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Autore: Stella Dark Star    29/03/2024    1 recensioni
“Mi chiamo Ryuguji Kan. Sono nata il 10 maggio 1990 a Shibuya, Tokyo. Mio fratello gemello Ken è nato sei minuti prima di me. Nostra madre era una prostituta. Ha dato me in adozione il giorno stesso della mia nascita... [] Ho scoperto di essere stata adottata quando ero in sesta elementare. [] Non me ne importava niente dell’adozione. L’unica cosa che desideravo era incontrare mio fratello, il mio unico legame di sangue.”
Kan, ragazza madre che rischia di vedersi portare via le figlie gemelle, con queste parole comincia a raccontare la propria storia, partendo dalla ricerca per ricongiungersi col fratello gemello Ken, la sua metà e unica àncora nella vita. Una sorta di diario personale ricco di esperienze, di emozioni, di amicizie profonde come quella con Kazutora e con Angry e altre complicate tipo Baji e Ryusei, della sua prima storia d'amore con Mikey e delle difficoltà della crescita che l'hanno condotta pian piano sull'orlo del baratro, ma con la speranza che per lei possa in qualche modo esserci un lieto fine.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Kazutora Hanemiya, Ken Ryuguji (Draken), Manjirou Sano, Nuovo personaggio, Shuji Hanma
Note: Lemon, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Chapter 30
 [Deep Inside]
 
Un dolore lancinante alla testa lo fece gemere, la vista gli si annebbiò per qualche istante… Che schifo di situazione. Quel giorno gli avevano dato solo un incarico, prendere mezza squadra e fare un giro di ronda per Kabukicho. Nient’altro. Chi se lo aspettava che la Tenjiku li avrebbe attaccati. E soprattutto, chi si aspettava di vedere coinvolti perfino i fratelli Haitani! Li aveva sempre ammirati, portandosi nel cuore il ricordo della prima volta in cui li aveva visti e il desiderio di diventare come loro. Tsk! Ironia della sorte, lo stesso Ran lo aveva appena steso colpendolo alla nuca con un mattone. Un mattone! Chi se ne andava in giro con un mattone? Porca troia, era tutto indolenzito. Fosse stato solo quello, il problema era che prima della comparsa dei due fratelli lui aveva combattuto con quel cazzuto di Mocchi e, mettendo insieme il tutto, non aveva neanche lontanamente le forze per rialzarsi. Per fortuna Hakkai non si trovava lì e questo lo rincuorava, per quanto poco… Però…un momento… Hakkai… No, non lui, c’era una cosa che stava dimenticando… Un’altra fitta gli mozzò il fiato per un momento, ai suoi occhi l’asfalto si confondeva col cielo, da quanto stava male. Il cielo….l’azzurro…
“Taiju…” Ora ricordava, dopo il giro di ronda doveva incontrarsi con lui in appartamento e cucinare insieme. Avevano scelto una ricetta da un grosso libro di cucina, trovato miracolosamente fra vari testi nella sua libreria, e Taiju si era offerto di andare a prendere gli ingredienti. Ormai lo faceva sempre, dopo la prima volta… Lui lo aveva capito, non era solo per assumersi l’incarico finanziario e non gravare su di lui, la verità era che si stava rendendo utile per farsi bello ai suoi occhi. Forse. C’era la possibilità che avesse frainteso, però gli piaceva pensarla in quel modo. Stare con Taiju in quella piccola zona cottura per ore, parlare a ruota libera e cercare gli estrargli qualche parola era diventato il suo passatempo preferito. Di sicuro in quel momento lo stava aspettando e invece lui era gettato sulla strada come una scarpa vecchia. No. Non poteva deluderlo così. Visto che gli occhi non funzionavano a dovere, decise di chiuderli e si concentrò per orientarsi con la mano, fino a raggiungere la tasca del giubbotto dove teneva il telefono. Lentamente, facendo strisciare il braccio al suolo, si portò il telefono all’altezza della faccia e aprì la conchiglia. Non fu necessario aprire gli occhi, sapeva che spingendo il tasto verde sarebbe partita la chiamata a Taiju, l’ultimo numero che aveva chiamato quel giorno, prima dell’attacco a sorpresa. Sentì il bip prolungato e attese.
Pronto? Mitsuya? E’ tutto pronto, ho già pesato gli ingredienti e disposti sul ripiano. Stai arrivando?
Quella voce così severa e baritona, riuscì a farlo sorridere nonostante il dolore.
“Taiju… Mi dispiace… Dobbiamo rimandare…”
……hai una voce strana. Stai male?
“Io… Scusa…”
Le sirene di più ambulanze attirarono l’attenzione delle persone attorno, le quali cominciarono a parlottare. Dovevano essere un bel po’, dato il brusio. E se questi dettagli arrivarono alle orecchie di Mitsuya, era ovvio che raggiungessero anche Taiju dall’altro capo del telefono.
Cos’è quel baccano? Dove ti trovi? Sento le sirene sempre più forti. Mitsuya?”
“Ci…ci hanno…attaccati…”
Dimmi dove sei. Cazzo, rispondi!” Ora il suo tono si era alzato, era più potente. Era arrabbiato?
“Sono…” Le sirene erano così vicine da ferirgli le orecchie, dovette stringere i denti per sopportare.
MITSUYA DOVE CAZZO SEI???
Non appena le sirene si spensero, ci fu un trambusto di portiere, di passi affrettati e di voci, ma in qualche modo Mitsuya riuscì a mettere insieme le forze per dire “Kabukicho”.
“Il telefono lo prendo io, ora pensiamo a te, ragazzo.”
Mitsuya riaprì gli occhi e, per quanto sfocato, vide la figura di un uomo chino su di lui.
“Ha una ferita alla nuca. Sta perdendo molto sangue.” Disse un’altra voce alle sue spalle. L’uomo davanti sollevò lo sguardo. “Dobbiamo portarlo via subito.”
Non sapeva quanto fosse grave o come sarebbe andata a finire, eppure, egoisticamente, l’unica cosa che desiderava in quel momento era poter vedere Taiju.
