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Autore: Sunnyfox    01/04/2024    1 recensioni
Rufy si era abbarbicato sulla polena non appena era stato annunciato l'avvistamento di una nave.
Non un'imbarcazione imponente. Se ne stava ferma, in mezzo al mare, le vele ammainate, le bandiere a mezz'asta. Non si avvertiva quella tipica, frenetica presenza di personale di bordo. Ma quel canto raccontava loro una storia diversa. Qualcuno c'era e stava intonando una nenia: lenta, malinconica; parole incomprensibili. [...]
«Affidatemi al freddo mare azzurro. Che lo strepitio delle onde sia il mio requiem solenne, dormirò un sonno sereno...» enunciò Sanji, affiancandoli.
Videro il gruppo di marinai trasportare sulle spalle un'asse, alla quale era assicurato quello che, da lontano, sembrava solo un sacco di iuta. Solo quando lo fecero scivolare sul parapetto e lo sporsero all'esterno, offrendolo al cielo, al mare e al vento, si resero conto che fasciato lì dentro doveva esserci un corpo. Probabilmente il compagno di viaggio che se ne era andato per sempre.
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara | Coppie: Nami/Zoro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6

 

Predizioni

 

''Il cuoco sta impastando il pane...

Yo-o-o-o-ho, stendi l’uomo!

e quando lo mangerai cadrai morto!''

 

 

Sanji era sicuro di non aver mai dormito meglio in tutta la sua vita. O così gli raccontava la sensazione di assoluta rilassatezza che l'aveva accolto non appena aveva aperto gli occhi quella mattina. Sensazione che si disintegrò altrettanto rapidamente, quando si rese conto che l'enorme, ingombrante figura di Jimbe oscurava, in parte, la luce fioca che arrivava dall'unica finestra che dava sull'esterno della loro stanza.

Si sedette rapidamente sul letto, la testa appesantita da una spossatezza innaturale.

Innaturale: ecco la parola che andava cercando.

«Ti sei svegliato» commentò laconico il grosso uomo pesce, restio a lasciare la postazione di vedetta.

«Perdonami Jimbe, avevamo deciso di fare a turno...» biasciò roco, vagamente indispettito da se stesso «potevi svegliarmi.»

«Lo avrei fatto» sospirò questi, dando un'occhiata veloce al capitano che ancora ronfava beato a un lato della piccola stanza che Guss aveva riservato loro «se solo non avessi perso anche io i sensi, poco dopo di voi.»

«C-che cosa?» Sanji si rianimò, cercando di levarsi in piedi. Di nuovo quella fiacca sensazione. Come se il suo corpo faticasse a reagire ai comandi della mente. Si sentiva drogato.

«Resta pure dove sei. Non credo ci sia molto che possiamo fare ormai»

«Che vorresti dire? Che cosa è successo?»

Solo in quel momento si rese conto di un brusio sommesso, che arrivava ovattato proprio dal piano inferiore, dove c'era la taverna.

Riuscì a raggiungere Jimbe che si scostò appena per permettergli di guardare fuori. Oltre la finestra, al piano di sotto, dove la sera prima c'era ad accoglierli una strada deserta e silenziosa, si era assiepata una piccola folla: si davano il cambio per entrare o uscire dal locale.

«Tutta questa gente, qui, per fare colazione?» si interrogò, massaggiandosi indolente la testa.

«Ne dubito. Soprattutto se ipotizziamo che il locandiere ci abbia servito del cibo condito a sonnifero per una qualche ragione.»

Sanji si trovò a sgranare gli occhi. Come aveva fatto a non accorgersene? Certo, le spezie nella carne erano molto particolari, ma un tale delicato bilanciamento di sapori non lo avrebbe certo portato a pensare a un'alterazione pericolosa. Dunque che altro?

«Il digestivo» realizzò infine, in un guizzo di consapevolezza, lanciando a Jimbe la soluzione dell'enigma «il sapore dell'alcool ha impedito di distinguere qualsiasi schifezza ci abbiano infilato dentro per farci dormire»

«Rufy però non l'ha bevuto, eppure dorme come un bambino»

«Ma Rufy è Rufy, mangia quando ha fame, dorme quando ha sonno. Forse, a torto, al locandiere non è sembrato una minaccia.»

Jimbe gli scoccò un'occhiata consapevole e meditabonda assieme. Tornò a fissare la strada e la lunga fila di avventori che si snodava poco fuori dalla porta d'ingresso.

«Che facciamo?»

«Potremmo darcela a gambe su per i tetti di questo palazzo ma dubito che passeremmo inosservati» suggerì Sanji, alludendo alla sua stazza che certo non era granché mimetizzabile «e non ho intravisto grosse vie d'uscita qui fuori, senza passare per le scale che portano dritti dritti alla taverna.»

