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Autore: Hazel92    10/03/2024    1 recensioni
Violet Tilton ha tutto quello che si potrebbe desiderare nella vita. Vive a New York, è una scrittrice di successo, ha dei buoni amici e due genitori fantastici. Una telefonata inaspettata però cambierà ogni cosa e Violet sarà costretta a mettere in discussione se stessa e le sue origini. Divisa tra la grande mela e una piccola cittadina della Pennsylvania, Violet si troverà a dover scoprire vecchi segreti, fare nuovi incontri e fronteggiare pericolose rivelazioni.
Genere: Romantico, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 4
 
La mattina trovai sul cellulare una serie di chiamate da parte dei miei genitori più qualche messaggio.
 
Che è successo? Appena puoi chiamaci.
 
Violet, tutto bene? Di cosa devi parlarci?
 
Tesoro? Ci stai facendo preoccupare…

 
Ma solo io conoscevo l’esistenza del fuso orario? Sospirai e provai a chiamare mia madre. Dopo un paio di squilli tuttavia riagganciai. Non potevo chiamarli così, avevo bisogno di prepararmi un discorso. Cosa gli avrei detto? Avrei raccontato tutta la verità? Ed era davvero saggio affrontare il discorso via telefono? Ma in fondo non potevo aspettare che tornassero per avere delle risposte.
Presi in mano la cartellina e tirai fuori le chiavi di quella casa che sembravano chiamarmi. L’idea di andare in quel posto da un lato mi terrorizzava, ma dall’altra la curiosità mi spingeva ad andare. E poi poteva anche essere una scusa per prendermi una pausa dalla vita frenetica di New York…
Magari sarei anche riuscita a scrivere qualcosa di decente, che si trattasse di quello che mi chiedeva Claire o meno.
In ogni caso, non potevo prendere e andarmene senza dire niente a nessuno, così quando il telefono prese a squillarmi e il volto di mia madre comparve sullo schermo, non esitai a rispondere.
- Ciao mamma… - la salutai con poco entusiasmo.
- Violet! Finalmente… - dall’altra parte del mondo doveva essere notte, ma era evidente che lei e mio padre non avevano chiuso occhio aspettando mie notizie. Questo mi fece sorridere. Darren e Rebecca Tilton potevano anche non essere biologicamente correlati a me, ma erano loro che mi avevano cresciuta ed io gli volevo bene.
- Di cosa volevi parlarci? Noi torneremo tra cinque giorni, ma se vuoi possiamo parlare ora… - mi morsi il labbro inferiore, in preda all’ansia. Certo, parlare dal vivo sarebbe stato meglio, ma come si dice…tolto il dente, tolto il dolore.
- Mettimi in vivavoce, mamma – volevo che anche mio padre ascoltasse.
- Ok tesoro, ti stiamo ascoltando entrambi – mi sentivo quasi in colpa. Se i miei genitori erano le brave persone che conoscevo, questa conversazione li avrebbe sconvolti. Poi però mi ricordai che quella a cui era stata sconvolta l’esistenza ero io, e che loro mi avevano nascosto la verità per tutti questi anni.
- Bene – dissi – volevo parlarvi perché mi chiedevo per quale motivo non mi avete mai messa al corrente del fatto che sono stata adottata – ecco, lo avevo detto. Dall’altro capo del telefono per una manciata di secondi sentii solo silenzio, tanto che pensai mi avessero riattaccato.
- Come lo hai saputo? – il primo a reagire era stato mio padre. La sua voce era un misto di ansia e tristezza.
- Non ha importanza – replicai. – Rispondete alla mia domanda – forse ero un po’ brusca, ma poco mi importava.
- Abbiamo firmato un accordo di riservatezza – strabuzzai gli occhi. Bene, questa non me l’aspettavo. – Non potevamo dirtelo, per questo non lo abbiamo mai fatto – se era vero, beh aveva senso.
- Chi vi ha fatto firmare questo accordo? – mi accorsi che la voce mi tremava leggermente.
- Tua nonna… - non ci avrei messo la mano sul fuoco, ma ero quasi sicura che mia madre stesse piangendo mentre parlava con me, ed io stavo per seguirla a ruota. Una cosa però non mi tornava. Perché ritornava sempre mia nonna e invece non si parlava mai dei miei genitori?
- E che sapete dirmi dei… - era difficile chiedere a quelli che consideravi i tuoi genitori, notizie sui tuoi veri genitori che probabilmente ti avevano abbandonato senza alcuno scrupolo. – Sapete qualcosa dei miei genitori biologici? –
- No – rispose mio padre – Tua nonna, Darlene, non ci ha mai voluto dire niente su di loro – aggrottai le sopracciglia. Quella donna, Darlene, mi sembrava sempre più misteriosa. C’erano talmente tante cose che avrei voluto sapere, ma a questo punto non ero più certa che i miei genitori potessero darmi le risposte. Avevo l’impressione che l’unica ad avere tutte le risposte fosse proprio mia nonna. C’era solo un piccolo problema: era morta.
- Violet? – dovevo essere rimasta in silenzio più tempo di quello che immaginavo.
- Si – sospirai – sono ancora qui –
- Ci dispiace che tu lo abbia saputo così… - disse mia madre.
- Oppure siete dispiaciuti che lo abbia saputo e basta? –
- Violet, sai che se avessimo potuto te lo avremmo detto. C’erano delle clausole davvero rigide nel contratto che abbiamo firmato quando ti abbiamo presa con noi. Ci era sembrato strano anche all’epoca, ma ti volevamo così tanto che non ci è importato… - iniziai a singhiozzare. Sapevo che mi avevano sempre voluto bene, ma nonostante la loro spiegazione, in parte continuavo ad essere arrabbiata con loro.
- Avete mai pensato di dirmelo? –
- Certo! – esclamò mia madre – Ogni giorno. Non c’è stato giorno in cui non ci siamo chiesti se avessimo dovuto dirti la verità o meno – Però alla fine non lo avete fatto. Pensai.
- Perché io non ricordo niente? – chiesi bruscamente.
- Eri molto piccola… - tentò di spiegarmi mio padre.
- Non così tanto – replicai. – Avevo quattro anni… - per un po’ i miei riuscirono solo a balbettare qualcosa. Era evidente che non avevano idea di cosa rispondermi.
- Sarebbe meglio parlarne faccia a faccia – sentenziò alla fine mio padre.
- Io voglio parlarne ora – mi opposi.
- Violet, non è una buona idea… - mia madre era sempre quella più ragionevole in famiglia, e infatti avevo sempre pensato di aver preso da mio padre, ma mi resi conto che adesso non sapevo neanche più da chi avessi preso la mia personalità o le caratteristiche fisiche.
- Bene – sbottai – vorrà dire che lo scoprirò da sola. Quando tornerete potrei non essere a New York – ero sorpresa quasi quanto loro della decisione che avevo appena preso.
- E dove dovresti andare? – erano allarmati.
- In Pennsylvania -  dissi – mia nonna mi ha lasciato una casa, ed io intendo andarci – prima che potessero dissuadermi in qualche modo, li interruppi. – Non mi farete cambiare idea. Ci sentiamo… - riattaccai il telefono e poi lo spensi.
Inspirai profondamente e cercai di calmarmi. Avevo appena avuto la peggiore conversazione della mia vita, e in più non avevo avuto tutte le informazioni che volevo. Almeno una cosa però mi faceva sentire leggermente meglio. Qualcuno aveva costretto Darren e Rebecca Tilton a non dirmi la verità, e questo mi faceva essere un po’ meno in collera con loro. Avevo già troppi problemi, non potevo sprecare energia ad odiarli.
Adesso che avevo deciso di partire per Woodthon, mi restava solo una cosa da decidere. Come ci sarei andata? Pensai all’eventualità di prendere il treno, ma ovviamente non c’erano fermate nei pressi di quella cittadina sperduta. Così decisi di prendere un volo per Pittsburgh che sarebbe partito quello stesso pomeriggio, e una volta lì avrei dovuto trovare un modo per raggiungere Woodthon.
Preparai la valigia in tempi record, tralasciando qualsiasi cosa che fosse troppo elegante. Dubitavo che mi sarebbe servita in quel posto. Oltre alle cose fondamentali, come vestiti, scarpe e tutto ciò che riguardava il bagno, infilai anche un paio di libri da leggere. Avevo l’impressione che mi sarei annoiata parecchio e non potevo di certo passare tutto il tempo a scrivere.
Una volta sistemato tutto, mi misi al computer e scrissi un e-mail alla mia agente.
 
