All’inizio, non si rende nemmeno conto di Deku, seduto davanti alla porta del dormitorio di Katsuki con le ginocchia unite e le mani sotto le cosce, che aspetta, guardando il buio intorno a lui.

Quando Katsuki nota Deku, il suo sorriso e il suo buon umore sfuma un pochino. Lascia cadere la borsa piena di vestiti e ramen istantaneo davanti al portone di casa e biascica: «Che ci fai qui?»

Deku fa un’espressione disgustata. Distoglie lo sguardo. «All Might è morto» gli dice. «Quindi sono venuto da te.»

Deku sa dove si trova il dormitorio di Katsuki, sembra sapere come arrivarci e non aveva nemmeno problemi ad aspettare fuori dalla porta nonostante il freddo intorno a lui. Katsuki ci mette un po’ a capire di cosa sta parlando Deku, non ricordava nemmeno di aver detto il giorno prima quelle stesse parole, ma apre la porta, gli fa cenno di entrare, riprende da terra la sua borsa e chiede: «Vuoi del ramen?»

«Santo cielo, no» risponde disgustato Deku. Si china per togliersi le scarpe. Prima le slaccia, poi inizia a cercare di tirare fuori il piede, ma non sembra riuscirci. Spinge la scarpa con una forza media, all’inizio. Spinge e la scarpa non sembra voler lasciare il suo piede e allora Deku perde la pazienza e inizia a spingere con un po’ più di forza. È frustrato, irritato, le sue dita sembrano intorpidite e sono di un rosso quasi innaturale, forse per colpa del freddo.

Katsuki ha la mente annebbiata dal sakè e il corpo un po’ troppo leggero. Si siede davanti al genkan, spalla contro spalla con Deku, e si allunga verso di lui, spingendo via le scarpe di Deku con così tanta facilità che la frustrazione di Deku di poco prima sembra una messa in scena. Katsuki ride. Non prova ad accendere la luce, ha come la sensazione che l’interruttore non funzionerebbe e comunque non ha voglia di tenere la luce accesa. «Non ti sai nemmeno togliere le scarpe da solo.» Sistema di nuovo la borsa sulla spalla ed entra in casa per gettarsi sul futon con le braccia aperte e trovare la posizione migliore per dormire.

«Almeno lavati prima» borbotta Deku. Sistema le scarpe nel genkan, si trascina anche lui nel futon e si sdraia accanto a Katsuki come se fosse la cosa più naturale del mondo. Magari lo è. «Puzzi di sudore e alcol.»

Katsuki allunga il naso verso Deku e, forse perché è stata una bella giornata, forse perché non è interessato a litigare oggi, o forse perché anche questa situazione lo mette di buon umore, ride. «Tu puzzi di fango e sangue.» Deve essere appena tornato da una missione. Beh. L’odore non gli dà poi così fastidio. «Domani laverò il futon.»

Deku sistema il braccio sotto la testa. Non si toccano tra loro Deku e Katsuki. Il futon sembra essere abbastanza grande da dar loro lo spazio di dormire di lato, sul fianco, guardandosi in faccia senza che nemmeno il loro gomito si sfiori. Katsuki tiene gli occhi chiusi e anche questo lo fa ridere. Che strano, si ritrova a pensare che non avrebbe mai creduto di condividere il letto con Deku. Le ragazze degli appuntamenti al buio sarebbero molto tristi se lo scoprissero. «Sono stanco, Kacchan» sussurra Deku, studiando il profilo di Katsuki. 

Prenderò una grande casa in cui potrai dormire, vuole dire Katsuki, ma la sua lingua non è abituata a dire certe cose. Allunga la mano e la preme contro la faccia di Deku. «Allora dormi invece di rompermi le palle» risponde. 

Non sa perché, con Deku è così facile dire la cosa sbagliata.