«Temo che in qualche modo saremmo costretti ad affrontarli. O a farci dare una spiegazione»

«Una spiegazione?» gli chiese stranito. Già s'immaginava uno scontro epico contro un branco di cacciatori di taglie particolarmente agguerriti.

«Bè, avessero voluto catturarci credo che niente avrebbe impedito a Guss o chi per esso di legarci come salami e trasportarci da chiunque sia l'autorità di questo posto»

Jimbe non aveva tutti i torti, in effetti. E Sanji si chiese che senso avesse drogarli se poi le intenzioni non erano altro che... bè, il diavolo se riuscisse a immaginare quali fossero.

«Suppongo che l'unico modo per scoprirlo sia scendere e... prepararci a tutto. Anche se avrei preferito iniziare la giornata con un caffè...»

«Qualcuno ha detto caffè?» la voce di Rufy arrivò dalle retrovie, istigata dalla promessa di una colazione in arrivo.

Sanji si chiese se non sarebbe stato infinitamente meglio sperare che dormisse fino alla fine.

 

*

 

Di tutte le cose che Nami aveva dimenticato, di certo non c'era quanto amasse il sapore forte del caffè. Ricordava di preferirlo poco zuccherato, quasi amaro. Una linfa benefica dopo una nottata piena di incubi e di un'inaspettata escursione esterna.

Sorseggiava la bevanda che l'anziana Myra si era preoccupata di farle trovare al suo risveglio e si chiedeva che ne sarebbe stato di lei, se Zoro non si fosse accorto del suo sonnambulismo. O qualsiasi cosa le avesse causato quell'inconsapevole fuga. Aveva già tristemente saggiato cosa significasse non avere il controllo del proprio corpo - per non essere riuscita a camminare agilmente per tutto il giorno precedente - ma non si era certo aspettata che, una volta recuperata la non scontata abilità di camminare, si sarebbe ritrovata priva di coscienza. E sopratutto incapace di controllare dove quelle gambe avessero intenzione di portarla.

Nella testa non le era rimasto altro che quel motivetto sui quindici uomini e l'immagine di una donna con gli occhi color ambra. Senza dimenticare la presa salda di Zoro e le sue attenzioni, a strapparla dalle allucinazioni, a tenerla ancorata alla realtà.

Si chiese se l'intera faccenda non avesse a che fare con quello che aveva creduto di vedere nello specchio solo la sera precedente. Quegli occhi, i propri occhi, che la guardavano oltre il riflesso, così simili a quelli del suo sogno.

Doveva esserci una connessione. Il problema era capire quale fosse.

«Non hai mangiato niente, dovresti. Ti aiuterà a rimetterti in forze più rapidamente» le disse Myra spingendole accanto un canestro colmo di pane e frutta.

«Mi sento già in forze. Ed è tutto merito delle vostre premure»

Si chiese se il siparietto che si era svolto all'alba fosse davvero passato inosservato a Myra e suo marito. Zoro l'aveva aiutata a rientrare in casa, aveva silenziosamente richiuso la porta alle loro spalle e si era assicurato che non prendesse freddo, accompagnandola nella loro stanza, sperando riuscisse a riprendere sonno sotto le coperte calde e accoglienti del suo giaciglio. Ma il cane aveva abbaiato a lungo ed era sicura di aver intravisto una luce, poco prima di rientrare in casa, dalla finestra di quella che doveva essere la camera da letto dei due anziani.

La donna però non ne aveva fatto menzione. Forse non credeva che fosse qualcosa di cui preoccuparsi davvero o forse, visti i precedenti con gli altri naufraghi, il fatto che fosse tornata, risultava più una piacevole novità, che non un motivo di rimprovero.

«Sei inquieta e lo capisco, ma per quanto mi riguarda tu ed il tuo amico potete rimanere qui per tutto il tempo che vi serve» disse la donna «a mio marito fa comodo avere un po' di aiuto, dopotutto»

Nami lanciò uno sguardo oltre la finestra del piccolo soggiorno: Zoro era in compagnia del vecchio Zamuel e lo stava aiutando a trasportare delle fascine di legna. Mentre per il vecchio una sola scorta sembrava motivo di grande fatica, lo spadaccino, che ne trasportava due sotto ogni braccio, pareva non avere alcuna difficoltà. Era convinta, anzi, che se le sue braccia fossero state più lunghe si sarebbe concesso di portarne il doppio, senza lamentare il minimo sforzo.

«Io non ho alcuna fretta a dire il vero, ma non posso dire altrettanto di lui» alluse a Zoro, senza pronunciarne il nome. Ancora faticava a farlo senza che le sembrasse strano.

