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Autore: Orso Scrive    08/03/2024    2 recensioni
Durante la torrida estate del 2022, la Toscana è sconvolta da alcuni misteriosi e brutali omicidi. Omicidi che vedono, come vittime, tombaroli sorpresi a scavare all’interno di antiche sepolture etrusche.
Per questo motivo, il tenente Manfredi e il sottotenente Bresciani vengono inviati a San Gimignano, in provincia di Siena, nel cuore dell’antica Etruria, per indagare sugli strani avvenimenti.
Riusciranno Alberto e Aurora a fare luce su questo nuovo caso, che affonda le sue radici ai tempi della guerra tra Roma e gli Etruschi, e forse a tempi ancora più remoti?
Genere: Horror, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A&A - STRANE INDAGINI'
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3.

 

 

 

Nel soffocante cassone del Fiat Ducato nero posteggiato tra alcuni alti noci che lo nascondevano alla vista di eventuali curiosi, era stata installata una vera e propria stazione operativa.

Diversi schermi proiettavano una luce azzurrina, ronzando pigramente. Varie spie lampeggiavano nel buio e, a rompere il silenzio, contribuiva un leggero bip che risuonava a intervalli regolari. Di quando in quando, qualche macchina si surriscaldava un po’ troppo, mettendo in moto delle assordanti ventole per il raffreddamento, che giravano tanto forte da far tremare gli involucri in metallo che racchiudevano chip e processori. Davano quasi l’impressione di volersi levare in volo, nemmeno fossero stati rotori di un elicottero. Forse cominciava ad avvicinarsi il momento di provvedere a sostituire qualche computer troppo vecchio e malmesso con apparecchi più recenti.

Nonostante avesse a sua disposizione una tecnologia che iniziava a farsi un po’ troppo obsoleta per i suoi gusti, al punto che parecchi programmi di ultima generazione non potevano essere supportati, Fabio Marotta restava pur sempre un valido tecnico informatico.

Sapeva esattamente che cosa fare.

Le sue abili dita – dopo aver appoggiato sul tovagliolo di carta l’ultimo pezzo della brioche alla crema che stava mangiando – volarono sulla tastiera come le mani di un pianista, richiamando comandi e digitando ordini. Parole in rapida successione sfilarono sullo schermo, formando codici lunghissimi e inesplicabili. Gli occhi di Fabio, protetti da occhiali dalle lenti azzurrate, recepirono in fretta quelle informazioni. Quando comparve la richiesta di conferma, non esitò.

Premette subito il tasto invio.

Un modem posato sul tavolino di metallo al suo fianco lampeggiò per un istante. I led da rossi si fecero arancioni, e infine verdi. Aveva agganciato il wi-fi della rete della villa. Pochi altri concitati comandi, e lo schermo gli comunicò che il sistema dell’impianto d’allarme era stato penetrato a dovere. Non per niente, con una discreta dose di autocompiacimento tutto suo, Fabio si definiva il “Rocco Siffredi dell’informatica”. Non c’era buco (elettronico) in cui non fosse in grado di infilarsi.

Una goccia di sudore gli si formò all’attaccatura dei capelli neri come il carbone e gli solcò la fronte, scorrendogli sulla guancia ispida di barba non rasata da due giorni. Il meno era fatto. Ora veniva la parte più difficile. Doveva riuscire a disattivare prima di tutto gli allarmi e, dopo, se gliene fosse rimasto il tempo, anche le telecamere a circuito chiuso.

Era il momento di dimostrare tutta la sua abilità.

Doveva tirare fuori ogni stilla della sua arte di seduttore di computer altrui.

Fabio si asciugò il sudore con una manata distratta e si piegò in avanti, fissando lo schermo. Richiamò una schermata, su cui lampeggiava il cursore, in attesa. Sapeva di dover inserire una password. Con le mani che tremavano un poco, prese dal tavolino il taccuino su cui aveva scribacchiato il codice composto da dodici cifre. Ora non restava da scoprire se le informazioni in loro possesso erano corrette. Se la password non fosse stata quella giusta, non avrebbe saputo quali pesci pigliare.