 

 


 

 

Katsuki ha preso il giorno libero per sistemare il suo dormitorio, ma questo non vuol dire che, quando ha aperto gli occhi, Deku stesse dormendo accanto a lui. Non che importi. La cosa importante è averlo tirato fuori dal Cimitero degli Eroi, il resto dovrebbe venire col tempo. La voglia di vivere, il ricordo del perché è diventato un eroe, la motivazione per continuare a fare cose tanto inutili come fare pubblicità, far salire il suo brand reputation e essere gentile con persone che non sono gentili con lui. Essere un eroe, dice sempre Best Jeanist, per metà è reputazione e solo l’altra metà è forza. Questo Katsuki, portandosi un braccio davanti agli occhi per bloccare la luce del sole, lo sa.

Il futon è sporco di fango e sudore, odora di sangue e sudore e Katsuki si sente tutto appiccicoso per colpa del sakè di ieri, ha una gran sete e un po’ di mal di testa.

«Tieni.»

«Ah, grazie» borbotta Katsuki, alzandosi a sedere e afferrando il bicchiere di acqua che Deku gli ha offerto. Beve. Ci mette un po’ a capire cos’è successo. Beve. Ah. La testa gli fa un po’ male. Beve. Allarga gli occhi e si gira per trovare Deku, seduto composto che divide i vestiti colorati da quelli bianchi. «Che cazzo ci fai qui?»

Deku aggrotta le sopracciglia. Non guarda Katsuki negli occhi. «Non posso stare qui?» chiede dopo qualche secondo. Lancia uno sguardo alla finestra, osserva il cielo azzurro e dei passerotti alla ricerca di cibo sul davanzale della finestra, poi abbassa lo sguardo e mostra il cellulare privo di notifiche a Katsuki. «Non ho niente da fare.» Continua a dividere i panni sporchi. Intorno a lui, il dormitorio lasciato abbandonato da anni, è pieno di polvere e vuoto di ogni utensile utile per la casa. Deku fa una smorfia con le labbra, scuote un po’ la testa. «Non ho la più pallida idea di come si fanno i lavori di casa» ammette, girandosi verso Katsuki con gli occhi spalancati.

Katsuki ha un po’ di mal di testa, lo vuole ripetere, e il suo corpo è pesante come un mattone, ma l’immagine di Deku coi capelli bagnati e un asciugamano sulle spalle, i pantaloncini in pieno inverno, una scopa sottosopra, uno straccio sporco pronto a essere passato su un parquet e due montagne di vestiti sul pavimento lo fa ridere. «Lo so» esclama, togliendogli dalle mani i vestiti sporchi. «Fammi fare la doccia. Tanto oggi lo avevo pensato per rimettere in piedi l’appartamento.»

Deku non ha più gli occhi grandi di quando era bambino. Annuisce alle parole di Katsuki e lo segue con lo sguardo fino a che non scompare in bagno. Era più facile, quando era piccolo, capire quando stava mentendo, ma col passare del tempo ogni bambino impara a mentire meglio e per quanto Deku volesse sembrare un eroe senza macchia, non si è mai liberato della sua natura umana e di tutti i suoi difetti. Non ha più gli occhi grandi di quando era bambino e Katsuki ha troppo mal di testa per studiare le stranezze nei comportamenti di Deku. Non si rende conto che sta mentendo.

Quando Katsuki esce dalla doccia, con ancora l’asciugamano legato al fianco, Deku non è più lì.

 

 


 

 

Katsuki ha trascinato tre buste di panni sporchi da lavare in una lavanderia fai da te. Ha pagato con le monetine, occupato quattro lavatrici e si è seduto sulle panche a guardare i suoi panni girare e girare e girare e girare e girare. E così come le lavatrici girano e girano e girano, anche i suoi pensieri girano e girano e girano. È uno dei difetti di avere una buona memoria. Puoi mettere insieme tanti puntini dei tuoi ricordi e arrivare sempre a soluzioni diverse senza essere sicuro di arrivare alla soluzione giusta perché se si ha una buona memoria non vuol dire che si è emotivamente intelligenti. Quindi le lavatrici girano e girano e girano e i pensieri nella testa di Katsuki girano e girano e girano e cercano un senso, il loro posto nel puzzle del senso della vita in Katsuki.