«So che volete ritrovare presto i vostri amici. Chissà quanto sono preoccupati»

Nami si strinse nelle spalle. Non aveva certo idea di quanto potesse essere vera quell'affermazione. Nemmeno riusciva ancora a credere che ci fossero davvero delle persone che stavano cercando di lei. Ma aveva deciso di fidarsi, di credere alle parole di quello spadaccino gentile; di quel pirata gentile. La parola non le sembrava più così ostica, dopotutto. Quella mattina gli aveva chiesto di restare con lei, di non lasciarla sola dopo averla riaccompagnata in casa. Lui lo aveva fatto e si era sentita di nuovo al sicuro. Una sensazione strana, ma sopportabile.

«Se serve a tranquillizzarti posso provare a dare una sbirciatina nel vostro futuro» intervenne di nuovo la donna a strapparla dalle sue elucubrazioni.

Nami le lanciò un'occhiata incuriosita, non era certa di saper dare un'interpretazione a quella proposta.

«Appena finisci il caffè, passami quella tazzina» propose.

Nami, che aveva già terminato da un pezzo, fece quello che le aveva chiesto, adesso molto curiosa di scoprire cosa avesse intenzione di fare.

«Non è sempre facile» prevenne Myra, osservando il fondo della tazzina con aria concentrata «per alcuni è tutto molto nitido, lineare, per certi altri la strada è tortuosa, annebbiata. E date le strane circostanze in cui vi siete ritrovati qui, dubito sarà facile interpretare, ma facciamo comunque un tentativo»

Nami la guardò a lungo, mentre scrutava il fondo di quella sua tazzina come se potesse sviscerare il significato stesso dell'esistenza umana. Si chiese se stesse davvero cercando di carpire informazioni su un futuro che aveva ancora da venire, se fosse una cosa davvero possibile. Si disse che, sebbene strampalato, un po' di aiuto o di fortuna non avrebbe certo potuto fare male.

Si stufò però rapidamente di seguire i borbottii della donna che non faceva altro che rigirarsi la ceramica fra le mani; tornò ad osservare il mondo fuori dalla finestra, avvertendo la fresca brezza che spirava dall'esterno e socchiuse gli occhi.

Improvvisamente il rumore del vento fra le fronde degli alberi le sembrò quello dello sciabordio delle onde dell'oceano, il profumo del rosmarino e delle erbe posizionate sul davanzale le ricordarono quello della salsedine e lo stridio dei gabbiani divenne potente ed evocativo. Si immaginò seduta a una scrivania, le dita sporche d'inchiostro, il profumo e la consistenza di carta di pergamena sotto le mani.

«Non saranno i vostri amici a trovarvi»

La voce della donna la fece sobbalzare di prepotenza. La forza di quel sogno ad occhi aperti, quella visione o perché no? Di quel ricordo, svanirono all'improvviso e fu irritata, delusa e scossa nel constatare di essere tornata alla brusca, cruda realtà delle cose.

«Di che stai parlando?» le venne spontaneo chiedere, più bruscamente di quanto avesse preventivato.

«Lo leggo qui. Nel fondo del tuo caffè. Ci sono persone che vi stanno cercando. Ma non sono amichevoli»

Nami scosse la testa a scacciar via gli ultimi residui di quel suo sogno, concentrandosi sulle parole della donna.

«Perché ci stanno cercando?»

«Questo non riesco a capirlo. Ma dovrete fare attenzione. Il tuo amico con le spade sembra molto forte, ma c'è qualcosa di davvero spaventoso in queste persone che poco ha a che fare con i muscoli»

«Questo non ci aiuta molto»

«Bè, te l'ho detto che alcuni percorsi sono meno leggibili di altri. Forse dovrei leggere quello del tuo amico. Mi sembra una persona molto meno complessa di quanto non lo sia tu»

Nami sbirciò fuori dalla finestra. Zoro si stava ancora affaccendando al fianco del vecchio.

«Non sembra tanto sveglio, vero?» bisbigliò, pentendosene quasi immediatamente. Si chiese perché avesse sentito l'impulso di rimarcarlo, tanto per cominciare. Di stuzzicare una reazione che non avrebbe potuto arrivargli.

«Non ho proprio detto questo» tossicchiò Myra «ma immagino che sia molto più pratico che calcolatore. E non ha perso la memoria, come è successo a te, mia cara.»

«La memoria incide sul futuro?» si voltò a guardarla di nuovo, perplessa.

«Le memoria incide su tutto. Senza memoria di ciò che siamo stati, il futuro può avere mutamenti imprevedibili. Cambia... la prospettiva»

Nami si ritrovò a ragionare su quel pensiero. Se avesse ancora i suoi ricordi forse ora non si troverebbe lì. Forse sarebbe stata molto più utile a Zoro. Forse avrebbero già ritrovato i loro amici. Il futuro, per quanto imperscrutabile, stava cambiando in quello stesso momento.

«È comunque una buona cosa che ci sia lui con te. Che custodisca almeno i ricordi che avete in comune»

«Non ci sono state molte occasioni di interrogarlo a riguardo» le confessò d'istinto «Mi ha raccontato l'essenziale. Non posso certo dire di conoscerlo più di quanto non conosca te o tuo marito.»