Se era la fine, voleva rivederlo un’ultima volta per imprimersi nella mente la sua immagine. Non quella dell’ex tiranno che gli aveva mentito e con cui aveva combattuto in chiesa, il vero Taiju che amava era quello attuale, quello che si pettinava i capelli all’indietro per dar loro un aspetto ordinato, quello che indossava abiti firmati per uscire di casa, mentre in appartamento non si faceva problemi ad indossare pantaloni della tuta e magliette aderenti che si strizzavano contro i suoi muscoli forgiati da grandi allenamenti, quello che parlava poco e ascoltava tanto, quello che lo fissava intensamente senza farsi notare e che distoglieva lo guardo quando lui se ne accorgeva, quello che talvolta sorrideva alle sue battute e poi tornava serio come per timore di lasciarsi andare. Quello…a cui non aveva avuto il coraggio di dire ‘ti amo’, con la banale scusa che si conoscevano da poco tempo. Fu questo il pensiero che gli vagava nella mente, nel momento in cui riaprì gli occhi. Sbatté lentamente le palpebre un paio di volte per mettere a fuoco, fino a quando il soffitto perfettamente imbiancato della stanza non divenne nitido. Le sue labbra si dischiusero e la voce sussurrò “Taiju…”
“Sono qui.”
Il cuore gli balzò in petto per la sorpresa, facendolo sentire immediatamente vivo! Volse il capo e lo vide proprio lì accanto al letto, seduto su una sedia che soffriva sotto la sua imponente stazza. Era esattamente come lo stava immaginando in tenuta da casa, coi pantaloni della tuta e una maglia rosso bordeaux a maniche corte che sembrava voler scoppiare. Il suo viso era fermo e inespressivo come una statua, a tradirlo, le braccia incrociate al petto, tenute troppo strette per essere un gesto naturale. Era a disagio per…? Ah, Mitsuya si accorse di avere una mano calda, posata sì sul letto, ma con un solco sotto il palmo abbastanza grande da ospitare un’altra mano. Che fosse… Taiju gli stava tenendo la mano mentre lui era privo di sensi?
“Come ti senti?” Chiese Taiju, con quella sua voce profonda come una caverna.
“Direi bene, visti i viaggi mentali che mi sto facendo!” Rispose lui di getto, quasi ridacchiando. Tenne la mano calda dov’era e usò l’altra per tastarsi la testa con attenzione. “Deve essere l’effetto della morfina! Spero che dopo non diventerò un vegetale come l’altra volta!”
“L’altra volta?”
Cazzo. Adesso avrebbe voluto mordersi la lingua per tacere, ma era inutile con la morfina che gli girava in corpo. Quindi dovette rimediare in altro modo. “Ehm…sai com’è, sono un teppista! Faccio a botte spesso!” Era palesemente una cazzata, ma vabbé.
Peccato che Taiju non abboccò. Abbassò lo sguardo quel poco che bastava per nascondere le proprie emozioni, come gli capitava di fare spesso di recente. “Quella notte…in chiesa… Ti ho colpito senza pietà.”
“Sì, ma…non eri in te, in quel momento.” Cercò di minimizzare Mitsuya.
“Sei stato in ospedale anche allora?”
Mitsuya non disse nulla, quindi lui insistette, guardandolo con occhi duri. “Rispondi.”
“…sì. Poi sono voluto tornare a casa, ma ho fatto una cazzata perché ero a pezzi.” Fece un gesto di diniego con la mano. “Ormai è acqua passata! Non te ne faccio una colpa!”
L’aveva buttata un po’ sullo scherzo per allentare la tensione, però non ci stava riuscendo. Lo vedeva nei suoi occhi, vedeva un’ombra sulle sue iridi ogni volta che toccavano un argomento scomodo. E ogni volta lui avrebbe voluto trovare le parole giuste per farla sparire.
“Mitsuya Takashi, giusto?”
L’arrivo di un Dottore interruppe ogni suo pensiero.
“Sì, sono io.”
L’uomo scorse rapidamente le righe scritte sul foglio all’interno di una cartellina rigida, quindi la posò sul bordo del letto e si avvicinò a lui estraendo dalla tasca una piccola torcia.
“Segua la luce.”
Mitsuya obbedì.
“Ha senso di nausea? O vertigini?”
“No. Mi sento abbastanza bene.”
Il Dottore ripose rapidamente la torcia nel taschino, quindi gli prese la testa con entrambe le mani, ma facendo attenzione a fare poca pressione, mentre controllava la fasciatura. “E’ stato fortunato. Il suo aggressore l’ha colpita con un mattone, però non ha usato forza. La ferita è solo superficiale. Ha perso tanto sangue per la lesione della pelle, con pochi punti si è sistemato tutto.”
“Quindi posso uscire?”
L’uomo lo guardò con un sopracciglio rialzato. “I giovani arrivano subito al punto! Io le consiglio di restare ancora un’ora, ma se vuole nel frattempo possiamo contattare un suo famigliare per venire a prenderla.”
Mistuya attese che le mani dell’uomo si allontanassero dalla testa e poi guardò Taiju. “Non serv-” Ma Taiju lo interruppe. “Ho già chiamato tua madre per avvisarla, mentre eri svenuto. Aveva quasi finito il turno, dovrebbe arrivare tra poco.”
Mitsuya lo guardò con tanto d’occhi. “Hai chiamato…mia madre?”
“Ho preso il numero dal tuo telefono.” E nel dirlo, distolse lo sguardo.
Il Dottore parve divertito dal dialogo e non mancò di farlo sapere. “Avete pensato a tutto! Bene! Allora posso proseguire con le visite!” Mentre s’incamminava verso l’uscita, ammonì Mitsuya con tanto di dito sollevato. “Le faccio una raccomandazione. Si è giovani una volta sola, è vero, ma anche la vita è una sola.”
Non appena fu uscito, Mitsuya lasciò una mezza risata, per poi prendere respiro e tornare a concentrarsi su Taiju. “Grazie… E scusa. Non volevo farti preoccupare.”
“Chi è stato a colpirti?” Domanda super diretta!
“Non ha importanza.” Mantenne il contatto visivo, nonostante lui lo stesse folgorando. “Taiju, ti sei ritirato. Non ti farò mettere nei guai. E in ogni caso non ho bisogno che tu mi vendichi.”
Le vene sulla fronte di Taiju cominciarono a gonfiarsi, preoccupato o no, non era tipo da accettare docilmente un rifiuto.
“Razza di bastard-” Si fermò da solo e si rialzò con uno scatto. “Me ne vado. Buon riposo.”
“No! Dai non arrabbiarti! Per favore!” Lo supplicò Mitsuya, mettendosi seduto di riflesso. Non che fosse così in forze da scattare giù dal letto, però se era necessario…. Invece vide Taiju fermarsi davanti all’uscita.
“Vado a cucinare. Non farò il piatto che avevamo deciso, userò solo gli ingredienti freschi per evitare che vadano a male. E domani ti porterò il risultato.”  Volse il capo e gli lanciò un’occhiata minacciosa. “Ti farò mangiare fino all’ultimo boccone, anche se farà schifo.”
