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Autore: KiarettaScrittrice92    26/03/2024    0 recensioni
Nel '68, gli anni della rivolta giovanile, sette ragazzi si ritroveranno a combattere per qualcosa di più grande della loro indipendenza e della loro libertà.
Solo grazie alla loro amicizia, alla loro voglia di essere diversi e al loro indiscusso legame, riusciranno a vincere questa battaglia.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il notiziario

20 Settembre 1968

Un viaggio on the road, questo era. Quando Susan, ormai una settimana prima, era partita da casa per andare al concerto di Jimi Hendrix, non avrebbe mai creduto che non avrebbe smesso di viaggiare, che avrebbe trovato nuovi amici e che sarebbe diventata una specie di eroina. C’erano dei momenti in cui non riusciva a capacitarsi della piega che aveva preso la sua vita, ma poi si guardava intorno e capiva che era tutto vero.
Erano sette ragazzi e sette kwami, senza un vero e proprio obiettivo, che stavano pian piano imparando a conoscersi. Colui che aveva dato loro i miraculous, quello che i kwami chiamavano spesso “il guardiano” non aveva lasciato loro nessuna indicazione su cosa dovevano fare realmente, anzi a dirla tutta non l’avevano proprio mai incontrato. Gli spiriti avevano raccontato loro che in passato si erano ritrovati ad affrontare entità di ogni tipo, alcune volte tutti insieme, come in quell’occasione ed altre volte solo alcuni di loro erano stati attivati, ma nemmeno loro conoscevano la minaccia di quel momento. Il sessantotto si andava a concludere e i ragazzi, comprendevano che forse sarebbero dovuti essere loro a dare un freno alle proteste che ancora impelagavano per gli Stati Uniti d’Amarica, ma come? A parer loro non era andata poi così bene, la loro prima battaglia, anche se i kwami erano di tutt’altro parere. Fino a che non avessero capito come e dove agire, sarebbero tornati a Madison.
Una cosa era certa, avevano bisogno di esercizio e soprattutto d’imparare a lavorare in squadra, sebbene fossero già abbastanza affiatati. Una cosa li accomunava, la musica; in fin dei conti si erano conosciuti al più bel concerto di quell’anno. Susan si fidava di loro, soprattutto dal momento in cui li aveva trovati tutti al suo fianco nel momento in cui aveva perso i sensi durante la battaglia a Fruita. Ogni tanto dava il cambio a Cristopher e a Martha per la guida, così che si potessero riposare a turno. La notte solitamente si fermavano in un parcheggio per camion o, se andava bene in un campeggio che non costasse troppo. Quella sera in particolare, quando furono nei pressi di Crook, seguirono le insegne per una zona di sosta per camper, sebbene il loro fosse appena un furgoncino.
Pagarono l’ingresso e lo stanziamento per la notte e furono indirizzati un una zona ad ovest, dove vi erano diversi spiazzi e parcheggi ancora liberi.
«Che numero ha detto?» domandò Susan, muovendosi tra gli altri veicoli e le zone d’erba che da un certo orario in poi sarebbero state occupate dalle persone che ancora se ne stavano dentro i camper o al bar.
«Centodue, guarda il cartello è là, svolta.» le disse Cristopher, indicando con il dito uno dei cartelli che riportavano i numeri dei posteggi.
Finalmente si fermarono e pian piano scesero tutti, avendo la possibilità di sgranchirsi le gambe. Erano ormai parecchie ore che stavano sul furgoncino, più o meno dall’ora di pranzo, quindi fu un vero sollievo per tutti
«Credo siamo arrivati appena in tempo. – fu il commento di Justin, che si era fermato a vedere il cartello con le regole del campo – Qui dice che l’ingresso chiude alle 19 di sera e riapre alle 6 del mattino, per permettere ai campeggiatori di non essere disturbati durante la cena e per la notte.»
«Beh, considerato che sono le diciannove meno dieci direi di sì, appena in tempo.» fu la conferma di Jack che allungo le braccia verso l’alto nel tentativo di stiracchiarsi.
«Ho visto che c’è un bar dall’altra parte del campo. Clover, vieni con me a comprare qualcosa da mangiare?» fece Nicoletta tutta d’un fiato, sistemandosi gli occhiali da sole; non che ce ne fosse bisogno, visto che tra poco avrebbe tramontato. 
«Va bene. Qualcuno ha preferenze?» chiese l’altra, dopo aver accettato, sistemandosi i capelli su di una spalla sola.
«A me va bene tutto, purché non ci sia il tonno.» fu il commento di Susan. Dopo di lei altri diedero altre direttive, ma nessuno con un’idea precisa
Mentre le due ragazze recuperavano qualcosa da mangiare, il resto dei ragazzi sistemò la loro piccola zona di prato in modo da poter campeggiare comodi. Sicuramente avrebbero dormito dentro al furgoncino; forse sarebbero stati scomodi, seduti sui sedili, ma per lo meno sarebbero stati al caldo sotto le coperte. In ogni caso, al campeggio era permesso accendere un falò e proprio vicino al loro parcheggio, vi era un angolino che forniva legna, fino a esaurimento scorte, probabilmente lo rifornivano ogni mattina.