«Le vostre interazioni dicono esattamente il contrario» la donna aveva posato la tazzina «non puoi mentire su una cosa del genere»

Nami alzò un sopracciglio.

«Intendo dire che ho scorto certe dinamiche

«Quali dinamiche?»

Myra si ritrasse un po' sulla sedia, cercando di capire se stesse facendo la finta tonta o cosa.

«Bè» rilasciò una risatina che a Nami sembrò proprio stupida «dinamiche molto intime. Come quelle di due innamorati»

La ragazza dovette aggrapparsi al tavolo per non lasciarsi scivolare di sotto per la sorpresa.

Lo sconcerto, l'imbarazzo o qualsiasi altra reazione fu sedata dal rumore della porta che veniva aperta violentemente da un calcio.

«Ragazzo! Ti avevo detto che ti avrei preceduto io!» la protesta del vecchio alle sue spalle, mentre Zoro lanciava a terra una fascina di legna.

Nami lo guardò spolverarsi le mani ed esaminare per mezzo istante una scheggia che doveva esserglisi conficcata in una mano. Dopo aver deciso che non era poi così importante, puntò il suo sguardo su Nami.

«Allora?» esordì bruscamente «quando ripartiamo?»

Nami lanciò un'occhiata a Myra, chiedendosi se fossero quelle le dinamiche che dovevano risultarle romantiche. Ma si scoprì più curiosa di godersi lo spettacolo dell'anziana donna che andava a rispondere a Zoro per le rime.

 

 

*

 

Sanji non era davvero riuscito a fermarlo.

Prima ancora che potessero decidere un vero e proprio piano d'azione, Rufy era saltato giù dal letto e aveva spalancato la porta, per lanciarsi al piano di sotto.

Sanji si era infilato la giacca in tutta fretta e si era precipitato giù dalle scale, seguito lestamente da Jimbe.

Quando si ritrovarono entrambi di sotto, stentarono a credere alla quantità di persone che assiepavano la stanza.

Il brusio si era improvvisamente interrotto e solo il rumore delle ganasce di Rufy che si era letteralmente lanciato sul cibo pronto sul bancone, riempiva il silenzio.

«Sono loro?» si sentì qualcuno sussurrare e il brusio riprese, sempre più forte, fino a esplodere in un grido corale di... giubilo?

Sanji non riuscì a capire un bel niente di ciò che successe gli istanti successivi. Si sentì trascinato al centro della stanza. Non avvertiva pericolo perciò il suo istinto lo prevenne dallo smorzare quell'eccesso di entusiasmo a suon di calci, ma restò curiosa la modalità con cui tutti li fissavano fra l'entusiasmo, la sorpresa e l'aspettativa.

«Siete voi gli stranieri, vero?»

«Era da tempo che non arrivavano navigatori!»

«Ma sono veri?»

«Sono anche dei bei ragazzi! E quello lì... pelle blu? Cos'è?»

«Ragazzi, ragazzi!» intervenne sopra tutte la voce di Guss, che riemerse dal bancone con aria bonaria e pacificatrice «vi avevo chiesto di non spaventarli»

«Non siamo spaventati» si giustificò Sanji, in posizione da combattimento, schiena a schiena con Jimbe «ma vorrei sapere che diavolo sta succedendo»

Adocchiò Rufy che si limitava a dare gomitate a chiunque si avvicinasse troppo al suo banchetto, anche solo per esaminarlo.

«Perdonateli. Sono solo curiosi, è talmente raro incappare in stranieri che...»

«... che ti è sembrato lecito infilare droga nei nostri digestivi?» lo accusò impedendogli di avvicinarsi ulteriormente, l'espressione determinata di chi non è intenzionato a perdere facilmente.

Vide Guss sgranare gli occhi e divenire rosso in volto, indice inconfutabile della sua colpevolezza.

Balbettò qualcosa in risposta sul non aver esagerato con le dosi.

«Sembravate aver intenzione di scappare il prima possibile, e non volevo rischiare che spariste alla chetichella questa mattina... non sono stato corretto.» indietreggiò, le mani alzate a tenere a distanza gli avventori.

«No, non lo sei stato affatto. Potresti pagarla molto cara per questo»

«Io non ho mai dormito meglio in vita mia!» intervenne Rufy con la bocca piena di dolcetti casalinghi, smontando le sue intenzioni di risultare intimidatorio.

Sanji dovette reprimere un'imprecazione e passarsi una mano fra i capelli per sedare parte del suo nervosismo.

«Spiegaci perché non volevi ce ne andassimo» forse i loro avvisi di taglia erano arrivati fin lì e li stavano trattenendo, tergiversavano in attesa dell'arrivo della Marina. Ma gli sembrò improbabile anche quella spiegazione.