E mentre lui se ne andava con quell’aura da donna capricciosa, Mitsuya si sentì il viso avvampare.
“Lo amo un casino.” Disse fra i denti, col cuore che gli batteva nel petto come un tamburo.
*
 
Kan aveva deciso di saltare l’ultima ora di lezione e di uscire alla chetichella senza farsi beccare dai Professori, i quali altrimenti l’avrebbero bacchettata per bene, trattandosi di un periodo tosto per gli esami. E avevano ragione, ovviamente, solo che era difficile concentrarsi quando in testa le correvano mille pensieri… Sentendosi afferrare per il braccio, il cuore le mancò un battito. Era già stata beccata? Si voltò di scatto.
“Ah sei tu! Per fortuna!” Disse sollevata.
Mikey, già bellissimo di suo, sfoggiò degli occhioni che manco il gatto con gli stivali di Shrek!
“Scusa, non volevo spaventarti! Stai andando via?”
“Ehm…sì… Devo andare in un posto…”
“Senti… Volevo dirti una cosa…”
Allarme pericolo!!! Altro che i Proff., la cosa più spaventosa era ritrovarsi da sola con lui! Per questo Kan si mise subito sulla difensiva. “Mikey, te l’ho già detto! Il bacio di quel giorno è stato un incidente! Smettila di chiedermi di tornare con te!”
Inevitabilmente, sul viso di Mikey si formò un broncio tanto comico quanto adorabile. “Lo so, uffa!” Bofonchiò, senza nascondere di sentirsi offeso.
“Se è per gli attacchi della Tenjiku, ti giuro che non ne sapevo nulla. Quando Ken mi ha raccontato delle informazioni uscite all’ultima riunione, sono rimasta a bocca aperta. Mi dispiace davvero ma…io non me la sento di mettermi in mezzo o ingannare Shu...”
Mikey scosse piano il capo e mise su un sorriso gentile. “Non ho intenzione di metterti in pericolo chiedendoti di fare la spia o cosa! Affronteremo la faccenda a testa alta, come sempre.” All’improvviso il sorriso svanì e lasciò il posto a un velo di tristezza. “Se quella volta non avessimo umiliato la nona generazione della Black Dragon, adesso i suoi superstiti non ci darebbero la caccia come animali…”
Lei lo ricordava bene. “Lo avete fatto per difendere Kazutora… Nessuno immaginava che a distanza di tanto tempo ci sarebbero state delle ripercussioni…”
“Già… Però Kan…” Le fece una leggera pressione sul braccio, in modo rassicurante. “Promettimi di fare attenzione. Hanma si è unito a quei pazzi e non vorrei che finissi nei guai anche tu.”
La sua preoccupazione era genuina e questo le fece piacere. Abbassò del tutto la guardia e gli sorrise. “Non preoccuparti, Shu mi sta proteggendo a modo suo! Però grazie per pensare a me!” Si chinò e gli sfiorò le labbra con un bacio, senza malizia. Quindi fece scivolare il braccio dalla sua presa e se ne andò, accompagnata solo dallo sguardo innamorato di lui.
“Per la cronaca, l’ho fatto solo per gentilezza! Non ha significato nulla!” Si ripeté per la terza volta, mentre era a bordo del treno diretto a Kabukicho. Non si era nemmeno accorta che alcune persone attorno la fissavano in modo interrogativo. D’altronde se parlava da sola, era normale attirare l’attenzione!
Una volta arrivata alla fermata giusta, avendo ancora un po’ di tempo, si recò ad un konbini per spulciare qualcosa di dolce da mangiare per merenda. La scelta ricadde su delle fette di cheesecake al matcha con spruzzata di granella di nocciole. Affare fatto! Scelse le due dall’aspetto più succulento e andò alla cassa. Il ragazzo che le fece il conto era piuttosto impacciato e dal suo sguardo si capiva che era parecchio timido, nonostante facesse quel lavoro a contatto col pubblico. Gli chiese di aggiungere due cucchiai di plastica nella busta e lo salutò regalandogli un ampio sorriso affabile. Soddisfatta dell’acquisto, si recò alla scuola superiore dove studiava Hanma e si posizionò contro il muro accanto alla cancellata ad attendere. La campanella suonò di lì a poco e gli studenti cominciarono ad uscire, prima a piccoli gruppi, poi diventando man mano un’onda vivace e chiassosa. Più gente usciva, più Kan diventava ansiosa, talvolta si sollevava sulle punte dei piedi per vedere meglio oppure involontariamente strizzava nella mano i manici della busta di plastica che conteneva il prezioso tesoro. Cominciava davvero a temere di aver sbagliato a non avvisare del suo arrivo, quando…un paio di mani grandi e tiepide l’avvolsero da dietro.
“Ahah! Volevi farmi una sorpresa e invece l’ho fatta io a te!” Disse divertito Hanma, prima di stamparle un bacio sulla tempia.
“Shu! Ma da dove arrivi? Non puoi essere passato di qua senza farti vedere, sei il più alto nell’intera scuola!” Kan gli sfiorò il viso con la mano e rispose al suo bacio stampandogliene uno sulla guancia.
“Dei tizi della mia classe ti hanno vista e sono tornati indietro di corsa per dirmelo! Io mi stavo ancora stiracchiando la schiena dopo aver dormito le ultime ore sul banco, è stato forte! Poi ho visto dov’eri e sono uscito da un cancelletto più in là!”
Di tutto il discorso, lei si concentrò sulla parte inziale, e un dubbio le fece aggrottare le sopracciglia. “Sono tornati indietro di corsa? Perché?”
Hanma sfoggiò un sorriso malizioso. “Sono diventato popolare da quando si è sparsa la voce che esco con la ragazza più bella del Giappone!”
“Ma dai!” Lo riprese lei, ridendo.
“Comunque, come mai qui?”
“Così! Avevo voglia di stare un po’ con te! Ci vediamo poco ultimamente…”
“Cazzata! Dormiamo insieme quasi ogni notte!”
“Appunto! Volevo vederti per qualcosa di diverso dal dormire o fare sesso!”
Hanma si mise a ridere rumorosamente per quella frase senza peli sulla lingua. Quando si accorse della busta che lei teneva in mano, la indicò con un cenno del capo. “Che c’è lì?”
Kan la sollevò un poco. “Qualcosa di dolce da mangiare assieme!”