La digitò in fretta e, dopo un’ultima esitazione, premette il pulsante di conferma. Sulla pagina lampeggiò un pugno con il pollice alzato a dargli il gesto dell’okay, contornato da un quadratino di un confortante blu oltremare. Ce l’aveva fatta. Quel chiacchierone di Pavlov si era davvero meritato lo sconto di pena che il giudice gli aveva promesso in cambio del suo aiuto.

Ora si trovava all’interno della pagina della gestione degli allarmi. Sapeva esattamente che cosa fare, perché si era esercitato a lungo con una copia di quel programma. Non impiegò che pochi secondi per aprire la schermata che lo interessava. Avvicinò il cursore del mouse al segno di spunta blu che manteneva attivi tutti gli allarmi e, con aria di trionfo, si preparò a schiacciare il tasto sinistro…

Ci fu un botto leggero, un guizzo delicato e Fabio si trovò a fissare la frase Nessun segnale che lampeggiava nel centro del suo schermo, divenuto per il resto completamente nero. Durò una manciata di secondi, poi lo schermo andò in stand-by automatico.

Per un istante, il tecnico rimase immobile, stralunato, senza capire con esattezza che cosa stesse succedendo. Sul suo volto, l’aria di trionfo cedette poco alla volta il posto a una smorfia interdetta e sbigottita.

Poi, improvvisa e pesante come un macigno precipitato dall’alto di un monte, la consapevolezza gli si riversò addosso.

«No, no, cazzo, no!» sbraitò, abbassandosi per premere ripetutamente il tasto di avvio del computer. Lo spinse sempre più forte, lo prese persino a pugni. Inutilmente.

Non ottenne alcun risultato.

La macchina si mantenne inerte, inanimata.

Cadaverica.

«Che cosa succede?» domandò allarmato Gianni Gallone, l’autista, aprendo il divisorio che separava la cabina di guida dal retro del furgone.

«Questo dannato vecchiume ha scelto proprio il momento migliore per andare a farsi fottere!» imprecò Fabio, continuando a prendere a pugni il computer come se questo potesse bastare a rianimarlo.

«Di computer non me ne intendo granché», replicò Gallone, composto, «ma presumo che, quando uno di loro va a farsi fottere, non sia esattamente una buona notizia.»

«Non è per niente una buona notizia!» gracchiò Marotta. «Non sono riuscito a staccare gli allarmi…»

Fece girare su se stessa la sedia e agguantò la radio, che si trovava alle sue spalle. Infilò le cuffie, attivò la comunicazione e cominciò a chiamare, parlando nel microfono: «Tenente Manfredi, tenente! Bisogna annullare tutto! Tenente, mi riceve?! Bisogna sospendere...»

Dagli auricolari gli risposero soltanto scariche rumorose e fastidiose. A un certo punto, gli parve di udire qualcosa. Ma non era il tenente Manfredi. Era una musichetta, invece, a cui fece seguito una serie di numeri ripetuti in tono monocorde da una voce elettronica. Anziché sul segnale del tenente, quell’aggeggio sgangherato si era sintonizzato su una stazione radio qualsiasi.

«Dannazione!» gridò, strappandosi di dosso le cuffie e gettandole via con sgarbo. «Possibile che non funzioni mai nulla, qui?! Siamo una squadra speciale o una compagnia di clown?!»

Doveva sbrigarsi a trovare gli altri prima che fosse troppo tardi. Balzato in piedi, Fabio agguantò la maniglia per aprire il portellone.

Ma era già troppo tardi.

Da qualche parte, a non molta distanza, diverse sirene d’allarme cominciarono tutte insieme a ululare ossessive, riempiendo l’aria con il loro latrare continuo.

 

 
   
 
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