C’è un odore pungente di detersivo, nella lavanderia fai da te. Katsuki è in pantaloncini nonostante fuori faccia così tanto freddo che minaccia di nevicare, e le luci artificiali calde sopra di lui danno l’impressione di un isolamento della lavanderia dal mondo. Non c’è motivo per sbrigarsi a tornare a casa. Katsuki ha passato l’intera giornata a lavare, spolverare, ordinare e organizzare per tornare in una casa linda e pinta e gettarsi nel futon pulito e dormire fino a domani. Le lavatrici girano. I pensieri girano.

Il primo pensiero nella testa di Katsuki è questo: lui è sempre stato sicuro di essere amato da sua mamma. È un pensiero particolare. Una volta, sua mamma lo ha fatto andare con la guancia gonfia a causa di uno schiaffo dato perché Katsuki aveva osato risponderle quando lei era arrabbiata. Katsuki è andato a scuola con la guancia rossa e gonfia e non ha mai dovuto dare spiegazioni a nessuno. La mamma è sempre stata incline alla violenza, forse perché era stata cresciuta così, forse perché lo ha imparato da qualche parte, forse per ragioni così astratte che la testa di Katsuki non riesce a spiegarselo. Questa violenza, tuttavia, non ha mai cancellato l’amore di Bakugo Mitsuki per suo figlio. Sì, lei si arrabbiava, ma perché ci teneva. Sì, lei perdeva la pazienza, ma perché è più facile perdere la pazienza con persone a cui tieni piuttosto che con persone che non conosci o con cui non hai un rapporto. Nella mente di Katsuki, la violenza di sua mamma non ha mai intaccato l’amore che lei provava per lui, anzi, a volte pensava che le due cose andassero di pari passo.

Il secondo pensiero nella testa di Katsuki, che gira e rigira insieme al primo, è questo: Katsuki non ha mai odiato Deku, piuttosto, c’è sempre stato uno strano affetto nei suoi confronti che Katsuki non ha mai saputo mettere a parole. C’è stato un momento in cui Katsuki pensava che Deku lo guardasse dall’alto in basso, c’è stato un momento in cui pensava che Deku avesse tenuto nascosto quello che era e sapeva per prendersi gioco di lui e quel senso di tradimento si era trasformato in rabbia e quella rabbia aveva allontanato e avvicinato e allontanato Deku da lui ancora e ancora. Quando era piccolo, quando Katsuki colpiva Deku, quando gli diceva che era meglio se non rialzava dopo il pugno che gli aveva dato, quando gli diceva di non combattere più contro di lui, ridendo, Katsuki provava un qualche tipo di affetto per Deku. Voleva che diventasse più forte, voleva che si rialzasse, che combattesse, che gli tenesse testa. Non ha una spiegazione logica per questo. Non voleva l’attenzione di Deku, quando era piccolo, voleva la sua forza. Voleva che Deku fosse forte quanto lui. Si arrabbiava con Deku, ma perché ci teneva, perdeva la pazienza, ma perché è più facile perdere la pazienza, arrabbiarsi e sentirsi traditi da una persona a cui vuoi bene, piuttosto che da uno sconosciuto.

Questi due pensieri, insieme, fanno quasi vomitare Katsuki, ma c’è un terzo pensiero che gira insieme a loro: Katsuki ha imparato a non aver paura del dolore a causa di sua madre e Deku ha imparato a non aver paura del dolore a causa di Katsuki.