 

Una mezz’oretta dopo i sette ragazzi erano tutti attorno al fuoco scoppiettante, mentre mangiavano hot dog e alcuni sandwich confezionati, accompagnati da birre e cola. Infilzati al terreno erboso, a pochi centimetri dal fuoco, alcuni lunghi rami con all’estremità dei morbidi e spugnosi marshmallow. 
«Jack, perché non ci suoni qualcosa?» propose Clover, dopo aver finito il suo panino, pulendosi la bocca con uno dei tanti tovaglioli che il bar aveva dato in dotazione a lei e a Nicoletta.
Inizialmente il ragazzo fu un po’ restio a quella richiesta, ma dopo che anche tutti gli altri insistettero, chiedendogli almeno una canzone, accetto. Si alzò e rientrò nel furgoncino, per recuperare la sua Lucille, la chitarra da cui non si separava mai. Solo audo si fu riseduto ed ebbe riaccordato con calma lo strumento, cominciò a strimpellare qualcosa. Prima fu solo un insieme di accordi casuali, accompagnati dal suo fischiettio; poi cominciò una vera e propria melodia e quasi subito i suoi nuovi amici la riconobbero, cominciando a cantare assieme a lui.

Purple haze, all in my brain
Lately things they don't seem the same
Actin' funny, but I don't know why
Excuse me while I kiss the sky