«Non so se ve ne siete accorti, ma questo posto è difficile da individuare sulle mappe»

Sanji ci rifletté un istante, scambiando un'occhiata con Jimbe. Ci ritrovò la stessa consapevolezza.

«Il fatto è che gli stranieri non sono ben visti da queste parti. Stranieri e pirati

Sanji scoccò un'occhiata a Rufy, pregando che non parlasse, che non si lasciasse sfuggire nulla, ma per il momento continuava a mangiare. Il ricordo dei cadaveri putrescenti appesi ai faraglioni non si era ancora attenuato.

«Questo a causa di un... incidente, avvenuto ormai tempo fa. Molto tempo fa»

Guss sospirò, l'espressione greve di chi con certe storie ci convive.

«Racconta» intervenne Jimbe, ridimensionando la postura combattiva.

Guss fece passare lo sguardo sui presenti alla locanda. A cercare una sorta di approvazione collettiva alla condivisione. Le occhiate solenni e consapevoli della folla sembrarono concedergli di continuare.

«Solo se poi sarete disposti a raccontare a noi cosa sta succedendo nel mondo, là fuori» si permise infine di dire. Mantenendo una postura rigida e solenne.

Sanji non esitò ad annuire.

«Così come è difficile per le imbarcazioni arrivare sin qui, lo è anche per le notizie... succede solo quando si muovono i nostri mercantili per trasportare le spezie, ma non c'è mai una reale continuità.»

«Perché le mappe sono tanto imprecise?» domandò Jimbe, poggiandosi al bancone accanto a Rufy.

«Perché il vecchio governatore, anni fa, decise di divulgare false mappe per rendere difficile l'individuazione di Especia. Quelle reali sono in mano alla Marina, ovviamente, per il resto alcuni dei vecchi membri del consiglio si sono assicurati di spargerle per il mondo, per questo Especia è diventata un'isola tanto misteriosa.»

Jimbe annuì. E Sanji comprese che tutti i discorsi che avevano condiviso il pomeriggio precedente ora trovavano una spiegazione. Nami non si era sbagliata sulla direzione di Especia, ma erano le mappe ad averla tratta in inganno, ecco perché erano approdati lì molto prima del tempo stabilito.

«E quale sarebbe il motivo di tanta riservatezza, di grazia? E sopratutto perché ce lo state raccontando?»

«Perché sono anni che viviamo in queste condizioni. Il commercio è castrato. E le autorità locali concedono solo licenze per rendere Especia un'isola che sembra uscita da una favola della buonanotte. Screditandola a tal punto da renderla giusto un'attrattiva turistica per chi ci capita per caso. Il vulcano, un paio di leggende metropolitane su qualche maledizione e il gioco è fatto. Persino la fama che ci portavamo appresso da secoli con la raffinatezza delle nostre spezie, è andata a perdersi. Ai navigatori certe stronzate non interessano, figuriamoci ai pirati.»

«In effetti le vostre spezie hanno un sapore tremendo» Rufy era riemerso dal suo banchetto, massaggiandosi la pancia con aria soddisfatta.

«Ma davvero?» gli rispose Guss con l'aria sarcastica di chi crede proprio il contrario «come credi che siano preparati tutti i piatti che ti sei appena divorato?»

La risposta arrivò nello sguardo sorpreso e soddisfatto del Capitano che finalmente aveva capito, forse, il discorso di Sanji del giorno precedente.

«Hai detto che tutto questo è stato causato da un incidente?» incalzò Sanji che ne aveva abbastanza di procrastinazioni, «che cosa è successo di tanto grave da portare il vostro governatore a decidere di cancellare la reputazione dell'Isola?»

Guss si umettò le labbra e sospirò.

«È una lunga storia. Forse è meglio se comincio a preparare molti caffè»

«Preferibilmente lisci...» alluse il cuoco, ricevendo l'ennesimo sguardo di scuse dal proprietario.

 

 

*

 

Nami si sentì soffocare nello stritolante abbraccio di Myra. Non era certa fosse propriamente a suo agio, ma nemmeno che la cosa le dispiacesse più di tanto. Aveva come l'impressione che gli abbracci fossero una cosa a cui era piuttosto abituata. Forse più a darne che a riceverne, comunque.

«Cercate di fare attenzione. Avete davvero tutto ciò di cui potreste avere bisogno? Altro cibo?» si assicurò di elargire le ultime raccomandazioni, prima del congedo definitivo.

«Non possiamo viaggiare più carichi di così» si intromise Zoro che aveva sulle spalle il peso di uno zaino piuttosto gonfio. Nami si volse a guardarlo, sentendosi quasi in colpa di non potergli essere di molto aiuto. Già un progresso poter riprendere il cammino sulle proprie gambe.

«Hai promesso di proteggerla, nella buona e nella cattiva sorte!»