Hanma la sciolse dall’abbraccio, le prese una mano intrecciando le dita fra le sue e s’incamminarono in una passeggiata romantica. Parlarono del più e del meno fin che non giunsero ad un piccolo parco poco affollato. Hanma adocchiò una panchina libera sotto il sole e vi condusse la sua ragazza. Un gesto gentile, sapendo quanto lei fosse freddolosa. Kan finalmente poté fare gli onori e servire il dolce che aveva scelto, desiderosa sia di vedere la sua reazione sia di assaggiarlo lei stessa.
“Niente male! Non mi dispiace il retrogusto amarognolo del matcha!”
Quell’affermazione la fece contenta….sul momento, ma mentre ci aveva azzeccato per lui, aveva toppato per se stessa. A lei piacevano le cose dolci, non amare!!! Vabbè, vederlo mangiare di gusto era già una soddisfazione, quindi evitò di fare capricci.
“Ah ho dimenticato di dirtelo... Tra un po’ devo andare da Kisaki.” Disse Hanma, prima di mettersi in bocca una bella cucchiaiata di dolce.
Ecco. La notizia era così amara da farle dimenticare il sapore del matcha.
“Oh…capisco…”
“Vieni con me?”
Un barlume di speranza le fece rizzare le antenne! “Eh? Io? Davvero?”
“Ahah! Perché no? Sarà divertente stare noi tre come quando facevamo serata al karaoke!”
“Ma…sicuro che Kisaki sia d’accordo? Magari non mi vuole a casa sua…”
Vedere la sua ragazza con gli occhietti da cerbiatta non fece che convincerlo di quanto fosse una buona idea. Posò il cucchiaino nella confezione, accanto al pezzo di torta ancora da finire, e recuperò il cellulare dalla tasca. “Ora gli scrivo!” Digitò il testo e lo inviò, quindi posò il telefono sulla gamba e tornò a mangiare.
Kan lo osservava… Era stato così gentile ad invitarla, mentre lei appena un’ora prima aveva baciato il proprio ex… Cioè, gli aveva sfiorato le labbra!!! Che cavolo! Però quello di pochi giorni prima era stato un vero bacio e non c’erano scuse che tenessero. Insomma, era stato un momento di debolezza causato dalla rabbia o dalla malinconia…ecco… Si sentiva in colpa. Adesso era sicura di ciò che provava, era pazza di Hanma e non aveva occhi per nessun altro. Che poi, di recente lui aveva iniziato a portare i capelli in modo diverso, con la frangia che ricadeva un po’ mossa sul davanti, in un modo che lo rendeva dannatamente figo. In genere continuava a spararsi i capelli in aria gol gel, ma quando non lo faceva…a lei piaceva ancora di più.
In contemporanea con l’ultimo boccone di torta, il telefono vibrò. Hanma lo prese in mano e lesse il messaggio. “Ha detto di sì! Visto?”
“Mh!” Adesso era così felice che anche il matcha sembrava essere diventato più dolce, rispetto a prima. Terminò di mangiare, quindi raccolse nella busta la spazzatura e andò subito a buttare tutto nell’unico cestino dell’intero parco.
Quando arrivarono alla casa di Kisaki lei era di ottimo umore e non mancò di fare un inchino e di regalare un sorriso luminoso a quell’amico un po’ ombroso che ancora non riusciva a decifrare.
Kisaki in un qualche modo rispose al sorriso, però senza scomporsi troppo.
“E’ da un po’ che non ci vediamo eh?”
Li accompagnò all’interno della casa e li condusse fino alla sua stanza. Hanma, che era già stato lì molte volte fin dalla scorsa estate, non si fece riguardi a prendere posto sul letto come fosse stato il suo trono personale! Kan invece si guardò attorno, incuriosita da quel luogo che rispecchiava così bene la personalità del proprietario. Era una stanza piuttosto piccola, ma lo stesso conteneva ben cinque librerie ricolme, quattro ad occupare un’intera parete e una che faceva da separé fra la zona studio con scrivania e computer e il resto della stanza.
“Io sto finendo di scrivere una ricerca di Storia per domani, voi intanto potete giocare o mangiare qualcosa, se vi va.” E nel dirlo indicò vari pacchetti di snack accumulati in un angolo ai piedi del letto e la console dei videogiochi sul tavolino.
Hanma, con un controller in mano, le fece subito una proposta. “Vieni a sederti qui, amore! Ci facciamo qualche partita! A Kisaki non piacciono i picchia duro, però ha un sacco di giochi sulle corse! Ne proviamo uno?”
Kan diede un’occhiata a Kisaki, ricercando il suo consenso, e non appena lui le fece un cenno positivo con la testa, non le restò che abbandonare ogni freno e lasciarsi andare. “Arrivo!” Si impossessò del secondo controller e prese posto sul letto accanto al suo ragazzo.
Kisaki si limitò a tornare alla scrivania a finire ciò che stava facendo. Peccato che si rivelò dura… I suoi due ospiti divennero chiassosi nel giro di pochi minuti e cominciarono a volare frasi dal tono sempre più alto tra “Cazzo, che curva stretta!”, “Evvai, ostacolo superato!”, “Ehi bambola, come hai fatto a superarmi?” fino a terminare con un grido di vittoria da parte di Kan. Si erano dimenticati che lui stava studiando.
Kan sollevò il controller in aria e si pavoneggiò. “Nei giochi di lotta sono imbattibile, ma anche con le corse me la cavo bene io!”
“Ma sentila!” La riprese lui, ridacchiando. Le prese il controller dalla mano e si curò di posarli entrambi sull’apposito tavolino.
“Be’? Non giochiamo più?” Chiese Kan, sporgendo il labbro come una bambina triste.
“Sì, però facciamo un gioco in cui sono sicuro di vincere!”
Si sporse su di lei e insieme ricaddero all’indietro, finendo lunghi distesi sul letto.
Kan si fece maliziosa. “Oooh quindi speri di riuscire a sedurmi con così poco?”
“Non lo so! Sta funzionando?”
Che fosse un gioco, un flirt o entrambe le cose, si stavano divertendo. I loro visi erano vicinissimi, gli sguardi divertiti assunsero pian piano un’altra forma e automaticamente scattò il bacio. Le mani intrecciate all’altezza della testa, i loro corpi uniti, le labbra che si assaporavano minuziosamente… C’era qualcosa di diverso, come un tocco dal sapore dei tempi andati. Difficile da descrivere. A conti fatti stavano insieme da appena tre mesi e si conoscevano da quattro. Eppure fra loro c’era un’affinità che andava oltre il tempo.
“Voi due, evitate di fare porcate sul mio letto. Grazie.”