D’altronde, come potevano scordarla, nemmeno cinque giorni prima l’avevano ascoltata dal vivo in concerto, lo stesso concerto in cui si erano conosciuti. Continuarono a cantare una canzone dopo l’altri, alcune un po’ più ritmate, altre più soft, ma sempre con molto entusiasmo. Alcuni campeggiatori delle zone accanto si erano voltati divertiti, vedendo quel gruppetto affiatato che cantava. Anche i kwami dei sette portatori ascoltavano contenti i loro padroni, godendosi la musica dai loro nascondigli.
Erano ormai le nove di sera quando i ragazzi smisero di cantare, tra una risata e l’altra. Jack aveva posato la chitarra nella sua custodia, Cristopher si era gettato all’indietro, col le mani dietro la nuca, sdraiato comodamente sull’erba.
«Allora… – cominciò a parlare Nicoletta, tirando fuori dalla tasca dei jeans quello che aveva tutta l’aria di essere un piccolo portasigarette in metallo – Sappiamo che siamo tutti appassionati di musica, che siamo degli eroi, o almeno che stiamo provando a diventarlo, ma finora abbiamo parlato solo delle nostre passioni.» la ragazza accese uno dei sottilissimi spinelli con il suo zippo rosa shocking.
«Cioè?» domandò Clover, con un tono divertito.
«Sì, insomma… Siamo una squadra no? Eppure ci conosciamo poco. Raccontatemi un po’ di voi.»
«Perché non cominci tu?» fu il commento di Justin, sollevando un sopracciglio in un’espressione diffidente.
«Oh beh… – rispose prontamente lei, sollevando le spalle e sbuffando una voluta di fumo appena aspirato – Io ho un’ossessione per gli occhiali da sole, faccio cocktail niente male… I miei genitori erano figli dei fiori, si sono conosciuti perché mio padre è stato un immigrato che veniva dall’Italia ed ha conosciuto mia madre nel suo primo negozio.»
«Negozio?» questa volta fu Martha a interrompere il racconto, incuriosita.
«Oh sì, mio padre è il proprietario di “American Crew”, ma quando arrivò qui negli Stati Uniti aveva solamente i soldi per aprire un piccolo negozietto e mia madre fu una sua cliente.»
«American Crew… Wow! Anche il padre di Clover è famoso sai?» fu la risposta di Martha, che ricevette una gomitata dall’amica. La conosceva abbastanza bene da sapere che quella gomitata non era tanto per l’imbarazzo di essere presa in causa, ma per l’esatto opposto, non voleva sembrare petulante, ma adorava raccontare di sé e di suo padre.
«Davvero?» questa volta fu Susan a porgere la domanda.
«Non è molto famoso in realtà, insomma forse un po’. Fa l’attore, ma finora ha ricevuto solo ruoli minori. Insomma non è James Fonda.» la sua risatina finale fece intendere che non voleva proseguire, forse perché in quel caso poi qualcuno sarebbe arrivato a chiederle di sua madre e quello per lei era un discorso off-limits, almeno in quel momento. Apprezzava la compagnia di quel gruppo, ma da lì a rivelare loro i disastri della sua famiglia, ne doveva passare di acqua sotto i ponti.
«Io invece sono quasi sua vicina di casa. – s’intromise Martha, evitando così che qualcuno potesse rivolgere qualche altra domanda all’amica – Ci conosciamo dalle elementari e abbiamo fatto sempre tutto assieme. Le mie mamme stravedono per lei e per la sua indipendenza, spesso si lamentano che sono poco estroversa e troppo delicata.»
«Beh, dovrebbero vederti con quel completino da urlo in pelle nera che indossi da trasformata!» scherzò Clover facendole l’occhiolino e provocando in tutti una risata.
«Vivi con due mamme, che forza!» fu il semplice commento di Susan, ma non aggiunse altro. Nemmeno lei voleva parlare della sua famiglia; soprattutto perché non sapeva nemmeno se aveva ancora una famiglia ormai da parecchi anni.
«E voi maschietti?» chiese invece Nicoletta, rivolgendo il suo sguardo a Cristopher che alzò le spalle senza troppi problemi.
«Io sono nato a New York, mia mamma aveva diciassette anni quando mi ha messo al mondo. I miei nonni sia materni che paterni non ne hanno mai voluto sapere nulla di me, ma io e i miei ce la siamo sempre cavata.»
«Sei figlio unico?» fu la domanda spontanea di Jack.
«Già… E da come l’hai chiesto immagino che tu invece non lo sia.»
«Ho due fratelli più piccoli, o meglio una sorella che ora ha 23 anni e un fratello che ne ha 16. Viviamo con mia madre da quando avevo quattordici anni. Purtroppo mio padre se n’é andato per via di un tumore.» Jack fu l’unico a rivelare qualcosa di scomodo, forse perché era il più grande e non aveva nessun problema a relazionarsi con le persone, soprattutto se queste gli spiravano fiducia come i suoi nuovi compagni.
Quella sua ultima frase però, sembrò chiudere il discorso, perché nessuno, tantomeno Justin che era stato l’unico a rimanere zitto, si azzardò più ad accennare qualcosa sulla propria vita privata. I discorsi, invece, dopo un’altra serie di marshmallow arrostiti, tornarono più spensierati, fino a che il sonno non cominciò a fare le sue vittime.

 