C’è un ulteriore pensiero che gira insieme agli altri: il primo rapporto importante in cui l’affetto o l’amore non era mischiato con la violenza, la prima persona che ha voluto bene a Katsuki e non ha mai alzato un dito contro di lui per rabbia o frustrazione è stato Best Jeanist. All Might è sempre stato il suo eroe, il sogno da raggiungere e il suo obiettivo, Katsuki ne è consapevole, ma Best Jeanist è il suo eroe personale. È il tipo di eroe che si porta nelle presentazioni che si fanno alle elementari in cui ti chiedono di presentare il tuo eroe nella vita reale. Best Jeanist non è il più forte, non è l’eroe più famoso e ha la brutta abitudine di coccolare un po’ troppo le sue spalle buone a nulla, ma forse per questo è l’eroe perfetto per Katsuki. Forse perché Best Jeanist continuava a visitarlo, perché gli ha detto che sarebbe potuto tornare a essere una sua spalla quando ancora non poteva nemmeno camminare, Katsuki non ha perso la speranza di poter tornare a essere un eroe, un giorno.

L’ultimo pensiero è forse un po’ più complesso di quello che Katsuki vorrebbe, ma non riesce a non ricordare una cena, quando ancora andava al liceo, in cui sua mamma ha invitato Best Jeanist per ringraziarlo di essersi preso cura di Katsuki durante il suo primo praticantato, e qualcosa è andato storto. Katuki ha ricordi vaghi dei suoi errori, soprattutto quando sono errori secondo sua mamma, non ricorda cosa ha fatto di sbagliato perché anche respirare era un errore quando la mamma era di cattivo umore, quindi non ha idea di cosa avesse fatto quella volta. Forse aveva risposto con un po’ troppa arroganza o forse non aveva risposto, forse aveva riso nel momento sbagliato o forse si era distratto nel momento meno opportuno, ma ricorda uno schiaffo da parte di sua madre. Non era uno schiaffo particolarmente forte, non sarebbe stato nemmeno ricordato se Best Jeanist non avesse reagito sbattendo le palpebre  e rimproverando la mamma con delle parole che Katsuki ancora oggi gira e rigira tra le mani, cercando di capirne il senso: suo figlio è un po’ troppo grande perché qualcuno gli metta le mani addosso, non pensa? Best Jeanist era furioso.

La frase ancora perseguita Katsuki. 

Best Jeanist non intendeva dire che se Katsuki fosse stato più piccolo avrebbe accettato che sua mamma lo picchiasse davanti a lui, ma quella frase Katsuki l’aveva sentita dire da donne che parlavano dell’educazione da parte dei padri nei confronti delle figlie. Se le continua a picchiare, aveva detto una signora al mercato della frutta l’altro giorno, quando Katsuki e sua mamma hanno incontrato Inko-chan davanti alle scale del condominio, loro penseranno che sia normale che un uomo le picchi e che sia per amore. Sono troppo grandi, quelle ragazzine, perché loro padre metta loro le mani addosso.

Quest’ultimo pensiero, Best Jeanist che lo difende da sua madre, la gratitudine che Katsuki prova verso sua madre per averlo abituato al dolore, la sua incapacità di distinguere la violenza, anche leggera, dall’amore, fa venire voglia di vomitare a Katsuki, che si porta una mano davanti alle labbra. L’idea di aver portato questo comportamento nella sua relazione con Deku, di averlo costretto a dimostrargli il suo affetto e la sua rabbia attraverso la violenza, lo nausea ancora di più, e che questo comportamento fosse incoraggiato dal loro essere eroi gli pesa sul petto, mentre sta seduto su una panchina della lavanderia fai da te e le lavatrici girano e girano e girano davanti a lui e i suoi pensieri girano e girano e girano insieme ai panni sporchi.

 

 


 

 

Quella notte, Deku non si presenta al dormitorio, ma manda un messaggio a Katsuki. 

Sono stanco e forse abbastanza disperato da decidere di ricominciare a vederti come quando eravamo al liceo.

 
  
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