La voce di Kisaki arrivò giustamente severa. Hanma e Kan aprirono gli occhi, sorpresi, quindi separarono le labbra e si ritrovarono a ridacchiare imbarazzati. Si erano davvero dimenticati di lui!
*
 
Mitsuya da un po’ si guardava allo specchio con occhio critico, scorgendo dei difetti che prima di allora non aveva mai notato. La sua pelle era così bianca da sembrare malaticcia, il taglio degli occhi era così marcato da farglieli apparire socchiusi, le mascelle erano fin troppo spigolose e i capelli erano letteralmente un disastro. Ma quante di queste cose erano reali e quante frutto della sua immaginazione? Ad esempio, i capelli li aveva sempre tenuti molto corti, inizialmente per impedire alle sue sorelline di tirarglieli, poi perché era diventato più pratico e più facile da gestire. In quel preciso momento invece li odiava. Non era uno sprovveduto, nel mobiletto del bagno teneva un flaconcino di gel da utilizzare in caso di emergenza….e cavoli, quella lo era eccome! Si sfregò bene le mani per stendere il gel e poi si premurò di passare le dita accuratamente sui minuscoli ciuffi color lilla chiaro, nella speranza di dar loro un tono. Si squadrò per un’altra manciata di minuti prima di decidere a staccarsi da lì! Già che c’era controllò anche l’abbigliamento, una tuta comoda ma non eccessivamente larga di colore blu notte, con strisce verticali color arancio al centro della giacca e delle maniche e altre strisce orizzontali di colore bianco sui gomiti, sui polsini e sull’orlo della giacca. Stessa modalità per i pantaloni. Essendo dotata di un cappuccio e di un ampio  girocollo, andava bene per contenere le cuffie da musica quando le non aveva sulla testa, solo che quel giorno era stato un altro pensiero a spingerlo nella scelta. Col collo così scoperto, magari a Taiju sarebbe venuta di imprimerci le labbr- Scosse vigorosamente la testa, doveva smetterla di farsi illusioni. Camminò fino all’ingresso dell’appartamento e recuperò una piccola borsa a tracolla bianca dal mobile a parete dove erano anche riposte giacche, cappelli e ombrelli. Subito accanto c’era il mobiletto delle scarpe, la cui superficie era usata per riporre le chiavi, eventuali occhiali da sole e cosette di questo genere, e dove lui aveva riposto un oggetto importante da portare via. Prese in mano con attenzione il sacchetto blu metallizzato, legato in cima da un nastro rosso con una decorazione in panno a forma di cuore.
“Fratellone, cos’è quello?”
Voltandosi, vide che entrambe le sorelline erano lì ad osservarlo.
“Un sacchetto con dei cioccolatini di San Valentino!” Rispose sorridendo alla piccola Mana, che glielo aveva chiesto.
“E’ uno di quelli che ti hanno regalato a scuola? Da parte di una delle tue ragazze?” Chiese Luna.
“Che? Parli delle mie compagne del club di artigianato? Ci vediamo solo per cucire insieme, non sono le mie ragazze!”
“E perché oggi sei tornato a casa con la cartella piena di cioccolatini da parte loro?”
“E’ un gesto di amicizia e di rispetto! Io sono il loro Presidente!”
“E quelli che hai in mano adesso chi te li ha dati?”
“Ah questi… Li ho fatti io! Qualche giorno fa sono andato a casa di Kan e le ho chiesto di aiutarmi a prepararli!”
Mana strabuzzò gli occhi e si mise a strillare. “Sorellona Kan? Anche io, anche io!!!”
L’aveva fatta grossa. Le bimbe adoravano Kan e lui l’aveva incontrata senza portarsele dietro per timore che fossero d’impiccio. Ma questo non poteva dirglielo!
“Ehm…la prossima volta, Mana! Promesso!” Le carezzò gentilmente la testolina.
Luna, che era una bambina acuta e intelligente, pensò bene di giocare d’astuzia. “Fratellone? A San Valentino sono le ragazze a dare la cioccolata ai ragazzi, giusto?”
“Esatto.”
“Però quei cioccolatini li hai fatti tu. A chi devi darli?”
Tutte quelle domande cominciavano a metterlo a disagio. “Questi…sono per un mio amico…”
Luna si sollevò sulle punte dei piedi e lo guardò minacciosa negli occhi. “Tra ragazzi non ci si regala la cioccolata. Quindi tu sei come una ragazza e li devi dare al tuo fidanzato?”
Un momento… CHE??? Mitsuya si ritrovò ad avvampare, la sua sorellina aveva capito tutto!!!
“N-n-n-non è il mio ragazzo! Luna, smettila!”
“Maaammaaa!! Il fratellone ha il ragazzooo!” Cantilenò Luna, mentre Mana guardava la scena tenendosi un ditino in bocca e con gli occhi spalancati di curiosità, non capendo assolutamente cosa stesse succedendo.
Mitsuya stava per lasciarci le penne. In suo soccorso arrivò il forte rombo di una moto, seguito da due colpi di clacson.
“IO VADOOO!!!” Gridò impanicato.
Dalla camera da letto, giunse la voce della madre. “Takashi, fammi sapere se torni per cena!”
“D’ACCORDO!” E scappò via come se avesse il Diavolo alle calcagna!
Fuori trovò appunto Taiju ad aspettarlo a cavallo di una Harley Davidson, parecchio modificata ma che rispecchiava appieno la sua personalità. E la sua figaggine. Osservandolo bene, emanava un’aura parecchio virile, forse a causa dei jeans neri e attillati sormontati da una grossa fibbia in metallo o il giubbino in pelle nera che gli stringeva sui bicipiti. Del casco neanche l’ombra!
“Sali?” Gli chiese Taiju, facendo un cenno con la testa.
Non c’era bisogno di chiedere, lo avrebbe seguito fino in capo al mondo! Si affrettò a salire a bordo della moto, ogni imbarazzo era svanito e dentro sentiva solo una grande energia positiva.
“Allora dove andiamo?”
“Ti ho detto che è una sorpresa. Lo saprai quando ci arriveremo.”
Un po’ bastardo, ma niente di grave. Afferrò le manopole e partì con una bella sgasata.