Ciao Claire,
 
non temere sono ancora viva. In questi giorni sono stata piuttosto impegnata, ed è per questo che ho deciso di prendermi una pausa da New York. Una lontana parente mi presta la sua casa in Pennsylvania per un po’ ed ho deciso di approfittarne.
Chissà, magari riuscirò a farti contenta e a scrivere un “-quel”!
Non so ancora quanto resterò, ma tranquilla ti terrò aggiornata.
 
A presto,
 
VT

 
Anche questa era fatta. Mangiai qualcosa al volo e una volta pronta, chiamai il portiere del mio palazzo per chiedergli di chiamarmi un taxi. Quando scesi giù, lo trovai già fuori ad aspettarmi. L’autista caricò la mia valigia, ed io salii a bordo insieme alla mia borsa e al mio fedele portatile.
Era tutto pronto, potevamo partire.
Mentre il taxi sfrecciava tra le strade di New York diretto all’Aeroporto JFK, iniziavo già a sentire la mancanza di quella grande metropoli che per anni era stata casa mia. Magari sarei rimasta a Woodthon solo qualche giorno, o magari no… Tutto dipendeva da quello che avrei trovato. Le chiavi di una casa sconosciuta, erano lì che tintinnavano nella mia borsa. Per la prima volta, osservandole, mi resi conto che avevo paura. Sì, avevo una destinazione, ma la verità era che avevo appena iniziato un viaggio verso l’ignoto.
   
 
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