«Veramente non ho mai detto una cosa sim-»

Myra afferrò un bastone poggiato casualmente accanto alla parete, per poterglielo puntare contro, dando concretezza al suo ammonimento. Ignorò completamente l'espressione attonita del ragazzo, deviando poi con con una rotazione acrobatica le mire di quell'arma impropria, per porgerla aggraziatamente a Nami.

«Questo ti sarà di aiuto per camminare»

Nami non riuscì a far altro che allungare le mani ed accettare quell'insolito dono. Lo strinse appena fra le dita e la sensazione le risultò familiare, una manovra a cui era abituata nella sua vita precedente, quella dove il cervello ancora funzionava a dovere.

Lo osservò a lungo, aspettandosi che quell'oggetto inanimato le suggerisse qualcosa.

«Somiglia al tuo Clima Takt...» la voce di Zoro ad illuminarle un pensiero che già stava cominciando a girarle per la testa.

Le arrivarono, fulminei, alcuni flash di perdute memorie, la voce di fondo di qualcuno che le spiegava di essere riuscito a perfezionarlo e visioni di cataclismi temporaleschi.

«Potrei averlo perso in mare?» gli chiese, implorando altri suggerimenti, il ricordo riemerso le suggeriva di averlo sempre portato con sé ed ebbe il potere di farla sentire improvvisamente nuda.

Zoro scosse la testa.

«Sono certo che sia al sicuro, da qualche parte, nella tua cabina» la rassicurò con un gesto. Le sembrò voler aggiungere altro, ma si fermò, forse conscio ci fossero altre orecchie in ascolto. Orecchie che non avevano bisogno di sentire altro. Anche per quello Nami si era intromessa nella discussione di qualche ora prima, e aveva espresso il desiderio di lasciare l'abitazione dei due anziani. Aveva bisogno di recuperare alla svelta i suoi ricordi e per farlo non poteva certo dormire sugli allori in un posto che non era altri che l'illusione di un porto sicuro. Doveva poter parlare liberamente con Zoro, ritrovare i suoi amici e capire, finalmente, chi diavolo fosse.

Si limitò quindi ad annuire, cercando di affrettare i saluti.

«Grazie» si rivolse a Myra che le elargì per l'ennesima volta un sorriso incoraggiante.

«Avete una mappa. I villaggi sono ben segnalati. Cercate di evitare la palude e la foresta e dovreste incontrare pochi intoppi.»

«Ricevuto» le rispose, trovandosi a disagio nel dirle che da una rapida sbirciata alla mappa, la palude era forse il modo più rapido per raggiungere la parte opposta dell'isola, senza doversi inerpicare di nuovo su scogliere e faticosi declivi.

«E quando ritroverete i vostri amici, tornate a trovarci. Vogliamo essere sicuri che siate riusciti a cavarvela»

Le strinse una mano con un sorriso che sapeva di pianto imminente, la stessa dolente espressione che riservò loro Zamuel, nel ringraziare Zoro per il suo aiuto.

Dopo essersi assicurata di riuscire a camminare senza sentire troppa fatica, aveva alzato una mano per l'ultimo, definitivo cenno di saluto e si era data da fare per raggiungere Zoro che non si era attardato troppo a lungo nei convenevoli.

Poteva ancora sentire su di sé lo sguardo dei due anziani coniugi e il latrato del cane, quando si addentrarono nuovamente nella boscaglia che li avrebbe condotti lontano da lì.

 

 

«Ancora non mi hai detto come fai ad essere tanto sicuro che ritroveremo la tua ciurma» fu la prima domanda che gli rivolse, quando fu certa di aver superato il limite a quell'ostinato gioco del silenzio in cui Zoro sembrava essersi trincerato per tutta la prima parte del percorso «o che siano su quest'isola, tanto per cominciare. Che abbiano davvero deciso di cercarci»

Le pareva piuttosto infastidito dal dover mantenere un passo tanto flemmatico. Era certa che, se ancora non si era offerto di rendere più agile il percorso, caricandosela sulle spalle, fosse a causa dello zaino stracolmo di viveri che si portavano appresso. Non era nemmeno certa che in caso di esplicita richiesta non si sarebbe inventato uno stratagemma per portare entrambi, comunque. Aveva come la sensazione che quello spadaccino avrebbe potuto spingersi oltre l'immaginabile pur di arrivare a un obiettivo.

«Se te lo stai chiedendo è perché ancora non ricordi chi sia il nostro capitano»

«Ma dai?» gli rispose con aria infastidita e sarcastica insieme «se non te ne fossi accorto sto cercando un aiuto qui. Non ti faccio domande per avere risposte ovvie».

«È l'unica risposta che posso darti. È un dato di fatto.»

Nami serrò le labbra per trattenere una battuta indispettita. Cercò di ascoltare il suo buonsenso, di interpretare, ancora una volta, le parole dello spadaccino, samurai, pirata o quel diavolo che fosse.