Per Mitsuya era un sogno essere lì con lui, sulla sua moto, a frecciare per le strade col vento in faccia e una meta ignota. Quell’uscita era già di per sé un sogno che si avverava. Erano passate un paio di settimane dal giorno dell’attacco e della loro chiacchierata in ospedale, poi si erano rivisti diverse volte, non era successo nulla di particolare, avevano cucinato insieme normalmente…fino a quando Mitsuya non aveva fatto l’azzardo di chiedergli se gli andava di andare da qualche parte il 14 febbraio. Aveva temuto che l’allusione fosse troppo evidente e che Taiju avrebbe rifiutato, invece lo aveva sorpreso dicendogli che per lui andava bene. Per di più, aveva fatto il misterioso proponendo una meta a sorpresa decisa da lui. Mitsuya era quasi morto dalla gioia, nella mente si era costruito mille castelli, pur sapendo che quello non poteva essere un appuntamento nel vero senso della parola. Taiju si stava aprendo poco alla volta con lui, ma non c’era nessuna garanzia che il loro rapporto avrebbe preso una piega romantica. Lo sapeva, sì, eppure durante quel viaggio in moto, avvinghiato a lui, col cuore che gli batteva all’impazzata, continuava a pensare quale fosse il momento giusto per dargli i cioccolatini. L’ennesimo azzardo che poteva rovinarlo, nel caso Taiju avesse capito…però si era impegnato nel farli e non aveva nessuna intenzione di buttarli! Tornò alla realtà nell’accorgersi che la moto stava rallentando per entrare in un parcheggio.
“Siamo arrivati?”
Taiju si imbucò in uno spazio comodo e spense il motore. “Scendi.” Gli ordinò.
Mitsuya obbedì, sorpreso che lui ancora si ostinasse a mantenere quel riserbo. Attese che Taiju smontasse a sua volta e abbassasse il cavalletto, quindi lo affiancò e spalancò le braccia. “Quindi?”
Giusto qualche istante ed ecco che le labbra di Taiju s’inarcarono leggermente. “Sei impaziente! Seguimi, è dietro l’angolo.”
Uscirono dal parcheggio, camminando fianco a fianco e, proprio come aveva detto, non appena svoltarono l’angolo si ritrovarono davanti ad una immensa costruzione, la cui insegna non lasciava spazio a dubbi.
“Un acquario…”
“Non solo.” Taiju si volse a guardarlo. “E’ il mio acquario preferito.”
Una semplice frase che alle orecchie di Mitsuya suonò come ‘appuntamento romantico’!
*
 
A guardarli erano una strana accoppiata, quei due. Oltre alla differenza di altezza e di stazza, aveva un che di comico vederli così vicini per farsi un selfie, uno con una faccia che su cui non si vedeva un cenno di sorriso neanche per sbaglio e uno che sorrideva più con gli occhi che con la bocca per non sembrare troppo infantile!
“Dì, Mitsuya, hai intenzione di scattarne ancora tante? Ne stai facendo più a noi che ai pesci.”
Sottolineò Taiju, con quella sua voce profonda e severa.
Mitsuya al contrario era raggiante e per nulla al mondo avrebbe perso contro quelle frecciatine, per questo ancora una volta rispose allegro e con tono affabile. “Non è vero! Ai pesci ne avrò scattate almeno il triplo! Sto riempiendo la galleria!”
In verità Taiju si sentiva bene, vedere Mitsuya così felice gli provocava una piacevole sensazione nel petto e le lamentele erano semplicemente un capriccio tanto per mantenere la sua aura scontrosa. A parte quel dubbio che continuava a ronzargli per la mente. “Non capisco perché le fai anche a noi… Non ti stanchi mai di fotografare la mia faccia?”
“Ahahah piantala di essere così rigido!” Gli diede un’amichevole pacca sul braccio. “E’ la nostra prima uscita, voglio avere tanti ricordi di noi assieme!”
Sì, ma perché? Era questo che si chiedeva e che non riusciva a dire a voce. Era la prima volta che aveva accanto qualcuno che si divertiva così tanto a stare in sua compagnia e per lui era…strano.
“Ah finalmente siamo arrivati alla vasca degli squali! A te piacciono, vero?”
“Sì…” Cavolo, erano i suoi preferiti in assoluto. Altro che! Ma figurarsi se si sbilanciava a dirlo.
Si appropriarono di uno spazio vuoto di fronte all’immensa vetrata e di nuovo Mitsuya prese a scattare foto col telefono, così concentrato da non accorgersi di essere a bocca aperta. Una volta a casa avrebbe dovuto far vedere tutto alle sue sorelline, visto che nemmeno loro erano mai state all’acquario. Ma soprattutto…aveva intenzione di chiedere a Kan di aiutarlo a passarle al pc e selezionare gli scatti migliori da inviare poi al fotografo per farli stampare. Ovviamente i pesci erano la priorità, aveva già deciso di fare un piccolo album per Mana e Luna, ma c’era dell’altro. Abbassò il telefono, si perse in pensieri mentre con lo sguardo seguiva di riflesso uno squalo martello che nuotava a cerchio in quella parte della vasca. Il secondo intento era di far stampare anche tutte le foto fatte assieme a Taiju e conservarle gelosamente. Anche se da un po’ frequentava regolarmente il suo appartamento per cucinare, non aveva nulla di lui e quell’uscita era una grande occasione per rimediare. D’altronde era un adolescente innamorato, che colpa ne aveva? Si volse per dire qualcosa, giusto per spezzare il silenzio, ma subito si fermò nel rendersi conto di cosa stava accadendo. Oltre la maschera d’acciaio che teneva sul viso, negli occhi di Taiju riusciva chiaramente a scorgere delle emozioni. Stava fissando un elegante squalo azzurro che nuotava indisturbato fra i suoi simili. Provava grande ammirazione per quelle creature, ma allo stesso tempo nel profondo degli occhi aveva come una sfumatura di tristezza. Provò ad indovinare i suoi pensieri. Gli squali erano temuti a causa della loro natura violenta, spesso venivano definiti dei mostri crudeli che attaccavano l’uomo. Il cuore gli mancò un battito. Taiju era considerato allo stesso modo da alcuni, a partire dai suoi fratelli minori. Era uno squalo sulla terra ferma e la sua natura non era accettata. Era questo che pensava? Quello sguardo riuscì ad attrarlo fin nel profondo, aveva una voglia incredibile di abbracciarlo e stringerlo a sé e dirgli che per lui non era così, che lo amava e che gli sarebbe stato sempre accanto. Però non lo fece, si limitò a rubargli uno scatto senza farsi vedere.
Taiju si voltò all’improvviso. “Hai detto qualcosa?”
Oh cazzo, aveva parlato a voce alta? No, impossibile. Un po’ impacciato per l’imbarazzo, si passò una mano sulla testa e la buttò sul ridere. “Io no! Forse hai sentito qualcun altro! E’ entrata più gente negli ultimi minuti!”
“Mh…” Mosse lo sguardo a vuoto e prese a camminare. “Andiamo avanti. Abbiamo quasi finito.”