Il giorno dopo la prima ad alzarsi fu Susan. Cercando di non fare rumore e di non svegliare nessun altro, zigzagò tra i sacchi a pelo degli amici e si diresse ai bagni pubblici con un cambio pulito. Dopo essersi fatta una bella doccia ed essersi asciugata il più possibile i folti ricci rossi con un asciugamano, andò direttamente verso il chiosco, decisa a comprare qualcosa per preparare la colazione a tutti. Essendo un locale ben fornito per campeggiatori, la ragazza trovò tutto ciò che le occorreva e tornò al loro furgone, notando che qualcun altro, durante la sua assenza, si era svegliato.
«’Giorno…» disse Cristopher, biascicando la parola, ancora alquanto assonnato.
«Buongiorno» rispose lei con un sorriso, per poi sistemarsi vicino al luogo dove il giorno prima avevano accesso il falò e trafficando con un accendino per riaccenderlo. Il ragazzo l’aiutò a ravvivare le fiamme poi, le chiese indicazioni sui bagni e si allontanò.
Dopo una decina di minuti, lo sfrigolare della pancetta, posizionata su di una piccola padella che Susan muoveva sul fuoco, affiancata a quella dove stava cuocendo alcuni pancake, svegliò tutti.
«Mmmh… Bacon e pancake, la colazione dei miei sogni.» disse Martha, prendendosi la libertà di annusare l’ottimo profumo di quella colazione che si stava pian piano preparando.
«Al chiosco ho trovato la pancetta e un impasto già pronto per pancake, spero che sia buono.» fu la risposta della rossa, che suonò leggermente imbarazzata.
Fortunatamente per lei la colazione non solo risultò ottima, ma piacque anche a tutti. Si stavano gustando gli ultimi bocconi, mentre ascoltavano la radio in sottofondo, quando qualcosa attirò l’attenzione di Jack, che allungò la mano verso la manopola del volume e la ruotò, alzandolo.
«…esattamente tre giorni fa. La polizia stava già intervenendo, ma in loro soccorso sembrano essere arrivati alcuni ragazzi che volevano sedare la rivolta senza usare troppo la violenza. La notizia è trapelata solo adesso perché alcuni pubblici ufficiali hanno trovato l’intervento di questi giustizieri poco rispettoso nei loro confronti, definendolo una pagliacciata. Altri però hanno ammirato la determinazione di questi sette ragazzi, parecchio eccentrici. In ogni caso non sappiamo se è stata un’evento casuale o altro, ma molti genitori dei ragazzi rivoltosi di Fruita hanno ringraziato simbolicamente questi eroi appendendo ai loro balconi bandiere arcobaleno ad indicare i colori accessi dei loro costumi.»
Ascoltarono l’intero servizio senza fiatare, completamente scioccati all’idea che al loro primo, e anche parecchio disastroso intervento, erano comunque stati notati. Negli occhi di ognuno traspariva commozione, stupore, soddisfazione e forse anche una vena di gratitudine nei confronti di coloro che li avevano dipinti in modo così eroico.
«Sapete, credo proprio dovremmo trovarci un nome. Sia come gruppo che come eroi singoli. così possiamo chiamarci tra di noi anche in battaglia, no?» fece Nicoletta, rompendo come sempre il ghiaccio, quando la radio aveva passato ormai da un paio di minuti ad altro.
«Io l’ho già deciso alla mia prima trasformazione, tre giorni fa.» fu il commento di Susan, che con aria distratta strappò un paio di fili d’erba dal prato.
«Davvero? E qual è, sweetie?» le chiese la ragazza, curiosa.
«Ladybug.» fece lei alzando le spalle, come fosse ovvio; d’altronde il suo potere era quello della coccinella.
«Carino, allora io sarò Lady Peackok! – s’intromise Clover, scostandosi i capelli con un gesto teatrale – E tu splendore? Che nome daresti al te, eroe?» aggiunse poi, rigirando la domanda a Jack che stava seduto di fianco a lei.
«Non so… Forse Foxer? Visto che stiamo mettendo dei riferimenti agli animali che rappresentiamo.»
«Mi piace!» confermò allora Clover.
«Allora io sarò Turtle, semplice e conciso.» disse Cristopher seguendo la scia dei nomi di animali.
«Non so… A me non è che piaccia molto chiamarmi ape… – fu il commento di Nicoletta, storcendo la bocca – Che ne dite di Honey?»
«Bello! Anche io voglio qualcosa di leggermente più carino – disse Martha – Pensavo a Black Kitty.»
«Tipico di te, raggio di sole.» le sorrise la sua migliore amica.
«E tu Justin? Ti chiamerai Mr. Butterfly?» chiese Cristopher.
«No… Troppo appariscente, troppo tutto… Già ho un costume che è tutto un programma… Penso che opterò per Hawkmoth.»
«Falena? Sul serio? Beh, ok. L’importante è che piaccia a te.» fu l’ultimo commento di Nicoletta, mentre alzava le spalle.
«Beh ragazzi, io direi che ci conviene ripartire. – intervenne Susan, sbattendo le mani sulle gambe e tirandosi su – Vado un attimo in bagno e poi cominciamo a ritirare tutto che dite?»
«Ai tuoi ordini, coccinellina.» la lingua di Martha si mosse prima ancora del cervello facendole uscire quel nomignolo fin troppo affettuoso che attirò l’attenzione di tutti, soprattutto della diretta interessate che arrossì vistosamente e fuggi via verso i bagni.
«Sai dovresti dirglielo chiaro e tondo.» le fece Clover, dandole una gomitata, non appena la rossa fu abbastanza lontana.
«Cosa?!» chiese Martha, decisamente imbarazzata.
«Che sei cotta di lei.»
«Non è assolutamente vero!» fu l’esclamazione della bionda, che sembrò arrossire ancora di più.

  
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