«Devi fidarti davvero molto di lui» si limitò a concedergli, cercando persino in se stessa quella solida speranza. Da un certo punto di vista assumersi le certezze del compagno di viaggio avrebbe forse potuto aiutarla a viverla meglio, quella sua strampalata situazione.

Zoro non le rispose immediatamente, scostando con l'elsa delle spade alcuni cespugli che intralciavano loro il cammino.

«Anche tu lo fai»

«Perché?» insistette «che cosa ha fatto quest'uomo per guadagnarsi così la nostra fiducia?»

«Uomo...» Zoro si limitò, sorprendentemente, ad accennare una risata.

Lo sbirciò confusa, alzando abbastanza la testa per constatare che stesse ridendo davvero.

«Perché, non è un uomo? Abbiamo sempre parlato di una donna ed io non lo avevo capito?»

«Ah no, certo che no. Ma uomo non è la definizione più calzante per uno come Rufy. Un ragazzo. Ecco cos'è.»

«Il nostro capitano... un ragazzo

Nostro.

Nami si rese conto di aver ceduto. Ma Zoro sembrò compiaciuto di sentirglielo dire e parve improvvisamente più propenso al dialogo.

«Bè... appena più giovane di noi. Dovrebbe avere poco più di diciott'anni. Anno più anno meno. Non gliel'ho davvero mai chiesto.»

«Dei del cielo. Mi stai prendendo per il culo?» che razza di rapporto potevano avere se si fidava di lui, ma di lui non ricordava nemmeno quanti anni avesse?

«E perché dovrei?»

«Come fai a fidarti di un ragazzino?» davvero non ci arrivava? «Quanti anni mai potremmo avere tu ed io? Almeno una trentina tu, ma io... ?»

«Ohi, trentina a chi?»

«Anno più, anno meno...» gli rimbalzò la definizione e Zoro affrettò il passo di riflesso.

«Me lo puoi dire almeno quanti anni ho io? O non sai nemmeno questo? C'è qualcosa che sai di me? O della tua ciurma? O che vuoi raccontarmi senza essere ambiguo?»

Aveva affrettato il passo anche lei e non si era resa conto che Zoro si era improvvisamente fermato. Per poco non gli finì addosso, con il rischio di schiantarsi contro quella schiena granitica.

Quando rialzò la testa si rese conto che si era voltato nella sua direzione e si ritrovò ad osservare il suo volto severo e statico. Non le faceva paura, quello no, ma poteva giudicare, con una certa sicurezza, quanto fosse infastidito.

«È che come al solito non stai facendo le domande giuste. Non te lo posso spiegare perché mi fido di Rufy o perché lo fai tu. O perché lo facciano tutti gli altri. E non ti posso rispondere su quanti anni tu abbia perché francamente io non me lo ricordo»

La risposta la sorprese. Forse non erano così intimi come aveva tentato di suggerire l'anziana Myra. Forse quello Zoro non era altri che il lupo solitario che le era sembrato all'inizio. E probabilmente non era la persona giusta a cui chiedere per avere snodi importanti sul recupero della sua memoria. Era delusa nell'aver riposto tante speranze in quell'accenno di conversazione. Lo era ancora di più per il fatto che solo poche ore prima Zoro aveva stuzzicato la sua memoria, con quell'indizio sul Clima Takt. O come diavolo si chiamasse quella sua... arma?

«Credevo fossimo amici...» si ritrovò a rispondere, senza averlo davvero preventivato. Più un'insoddisfatta constatazione che un'accusa.

«Lo siamo» la sua voce la costrinse di nuovo a rialzare lo sguardo. E l'espressione di Zoro era mutata di nuovo. Impercettibilmente certo, perché chissà come aveva imparato a interpretare le micro espressioni di quel suo viso poco propenso al sorriso.

«Ma non tengo un'agenda dei vostri compleanni» aggiunse bruscamente, forse un po' piccato. Lo vide distogliere lo sguardo e puntarlo in un punto a caso, nella boscaglia «non sono queste le cose importanti, io... credo»

Si rese conto che forse aveva ragione. Una considerazione un po' singolare, ma non così improbabile se si andava a scavare nel lato emotivo della faccenda.

«Allora vorrei che mi parlassi delle cose importanti» gli ritorse.

«Non sono sicuro che...»

«... tu riesca a raccontarmele?» era evidente che le chiacchierate cuore a cuore non fossero esattamente il suo pane quotidiano. Myra aveva supposto che Zoro fosse più un tipo pratico. Probabilmente lo era anche il suo modo di esprimere i sentimenti. Un ragazzone che superava il metro e ottanta, tutto muscoli, sprezzante del pericolo, tanto da essersi lanciato in mare per salvarla da un destino atroce, che non riusciva ad articolare espressamente emozioni.

«Raccontami come ci siamo conosciuti» gli chiese allora, colta da una strana illuminazione. Forse non conosceva un bel niente del suo passato. Ma del vissuto che avevano assieme, quello non poteva certo averlo dimenticato.