Mitsuya lo seguì e nel giro di una ventina di minuti completarono il tour.
“Ah ci fermiamo al negozio di souvenir? Voglio prendere qualcosa per Mana e Luna!” Gli disse poi, afferrandolo per un braccio come se volesse portarcelo a forza!
Taiju lo accontentò e lasciò che restasse così attaccato al suo braccio fin che non entrarono in negozio, poi Mitsuya lo lasciò e andò dritto verso una ricca parete di peluche di ogni forma e grandezza, ritraenti tutti gli esemplari che avevano visto nelle vasche.
“Ahhh sono indeciso! Ce ne sono tantissimi! Mmh…” Si portò una mano al mento, riflettendo. “Meglio qualcosa di piccolo, in casa non abbiamo tanto spazio. Però vorrei che fossero morbidi, così possono tenerli nei lettini mentre dormono… I pesci palla? No, le stelle marine! Oppure…” Ad un tratto il suo sguardo fu catturato da un grande pupazzo dalle sembianze di foca leopardo. I suoi occhi brillarono per qualche istante.
“Ti piace quello?”
La voce di Taiju lo fece sobbalzare. “Ah no! Cioè sì, ma una cosa così grande è fuori discussione! Se mi vedono tornare con questo pupazzo mentre per loro ne prendo due piccoli, si ingelosiscono! E poi il prezzo è troppo alto! Ehm…dicevo quelli piccoli…vediamo…”
Taiju non disse altro, solo rimase a guardare quella foca chiazzata di nero e grigio, dal muso simpatico che un po’ gli ricordava lo stesso Mitsuya. E prese una decisione.
“Taiju, ce ne dici?” Mitsuya mise in mostra due pupazzetti sollevandoli nelle mani. “Una stella marina per luna e un pesce pagliaccio per Mana?”
“E io che ne so, non le conosco.” Rispose secco, per poi guardare altrove.
La cosa fece sorridere Mitsuya. “Un giorno te le farò incontrare! Sono piccole ma sanno tenerti testa! Be’ intanto vado alla cassa a pagare questi!” E si diresse dove detto.
Taiju lo seguì a passo lento, lo osservò mentre pagava e ritirava una busta in carta azzurra dove erano stati sistemati i regali.
“Ah Taiju, io vado un attimo in bagno! Ci rivediamo all’entrata del negozio!”
Lui gli fece un cenno col capo. Adesso era il momento.
In pochi minuti Mitsuya tornò e lo trovò accanto al negozio con in mano una grossa busta di plastica bianca. “Ehi hai preso qualcosa? Cos’è? Lo squalo che fissavi prima?”
Senza guardarlo, Taiju gli porse la busta e lui sbirciò dentro.
“Oh…” Si fece mogio all’improvviso.
“E’ tuo, tieni.”
“Non posso accettare… Te l’ho detto, è troppo grande. E se le mie sorelline lo vedono…”
“Allora lo terrai da me, nel mio appartamento.” La sua mandibola si contrasse, prima che lui riprendesse a parlare. “Puoi venire a trovare la tua foca leopardo tutte le volte che vuoi.”
Mitsuya arrossì fino alla punta delle orecchie. Cos’era quello, un invito? Che batticuore, accidenti.
Prese i manici della busta dalla sua grande mano. “Ehm…grazie…Taiju…”
“Bene. Torniamo.”
Un tipo di poche parole con un forte istinto al comando.
Durante il viaggio di ritorno non spiccicarono parola, se per Taiju era la normalità, Mitsuya si ritrovò troppo impegnato a calmare i battiti del cuore. Possibile che ogni gesto, ogni parola, ogni sguardo li interpretasse in senso romantico? Doveva calmarsi. Arrivati al grattacielo, continuarono a stare in silenzio, anche in ascensore. Poi in appartamento finalmente Mitsuya si sciolse e tornò quello di sempre. Appese la tracolla e la busta di carta accanto alla porta, si tolse le scarpe da ginnastica e poi scartò il bellissimo pupazzo grande sicuramente più di sua sorella Mana! Era così gonfio che per abbracciarlo doveva ampliare bene le braccia. “Dove potrei metterlo?”
“Dove vuoi.” Disse Taiju, mentre riponeva la giacca in pelle e si toglieva gli scarponi.
“Già che sei lì… Guarda dentro la mia borsa, c’è un pacchetto per te! Ah mi è venuta un’idea!” Posò il pupazzo su un’estremità di uno dei divani in pelle rossa e si stese, mettendosi comodo.
Taiju aprì la zip e trovò il pacchetto blu con la decorazione a forma di cuore.
“Taiju, si sta comidissimi! Lo userò come cuscino!”
Lo raggiunse con pacchetto in mano. “E questo?”
Mitsuya sorrise. “Buon San Valentino!”
Tralasciando il fatto che quella frase poteva avere un unico significato, Taiju si sentì un po’ a disagio ad aprirlo. Però lo fece, sciolse il nastro e insinuò la mano all’interno, quindi ne estrasse un cioccolatino a forma di cuore e incartato in una mini bustina trasparente.
“Ti giuro che è commestibile! Mi sono fatto aiutare da un’amica che li fa ogni anno!” Il tono scherzoso servì a coprire l’agitazione che provava.
Taiju posò il pacchetto sul tavolino e scartò il cioccolatino che aveva preso. Lo osservò qualche istante, prima di infilarselo in bocca. “E’ amaro.”
“Prova a spezzarlo coi denti!” Gli suggerì Mitsuya.
Lui lo fece e subito la sua espressione cambiò, i suoi occhi si spalancarono mentre continuava a mangiare.
Mitsuya si risollevò dal nuovo cuscino morbidoso e gli diede delle spiegazioni. “Fuori è normale cioccolato fondente, oltre ad essere amaro ha un aspetto cupo per via del colore scuro. Ma dentro nasconde un cuore morbido e dolce al lampone. Un sapore che mescolato al cioccolato amaro crea una combinazione perfetta. Chi si ferma alle apparenze è un idiota, prima di giudicare bisogna andare fino in fondo.”
Si era fatto così serio che Taiju fraintese. “Mi stai dando dell’idiota?”
“Non tu. Tutti gli altri.” Posò le mani sull’imbottitura del divano. “Se io mi fossi fermato alla superficie avrei visto solo il peggio di te, invece conoscendoti ho scoperto che dentro c’è molto di più. E sono tutte cose che mi piacciono.” Nel dire quell’ultima parola la voce perse tono, come se si stesse strozzando. Dirlo gli stava costando parecchio.
Ancora qualche istante e Taiju finì di deglutire il cioccolatino, poi andò a sedersi sul divano accanto a Mitsuya. “Sei sicuro di quello che hai visto? Potresti sbagliarti. Uno squalo non-” Qualunque cosa volesse dire, fu spezzata da un bacio. Mitsuya gli era salito cavalcioni sulle ginocchia e afferrato il viso con entrambe le mani e adesso lo stava baciando con forza. Percepì che le sue mani erano un po’ sudate e tremavano. Lui non si mosse, gli occhi sbarrati per la sorpresa.
Con la stessa foga con cui si era attaccato, Mitsuya si staccò. Aveva le labbra arrossate e anche le guance erano rosee rispetto al solito, eppure il suo sguardo era duro e le sopracciglia aggrottate. “Voglio che la smetti di parlare così del ragazzo che mi piace. Hai rotto le palle. Chiaro?”
Taiju era come pietrificato di fronte a tanta sfrontatezza. Chiunque altro sarebbe già finito a baciare il pavimento con qualche osso rotto, se si fosse azzardato a dire una cosa del genere. Ma non lui…
“Se non lo hai capito, te lo spiegherò ancora una volta.” Con gran coraggio, Mitsuya unì di nuovo le labbra alle sue, ma stavolta non con forza. Il bacio di adesso era più appassionato, più caldo, più intenso, più…piacevole.
Gli occhi di Taiju si chiusero lentamente, altrettanto fecero le sue mani nel sollevarsi e avvolgere il corpo esile di Mitsuya. Ed ecco che le sue labbra cominciarono a rispondere al bacio, a muoversi su quelle calde di lui e a percepire ogni sfumatura di quello che era il suo primo bacio in assoluto.
*
 
“I pruni hanno messo le gemme…”
Chifuyu stava attraversando il viale a passo lento, il naso all’insù e la vista aguzzata nello scorgere i piccoli bozzoli ancora verdi che presto si sarebbero schiusi per dar vita ai fiori. Si chiese di quale colore sarebbero stati. D’altronde, non li aveva mai visti, dato che aveva cominciato a percorrere quella strada solo dallo scorso autunno, ma forse sperava che fossero di quella vivace tinta fucsia che aveva già visto altrove. Un raggio di sole passò attraverso i rami e gli sfiorò il viso gentilmente, quasi come una calda carezza.
“Baji-san…” Sussurrò, con un sospiro di speranza nella voce. Era consapevole che non poteva essere lui ad accarezzarlo attraverso il sole o il vento, eppure nel cuore continuava a crederci. Una dolce illusione che lo aiutava a sentirlo più vicino a lui. Percorse l’ultimo tratto ed arrivò al cimitero che ormai conosceva a memoria. Ci era stato così tante volte che avrebbe trovato la tomba della famiglia Baji anche nella notte più buia. O a testa bassa, come stava facendo in quel momento, neanche fosse stato in contemplazione del lastricato.  Ad un certo punto si fermò, chiuse gli occhi e prese un lungo respiro, quindi si volse sulla destra e, riaprendo gli occhi, sfoggiò un sorriso.
“Buongiorno, Baji-san! E buon San Valentino!” Sollevò il braccio e porse la mano su cui era una scatolina cubica di colore rosso, decorata da un intreccio di cuori di carta a formare un piccolo vortice che saliva verso l’alto.
“Credo…che simboleggi un vortice d’amore… O qualcosa del genere!” Si morse un labbro, con fare dubbioso. “Va bene, è una cazzata! Però ci tenevo a prenderti qualcosa per festeggiare! L’anno scorso non hai voluto sentire ragioni, però…” S’impuntò con decisione. “Sei il mio ragazzo ed è giusto che io ti regali i cioccolatini! E pretendo che tu ricambi per il White Day!”
Inevitabilmente gli scappò di ridacchiare, per quella scenetta che aveva messo su. Posò la scatolina sul primo gradino della tomba e si sedette a terra a gambe incrociate. Quando rialzò il viso era tornato sorridente. “Ho anche scritto il mio nome sull’etichetta, non vorrei che tua madre pensasse che qualche ragazza ti faccia il filo! Sai…sono felice che abbia accettato la nostra relazione… Se penso che all’inizio era convinta tu mi vedessi come un fratello minore, mi viene da ridere!”
Di fatto quella che gli uscì era una risata, se solo poi non fosse rapidamente mutata in qualcos’altro…
“Sono un cazzo di ipocrita.” Tirò su col naso e ingoiò un nodo alla gola. “Faccio finta di stare bene quando invece sto di merda. Non so perché sono così… Ormai riesco a dire il tuo nome e a parlare di te con gli altri senza piangere… E’ solo quando vengo qui che crollo.” Di nuovo tirò su col naso e si passò una manica del giubbotto sugli occhi per asciugare le lacrime.
“A volte immagino che tu sia ancora con me… Come prima, mentre camminavo nel viale dei pruni, oppure… Certe sere, sotto le lenzuola...mi sembra che tu sia lì ad abbracciarmi e…a toccarmi… Cazzo, non dovrei dire porcate in un cimitero!” Scosse la testa, accennando una mezza risata che si spense subito. “Ah  e poi…ce la sto mettendo tutta per aiutare Takemichi a sconfiggere Kisaki… Il suo dono di viaggiare nel tempo finora non è stato sufficiente, ma chissà… Ogni volta che tiriamo fuori l’argomento, vorrei chiedergli se davvero non c’è un modo per tornare ad ottobre… Darei qualunque cosa per avere la possibilità di salvarti…” Gli occhi gli si riempirono di lacrime per la seconda volta. “Alla fine, non faccio che pensare a te… Per scherzare a volte dico che mi piacerebbe trovare una ragazza, ma sono solo stupidaggini. Io non amerò mai nessun altro che non sia tu.”
Fu distratto da un rumore alla sua sinistra, una signora anziana accompagnata forse dalla figlia, stava sistemando dei fiori freschi su una tomba. Era il caso di parlare più piano. Fece per tornare a guardare le incisioni sulla colonna ma ecco che il suo sguardo si posò su qualcosa che non aveva proprio notato mentre era lì. Nell’angolo sinistro dei gradini, c’era un sacchettino con disegnate tante teste di un gatto nero che somigliava tanto a Peke J ed era chiuso da un nastro rosso. Anche senza leggere il biglietto, avrebbe riconosciuto quello stile ovunque.
“Kan è stata qui…” Nel dirlo, sentì il cuore più leggero.

Continua prossimamente nel Capitolo 31!
Cose orribili stanno per accadere...
  
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