Lo vide grattarsi la punta del naso, prima di tornare a guardarla.

«Questo posso farlo. Ma non sarà divertente» le disse, un accenno di sarcasmo nella sua voce.

«Non mi sembra un grosso problema. Nemmeno tu lo sei»

Zoro stronfiò un grugnito di protesta.

Non si sorprese di aver sentito una certa soddisfazione nell'essere riuscita a colpir nel segno.

Certe dinamiche...

… non puoi mentire su una cosa del genere, le avevano detto.

 

*

 

Franky constatò di non aver fatto proprio la scelta più saggia, quando aveva tristemente deciso di assemblare un amplificatore per la chitarra di Brook.

Una notte passata in solitaria, con il pensiero fisso ai compagni, aveva messo in moto tutti i suoi meccanismi creativi. E in qualche modo il tempo doveva passare a bordo di quella sua nave ora tristemente silenziosa.

Non aveva ascoltato le vaghe proteste dell'ossicino musicista. Non della coscienza che gli suggeriva che Robin o chi per essa lo avrebbe preso a schiaffi a ripetizione se solo avesse accennato quella sua malsana idea a un pubblico. Fatto sta che quando aveva applicato il jack, acceso le casse e alzato il volume, il primo accordo di Brook aveva rimbombato nell'aria del mattino in modo tanto potente da far vibrare la Sunny, scuotere le cime delle fronde degli alberi, di aver fatto alzare in volo stormi di uccelli dall'aria esotica, fatto vibrare le onde del mare circostante e... risvegliato qualsiasi cosa dormisse nelle vicinanze di quell'insenatura.

«Che botta!» esclamò il carpentiere, rendendosi conto di essere stato sbalzato dall'altro lato del ponte della nave. Una risata entusiasta ad animargli lo spirito, nonostante tutto.

«I miei poveri timpani» gli rimbalzò Brook tutto accartocciato in un angolo, la chitarra ancora stretta al petto «se ancora li avessi!»

Franky si era appena rimesso in piedi, intenzionato a correr in aiuto del mucchietto d'ossa che un rombo sordo che sembrava provenir dalle profondità della terra non lo costrinse a fermarsi per ascoltare.

«Stacca le casse, Brook!» gli suggerì, illuso fosse ancora il riverbero di quello stupido esperimento musicale. Ma quando il musicista alzò il cavo della chitarra che ci aveva già pensato da solo a sganciarsi a causa del contraccolpo, si rese conto che no, questa volta non poteva prendersi il merito di quel terremoto.

Le onde del mare ripresero a schiaffeggiare la carena in modo innaturale. E la terra circostante a tremolare. Uno schianto improvviso esplose come un petardo e solo alzando la testa si rese conto che il vulcano, che svettava sopra le loro teste aveva preso a sbuffare come una pentola a pressione.

«Oh merda» esalò.

Le sue conoscenze in fatto di vulcani non erano esattamente scientifiche, ma non gli ci voleva una spiegazione a disegnini per capire che quello non era un buon segno. Che i terremoti, non fossero un buon segno. Una segnale che gli parve l'anticamera di un inferno preannunciato.

«Dobbiamo andarcene da qui il prima possibile...» mormorò «non ce la lascio la Sunny in balia di questa polveriera»

Brook si rimise in piedi per affiancarlo.

«Prendo un lumacofono e richiamo gli altri?»

Franky allungò una mano, puntando un dito verso la spiaggia. A quanto pareva non c'era bisogno di richiami. Robin, Chopper e Usop stavano correndo nella loro direzione probabilmente allertati dallo stesso identico evento...

… o dalla mandria di piccoli esserini muniti di lance e mascheroni che li stavano inseguendo, con grida da battaglia.

«Che diavolo sono quelli?» esalò sgranando gli occhi.

«Franky dannato filibustiere da strapazzo! Molla gli ormeggiiiiii!» la voce di Usop riuscì persino a superare in decibel quella delle grida battagliere degli esserini al loro inseguimento.

Quando una lancia all'apparenza minuscola ma piuttosto letale, si andò a conficcare esattamente sul parapetto della nave, fra le dita di una delle sue manone, capì che il momento degli addii era giunto.

«Forza, forza, forza!» esclamò andando a prendere posto al timone.

Quando Robin agganciò la nave con la forza di centinaia di braccia, portandosi dietro medico e cecchino, issò l'ancora, lasciò gonfiare le vele e virò appena in tempo per ripartire, lasciandosi alle spalle un gruppo ben fornito di demoni in miniatura.

 

Continua...

 

Note:

Non sono affatto soddisfatta di quest'ultimo capitolo, ma considerato che ci ho messo quasi due mesi a scriverlo, dovevo sganciarlo prima che mi facesse impazzire.

Grazie a chi è ancora con me e scusate l'attesa.

   
 
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